- Scusa, scusa, scusa il ritardo! – disse, Kate, arrivando armata di ombrello e scivolando quasi su una pozzanghera.
- Tranquilla, sono appena arrivata anche io – mentii, sorridendole.
- Non credo – disse lei – ma grazie. Scusa, ma madre aveva bisogno che l’aiutassi a caricare alcune cose sul suo camioncino. La domenica va in alcune fiere a vendere i suoi gioielli fatti in casa. Così arrotondiamo un po’.
- Allora andiamo? – le chiesi indicandole la fila, davanti al botteghino dei biglietti.
- Kate! – esclamò la più bassa – anche tu qua?
- Ciao Jenna, si non potevo mancare!
- Certo, è un film stupendo! Ti presento mia cugina Cassidy, è entrata anche lei nel club di teatro. È appena arrivata da Los Angeles.
- Ciao – ci salutò Cassidy, con un sorriso.
- Piacere – le dissi io.
- Lei è … – disse Kate indicandomi.
- Victoria Morgan, lo so – disse Jenna – l’ho intravista spesso nei corridoi.
- Anch’io ti ho visto spesso – mentii, non so perché ma non mi ricordavo per niente di quella ragazza, sebbene fosse decisamente indimenticabile.
- Oh è il nostro turno – disse Jenna – beh ci vediamo dentro, a dopo!
- A dopo – le fece eco Cassidy.
- Due biglietti – dissi alla ragazza alla cassa, una bellissima mora dalla pelle olivastra e i capelli lunghi, porgendole dieci dollari prima che Kate potesse dire qualcosa.
- Ecco qua – disse lei, abbozzando un sorriso.
- Quanto ti devo? – mi chiese prendendo mano al portafoglio.
- Niente, è un regalo.
- No, non è giusto. Dai, dimmi quanto è!
- Non è nulla. Se proprio vuoi tu potrai regalarmi i pop-corn.
- Un quintale di pop-corn.
- Hey, scusi! – fece una voce alle mie spalle.
Mi avvicinai a lei e man mano che la vedevo da vicino potevo contare ogni lentiggine sul suo viso candido.
- Ti è caduta – mi disse, offrendomi la sciarpa.
- Grazie – risposi afferrandola.
- Pronta – mi chiese?
- Pronta – risposi, rimettendo la sciarpa dentro la borsa. Mi voltai per un secondo; la ragazza non c’era più.
- Beh sappi che sono secoli che voglio vedere questo film! – mi disse Kate, appena ci fummo sedute, entrambe con in mano un secchio di pop-corn – Appena ho visto il trailer me ne sono subito innamorata.
- Beh il tuo sogno sta per diventare realtà – le dissi, infilandomi in bocca una manciata di pop-corn.
- Chissà dove sono Jenna e la sua amica – si chiese guardandosi intorno.
Anche io mi guardai intorno, alla ricerca delle due bionde, ma non sembravano lì. Il mio sguardo attraversò tutta la sala e il mio cuore di colpo si fermò. Era l’ultima cosa che avrei voluto vedere. Poche file davanti c’erano loro, loro che chiacchieravano con la testa vicina, loro che ridevano insieme, loro che si scambiavano sguardi d’intesa. Troy e Mary. Per un attimo mi sembrò di non respirare più. Quello che lui mi aveva detto la sera prima, quell’abbraccio, tutto mi sembrava solo una menzogna. Mi sentivo solo una stupida. Volevo solo andarmene da quella sala. Per quanto troy potesse dire di provare qualcosa per me, nulla avrebbe potuto cancellare il legame tra loro due. Kate seguì il mio sguardo e alla vista di quei due spalancò la mia bocca.
- Oddio, scusa, non avrei mai dovuto costringerti a venire a vedere questo film! – esclamò, sembrava sinceramente dispiaciuta.
- Tranquilla – le dissi, non volevo farle venire i sensi di colpa, era la persona più vicina ad un’amica che avevo, sebbene la conoscessi da davvero poco.
- Mi dispiace così tanto. Se vuoi ce ne andiamo – propose.
- Assolutamente no! Hai detto che non vedevi l’ora di vedere questo film. Ora guardiamolo.
- Sicura?
- Si – cercai di abbozzare un sorriso.
Quanto volevo andarmene da lì, con tutta me stessa. Poi capii che c’era qualcosa che non andava. C’era qualcosa, qualcosa che mi spingeva ad andarmene fuori, molto più potente della mia stessa volontà. Era più qualcosa di fisico. Tutto il mio corpo mi stava dicendo che dovevo andarmene fuori. Per qualche minuto cercai di resistere, ma era più forte di me. Dovevo uscire.
- Vado in bagno – sussurrai a Kate, che si girò verso di me ed annuii.
- Finalmente! – esclamò.
Seven Devils – Florence and the Machine
- Sei arrivata – mi disse, sorridendo, i flussi bianchi provenienti dalle sue mani sparirono.
- Cosa?
- Ti stavo aspettando.
- Chi sei tu? – la attaccai.
- Ti spiegherò tutto, solo non qua. Ti prego, andiamo fuori dal cinema.
- Dammi un buon motivo per farlo. Perché dovrei seguirti? Potresti essere una maniaca, una persona pericolosa, un’assassina.
- Oh, ti assicuro che tu ogni giorno stai a contatto con persone che hanno commesso molti più crimini di me; quelli sono i veri assassini.
- Che cosa vuol dire? In che senso?
- Te l’ho detto. Io ti dirò tutto. Devi solo seguirmi.
- Dove?
- Solo fuori dal cinema
- Ok – dissi di getto.
- Allora? Ora siamo fuori mi sembra.
- Ed infatti ora ti dirò tutto.
- Chi sei tu?
- Mi chiamo Candice.
- Bene, Candice, e chi ti credi essere per venire qua a dire certe cose?
- Tua sorella.
Il mondo si fermò, tutto si fermò, perfino io smisi di respirare, di pensare, il mio cuore non batteva. Avevo mal di testa. Non sapevo perché le parole di quella ragazza mi avevano colpito così, perché mi avevano fatto quell’effetto. Forse perché c’era stato un qualcosa in lei mentre le diceva, non poteva essere una burla. L’avevo detto come se fosse stata la cosa più importante della sua vita. Mi accorsi che ero seduta. Dovevo essere caduta a causa dello sbigottimento. Lei mi guardava, stringendo le labbra, sembrava preoccupata dalla mia reazione. La osservai, cercando stupidamente di trovare qualche somiglianza tra noi. I capelli biondi, ma quello non era troppo irrilevante. I tratti dolci, le guance rosse, ma non erano ancora abbastanza. La guardai negli occhi. Cavolo, erano celesti. Quante volte avevo visto occhi simili allo specchio, che mi guardavano. Quante volte mi avevano riempita di complimenti per quegli occhi, uguali a quelli che ora mi stavano guardando preoccupati. Non stava mentendo.
- In che modo tu puoi essere mia sorella?
- Quello che tu credi sia tuo padre in realtà non lo è. Lui … è una persona terribile. Lui è nostro nemico, tuo nemico.
- Cosa vuol dire? Perché mio padre, che non è mio padre in verità, dovrebbe essere mio nemico?
- Perché lui è uno stregone.
- L-lui è un cosa?
- Uno stregone. E anche molto potente. E tu, Victoria, come me sei una fata.
- Tutto ciò non ha senso.
- Capisco che possa essere difficile. Ma ti posso dire tutto. Non ora, però. Dovrai venire in un posto. Scarlet Road numero 7. Non è sicuro parlare al di fuori di quel post..
- Devi portarla via da qua – disse l’uomo, la cui voce era profonda.
- Loro stanno arrivando e non devono vederla – continuò la ragazza.
- Tu! – esclamai, mettendomi in piedi.
- Si, dolcezza proprio io – rispose lui, con un sorriso sghembo.
- Chi è che sta arrivando? – chiesi, ancora sorpresa.
- Zitta! – fece lui e mi tappò la bocca con una mano.
- Eccoci qua – fece una voce femminile.
- Ebbene si – rispose l’uomo.
- Kellan, Kellan, Kellan – fece un’altra voce conosciuta, quella di Seline – lo sai che a lui non piace quando trasgredite le regole.
- Nessuna regola è stata trasgredita – rispose a tono la ragazza che era arrivata con Kellan.
- Zitta, vampira – disse Delia.
- Tu non hai alcun diritto di zittirmi – ringhiò la ragazza in risposta.
- Io ho tutti i diritti che voglio – rispose Delia, sprezzante, avvicinandosi di più alla ragazza – Melinda, giusto? Cara, tu sei solo feccia.
- Peggio della feccia – aggiunse Seline.
- Oh, guardate quanta diversità. Due vampiri - Delia indicò Kellan e Melinda – un licantropo – indicò il ragazzo che non avevo mai visto – e un demone – per ultimo il suo sguardo si soffermò sul ragazzo arrivato con il biondo.
- È un bene che voi feccia continuiate a unirvi. Tanto anche cento di voi non farebbero uno di noi. Vi stermineremmo comunque – disse Selina, tra i denti.
- Prova a toccarla di nuovo e ti faccio fuori nel modo più doloroso che conosco – disse, continuando a tenere la mano aperta.
- Smettila! – urlò Kellan – Sai che neanche il tuo capo sarà felice se lo ucciderai.
- Non credo che si preoccupi per della feccia.
- La feccia sarai tu! – esclamò il ragazzo che non avevo mai visto.
- Cos’hai detto, cucciolo? – fece Delia adirata, girandosi verso di lui.
- Che succede qua? – una voce fece cadere tutti in silenzio.
- Gli scagnozzi sono un po’ permalosi - rispose Kellan, l’unico che osava guardarla negli occhi.
- Forse – e si girò per qualche secondo verso i tre – non hanno ben capito come funzionano le cose. Ma neanche voi sembrate averlo capito bene. È successo qualcosa di strano qua e per quanto possiate negarlo noi lo scopriremo. O con le buone … oppure con le cattive. Su, andiamo! – disse rivolta ai tre e tutti e tre uscirono dal mio campo visivo.
Il ragazzo biondo mi tolse la mano della bocca e mi sembrò di respirare per la prima volta dopo anni. Dovevo mettere in ordine tutte le cose che erano successe, tutte le persone che avevo visto, tutte le cose che avevano detto. Dovevo andare via. Senza dire una parola corsi lungo il corridoio, senza guardarmi indietro e raggiunsi l’uscita principale. Da lì cercai la mia macchina, salii e guidai fin dove avrei potuto guidare.
Ero arrivata. Il lago era rosso, rifletteva lo splendido tramonto che irrorava il cielo. Raggiunsi velocemente il lago e mi buttai a terra, mi tolsi le scarpe, la giacca. Avevo caldo, stavo morendo di caldo. Volevo solo dormire e svegliarmi capendo che era tutto uno stupido sogno. Perché era per forza uno stupido sogno, quelle cose non potevano essere state dette. Sentii un rumore e mi voltai. Eccolo lì, il biondo, che mi guardava con la faccia dubbiosa.
- Mi hai seguito! – lo attaccai.
- Si, volevo prevenire che facessi cavolate.
- Tipo?
- Tipo qualsiasi cosa – rispose lui, sedendosi al mio fianco.
- Chi sei tu?
- Chiamami Dexter – rispose lui, con un sorriso.
- Victoria – risposi io , rendendomi conto che nonostante tutto non potevo fare a meno di abbozzare un sorriso.
- Lo sapevo già, ma è un bel nome.
- Quin-quindi tu sia qualcosa di tutto ciò?
- Si, io lo so. E non sai quanto vorrei dirtelo.
- E perché non lo fai?
- Perché non posso. Non è giusto che te lo dica io, non così. E poi non è per niente sicuro, anche qui. Oggi abbiamo rischiato molto per contattarti, come puoi aver notato.
- È tutto così confuso. Sembra quasi un incubo.
- Lo so, lo so. Ma ti prometto che se ci cerchi tutto diventerà chiaro.
- Davvero?
- Si, te lo prometto io.
- Ho sonno – dissi, davvero intontita.
- Dormi. Io sarò qua a vegliare su di te. E ti sveglierò quando sarà ora di andare.
- Posso fidarmi di te? – gli chiesi, mentre mi accoccolavo contro il suo petto.
- Sempre.