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Autore: MegJung    16/10/2013    0 recensioni
La vita di un comune ragazzo viene turbata da una persona misteriosa che sembra che abbia le piene intenzioni di risucchiargli ogni sua cosa. Quando l’adolescente crederà che gli sia stato tolto tutto, si renderà conto che quella figura oscura cercherà di usurpargli qualcosa di più importante, qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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LA FRUSTA NERA
Mi chiamavo Jonah Aston, avevo 16 anni e facevo una vita più o meno normale. L’unico problema era un ragazzone che faceva il bullo con me, mi sfruttava senza alcuno scrupolo approfittandone del fatto che era più forte. Mi risucchiava ogni giorno le tasche, chiedendomi in continuazione soldi. I miei si chiedevano spesso perché i soldi che mi davano sparivano così in fretta, mi accusavano di essere uno sperperatore e anche se dicevo la verità non mi credevano. Tuttavia poco m’importava di ciò che pensavano i miei, la cosa che mi preoccupava di più era quella di non lasciare che nessuno mi facesse del male. Ero alto, molto magro, forse troppo, era impensabile che sarei riuscito a far terminare le angherie di Logan, la sanguisuga gigante. Avevo paura di lui, ma soprattutto avevo paura che un giorno mi avrebbe fatto la “frustata nera”, una tortura che chi aveva subito non ebbe mai il coraggio di raccontare.
La situazione iniziò a peggiorare quando Logan iniziò a seguirmi, mi osservava sempre da lontano, come uno spettatore indifferente, sperando che non mi accorgessi della sua presenza. In realtà lui era ben consapevole di ciò e ben presto la questione, da inseguimento, diventò una vera e propria persecuzione. In qualunque luogo mi trovassi, Logan era lì ad osservarmi come se fosse uno scienziato che studia il comportamento di qualche strano animale. Tuttavia si arrivò ben oltre un semplice atteggiamento di stalking. Arrivai a vederlo così tante volte, che diventai paranoico. Sentivo la sua presenza ovunque, anche quando ero nel letto di casa mia, lui mi osservava seduto sulla testata del letto con il suo sguardo beffardo. Ogni tanto mi venivano attacchi di panico, immotivati per gli altri, ma se avessero visto con i miei occhi avrebbero avuto una buona ragione per essere spaventati. Col tempo notai che il Logan che mi guardava aveva sempre un aspetto peggiore, come se fosse una statua di fango esposta alle intemperie del tempo. Era sempre più deforme, ma soprattutto sempre più spaventoso. Non ebbi mai il coraggio di raccontare quella storia a qualcuno, nemmeno ai miei genitori.
Avrebbero scoperto tutto questo in un modo ben peggiore.
Era una sera di marzo, l’aria era ancora fredda e si indossavano ancora gli indumenti pesanti per andare in giro. Stavo tornando a casa dopo aver studiato da un amico, quando lo rincontrai. Era sul ciglio della strada a fissarmi con quello sguardo inquietante e impenetrabile. Il luogo era deserto, non c’era anima viva, l’unico suono che si poteva udire era il fruscio del vento. Ero di fronte a lui, dalla parte opposta dell’asfalto. Avevo paura, ma ero stanco di dover avere addosso quella sensazione di persecuzione. Volevo liberarmi di lui, anche se mi fosse toccato subire la “frusta nera”.
-  Che vuoi? – chiesi serio – Perché mi segui in continuazione? -.
Logan mi fece un altro di quei suoi sorrisi beffardi, ma quella volta era così largo che sembrava quasi che gli stesse squarciando la faccia.
-  Perché tu mi devi sempre un favore – rispose serafico.
- Io non ti devo proprio niente! – sbraitai.
- Allora vuoi farti male. Avanti, fatti sotto -.
Il suo tono di sfida mi fece perdere il lume della ragione e la furia mi fece andare fuori di testa. Aveva capito che ero fuori di me e per alimentare la mia vampata mi provocò porgendo il braccio teso verso di me, facendomi segno di farmi avanti. Non ci pensai due volte che mi fiondai verso di lui. Stavo per saltargli addosso quando una luce intensa mi investì, facendo apparire ai miei occhi solo uno schermo bianco.
D’istinto chiusi gli occhi e quando mi resi conto che il bagliore si stava affievolendo, lentamente cercai di dare alla vista un appiglio.
Ero nel verde, anche se i miei occhi non erano ancora del tutto affidabili, si sentiva nell’aria l’odore dell’erba bagnata. Sentivo le mie scarpe bagnate da dell’acqua fredda che scorreva sui miei piedi: ero finito in una specie di ruscello. Quando la vista ritornò nitida ebbi la certezza di essere finito in un bosco mai visto prima. Era un posto idilliaco, la foresta incantata tanto menzionata nelle favole dei bambini.
Come ci ero finito in quel posto?
Prima che quel chiarore apparisse ero più che certo di stare sul marciapiede della strada. Dopo una manciata di secondi mi trovavo in quella boscaglia, come se quel bagliore mi avesse teletrasportato altrove.
Mi guardai intorno, ero attorniato da alti alberi che filtravano, con le loro chiome verdeggianti, la luce del sole facendola arrivare sulla terra ricca di piccole piante riscaldate da chiari sprazzi di luminosità.
Avevo la gola secca per aver gridato a quel prepotente, avevo bisogno di bere e a pochi passi da me c’era un torrente dove scorreva acqua limpida. Mi accovacciai sulla riva del ruscello e con le mani a coppa presi un po’d’acqua. Notai qualcosa di strano fissando quello specchio che avevo increspato con le mie mani. Il torrente rifletteva la mia immagine, un ragazzo dai capelli castano chiaro e la pelle bianca, ma dietro di me c’era una presenza umana dalle sembianze indefinite. Quando l’acqua tornò a scorrere limpida, scorsi l’immagine riflessa della sagoma umana alle mie spalle. Era una presenza femminile, mingherlina ed esile dall’aspetto familiare. Aveva il volto docile dai lineamenti delicati, gli occhi allungati verde chiaro e la bocca rosea che spiccava sulla pelle pallida. Le arrivavano fino alle spalle una cascata di boccoli rosso mogano, in contrasto con il suo lungo abito verde chiaro. Aveva addosso un corsetto color prato con qualche piccolo fiore decorativo e le gambe erano coperte da una gonna formata da lunghe foglie legate fra loro che arrivavano fino alle caviglie, lasciando in bella mostra i piedi scalzi. Nonostante fosse conciata in modo stravagante, riconobbi quella ragazza così attraente. Era Gwen Hamilton, una ragazza con cui passavo a scuola le ore di biologia e storia e faceva parte del gruppo di amici con cui mi vedevo, anche se ci parlavamo raramente. Ogni volta che l’adocchiavo, l’ammiravo da lontano con la vana speranza che un giorno mi sarei fatto avanti e le avrei espresso ciò che provavo.
Appena vidi quella creatura celestiale nel torrente mi girai di scatto verso la boscaglia per essere certo di non aver avuto un’allucinazione. La Gwen riflessa nell’acqua era reale e in quel momento me la ritrovai di fronte che mi fissava con quegli occhi grandi.
- Dove sono? – le balbettai imbarazzato.
- Nel tuo mondo, Jonah – mi rispose sorridendomi.
La guardai interdetto, ero così confuso. Erano accadute troppe cose troppo in fretta, prima ero perseguitato da un bullo, poi ero stato investito da una luce che mi aveva catapultato nella foresta dei sogni e infine mi ero ritrovato davanti alla mia fiamma, vestita da fata dei boschi la quale mi diceva che ero nel mio stesso cervello.
- Non capisco di cosa tu stia parlando – le risposi.
Lei mi guardò con uno sguardo pieno di comprensione, come se stesse avendo a che fare con un bambino che le stava facendo mille domande.
- Questo non è il mondo reale, è il tuo mondo. Tutti ne abbiamo uno e a volte qualcuno va a fargli visita – mi spiegò.
Non avrei mai immaginato che il mio mondo avesse mai avuto quell’aspetto. Gwen mi fece cenno di seguirla, mi guidò attraverso il mio universo ed era veramente incantevole. Arrivammo ad una piccola casa di legno circondata dagli alberi. Era seduto, sulla soglia della porta, un ragazzo che sembrava dormire beato. Non riuscivo a vedere il suo viso poiché la testa china e i capelli ricci dorati lo coprivano.
Gwen andò dal ragazzo vestito come un contadino e iniziò a strattonarlo.
- Otis svegliati! Jonah è qui! – gli diceva.
Il ragazzo si stiracchiò e si passò una mano sul viso, mandando indietro la grande massa di capelli chiari che gli erano caduti sul volto, anche lui era una figura a me familiare. Come non avrei potuto riconoscere il grosso naso a patata del mio migliore amico Otis Thomson?
Il ragazzo mi si avvicinò con fare amichevole e ci salutammo come facevamo abitualmente.
- Era ora che arrivassi qui! – esclamò felice.
- Non sapevo nemmeno dell’esistenza di questo posto- risposi.
- Infatti non si arriva mai qui per motivi alquanto felici – apostrofò Gwen – ma solo quando … -.
La ragazza non riuscì a terminare la frase che si sentì un verso animalesco inquietante nelle vicinanze. Se la situazione era già ambigua, in quel momento stava diventando anche preoccupante. Otis e Gwen si misero in guardia.
- Che succede? – chiesi disorientato.
- Logan – disse con denti serrati Gwen – ha fatto arrivare qui un altro dei suoi mostri schifosi -.
- Stai dietro di noi – mi ammonì Otis.
Obbedii e aspettai che saltasse fuori dai cespugli quella creatura misteriosa. Una sagoma scura e corpulenta spuntò dalla boscaglia e si avvicinava sempre di più verso la casa di legno dove ci trovavamo. Dopo poco tempo, riuscii a vedere perfettamente che aspetto avesse quel mostro. Aveva l’aspetto di Logan, ma in una versione molto più disgustosa. Aveva la pelle bianca come un cencio, i capelli arruffati come se avesse preso la scossa e la stessa giacca verde scuro e i medesimi jeans sdruciti che era solito mettere il bullo nel mondo reale. Il suo pallore era spaventoso, ma la cosa più ripugnante erano i suoi occhi e la sua bocca. Non aveva occhi, ma solo le cavità oculari dal quale sgorgava una melma nera; la bocca era spalancata e sbavava la stessa sostanza viscida scura.
Gwen mise un braccio davanti a sé e la sua mano spalancata emanò una strana luce verde erba. Vicino alla ragazza spuntò dalla terra una gigantesca pianta, lunga e affusolata e che avvolse quell’essere stringendolo sempre più forte.
Non avevo notato che Otis aveva fra le mani un enorme martello da guerra, con la testa di metallo chiodata. Quando quell’essere di melma fu paralizzato dalle piante controllate da Gwen, Otis gli si fiondò addosso colpendolo pesantemente. Alla botta l’essere melmoso reagì emettendo versi animaleschi, dimenandosi per cercare di liberarsi inutilmente dalla presa della pianta di Gwen. Dopo una serie di colpi quella creatura si ridusse da essere un rivoltante ad ammasso di pantano nero. Otis lasciò cadere a terra l’arma e la pianta gigante di Gwen ritornò nelle viscere della terra.
- Cosa è successo? – chiesi atterrito.
Gwen ed Otis si guardarono negli occhi con aria preoccupata.
- Quando un essere umano entra nel suo mondo, in modo tale che egli stesso lo percepisca perfettamente come la realtà, non è un buon segno – iniziò a spiegarmi Otis.
- Vuol dire che il tuo mondo ha bisogno di aiuto perché c’è qualcosa che lo sta distruggendo. La tua mente ti ha chiamato, ha bisogno di te – continuò seria la ragazza.
Rimasi esterrefatto da quella spiegazione, stentavo a credere che la mia mente fosse capace di risucchiare tutto me stesso. La cosa che mi spaventava di più, però, era l’idea di sapere che nella mia testa c’era qualcosa che stava sterminando ciò che c’era nella mia testa.
- Cosa mi vuole distruggere? – chiesi serio.
- Io non mi chiederei cosa mi sta distruggendo, ma chi – mi rispose Otis.
- Chi? – sibilai fra me e me.
I due mi guardarono con un’espressione preoccupata.
- Questa è la tua mente – disse Gwen – sai meglio di noi chi ti vuole annientare -.
Chiusi gli occhi per riflettere. Avevo la vista oscurata, ma poi lentamente vidi delle scie colorate illuminare quella visuale buia. Vedevo volti di gente che conoscevo passarmi davanti evanescenti, quando all’improvviso tutto fu distrutto da una scia lunga e sottile nera. Era una frusta, stava fra le mani di un Logan dalle sembianze raccapriccianti.
Spalancai gli occhi inorridito.
- Logan – sibilai.
- Esatto – risposero all’unisono i due.
Aveva rovinato la mia esistenza perseguitandomi, mentre io cercavo inutilmente di nascondermi da lui. Era pure entrato nella mia mente e, come un tumore maligno al cervello che si diramava, distruggeva tutto quello che trovava. Avevo paura di lui, come diamine avrei potuto sconfiggerlo?
- Questo posto è quel poco che ancora non è stato colpito dalla frusta nera di Logan – disse Otis – abbiamo provato ad affrontarlo, ma non siamo forti abbastanza per sconfiggerlo. Noi, come custodi del tuo mondo, non possiamo fare nulla contro di lui, per questo abbiamo chiamato te -.
- Non posso, non avrò mai la forza per abbatterlo – gli risposi.
- Devi farlo Jonah! – affermò a voce alta Gwen – se non lo farai ti distruggerà! -.
- No! Sono troppo debole! – iniziai ad alterarmi – perché mi avete portato qui? Dovevate lasciarmi stare! -.
- Ma Jonah non puoi … -.
La ignorai, voltai le spalle a quei due e iniziai a camminare chissà dove, con la misera speranza che avrei trovato la strada dove mi trovavo prima. Mentre passeggiavo, vedevo la flora e la fauna di quella foresta al massimo dello splendore. Quella boscaglia sembrava essere immensa e senza confini, quando ad un tratto sentii uno scossone che fece tremare tutt’intorno.
Zolle di terreno e decine di alberi furono inghiottiti dalla stessa melma nera dello scagnozzo di Logan che emerse dalle profondità della terra. Intorno a me tutto iniziò a distruggersi lasciando spazio al pantano nero che, trionfante, dilagava da tutte le parti. Rimasi sbigottito da quello spettacolo e mi resi conto cosa volessero intendere i miei custodi mentali per annientamento del mondo interiore. Ero rimasto così stregato da quello spettacolo di devastazione, che solo dopo un po’di tempo mi resi conto che i miei piedi poggiavano su un piccolo pezzo di terra che galleggiava in quel viscido stagno fosco.
Non sapevo dove trovare un appiglio e lasciai che la zolla terrosa fosse trascinata per quel fiume infernale, finché arrivò ad una cupa cascata e, impotente, non potei che cadere.
Ero steso su un terreno costituito da sabbia grigio cinereo, sporco di quella poltiglia scura e respiravo faticosamente. Presi coscienza del fatto che ero ancora miracolosamente vivo. Mi alzai e davanti a me c’era solo un enorme distesa di melma nera che emanava flutti come le onde del mare. Non ebbi il tempo di girarmi dalla parte della terraferma che mi resi conto che un ammasso di pantano si stava compattando dietro di me per diventare uno di quegli orribili mostri. Quando mi voltai apparve davanti a me un enorme ammasso di poltiglia a forma di un Logan deforme che mi ruggì in faccia sputandomi addosso pezzi di melma.
Indietreggiai. Non potevo spostarmi più di tanto e non potevo nemmeno difendermi. Stavo per essere spacciato quando mi resi conto che nelle grandi tasche dei miei pantaloni c’era qualcosa dal peso consistente. Al suo interno, dentro una fodera nera, c’era un pugnale, la sua lama doveva essere di almeno di venticinque centimetri e aveva il manico in acciaio sul quale erano scolpite delle figure macabre.
Sfoderai l’arma e affrontai il mostro, gli tagliai fulmineo un braccio, che cadde, fondendosi con la melma a terra. Lo riempii di tagli profondi, finché non lo uccisi piantandogli la lama nel petto, facendolo così ritornare un cumulo di fango nero.
- Vedo che stai imparando ad usare il potere che hai in questo mondo – disse una voce alle mie spalle.
La riconobbi, era Gwen.
- Perché mi avete seguito? – chiesi scontroso.
- Perché noi siamo i tuoi custodi e il nostro compito è proteggerti – mi rispose prontamente la ragazza.
Le lanciai uno sberleffo. Non sapevo più come replicare.
- Cosa vuoi insinuare per poteri in questo mondo? – le chiesi.
- Questo è il tuo mondo e puoi fare ciò che vuoi – mi rispose – la tua mente desiderava ardentemente un’arma per difendersi e ti ha dato quel coltello -.
- Coincidenze – sbottai burbero.
Mi guardai intorno, il paesaggio era di una desolazione tale che suscitava malessere. Un’immensa terra nera e grigia era davanti a noi, in lontananza si vedevano montagne scure dal quale si alzava il fumo che si confondeva con il cielo plumbeo.
- Questi sono gli effetti della frusta nera – disse triste Otis.
- Mi sta distruggendo – sussurrai.
- Vuoi che accada tutto questo? Che Logan prenda possesso della tua mente? – chiese con una punta di provocazione Gwen.
- No. Non senza provare a fermarlo -.
Strinsi il mio pugnale e insieme ai miei compagni-custodi ci addentrammo nel regno oscuro di Logan, l’usurpatore del mio mondo. All’orizzonte s’intravedeva una costruzione gigantesca nera che si diramava nel cielo: era la dimora del mio male mentale, lo sapevo perché trasmetteva una sensazione di miseria amara. Tutti e tre ci incamminammo in quel tumore malefico che si stava insidiando dentro di me, con la fanghiglia che si appiccicava ai piedi, lasciando le nostre impronte.
Non ci volle molto tempo perché Logan avvertisse la nostra presenza. Si sentì la terra tremare e dalla melma emersero numerosi obbrobri a forma di Logan fasulli pronti all’attacco. Otis incrociò i suoi occhi castani con i miei verde oliva, con uno sguardo d’intesa, mentre Gwen mi sorrideva beffarda. Sfoderai il pugnale dalla tasca e iniziai a far schizzare la poltiglia e il sangue scuro accoltellando quelle creature. Otis usava con foga il suo martello gigante, schiacciando quegli esseri con veemenza, mentre Gwen faceva spuntare dalla terra fangosa piante che li attaccava.
- Non riuscirai mai a battermi! Tu mi devi sempre un favore, dipendi da me! – tuonò una voce grave dall’alto.
Era Logan che si prendeva gioco di me.
Avanzammo verso il castello oscuro facendo strage di quei mostri. Non avrei lasciato che Logan s’impossessasse della mia mente, non senza aver provato a fermarlo. Arrivammo sotto a quella struttura buia e tetra dopo aver combattuto in maniera estenuante. Mentre squartavo quegli ammassi di poltiglia ambulanti notai che in un angolo presso i muri del castello, c’era qualcosa di piccolo e rosso intenso. Era una specie di cuore, che faceva penetrare fra i muri i suoi capillari, e pulsava ritmicamente. Doveva essere la chiave che faceva reggere quella costruzione così regale, ma al tempo stesso inquietante.
- Gwen, Otis, voi trattenete gli scagnozzi di Logan. Devo fare una cosa – affermai ai miei compagni di sventura.
- D’accordo – rispose Otis – ma non resisteremo a lungo -.
- Se non lo fermerai, verremo sommersi dalla poltiglia nera di Logan insieme al tuo mondo! – esclamò disperatamente Gwen alle prese con una creatura.
Mi fiondai subito vicino a quel cuore pulsante, nonostante fossi lurido di melma che mi rallentava il passo. Era una piccola pompa pulsante che spargeva il suo sangue per i suoi sottili capillari. La strappai dal muro a mani nude e l’organo esplose in uno spargimento di sangue e pezzi di carne che mi si spiaccicarono addosso. Rimossi i rimasugli con il pugnale che fece schizzare sangue il quale  si andava a mischiare con la melma nera. Le venuzze che penetravano nei muri della costruzione si scurirono e seccarono come sterpaglie.
Sentii un ruggito di dolore da lontano: era Logan che stava si stava dolendo per la perdita di ciò che probabilmente era il motore che reggeva in piedi il suo caro palazzo.
- Ah! Questo non lo dovevi fare Jonah Aston! – sbraitò Logan da chissà dove – sei riuscito ad abbattere il mio esercito e adesso anche la mia dimora sta morendo! Non riuscirai a sopravvivere, perché adesso faremo i conti di persona! -.
Si sentì un rumore di passi potenti come boati avvicinarsi. Improvvisamente il robusto muro davanti a me si crepò distruggendosi attraverso un’esplosione di mattoni neri. Dal buco, una lingua di melma nera e fluida si schiantò a terra.  
Quando il polverone provocato dallo sfondamento del muro si dissolse, finalmente lo vidi. Logan era uscito dal suo palazzo, era gigantesco, doveva essere alto quasi tre metri, gli occhi scuri, come la melma, iniettati di sangue che mi fissavano furiosi. Quella sostanza nera gli colava sul corpo, ma la cosa più spaventosa era lo strumento di tortura che stringeva nella sua mano destra. Era una maniglia lunga e sottile e su una estremità partiva una corda nera e fluida: quella era la frusta nera con il quale aveva sparso la sua essenza e creato il suo regno nella mia mente.
- Ahah, Aston non sopravvivrai a lungo! – disse con una risata satanica e fissandomi negli occhi.
Immediatamente feci dietrofront e iniziai a scappare, ma la corsa durò poco visto che mi colpì con la sua subdola arma stendendomi prono a terra. Provai a rialzarmi ma, prima che lo potessi fare, mi schiacciò il suo mastodontico piede sulla schiena cercando di spiaccicarmi al suolo viscido. Davanti a me c’erano Gwen e Otis che si dimenavano nella fanghiglia scura provando vanamente ad uscire fuori da quelle sabbie mobili, stavano per essere inghiottiti dall’esercito di Logan.
- Otis! Gwen! – urlai protraendo una mano verso di loro, come se avesse potuto cambiare qualcosa.
- Non badare a noi!, pensa a Logan! – disse straziato Otis.
- Noi ormai siamo spacciati, pensa a salvarti – continuò Gwen.
- Lui mi deve sempre qualcosa, lui dipende da me! – tuonò Logan.
- Sta mentendo Jonah! – sbraitò disperatamente la ragazza fra le lacrime – tu sei più forte di lui! Questo è il tuo mondo, non il suo e puoi fare ciò che vuoi! Amore, ora ti devo dire addio! -.
I miei custodi mi lanciarono un triste sorriso d’addio e furono risucchiati dal vortice di quella sostanza aliena.
- Nooo! – fu l’unica cosa che riuscii a gridare.
Logan rise satanicamente.
- Ormai sono andati, adesso tocca a te, perché dipendi da me -.
Un paio di lacrime mi rigarono il viso, le persone a cui ero più affezionato erano andate via per l’eternità.
Questo è il tuo mondo, Jonah, disse la voce di Gwen nella testa, puoi fare tutto quello che vuoi, tutto.
Mi aveva strappato via la normalità, i miei custodi, le persone a me care e quasi il mio universo psichico. L’unica cosa che volevo fare in quel momento era vendicarmi di Logan, di stenderlo e di schiacciarlo come un fottuto scarafaggio! Come lo desideravo ardentemente!
Credevo di essere spacciato e che Logan mi avrebbe pestato col suo grande piede riducendomi un insetto spiaccicato sul parabrezza, ma una strana forza improvvisamente attraversò il mio corpo. Opposi resistenza alla pressione di Logan fino a liberarmene e ritrovarmi faccia a faccia con lui.
- Io non dipendo da te – gli affermai, fissandolo con uno sguardo truce – hai distrutto la mia vita, i miei custodi e il mio mondo, ma non potrai distruggere me -.
Man mano che avanzavo verso di lui mi resi conto che stavo diventando sempre più alto. Quando fui di fronte a Logan, mi arrivava a malapena alle ginocchia, ero diventato gigantesco, forse sei o sette metri.
Lui mi fissava sbalordito dal basso per quello che mi era successo. Era diventato così piccolo e insignificante, lui con la sua arma. Lo guardai beffardo sorridendogli.
- Qui comando io! – gli proferii a gran voce.
Lo schiacciai contro la sua stessa melma, facendolo esplodere in un pasticcio nero e pastoso come il catrame e rosso e liquido come il sangue, poi torsi il piede sul suolo per spappolarlo ancora di più. Intorno a me non era rimasto nulla. Ritornai alle mie dimensioni normali, sospeso nell’aria. Iniziai a precipitare inesorabilmente verso il basso, ma prima che sfracellassi una luce mi abbagliò. Era la stessa che apparve quando stavo per assalire Logan nel mondo reale.
Spalancai gli occhi, vedevo solo l’intonaco bianco del soffitto di una stanza. Mi accorsi di essere steso su qualcosa di morbido e avvolto in qualcosa di caldo, ero in un letto, ma non era quello della mia stanza. Avrei riconosciuto ovunque il verde acqua delle pareti e quell’odore invadente di disinfettante che irrompeva nell’aria. Mi facevano male i polsi, non potevo piegarli e ben presto mi accorsi che c’erano conficcati diversi aghi collegati a dei macchinari. Il rumore ripetitivo e martellante del elettro-cardiogramma diffondeva un’atmosfera inquietante in quella stanza ospedale.
Come c’ero finito lì?
Non ricordavo nulla del mondo reale dopo aver fatto quel viaggio nel mio cervello turbato. Era stato tutto come un sogno.
Ad un tratto sentii la porta aprirsi e io tornai a chiudere gli occhi per non farmi notare. Quando chiusi le palpebre vidi velocemente il mio mondo che era tornato come prima, la splendida foresta di alti alberi protetta dai miei custodi che facevano una vita tranquilla e felice.
Qualcuno era entrato in quella stanza, probabilmente un paio di persone.
- Non si può fare nulla dottore? – chiese una voce preoccupata e tremante.
La riconobbi, era mia madre.
- Non so se si risveglierà, l’incidente che ha avuto due mesi fa è stato molto forte. Non c’è certezza che uscirà dal coma-.
Ricordai tutto finalmente. Il giorno in cui provai ad aggredire Logan ci picchiammo, mi spinse in mezzo alla strada e fui travolto sotto un’auto. Il viaggio mentale che avevo fatto sembrava non essere durato niente rispetto al coma di due mesi che avevo avuto. Era lecito che nel proprio mondo il tempo scorresse differentemente. Non mi sarei mai svegliato nel mondo reale finché non avrei abbattuto la piaga interiore che imperversava nel mio pianeta.
Il dottore lasciò mia madre sola, sentivo i suoi singhiozzi che rimbombavano nella stanza. Era così straziante sentirla piangere.
- Mamma –la chiamai senza aprire gli occhi.
- Jonah! Mi senti? – mi rispose scossa.
Aprii gli occhi, vidi mia madre che stava piangendo e sorrideva. Era felicissima.
- Jonah sei vivo! – urlò incredula per la gioia, mi abbracciò forte e mi stampò un bacio sulla fronte.
 Ben presto vennero a trovarmi tutti i parenti per vedere in che condizioni ero. Otis  e gli amici che mi fecero visita mi diedero l’affettuoso nomignolo del “bello addormentato”.
- Logan che fine ha fatto? – chiesi al mio migliore amico.
Otis mi sorrise.
- Nel carcere minorile, è stato accusato di molestia e tentato omicidio. Non lo rivedrai per un bel po’ -.
Avevo sconfitto Logan nel mio mondo e aveva avuto la sua disfatta anche nella realtà. Ironia della sorte trovai sulla suola della scarpa che indossavo il giorno in cui fui investito, uno scarafaggio spiaccicato e le macchie del suo sangue.
Stenderlo e schiacciarlo come un fottuto scarafaggio!
Era incredibile che fosse successo davvero in un certo senso.
Dopo una settimana mi dimisero dall’ospedale, la prima cosa che feci fu uscire con i miei compagni. Mi vennero a prendere all’entrata della clinica, festeggiando il ritorno a casa. Fra loro c’era anche Gwen, non mi sarei mai scordato le ultime parole che mi proferì nel mio mondo.
Amore ora ti devo dire addio!
Non potevano esistere per me parole più dolce e amare di quelle.
Trascorremmo la serata in un pub a bere una birra e a mangiare qualche pizza. I dottori mi avevano detto che avrei dovuto mangiare sano, ma una festa senza schifezze era come un cielo senza stelle.
Quella sera il cielo scuro era illuminano da quei piccoli forellini che gli conferivano un atmosfera così magica e soprannaturale.
Accompagnai Gwen, anche se rimanemmo a fare un giro nella boscaglia dietro casa sua. Somigliava molto alla foresta del mio mondo e lei con la sua semplice T-shirt verde prato, era uguale all’incantevole creatura che mi faceva da custode.
- Che bella serata che è stata – disse di punto in bianco.
- Già era tanto tempo che non avevo contatti col mondo esterno -.
Iniziò a stringermi la mano, incrociando le sue dita con le mie, come fossimo fidanzati.
- Sai, mi sono preoccupata quando hai avuto l’incidente -.
La fissai negli occhi stupito, non ci parlavamo molto, pensavo che non gliene sarebbe importato più di tanto.
- Mi sei mancato, ti sono anche venuta a trovare quando eri in coma -.
Non mi sarebbe mai passato per la mente che mi avesse fatto visita, ma forse nel mio mondo sì. Non avevo raccontato a nessuno della mia avventura psichica, era troppo stramba per essere compresa dai miei genitori o amici. Decisi di vuotare il sacco a lei, dopotutto lei era stata per certi versi molto coinvolta.
- Sai Gwen, mentre ero in coma … beh … ti ho sognata -.
- Davvero, cosa hai visto? – chiese incuriosita.
Cercai le parole giuste per filtrare il mio viaggio mentale, da ciò che mi avrebbe potuto far passare uno svitato.
- Eravamo in un posto come questo, però molto più bello. Tu eri vestita di foglie e avevi poteri magici … eri meravigliosa – queste ultime parole le dissi in sovrappensiero e inconsciamente con aria sognante. Avevo appena fatto la figura dell’idiota davanti alla ragazza che mi piaceva.
Gwen mi sorrise, era così dolce quando aveva quell’espressione stampata in viso e gli scappò un timido risolino per il mio complimento.
- Così mi fai arrossire! – disse imbarazzata.
Dopo aver detto quell’apprezzamento capii di essermi già spinto troppo oltre, ma a quel punto era meglio se mi fossi dichiarato.
Mi fissava negli occhi, mi guardava dal basso verso l’alto, fra noi due c’era almeno una spanna di differenza. Notai che stava giocando nervosamente con una ciocca dei suoi capelli. Presi con delicatezza quella mano irrequieta, lasciando che gli spazi della mano di uno fossero colmati dalle dita dell’altro.
Le sorrisi, come potevo non essere felice con lei vicina?
- Sarei proprio curioso di sapere perché hai sprecato il tuo tempo a trovare un vegetale attaccato a una macchina, con cui nemmeno ci parlavi tanto -.
Mi guardò stupita, probabilmente l’avevo presa in castagna.
- Ehm ecco veramente io sono venuta a trovarti perché tu … -.
Le posai con gentilezza l’indice sulle labbra per dirgli di tacere.
- Se tu fossi stata in coma, sarei venuto a trovarti per le stesse ragioni – le sussurrai all’orecchio. I suoi capelli mi accarezzavano la guancia e avevano un profumo irresistibile.
Le mie labbra sfiorarono la sua guancia fino a ad accarezzare le sue. Chiusi gli occhi e lasciai che i fatti avvenissero da soli.
Ero convinto che come reazione mi avrebbe immediatamente tirato uno schiaffo, ma, inaspettatamente, mi abbracciò al collo e mi abbassai per avvicinarmi a lei.
Forse il viaggio nel mondo era stata la vicenda più pazza e irreale che avessi fatto in tutta la mia esistenza. Mi aveva fatto provare emozioni che non avrei mai dimenticato, ma la mia mente non sarebbe mai stata capace di farmi provare la celestiale sensazione di baciare le morbide labbra perfette di Gwen.
[The end]
Angolino dell’autrice: caro lettore che ti sei degnato di leggere questa misera storiella, innanzitutto ti ringrazio. Poi vorrei dire che questa storia nasce da un esperimento, non sapendo di che genere fare la one shot ho deciso di scrivere i generi su dei bigliettini e li ho pescati a caso, lasciando alla sorte la decisione.
 
   
 
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