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Autore: Crona Lunatica    16/10/2013    1 recensioni
Le lacrime correvano dalle mie guance sulla terra, le mani mi dolevano e avrei voluto sprofondare, sentivo le gambe pensanti come piombo e non riuscivo a muovermi per quanto cercassi di trarmi da quel baratro d’angoscia in cui stavo precipitando. La luce, il fuoco. Ferite, le membra sanguinanti, la testa scoppiava e il mio cuore cedeva nelle viscere. La voce non era che un rantolo indecifrabile e muto nella gola secca e gli arti erano fusi come pezzi d’argilla cotta nel forno. Una bambola di cera che si scioglie al sole, questo ero, e nell’oscurità accecante della disperazione arrivò. Abbandono e solitudine la seguirono, la vita cresceva da sola nel buio senza speranza e destinata a spegnersi.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Questo è il secondo capitolo. Mi raccomando commentate e fatemi sapere cosa ne pensate!
Buona Lettura!



<< Era il 1944, i miei genitori avevano una fattoria a circa un chilometro da qui e ogni giorno mio padre e mio zio facevano pascolare le bestie sui terreni di Mondarone. Mio padre era un contadino e io l’ultima dei suoi quattro figli. Erano tempi duri, ma la Guerra diede il colpo di grazia. Mio padre aveva un bellissimo cavallo da tiro, Perla, il suo manto era nero e aveva una macchia bianca sulla fronte; quanto si divertiva mio fratello maggiore a cavalcarla alla maniera degli indiani, tenendosi per la criniera! Era il nostro cavallo da tiro, requisito per contribuire alla formazione dell'Impero italico senza che noi potessimo muovere un dito. Tutti i cavalli venivano requisiti, ingoiati a loro volta dalla piaga della guerra. Anche i miei fratelli e mio zio partirono. Mio padre era vecchio per la guerra, ma la leva obbligatoria aveva costretto i giovani a lasciare le loro case, per un ideale astratto che probabilmente nemmeno capivano, loro, figli della terra, abituati a sudare su di essa per trarne i frutti dalla polvere…partiti per un destino ignoto che li avrebbe portati lontano… ci rimaneva solo la speranza e il dubbio di non rivederli mai più. Passavo le mie giornate aiutando i miei genitori nei campi o lavorando come lavandaia. Le mie mani erano rosse e piene di calli, come le tue ora, e quello che guadagnavo andava ai miei genitori. Speravo di raccogliere abbastanza soldi per sposarmi, un giorno, finita la guerra, oppure studiare. Volevo diventare insegnante, ma la Guerra non miete solo vittime, anche sogni.
Tutto era nero intorno a noi, e la gente diffidente. Nei boschi si nascondevano i partigiani, soldati disertori, uomini che volevano contribuire all’avanzata delle truppe alleate. In molti li aiutavano, ma altrettanti li odiavano; a Bione, il parroco proteggeva i partigiani, e più di un volta era stato per loro una salvezza. Io invece mi aggregai ad un gruppo partigiano in seguito ad un episodio singolare. Stavo facendo il bucato, la schiena a pezzi dopo avere mantenuto quella posizione massacrante per ore. >>
Ad un tratto udii un latrato e il rimbombo di passi concitati sul terreno; alzai il capo, incuriosita, e vidi un uomo avanzare zoppicando verso di me. Compresi subito chi fosse.
Uno sguardo di supplica da parte sua fu più che sufficiente per farmi intendere che fosse un partigiano.
 << Vieni con me >> sibilai afferrandolo per un braccio e conducendolo verso un capanno, non lontano, ma lui, senza esitare, si gettò nel mucchio di escrementi bovini lì accanto, nascondendosi alla perfezione.
Tornai immediatamente al torrente, in tempo per vedere arrivare una pattuglia tedesca, vestiti di nero, con i loro orribili cani, più feroci forse di loro stessi.
<> esclamò quello che sembrava il comandante << Visto fuggitivo? >>.
Annuii con decisione, poi indicai la strada per Bione << Di là >> dissi. L’uomo mi fissò dritto negli occhi, per capire se mentivo, ma io sostenni il suo sguardo; non avevo paura in quel momento, tutti i miei muscoli erano tesi e un solo pensiero in testa “Non tradire alcuna emozione” mentre quello sguardo tagliente di superiorità mi scrutava trapassandomi da parte a parte.
Il soldato sputò a terra, poi la pattuglia si allontanò, e io ripresi a respirare. << Puoi uscire >> dissi.
Il partigiano uscì dal mucchio puzzolente, i cani non lo avevano fiutato per questo, e mi si avvicinò. Aveva occhi azzurri, come il cielo prima di un temporale, il viso era imbrattato di fango, ed era ricoperto di sudiciume da capo a piedi, ma non doveva avere più di vent’anni.
<< Grazie >> mormorò, poi fece per andarsene.
<< Darai un po’ nell’occhio se vai in giro così >> replicai.
Lui guardò i suoi vestiti, poi posò lo sguardo su di me e sorrise << Hai ragione >> c’era qualcosa di strano nel suo sorriso. Era…vero, autentico. Non un sorriso di rammarico, o triste, e neppure di scherno come quello dei militari, che spesso ci guardavano dall’alto in basso facendo battute. << Perché non ti fermi a casa mia? Potrai ripulirti. I miei genitori non torneranno prima di sera >> non sapevo se facevo bene a fidarmi di quello sconosciuto, anche perché se i tedeschi lo avessero trovato io e la mia famiglia saremmo stati puniti o peggio ancora uccisi. Lui si ritrasse e scosse il capo con veemenza, aveva i capelli scuri, con un ciuffo, sudicio, che gli ricadeva sugli occhi.
<< Non posso >> sussurrò, come se temesse di essere scoperto e con una certa titubanza << Devo raggiungere Preseglie prima di sera. E’ importante >>
<< Prendi il sentiero nel bosco, sai dove si trova il santuario di Visello? Quel sentiero conduce là. Da lì potrai arrivare a Quintilago >>.
Non se lo fece ripetere due volte, già correva verso il bosco senza salutare, imbrattato di letame e fango, mentre lo guardavo allontanarsi con la cesta del bucato stretta al petto. Quella fu la prima volta che lo vidi, ma non dissi nulla ai miei genitori, avevo paura della loro reazione.
Edda s’interrompe, ha lo sguardo perso nel vuoto.''
<< Perché me lo sta raccontando? >> chiede Esmeralda.
<< Hai ragione, io so chi sei. E so cosa ti è successo. Ma credimi, rubare non ti aiuterà >>.
La ragazza si alza in piedi spingendo indietro la sedia, ne ha abbastanza di quella vecchia originale.
<< Ma come si permette?! >> esclama << Lei non ha nessuna autorità su di me! Non è il mio tutore, né un’assistente sociale, solo una vecchia che vuole impartirmi una lezione! Crede davvero di conoscermi solo per avermi visto rubare? Lei non sa niente di me, niente! >>.
Edda rimane impassibile. Non appena la giovane finisce di parlare, apre bocca. << Io non ti conosco, ma non mi piace lasciare una storia a metà. Anzi sono imbarazzata >>
<< Cosa? >> davanti a quella pacatezza, alla tranquillità di Edda, rimane scioccata.
Tutti la scacciano, tutti l’allontanano.
<< Mi sento a disagio >> confessa la donna << In realtà,  volevo chiederti un favore >>
<< Un favore? Da me? >>
<< Sì, dammi un po’ del tuo tempo. Non me ne resta molto, ma se cedo un po’ di me a qualcuno, un mio piccolo ricordo rimarrà per qualche anno ancora >>.
Il tono di Edda è ironico, ma lo sguardo è serio e deciso; a tal punto che Esmeralda non riesce a ribattere e si siede nuovamente per ascoltare il racconto. Edda sorride e riprende.
''Avevo appena fatto una scelta che avrebbe segnato la mia vita. La gente aveva paura e non ci si poteva fidare di nessuno, come nessuno osava pronunciare una sillaba sugli avvenimenti che si svolgevano intorno a noi, nel Mondo, se non in forma di pettegolezzo. Fu così che un giorno, dopo messa, vidi mia madre consegnare una lettera al parroco e allontanarsi in tutta fretta. Cominciai a sospettare, e non a torto, perché mia madre collaborava con i Partigiani. Ne ebbi la certezza quando trovai dei messaggi nascosti nell’orlo del suo vestito e fu allora che capii che se avessi voluto fare qualcosa della mia vita, se avessi voluto contribuire alla fine di quella stupida guerra dovevo unirmi a loro, per quanto potesse essere pericoloso. Mia madre confessò tutto. Beh…tutto ciò che sapeva. Lei doveva solo raccogliere i messaggi che le venivano portati e portarli ai destinatari.
Mi venne data una bicicletta e avrei dovuto portare i messaggi nei paesi circostanti ogni volta che mi fosse stato chiesto; passarono mesi, e l’estate volgeva ormai al termine, quando, verso la fine di Agosto, pedalavo di buona lena verso Bione; la strada era sorvegliata, ma non mi era mai capitato nulla fino ad allora. L’aria era fresca sulla mia faccia ma, il sangue mi si gelò nelle vene solo quando una pattuglia tedesca mi sbarrò il cammino. Un soldato completamente vestito di nero mi si avvicinò e mi chiese in modo rude i documenti.
Naturalmente i miei documenti erano falsi.
 Gli tesi i preziosi fogli ostentando un sorriso e cercando di intavolare una conversazione per alleggerire l’aria di disprezzo che aleggiava lì intorno, o forse era solo aroma di letame?
L’uomo alzò lo sguardo dalle carte che gli avevo consegnato e diede un ordine in tedesco a quelli che lo accompagnavano. Due di loro mi afferrarono per le braccia e mi ordinarono di scendere. Non ebbi la forza di disobbedire. Il mio cuore perse un battito al pensiero di ciò che mi sarebbe accaduto. Se avessero trovato i biglietti nell’orlo del vestito…non riuscivo a pensare ad altro che al peggio. Il rumore di un camion che si avvicinava ruppe il silenzio. Dopo qualche minuto sentii il mezzo fermarsi a pochi metri da me e una voce autoritaria che ordinò qualcosa in tedesco alle mie spalle. I due soldati mi lasciarono andare subito e si voltarono sull’attenti facendo il saluto.
Vi fu un breve scambio di battute tra il nuovo arrivato, che non osavo guardare in faccia, e l’uomo che aveva dato l’ordine di arrestarmi, poi uno scroscio di risa da parte della pattuglia e altre braccia mi afferrarono a forza e mi caricarono sul retro della vettura.
Era fatta. Mi avrebbero portata a Idro per torturarmi, sempre che non mi sparassero prima.
Il camion era partito da qualche minuto quando, sbirciando da un foro nel telo che lo ricopriva, mi resi conto che deviava dalla strada. I due soldati seduti accanto a me alzarono il capo e si tolsero i berretti. Di fronte al mio sconcerto scoppiarono a ridere.
<< Lorenzo! Firmo! >> esclamai riconoscendo i miei fratelli. Ci abbracciammo.
<< Ma…come…? >> balbettai. Non riuscivo a parlare, era come se mi avessero tolto un pesante fardello << E Carlo e Antonio? E zio Libero? Che ne è stato di loro? >> chiesi. Per tutta risposta si scurirono in viso e Lorenzo scosse il capo. Antonio, il mio fratello pestifero e burlone che riusciva sempre a farmi sorridere, si era lanciato in una missione suicida. Lui, sempre allegro, non aveva retto a quella vita dura, e dopo non più di un mese era impazzito, non riusciva più a sopportare i cadaveri, il marciume, la fame…e si era lanciato oltre la barricata sotto la pioggia di proiettili, lasciandosi trafiggere. Il suo cadavere era rimasto lì, nessuno aveva avuto il coraggio di andarlo a prendere per seppellirlo. Zio Libero era stato colpito da una granata. Non ne era rimasto niente.
<< Non sai cosa abbiamo passato, Edda! Il fronte è un inferno >> diceva Lorenzo tra le lacrime, mentre Firmo batteva la mano contro la parete per fare segno al pilota di fermarsi.
<< Abbiamo rubato questo camion con le provviste per rifornire la nostra squadra >> spiegò quando ci fummo ripresi. Scendemmo e osservai la porta della cabina aprirsi. Le mie guance si colorarono vedendo balzare a terra il ragazzo che avevo salvato. Scherzosamente salutò i miei fratelli in tedesco e vi riconobbi la voce di chi mi aveva salvato dalla pattuglia. << Ben fatto, Francesco! >> si complimentò Firmo. Lui sorrise mentre i miei fratelli si scambiavano pacche amichevoli sulla schiena. Poi tutti e tre si volsero verso di me. Francesco mi guardò stupito. Ci fissammo per quello che parve un’eternità senza battere ciglio. Il suo sguardo nel mio, interrogativo, come sfociante in un mare di parole mute, ma alla fine la sua voce arrivò.
<< Sono felice che tu stia bene. Temevo che ti avrei causato dei problemi>>.
Cercai di ribattere, ma Lorenzo si intromise << Vi conoscete già? >> 
<< Sì >> rispose Francesco << Mi ha salvato la vita >>.
<< Mi chiamo Edda >> dissi prima che i miei fratelli  potessero dire qualunque cosa.
<< Il nome di una raccolta di ballate nordiche >> commentò.
Firmo sogghignava vedendomi in difficoltà << Perché non scarichiamo la merce, prima che iniziate a flirtare? >> suggerì infine e meritandosi un calcio negli stinchi da parte mia.
Portammo tutto il contenuto del camion in un casolare sulla cui porta una donna saltò al collo di Firmo.
<< Giulia! >> esclamai riconoscendola << Cosa fai qui? >> chiesi.
Lei era la nipote del parroco di Bione. Ora si capiva tutto! Mio fratello era entrato nella Resistenza forse più per riveder la fidanzata, e Lorenzo gli era andato dietro.
<< Ho fatto la crocerossina per parecchio tempo, ma…ho avuto un incidente >>. Alzò un poco la gonna e mi mostrò la gamba fasciata. << Non si è rotta, ma ci sono andata vicino. Un paziente a cui dovevamo amputare un piede ha dato di matto e ha cominciato a sparare…mi ha colpita ma non era un danno troppo grave, anche se sono stata rimandata a casa e ora zoppico un po’ >> poi mi porse la mano sinistra mostrandomi una fede d’ottone e con la destra strinse la mano di mio fratello, la quale le cinse la vita e la prese in braccio, baciandola appassionatamente…e guadagnando un buffetto sulla guancia da parte di Giulia.
<< Sei fortunato ad avere me, ma non te ne approfittare >> lo rimproverò dolcemente.
Passai molto tempo elargendo complimenti e auguri di felicità, poi alcune bocche contrariate cominciarono a lamentarsi, all’interno del casolare. C’erano una dozzina di persone là dentro, stipate in un’unica stanza attorno ad una stufa accesa per far scaldare il cibo. Mi accorsi immediatamente che le brande là dentro erano inferiori rispetto alle persone. Francesco, che mi era rimasto accanto tutto il tempo, notò il mio sguardo incuriosito.
<< Dormiamo a turno >> spiegò.
<< Spero che Lorenzo copra tutta la notte, russa come un orso in letargo e nostra madre diceva che dormiva come un angioletto! >>.
Rise alla mia battuta. << Sono felice di saperti sana e salva…>> disse << … soprattutto ora che ti ho potuto ricambiare il favore >>.
Si chiamava Francesco, ma per precauzione o diffidenza non mi volle rivelare altro di lui. Sedemmo su una roccia fuori dal casolare, la notte era calata, e la sua frescura avvolgeva tutta la valle. La luna aveva fatto capolino nel cielo limpido con la sua luce argentata. La luce della luna non riscalda però. Presi a tremare, Francesco se ne accorse e mi circondò le spalle in un abbraccio, posai la testa contro il suo petto… Forse ero un’ingenua se mi innamoravo così facilmente del primo ragazzo che vedevo sorridere>>.''
Esmeralda non ribatte. << La mia mente era come svuotata da ogni pensiero >>.
  
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