Psycho Killer
Occorre avere un po' di caos in sé per partorire una stella danzante.
Friedrich Nietzsche
Convincere
Damon a prestarle
la Camaro era stato complicato quasi come scucirgli di bocca
ciò che
sapeva su Kol. Alla fine, però, ce l'aveva fatta e adesso
era
diretta come un fulmine verso Baltimora. Si era chiesta più
volte
quale fosse il reale motivo per cui si stava catapultando nel
Maryland, ma non era riuscita a darsi nessuna risposta abbastanza
convincente. Damon, oltretutto, aveva ragione: non poteva mettersi a
psicanalizzare un vampiro millenario con manie decisamente omicide e
credere che lui potesse pentirsi dei suoi crimini solo
perché a
chiederglielo sarebbe stata lei. Alla fine, quindi, si era dovuta
arrendere all'evidenza dei fatti. Se stava correndo come una matta
verso Baltimora, il motivo era solo uno: desiderava rivedere il
ragazzo che amava.
Si diede della stupida per
almeno una decina di volte, mentre cercava un parcheggio nei pressi
di Chase Street. Alla fine lasciò la Camaro ad alcuni
isolati dal
Belvedere Hotel, si strinse nel giubbotto di pelle e
cominciò a
camminare a passo deciso verso l'edificio, un ex albergo di undici
piani in stile Secondo Impero costruito agli inizi del Novecento e
ora sede di lussuosi appartamenti. Varcata la soglia dell'edificio si
ritrovò all'interno del sontuoso atrio. Un uomo in abito
Armani le
passò accanto stringendo nella mano destra una
ventiquattrore,
mentre alcune donne, anch'esse in abiti firmati, sostavano nei pressi
di una delle ascensori. Liza avrebbe voluto evitare il portiere, ma
notò lo sguardo di lui indugiare a lungo sulla sua figura.
Sembrava
stranamente incuriosito. Gli si avvicinò sorridendo e lui
ricambiò
il sorriso.
«Buongiorno. Ho
appuntamento con il signor...» esitò. Kol, di
certo, non aveva
preso un appartamento utilizzando il suo vero nome.
«Andrews dell'interno 26!
Certo.» Ridacchiò l'uomo. Liza inarcò
un sopracciglio. Che Kol
avesse lasciato delle false generalità l'aveva messo in
conto, ma
come diavolo faceva il portiere a sapere che stava cercando proprio
lui? Si allontanò perplessa dalla reception e il ticchettio
delle
sue decolletè nere l'accompagnò fino
all'ascensore. All'esterno
c'era una piantina dell'edificio: l'interno 26 si trovava al sesto
piano. Entrò nella cabina e pigiò il numero sei
sul tasto cromato.
Poi sospirò e diede un'occhiata all'enorme specchio di
fronte a lei,
controllando che la sua mise fosse perfettamente in ordine. Per
l'occasione aveva indossato un pantalone nero e aderente, mentre
sotto il giubbotto, anch'esso nero e sfiancato, faceva bella mostra
di sé la generosa scollatura di un corpetto color carta da
zucchero.
I capelli, invece, erano liberi e mossi. Stava per incontrare un
serial killer, eppure ciò che più di tutto le
premeva era che lui
la trovasse irresistibile. L'ascensore arrestò la sua corsa
al sesto
piano e Liza si infilò nel corridoio che ospitava quattro
appartamenti. Individuò l'interno 26 e, senza pensarci un
attimo di
più, premette il campanello. Dall'altra parte,
però, ci fu il
silenzio assoluto. Suonò ancora, ma nulla. Quindi
afferrò la
maniglia d'ottone e, con nonchalance, la scassinò.
Entrò
silenziosamente in casa e richiuse la porta alle sue spalle. Si
tratta bene il signorino... pensò, osservando le
pareti color
crema perfettamente dipinte e il lampadario di cristallo dell'immenso
soggiorno. Sfiorò con due dita il legno laccato del tavolo
al centro
di esso, poi si accorse di non essere sola e si voltò di
scatto.
Katherine Pierce era proprio di fronte a lei, con le braccia
incrociate sotto il seno e un sorriso sornione sulle labbra. A quella
visione, Liza trasalì. «Che diavolo ci fai tu
qui?»
Katherine mosse appena un
passo nella sua direzione, ignorando completamente quella domanda.
«Liza Salvatore... che piacere rivederti!»
Esclamò, guardandola
dal basso verso l'alto. «Vedo che hai adottato il mio stesso
look.
Non male!» Ammiccò.
Liza si accorse solo in quel
momento di essere vestita quasi come Katherine e le fu tutto chiaro.
Il portiere doveva averla scambiata per lei, forse perché
non era la
prima volta che la ex Petrova metteva piede in quell'appartamento.
Scosse la testa, malcelando il senso di fastidio. «Che ci fai
qui? E dov'è
Kol?»
Katherine sembrò ignorare
ancora una volta la prima domanda, sospirando e cominciando a giocare
con una ciocca dei suoi capelli. «Non sono la babysitter del
tuo
ragazzo, Liza. E quello che fa quando non è in casa, non mi
interessa!»
Come facesse Katherine
Pierce a sapere sempre tutto era e sarebbe rimasto un enorme mistero.
Kol non era il suo ragazzo, ovviamente, ma se la vampira snob aveva
lanciato quella frecciatina, doveva aver captato qualcosa e
probabilmente era stato proprio Kol ad informarla sugli ultimi
avvenimenti.
In quel momento fu lei a sospirare. «Allora dimmi cosa
cerchi da lui quando è in casa e facciamola
finita!» Esclamò,
lievemente ironica.
Non riusciva proprio a immaginare cosa potesse
legare Kol a Katherine o viceversa. Erano amanti? Probabile, anche se
il solo pensiero la nauseava. «Ci vai a letto?» Le
domandò,
quindi, senza girarci intorno.
Katherine restò in silenzio per
qualche secondo, con gli occhi fissi in quelli di Liza. Incontrare la
gemella di Stefan in quell'appartamento di Baltimora era l'ultima
cosa che si sarebbe aspettata. E non poteva certo dirle la
verità,
non prima di aver concluso l'accordo con Kol. Perciò decise
di
mentire, cosa che, d'altra parte, le era sempre riuscita piuttosto
bene. «Diciamo che... ci facciamo compagnia qualche volta.
Lui è
qui tutto solo, io anche... ma non temere! Sono in partenza!»
Ammiccò, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro, dato che
si
ritrovò con le spalle al muro ed entrambe le mani di Liza
strette
intorno alla gola. Annaspò come se stesse annegando, tenendo
le
iridi color cioccolato ben piantate in quelle in fiamme di Liza.
«Tu e la tua maledetta
collana...»
«Tu e la tua maledetta fama
di sgualdrina!»
Katherine sembrò sorridere,
o forse la sua fu una semplice smorfia di sofferenza, mentre Liza non
accennava a mollare la presa. «So
dov'è...» disse, con la voce
spezzata, e Liza inarcò un sopracciglio. Poi
allentò la stretta
intorno al collo di Katherine. «Parla!» Le
ordinò. Katherine
annuì. «Mi ha detto di avere un appuntamento, una
cena a casa del
sindaco. Intende ucciderlo. Io avrei dovuto aspettarlo qui!»
Liza lasciò andare
definitivamente la gola di Katherine e la vampira prese a
massaggiarla. Kol il serial killer aveva nel mirino nientepopodimeno
che il sindaco di Baltimora. Tipico di un buffone del suo calibro,
dopotutto. Liza indietreggiò di un paio di passi, sempre
tenendo
d'occhio la sua vecchia amica. «Vado da
lui. Tu, invece,
evapora! Non voglio trovarti qui al mio ritorno!» Le
intimò, prima
di voltarsi e correre via veloce come un lampo.
«Okay,
ci vediamo lì tra
un minuto!» Damon infilò il suo cellulare nella
tasca interna del
giubbotto di pelle, poi aprì la porta della pensione e si
trovò di
fronte Klaus. Non si aspettava di vederlo, non dopo ciò che
si erano
detti l'ultima volta che avevano parlato, circa un mese dopo la
partenza di Liza e Stefan. Superata l'iniziale incertezza,
ritrovò
il suo sorriso sornione e lo rivolse all'indirizzo dell'ibrido.
«Come
vedi sto uscendo e sono anche piuttosto di fretta...»
Fece per chiudere la porta
alle sue spalle, ma la mano di Klaus sul suo braccio glielo
impedì.
«Oh non sono qui per te... sto cercando Liza, è
con lei che
desidero parlare.» Disse risoluto, varcando la soglia della
pensione
e fermandosi a pochi metri dal vampiro.
Damon lo seguì all'interno
della casa, richiuse la porta dietro di sé e alzò
gli occhi al
cielo. «Liza non c'è. Le dirò che sei
passato, se ci tieni tanto!»
Klaus si voltò per cercare
gli occhi di Damon, li trovò e vi piantò dentro i
suoi. «Dov'è
andata?»
Il vampiro si portò una
mano tra i capelli, scompigliandoli nervosamente. «E' a
Baltimora.»
A quelle parole seguì il
silenzio. Damon si accorse di quanto Klaus fosse contrariato e poteva
capirlo, lui stesso avrebbe desiderato avere Liza lì con
sé, invece
di saperla insieme a Kol. L'ibrido serrò la mascella, poi
scosse la
testa. «Mi sembrava di averti detto di tenerla lontana dai
casini
che combina mio fratello.»
«C'ho provato! Ma sai
quanto può essere testarda. Ha letto i giornali, ha fatto
due più
due e...»
«E ha deciso di andare da
lui.» Concluse Klaus con il sorriso sulle labbra e la
delusione
dipinta sul viso.
Damon aggrottò la fronte,
poi avanzò di un paio di passi, fino a trovarsi faccia a
faccia con
l'ibrido. «Non sei geloso, vero? Voglio dire, la tua
è semplice
preoccupazione, giusto?» Gli domandò. Ricordava
perfettamente
l'ultima conversazione che avevano avuto, soprattutto perché
mai
avrebbe immaginato di ritrovarsi di fronte il suo più
acerrimo
nemico con il cuore tra le mani. Klaus gli aveva detto di amare Liza
e di essere consapevole di non avere alcuna chance con lei. Lui si
era semplicemente limitato ad ascoltare e annuire, sentendosi perfino
a disagio.
Sto frequentando Caroline, adesso. Per Liza sarò
per
sempre un buon amico. Gli aveva detto con determinazione,
raccomandandosi inoltre di tenerla lontana da Kol e dalla sua follia.
In quel momento, però, non sembrava esserci più
traccia di quella
determinazione.
Klaus smise di sorridere, ma
non di guardare Damon negli occhi. «Se vuoi posso
ripetertelo,
Damon. Sto andando avanti con la mia vita, ma per Liza ci
sarò
sempre. Siamo indissolubilmente legati, dopotutto.»
Damon annuì e l'ibrido
sperò che ciò che gli aveva detto potesse
bastare. Non amava le
insinuazioni, soprattutto se a farle era il maggiore dei Salvatore.
Che poi i sospetti del vampiro fossero fondati o meno, che importava!
Aveva preso una decisione, intendeva stare con Caroline, anche se
Liza avrebbe occupato un posto d'onore nel suo cuore, per sempre.
«Avrei voluto dirlo a tua
sorella, in realtà, ma immagino che lo farai tu non appena
la
vedrai.» Stavolta sorrise. Damon scosse la testa.
«Tornerà prima o
poi, perciò sarai tu a farlo.» Anche lui sorrise.
Non sopportava i
Mikaelson, ma l'esperienza gli aveva insegnato di chi ci si poteva
fidare e Kol, di certo, non sarebbe mai stato degno della sua
fiducia. Klaus, invece, sì. L'ibrido raggiunse la porta e,
dopo aver
rivolto al vampiro un'ultima occhiata, lasciò la pensione.
Guardò
il cielo sulla sua testa e si accorse che era scuro. Si
incamminò
verso casa, mentre alcune gocce di pioggia cominciavano a cadere
bagnandogli il viso.
Per rintracciare il sindaco
di Baltimora – o per meglio dire la sua casa – Liza
era stata
costretta a soggiogare un poliziotto. Per via della
criminalità che
dilagava in città, infatti, la villa di Stephanie Jefferson,
questo
il suo nome, era praticamente blindata. Kol doveva aver adoperato lo
stesso metodo per riuscire a entrare nelle sue grazie e il fatto che
si trattasse di una donna, ovviamente, gli aveva reso le cose ancora
più semplici. L'ingresso principale della villa, una delle
più
grandi e belle dell'intera Baltimora, era sorvegliato notte e giorno
da una pattuglia della polizia, ma c'era anche un'entrata secondaria,
quella che dava su un immenso giardino di castagni, che, almeno in
quel momento, sembrava incustodita. Liza sospirò. Era
riuscita –
più o meno senza problemi - a nascondersi sul tetto della
villa e,
attraverso i vetri di una delle finestre, si era perfino sincerata
delle condizioni di Stephanie Jefferson. Di Kol, invece, sembrava non
esserci traccia. Liza si mosse furtiva sul tetto in direzione
dell'ingresso principale, avvistò la pattuglia, ma non il
vampiro.
Poi il rumore di alcuni passi nell'erba catturò la sua
attenzione e,
come un fulmine, si portò dal lato opposto.
Lanciò un'occhiata in
giardino e vide qualcuno farsi sempre più vicino. Il respiro
le
mancò per un istante mentre Kol Mikaelson avanzava deciso
verso
l'entrata secondaria della villa. Il vampiro salì i pochi
gradini
che lo dividevano dalla porta d'ingresso e si bloccò di
colpo,
respirando l'aria intrisa di un profumo che avrebbe riconosciuto tra
mille.
«Dove
credi di andare?» La voce di Liza lo raggiunse alle spalle
con la
stessa intensità di una scarica elettrica. Kol si
ritrovò a
sorridere, felice,
poi scacciò in fretta quel sorriso dalle sue labbra e si
voltò,
mostrando alla vampira il suo solito e insopportabile ghigno.
«A
cena da un'amica. Tu, piuttosto, non dovresti essere in vacanza col
tuo adorato gemello?»
«La vacanza è finita.
Appena in tempo direi!» Esclamò Liza, incrociando
le braccia sotto
il seno e sfidando l'originario con lo sguardo. Lui aggrottò
la
fronte. «In tempo... per cosa?» Chiese, infilando
le mani nelle
tasche anteriori dei jeans.
«In tempo per impedire al
mostro di Baltimora di commettere l'ennesimo
omicidio!»
A quelle parole, Kol
ridacchiò. «Allora perdi il tuo tempo, darling!
Quella donna è già
morta. Adesso, per favore, lasciami in pace!»
Si voltò verso la porta,
intento a suonare il campanello, ma Liza, in un lampo, gli fu
addosso. Afferrò il vampiro per la gola e lo
scaraventò a qualche
metro di distanza dall'entrata. Kol si ritrovò con la
schiena
sull'erba e gli occhi di Liza, a cavalcioni su di lui, piantati
dritti nei suoi. Abbassò lo sguardo sulla scollatura di lei,
individuando il pendente in oro e acquamarina, e in seguito
tornò a
fissarla negli occhi. «Hai riottenuto i tuoi superpoteri, a
quanto
pare...»
Liza strinse entrambe le
mani intorno alla gola dell'originario, poi avvicinò il suo
volto a
quello di lui. «Proprio così, quindi ti conviene
fare ciò che ti
dico. Prenderle da una comune vampira deve essere parecchio
frustrante!» Sorrise sghemba, ma Kol non ricambiò
il sorriso.
L'afferrò per i capelli e, una volta costretta sull'erba, le
fu
addosso. Strinse il volto di Liza tra le dita della sua mano destra
e, con quella libera, le bloccò entrambe le braccia sulla
testa.
Solo in quel momento sorrise. «Cosa stavi dicendo?»
Ridacchiò. Poi
lasciò andare il viso della vampira, ma non le sue braccia.
Liza
respirò affannosamente, senza ribattere né
reagire. Lui appoggiò
le labbra su quelle di lei e la baciò. Liza
ricambiò, dapprima, il
bacio, poi piantò il suo tacco dodici nel petto del vampiro
e, con
un spintone, lo allontanò da sé. Kol si rimise
subito in piedi e
Liza fece lo stesso.
Sul volto di lui, in quel
momento, aleggiava la rabbia. «Non devi intrometterti nella
mia
vita. Torna a casa. Io farò lo stesso.»
Liza inarcò un
sopracciglio. «Intendi dire che non ammazzerai il
sindaco?»
Kol scosse la testa.
«Intendo dire che non lo farò stanotte.»
La vampira azzerò la
distanza tra loro e piantò l'indice nel petto
dell'originario. «Tu
non ammazzerai più nessuno, Kol. Hai chiuso con Baltimora.
Tornerai
a Mystic Falls insieme a me!»
Il vampiro inarcò un
sopracciglio. «E perché mai dovrei
farlo?»
«Perché sono io a
chiedertelo.»
Liza
varcò la soglia
dell'appartamento di Kol per la seconda volta, realizzando con
piacere che Katherine non era più lì. Dopo la
trasformazione si
erano frequentate per lungo tempo ed era stata proprio lei, l'ex
fiamma dei suoi fratelli, ad insegnarle come affrontare quella nuova
esistenza e, soprattutto, come evitare di farsi uccidere alla prima
occasione. Ma mai l'aveva considerata un'amica, né una
persona
affidabile. D'altra parte, ciò che aveva fatto a Damon e
Stefan era
ancora bene impresso nella sua mente. Averla tra i piedi, ne era
certa, avrebbe comportato solo ulteriori seccature. Se il pensiero di
saperla in un letto insieme a Kol non si fosse insinuato nella sua
mente come un tarlo in un vecchio mobile di legno, avrebbe cancellato
la loro discussione di poco prima con un colpo di spugna, invece di
rimuginarci sopra dilaniata dalla gelosia. Rivolse un'occhiata fugace
al vampiro, appoggiato a braccia conserte ad una delle pareti color
crema del soggiorno, e si accorse che anche lui la stava osservando.
Per tutto il tragitto fino al Belvedere, Kol non aveva più
proferito
parola. Liza aveva creduto che quel silenzio fosse sinonimo di
meditazione, che il vampiro fosse intento a fare i conti con il suo
orgoglio rimasto ferito nel giardino del sindaco e che stesse
prendendo in considerazione la possibilità di tornare a
Mystic Falls
insieme a lei. Ma il ghigno insopportabile che aveva sul viso in quel
momento, le suggerì che, probabilmente, non era
così. Kol era un
idiota e gli idioti non erano abituati a pensare. Si mosse a braccia
incrociate per il soggiorno, lentamente, evitando di incontrare lo
sguardo di lui e sperando che si ostinasse in quel mutismo ancora per
molto. Se l'avesse provocata, ne era certa, quella stanza elegante e
ordinata sarebbe diventata irriconoscibile. Raggiunse quella che
doveva essere una libreria e cominciò a osservare
ciò che era
disposto sulle mensole, passando in rassegna libri e soprammobili di
ogni tipo, pur di fingersi disinteressata alla presenza del vampiro.
Qualcosa, però, catturò la sua attenzione.
Infilò una mano tra "I
fiori del male" e una miniatura della Statua della Libertà e
toccò quello che riconobbe come un paletto di legno di
quercia
bianca. Senza pensarci due volte, lo impugnò e lo
scrutò per filo e
per segno. La punta era tinta di scuro, probabilmente a causa del
sangue agrumito. Il suo sangue. Kol
osservò tutta la scena
col sorriso sulle labbra, poi la raggiunse alle spalle.
«Se te lo stai chiedendo,
sì, è proprio quel
paletto. Mark ti saluta, anzi,
immagino avrebbe voluto farlo. O, forse, no. Credo che non lo sapremo
mai» Ridacchiò. Liza si voltò di
scatto, piantando i suoi occhi
castani in quelli del vampiro. «L'hai ucciso. Come diavolo ci
sei
riuscito?» Ricordava perfettamente quanto Mark fosse forte e,
soprattutto, ricordava le grida di dolore di Kol in preda al
susseguirsi senza sosta degli aneurismi cerebrali provocatigli dallo
stregone.
«Gli sono stato dietro per
un po'. Si era rifugiato a New York e viveva rintanato come un topo
di fogna. L'incantesimo di Bonnie, oltre a spezzare il legame che
aveva con te, deve averlo privato anche dei suoi poteri. Io,
ovviamente, ne ho approfittato. Dopotutto, avevo un conto in sospeso
con lui, ricordi?» Ammiccò. Liza scosse la testa,
tornando a
guardare il pezzo di legno che teneva tra le dita. «Certo. Ha
tentato di ucciderti e ti sei vendicato»
«Già. Ma l'ho fatto anche
perché ha ucciso te. Meritava una lezione!»
Liza ripose in fretta il
paletto sulla mensola, come a volersene disfare il prima possibile,
poi si voltò verso Kol e gli rivolse un'occhiataccia.
«Era solo un
ragazzo distrutto dal dolore. Ma tu non puoi capire, come potresti?
Non guardi al di là del tuo naso, sei uno stronzo egoista,
un
megalomane, un pazzo omicida, tu sei..» l'idiota di
cui mi sono
innamorata, avrebbe voluto dire, ma si limitò a
stringere i
pugni, imponendosi di finirla lì. Tanto, qualsiasi cosa gli
avesse
detto, a Kol sarebbe scivolata addosso come l'acqua nella doccia.
Il
vampiro aggrottò la fronte, ma non smise di sorridere.
«Sono uno
stronzo, un egoista, un pazzo... eppure mi hai appena chiesto di
tornare a casa con te. Ti contraddici, Liza, proprio come farebbe una
ragazza innamorata. Oops! E' vero. Tu sei
innamorata!»
Esclamò scoppiando a ridere. Liza afferrò la
Statua della Libertà
e gliela tirò addosso. Lui, ovviamente, la scansò
e questa si
infranse in mille pezzi sul pavimento bianco in granito. «Hai
intenzione di distruggermi l'appartamento, per caso? Volevo solo
prenderti un po' in giro!» Continuò, seguitando a
ridacchiare. Liza
alzò gli occhi al cielo. Avrebbe potuto scaraventargli
addosso un
armadio, senza ottenere una reazione che non fosse un ghigno o una
battuta di pessimo gusto. Kol era fatto così, superficiale e
privo
di tatto, e lei lo amava, nonostante quella consapevolezza. Ridusse
la distanza tra loro e scrutò il viso dell'originario per
qualche
istante, prima di ricominciare a parlare.
«Dimmi cosa c'è tra te e
Katherine Pierce!»
Kol smise di sorridere.
«Katherine... Pierce?» Domandò
aggrottando la fronte. «Nulla. E'
Elijah quello che ci va a letto» Scrollò le spalle
e infilò le
mani nelle tasche dei jeans. «Elijah è mio
fratello, il..»
«So chi è Elijah!»
Esclamò Liza visibilmente contrariata. «Ma
è qui dentro che l'ho
trovata e in questo appartamento ci vivi tu!»
Kol trasalì. «Quindi... ci
sei già stata. Sei tu che hai scassinato la
maniglia..»
«Tu non c'eri e io dovevo
entrare. Ringrazia che non abbia buttato giù la
porta!»
Kol scosse la testa e
ridacchiò. Per un momento aveva creduto che fosse stata
Katherine a
rompere la maniglia, e invece... «Okay, ci siamo visti un
paio di
volte. Che male c'è? Forse non lo sai, ma Katherine ha avuto
una
liaison sia con Nik che con Elijah. Oltre al defunto Finn, mancavo io
alla lista dei fratelli Mikaelson da portarsi a letto. E io,
ovviamente, l'ho accontentata»
«Ovviamente.»
Ripetè Liza, palesemente delusa. Kol notò
l'amarezza negli occhi
della ragazza e si maledisse per ciò che era stato costretto
a
dirle. Ma in che altro modo avrebbe potuto spiegare la presenza di
Katherine in quell'appartamento? Una storia di sesso gli era sembrata
la migliore delle scuse e un ottimo modo per tenere lontana Liza
dalla verità, da Joel e, soprattutto, da se stesso.
Continuò a
guardarla, mentre la ragazza si stringeva nelle sue stesse braccia,
ripensando all'ultima volta che erano stati insieme, a ciò
che le
avevo detto e a quello che, invece, le aveva fatto credere buttando
giù poche righe su un misero bigliettino. Anche in quel
caso,
l'unico a conoscere la verità sarebbe stato lui.
Scacciò dalla
mente il desiderio di afferrare Liza e stringerla forte a
sé, ma non
riuscì a dire altro. Allora fu la ragazza a rompere il
silenzio.
«Hai ucciso Mark perché mi ha fatto del male,
facendo quindi
intendere di tenere a me, ma poi non hai perso tempo a portarti a
letto un'altra donna, una che conosco, tra l'altro! Anche tu sei un
tantino contraddittorio, non trovi?» Gli domandò,
con gli occhi
stretti e l'aria di sfida. Kol sorrise appena. «Colpito e
affondato!» Esclamò, passandosi una mano tra i
capelli già
spettinati. «Cosa vuoi che ti dica, Liza. Hai ragione tu. Ma,
se può
consolarti, il sesso con te è... è stato...
insomma... con te è
più bello.»
Liza inarcò un
sopracciglio. Kol era un ruffiano, lo sapeva bene, eppure le sembrava
molto a disagio in quel momento. Non stava mentendo solo per tenerla
buona. Pensava sul serio ciò che le aveva appena detto.
Purtroppo,
però, quella confessione non sarebbe bastata a scacciare via
la
delusione. «Non stento a crederlo, Kol. Insieme ci siamo
divertiti
molto, è vero. Peccato che non accadrà
più. Dovrai accontentarti
di farlo con Katherine o con chissà chi e struggerti al
ricordo dei
bei tempi andati!» Rise e la sua risata cristallina
riempì l'intera
stanza.
Lui increspò le labbra, divertito. «E, se, invece
accadesse
ancora?»
«Non accadrà più, te l'ho
detto. Dopotutto, sei stato tu a lasciarmi andare.» Liza
ammiccò e
si mosse in direzione del vampiro fino ad avvicinarsi a lui e
sfiorarne il petto con leggera malizia. Poi sollevò lo
sguardo dalle
labbra agli occhi di Kol, soffermandosi in quell'oscuro abisso in cui
avrebbe voluto perdersi per l'eternità, e respirò
forte il suo
odore. Non sarebbe più accaduto, non gli avrebbe
più permesso di
disporre del suo corpo per poi abbandonarla ancora una volta. Ne era
convinta, ma allora perché tutto ciò che
desiderava in quel momento
erano le sue mani addosso e i suoi baci dappertutto?
«Non sai mentire, Liza. Mi
vuoi... te lo leggo negli occhi!» Kol sorrise
sghembo, chinando
appena la testa e riducendo ulteriormente la distanza tra i loro
volti. Liza avvertì un brivido lungo la schiena, poi si
morse
lievemente il labbro inferiore. Sì, lo voleva, e negarlo non
sarebbe
servito a niente, allora chiuse gli occhi e cercò la bocca
del
vampiro - già pronta a ricevere quel contatto –
anche se sapeva
quanto fosse sbagliato cedere, anche se lui le aveva scritto di non
ricambiare i suoi sentimenti. Le loro lingue si intrecciarono avide,
mentre la mano del vampiro andava in cerca della pelle di Liza sotto
la stoffa del suo corpetto carta da zucchero. Lui la strinse a
sé,
senza smettere di baciarla e di respirare il suo inebriante profumo.
Lei infilò una mano tra i capelli del vampiro, stringendoli
forte
tra le dita, poi, con uno strattone, lo obbligò a tendere il
capo
all'indietro e a mostrarle il collo. Vi appoggiò le labbra,
facendo
scorrere la punta della lingua fino alla giugulare, e, infine,
bucò
la pelle coi canini. Il sangue di Kol si riversò nella sua
gola, ma
il vampiro non accennò alcuna reazione. Quando Liza
lasciò andare
la presa, lui tornò a guardare il suo viso, le labbra
morbide tinte
di rosso, gli occhi carichi di malizia e sorrise compiaciuto. Liza
ricambiò quel sorriso, leccando il sangue che ancora aveva
sulle
labbra. Kol si sfilò la maglietta e la lanciò sul
divano, poi fece
lo stesso col giubbotto e col corpetto di Liza. Lei afferrò
la
cintura del ragazzo, la slacciò con foga e
sbottonò uno ad uno i
bottoni dei suoi jeans. In un lampo si ritrovarono nudi, distesi e
avvinghiati sul pavimento del soggiorno. Kol entrò in lei
con
veemenza e Liza soffocò un gemito. Il susseguirsi ritmico e
profondo
delle spinte dell'originario, la condusse ben presto sull'orlo del
piacere. «Mordimi...» Sussurrò,
spezzando i respiri. Kol appoggiò
i canini sulla gola della vampira e lacerò la pelle diafana.
Poi,
come aveva fatto Liza in precedenza, si riempì la bocca del
suo
sangue e lo ingoiò. I movimenti del ragazzo divennero ancora
più
intensi e Liza si lasciò andare al piacere insieme all'uomo
che
amava, tra gemiti e respiri spezzati. Kol le baciò le labbra
ancora
una volta, prima di scivolare sul pavimento accanto a lei. Liza
restò
per qualche istante con gli occhi puntati sul soffitto candido, poi
ruotò il collo verso il vampiro e cercò il suo
sguardo. Lui teneva
gli occhi chiusi e non sorrideva più.
«Dimmi che mi ami.»
A quelle parole, Kol riaprì
di colpo gli occhi. «Che hai detto?» Chiese,
aggrottando la fronte.
Liza lo fulminò con lo
sguardo. «Non fingere di non aver sentito. Dillo!»
Esclamò,
puntando il dito indice nel petto del vampiro.
Lui le rivolse
un'occhiata perplessa. «Perché diavolo dovrei
dirlo. Io non ti amo,
lo sai!» Detto ciò, richiuse gli occhi, ma Liza
non sembrò
scoraggiarsi. Si sollevò appena su un gomito, poi
avvicinò le
labbra all'orecchio del ragazzo. «Non sai mentire,
Kol. Mi
ami. E me lo hai detto tu!» Affermò
decisa.
Il vampiro aprì
nuovamente gli occhi e li piantò in quelli di lei.
«Cosa c'era
scritto nel biglietto che ti ho lasciato? Lo hai letto,
giusto?»
«Oh, certo che l'ho letto.
Ma non è importante quello che hai scritto su quel pezzo di
carta,
Kol. Contano le parole pronunciate dalla tua bella bocca. Ti ho
sentito, ho sentito tutto!» Avvertì un fremito al
ricordo di quel
momento stretta nelle sue braccia, mentre lui, credendo che lei non
potesse udirlo, le confessava i suoi reali sentimenti.
Kol si mise a
sedere e scosse la testa. «Tu... dormivi!»
Liza scoppiò a ridere.
«Kol sono un vampiro! E i vampiri non dormono mai veramente.
Un
sonno profondo ci renderebbe vulnerabili, insomma, possibile che
debba essere io a dirtelo. Sei un vampiro anche tu!»
Ridacchiò. Poi
anche lei si mise a sedere, incrociando le braccia sotto il seno
nudo. Kol restò in silenzio per un po', sentendosi per la
prima
volta realmente a disagio.
«Se hai sentito ogni cosa, saprai anche
perché ho deciso di scriverti quel biglietto. Non conta
ciò che
provo, Liza, conta ciò che ho scritto.»
Ammiccò, con un sorriso
sghembo sulle labbra.
La vampira gli afferrò i capelli e lo indusse
a stendersi nuovamente sul granito bianco. «Mi ami oppure
no?» Il
suo seno premette forte sul petto di lui e Kol sbuffò
alzando gli
occhi al cielo. «Sei insopportabile, lo sai?
«Mai quanto te! Avanti,
rispondi!» Incalzò Liza, senza smettere di
guardare Kol negli
occhi. Lui sorrise, poi le accarezzò il viso con un dito.
«Ti amo.
Ma non cambia nulla. Non farò mai parte della tua vita, non
come
vorresti tu.»
Liza sospirò. «So come la
pensi ed è per questo che non ti ho più cercato,
fingendo di
credere alle parole scritte sul biglietto e tentando in tutti i modi
di starti lontana, ma... come vedi non ci sono riuscita! Non ha senso
imporci delle distanze, se ciò che desideriamo è
stare insieme,
Kol. E tu devi smetterla di credere che sia uno sbaglio far parte
della mia vita, perché sono al mondo da più di un
secolo e so
distinguere ciò che è giusto e ciò che
è sbagliato e tu... tu non
lo sei. Non avrei mai creduto possibile dirlo, ma è
così. Non sei
un errore, Kol, tu sei la cosa più bella e giusta che mi sia
capitata in centosessantotto anni!» Respirò,
felice di aver detto
al ragazzo che amava ciò che per troppo tempo si era tenuta
dentro.
Kol, invece, con la fronte corrugata e l'aria incredula, sembrava in
trance. Stavolta stava pensando, senza ombra di dubbio, e Liza
avrebbe voluto leggergli la mente e scoprire quei pensieri.
Piegò le
ginocchia e le strinse a sé. «Tornerai a casa
insieme a me?»
Liza desiderava una risposta
- una vera risposta e non la solita battutina
ironica - e Kol
ne era consapevole. Respirò profondamente, poi scosse la
testa. «Io
non ho più una casa a Mystic Falls. Cosa dovrei fare?
Tornare a
vivere con Nik? Lo sai che mi detesta!»
«Potresti sistemarti nella
vecchia casa abbandonata. Era il tuo rifugio segreto un tempo.
Oppure...» esitò per un istante, conscia del
rischio che si sarebbe
dovuta assumere una volta pronunciate quelle parole.
«Potresti
trasferirti alla pensione!»
Kol scoppiò in una
fragorosa risata. «Ma certo! Perché, dopotutto, ai
tuoi fratelli
sono simpatico!» Scosse ancora la testa. «Liza
è una pazzia. Tu
sei pazza, lo sei più di me.»
«E da quando in qua le cose
folli ti spaventano?» Chiese lei, assottigliando lo sguardo.
«Niente mi
spaventa.»
«Allora affare fatto!» La
ragazza tese la mano destra verso il vampiro e ridacchiò.
Lui restò
a fissarla per un istante, poi l'afferrò, tirò
Liza a sé e la
baciò.
Ed
ecco il secondo capitolo con un lungo confronto tra Liza e Kol. Ora
tocca a voi, che ne pensate? :)