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Autore: _Gufetta_    16/10/2013    0 recensioni
"Perché adesso gli tornava in mente, vivido e perfetto, come se fosse successo solo poche ore prima, il sorriso di quel cucciolo d’umano senza nome?
Il suono della sua voce tornava a tormentargli il cervello.
“Master Knives, Master Knives”
Legato sembrava vivere per potersi far scivolare il suo nome sulle labbra."
[Post manga. Knives/Legato]
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve! Non credevate possibile che ci potesse essere un secondo capitolo? Sorpresa!
Volevo comunicare a voi, gentili e premurosi lettori, oltre ai miei mille grazie per aver letto lo scorso capitolo (sperando che vogliate leggere anche questo, mi farebbe piacere) che l’aggiornamento dei capitoli sarà… settimanale!
Detto questo, munitevi di qualcosa di non troppo pesante da lanciarmi a fine capitolo, perché ci sarà… della DOLCEZZA e anche della SPERANZA. Quindi, roba che rischia sempre più l’OOC.
Buona lettura!

 
 
HOPE

I giorni erano passati incredibilmente lenti, dopo quella notte nel deserto, che era stata tormentata da sogni talmente piacevoli da essere incubi al risveglio.
Mentre i suoi piedi si trascinavano l’uno davanti all’altro, da qualche parte nella sua testa, aveva deciso che sarebbe tornato dove l’Arca era caduta.

Si ripeteva che stava viaggiando senza una meta, che si lasciava andare casualmente dietro i suoi passi stanchi. Eppure ci arrivò,  e sembrava che lì non fosse mai successo nulla.
Ormai gli umani di quella cittadina avevano inserito, in nuovi impianti funzionanti, tutti i plant che erano caduti. Grazie alla loro collaborazione e la loro energia avevano ricostruito le case andate distrutte e fatto sparire i danni dei bombardamenti dell’esercito. Il deserto e il lavoro incessante degli uomini avevano coperto ogni traccia.

S’incamminò verso le porte della città con il cuore che batteva e lo stomaco stretto in una morsa.
Si tenne a distanza dall’impianto, anche se sapeva che le sue sorelle avevano già capito che lui si trovava lì. Non voleva sentire anche il loro rammarico, il loro dolore, la loro rabbia.
Sentire la loro gioia addirittura peggio, l’ennesima riprova del fatto che aveva sbagliato.
Sarebbe stato troppo.

SI mescolò tra la gente senza troppe difficoltà. I suoi vestiti erano quelli di chiunque altro, forse solo un po’ più polverosi, i suoi capelli non davano più nell’occhio come quando erano di quel dolce e finissimo biondo.
Poteva sembrare un umano qualunque.
Forse solo un po’ troppo stanco, un po’ troppo triste.

La gente rideva. I bambini gli scorrazzavano intorno, le signore chiacchieravano da una finestra all’altra sopra la strada.
Tutti erano rasserenati, felici.
Dovette mantenere un incredibile autocontrollo per non fissare tutti sconcertato o mettersi ad urlare. Era una situazione terribilmente surreale.

Che creature misere, dimenticano così in fretta.” Pensò tra se.

-“Vash The Stampede! Vash The Stampede!”-

Quel nome gli raggelò il sangue e si bloccò in mezzo alla strada, temendo di voltarsi e trovarsi davanti il volto sorridente del fratello.
Ma la voce continuò la sua cantilena entusiasta e si trovò a dover abbassare lo sguardo su un ragazzino sorridente, che stava impettito davanti a lui e lo indicava con una piccola mano bianca.
Non riuscì a dire nulla, lo fissò e basta. Il ragazzino sorrise e si voltò improvvisamente, quando la madre gli posò le mani sulle spalle.

-“Alex! Alexander! Devi smetterla, l’hai visto l’altra sera in tv il signor Vash, lo vedi che ti stai confondendo? Chiedi scusa al signore”- e poi alzò la testa verso Knives e sorrise –“Scusatelo, da quando suo fratello maggiore gli ha raccontato della caduta dei plant, non fa altro che inventarsi storie su Vash the Stampede. Spera di poterlo incontrare un giorno. È il suo eroe.”-
Ancora la voce del bimbo –“Ma mamma, gli somiglia tantissimo!”-
La donna gli prese la mano con aria di rimprovero –“Basta con queste storie, Alexander! Stasera se continui così, niente tv”-

Knives aveva smesso di ascoltare il discorso quando aveva capito che non sarebbe spuntato improvvisamente il fratello, ma che il bambino li aveva scambiati.
Come fosse possibile, poi, un errore del genere…  si congedò da loro con un cenno del capo, superandoli senza dire nulla.

La gente ricordava eccome quello che era accaduto.
E adesso aveva un nome con il quale chiamare colui che da tantissimi anni non aveva fatto altro che tentare di proteggerli da loro stessi, e lo chiamavano eroe.
Knives sbuffò.

Ne è valsa davvero la pena vivere immerso in tutto quel dolore, fratello?”

Stava per andarsene, quando gli giunse un altro frammento di discorso alle orecchie.

-“Buongiorno signora! Come sta il paziente oggi?”-

-“Purtroppo ancora non sembra intenzionato a svegliarsi, però da qualche settimana sembra aver ripreso colore. Mio marito ha fiducia che a breve potrebbe riaprire gli occhi.”-

-“Non aveva detto così anche due settimane fa?”-

-“Questa volta è molto fiducioso”-

-“Mah… Suo marito è sempre stato un amante delle cause perse. Ricordo ancora quando decise di operare la gamba del fioraio quando tutti gli altri medici dissero che c’era solo d’amputare..”-

-“Beh, adesso il vecchio Jhon può portare a passeggio i suoi nipoti sulle sue gambe! Mio marito sarà anche considerato un pazzo, ma è il migliore nel fare il suo mestiere”-

-“Questa volta però mi sembra solamente una pazzia… Pensare che sembrava già un miracolo solo il fatto che fosse riuscito a ritrovare quell’uomo intero, quando quell’enorme nave è precipitata…Figuriamoci tentare di curarlo”-

-“Si, lo ricordo quando lo ha portato in casa… gli ho dato del pazzo anche io, sa? Però… dovreste vederlo adesso! Sembra semplicemente addormentato, come se si potesse svegliare da un momento all’altro”-

-“Ma non gli è mai venuto in mente che potesse essere uno dei cattivi? Un nemico? Ricordo quando lo estraemmo dalle maceria… Non pareva nemmeno umano”-

Gli occhi di Knives si spalancarono, e si rese conto solo dopo quella che parve un’eternità di aver trattenuto il respiro.
Si girò di scatto verso la donna e il negoziante con il quale stava parlando.
Doveva sapere.

Era un’idea folle quella che gli aveva appena attraversato la mente.
Troppo folle.
Un’idea quasi crudele, dettata probabilmente dai sogni che lo avevano tormentato languidamente tutta la notte precedente.

La signora pagò la sua spesa a si avviò lungo la strada, lo superò e lui non fu capace di muovere un passo.
Voleva sapere.
E se si fosse trattato di qualcun altro? C’era un esercito intero sotto di loro quel giorno.
Gente dalla terra, le altre indipendenti. C’era Doublefang insieme a Vash.
Anche Elendira.

Poteva trattarsi di chiunque.

non sembrava umano.”

Chi, più di lui, non riusciva mai ad apparire mai abbastanza umano per i suoi simili?
Voleva correre e afferrare la signora per un braccio, scuoterla, sapere!
Chi si era salvato dalla caduta?

Voleva baciargli la fronte.

Riprese a camminare lentamente, trattenendosi terribilmente dal mettersi a correre, gli occhi fissi sulla donna.
La seguì finché non svoltò ed entrò in una misera casa.

Rimase dalla parte opposta dalla strada a fissare la piccola porta con l’insegna ‘Medico Chirurgo’ per quella che gli parve un’eternità, prima di decidersi a fare quel piccolo gesto, che avrebbe decretato se quello che gli passava in mente non era nient’altro che una follia oppure se...

Chiuse gli occhi, respirò profondamente e rilassò le spalle, inghiottendo qualcosa di simile ad un lieve fremito di paura.
Il suo potere, non più forte come lo era stato prima, ma sempre presente, rispose subito.
Lasciò che il potere gli scivolasse attorno e cercasse.

Se non avesse trovato nulla? Se quella persona fosse stato solo un semplice, inutile altro essere umano?
Il potere s’insinuò oltre le pareti della casa, scivolando accanto alle menti semplici delle persone che ci abitavano. Contò la signora, il marito, una giovane senza apparenti legami di parentela e…
Si arrestò, il volto contratto in una smorfia.
Riconosceva la mente della persona stesa in quel piccolo letto.
Avrebbe voluto spalancare gli occhi e correre su per quelle scale, ma indugiò ancora un po’, carezzando mentalmente quei pensieri arruffati.

Poteva assaporare il torpore di quel corpo, il gusto aspro delle medicine in bocca, il dolore degli aghi infilati nel braccio. Come era successo tante volte, da quando gli aveva insegnato a comunicare in quel modo.

 “Legato…” sussurrò tra se, sperando che fosse abbastanza recettivo da riuscire a sentirlo.

Tutto era familiare. Acciambellarsi intorno alla sua mente era un gesto che solo adesso scopriva essergli mancato.
Come un guanto che torna perfettamente attorno alla mano anche dopo anni che non veniva più usato.
Legato era qualcosa che Knives sentiva suo. Non quanto Vash, e nemmeno come un oggetto qualunque.
Qualcosa di vivo e inaspettatamente dolce.

Quando aprì gli occhi, li alzò istintivamente al cielo.

Suo fratello non sarebbe mai cambiato. Nonostante quella fosse stata una situazione disperata, talmente disperata da costringerlo a sparare per uccidere, nonostante le scelte fossero due, lui aveva scelto la terza.
Nulla era mai o bianco o nero per Vash. Si aggrappava disperatamente a quelle infinite sfumature di grigio, che erano il senso stesso della vita e ora Knives gliene era grato.
Grato a quel lato di lui che aveva sempre disprezzato e combattuto.

Il cielo sopra di loro, adesso era blu.
Terribilmente, magnificamente blu.

Dopo tutta la solitudine orribile degli ultimi mesi, davvero era ad un passo da ritrovare l’unica persona alla quale, su quel pianeta desolato, poteva importare ancora della sua esistenza?
 
______________________________________________________________________________________________________ 

Bene.
Se siete arrivati a leggere il mio saluto finale, allora vi meritate un sacco di caramelle e i miei più sentiti grazie.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
 
Legato si sveglierà? E se lo farà, sarà ancora quello che Knives ha conosciuto?

[“Gli umani sono così dannatamente fragili” pensava tra sé, mentre continuava ad accarezzare i contorni della mente dormiente di Legato, nella speranza di strappargli una reazione qualunque.]

A mercoledì prossimo!
  
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