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Autore: Dira_    18/10/2013    8 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XXX

 
 


But it’s just the price I pay / Destiny is calling me
Open up my eager eyes ‘cause I’m Mr Brightside
(Mr. Brightside, The Killers.)
 
 
18 Luglio 2028
Somerset, Casa di Scott Ross.
Mattina.
 
Scott non aveva mai avuto intenzione di restare a Londra per sempre.
Quando era tornato  non avrebbe mai immaginato che avrebbe finito per abitare in pianta stabile in un cottage nel Somerset, né tantomeno di accettare il lavoro all’Archivio Ministeriale, inizialmente un semplice passatempo in attesa di tornare in Australia.
Se era rimasto, era stato principalmente a causa di Lily. Era stato con gli occhi della sua ragazza che aveva visto Londra e se ne era innamorato, era stato con il suo entusiasmo contagioso che era stato inserito nella cerchia dei figli del Salvatore. E non se ne lamentava, perché aveva passato un periodo divertente, anche se un po’ troppo sopra le righe per i suoi gusti.
Ora però le cose erano cambiate e quella mattina vi rifletteva mentre preparava la colazione per entrambi, imburrando scones e mettendo sul fuoco il bollitore.
Si sta allontanando.
Non che lo stesse tradendo; non aveva pensato neppure per un momento a quell’eventualità, perché Lily Luna poteva avere un carattere leggero, ma era corretta.
Se volesse un altro, me lo direbbe. Non si è mai fatta problemi a lasciare un ragazzo quando non le interessava più.
Lily lo voleva ancora, ma si stava allontanando e la colpa era di Sören Prince.  
Altre persone avrebbero confrontato l’americano, ma Scott non era sicuro che avrebbe funzionato. Gonfiare il petto ed intimargli di lasciare in pace Lily sarebbe servito? Dubitava.
Anzi, se Lils venisse a sapere che ho detto al suo migliore amico di levarsi dai piedi …  
Quindi, dopo la debacle della loro mini-fuga in Scozia, aveva preso l’irrevocabile decisione di riconquistare il posto che gli spettava nel cuore della sua ragazza. Aveva già un piano.
Certo, avrebbe semplicemente potuto aspettare che Prince tornasse in America, ma non bastava; attendere che le cose si risolvessero da sole non era mai stato il suo forte.
“Ehi, non senti odore di bruciato?”
La voce di Lily, appena arrivata in cucina, lo prese di sorpresa. Specie quando si accorse che aveva ragione: il fumo che si levava dal tostapane era inequivocabile. “I toast li volevi ben carbonizzati, vero?” Chiese recuperando quello che rimaneva dei suddetti.
L’altra per tutta risposta lo guardò divertita e li fece Evanescere con un colpo di bacchetta. “Ma dì un po’, la testa l’abbiamo ancora attaccata al collo?”
“Perfettamente stabile.” Replicò sullo stesso tono. “È che mi sono distratto un attimo a guardare la tv.” La indicò, benedetta complice della sua messinscena.
Lily parve accettare la bugia, perché si sedette a tavola e si servì il the. “Mangio leggero oggi.” Esordì.
“Ho il terrore di chiederti se sei a dieta … cosa a cui non dovresti neanche pensare.” Suggerì rimediandosi un sorriso compiaciuto. Sapeva come lusingarla.
È anche semplice con l’ego che si ritrova, eh.
Lily scosse la testa. “Oggi la punizione è finita e rientro ufficialmente nelle grazie della Patil, e quindi mi toccherà sgobbare il doppio. Meglio se non mi appesantisco … e poi questo pomeriggio vado a dare una mano a Teddy, sai, per la camera di Benedetta.”
Annuì, con la testa ancora settata sui pensieri di poco prima. Era il momento di metterli in azione.

“Stasera pensavo di andare a cena fuori…”
Lily alzò lo sguardo dal Profeta che stava sfogliando distrattamente. “Oh!” Sorrise. “Dobbiamo festeggiare qualcosa?”

“No, mi va di portarti in un posto carino, tutto qui. Giuro che mi metto persino una cravatta.”
“Ed io cercherò di non essere troppo sexy.” Gli strizzò l’occhio di rimando prima di sporgersi a baciarlo, ma dovette percepire qualcosa con quei suoi straordinari e scomodissimi poteri perché si staccò subito. “Non è che c’è una fregatura?” Chiese tra il divertimento e il sospetto. “Tipo che mi porti a conoscere i tuoi?”
“Li hai già conosciuti.” Le fece notare tranquillo
Lily parve convinta. “Stasera voglio mangiare pesce!”
“Ricevuto!”

La fiamma c’era ancora, nessun dubbio; avrebbe quindi lottato per tenerla accesa.
 
****
 
Londra, Ministero della Magia.
Mattina.
 
“Come va la preparazione dell’arrivo di Ben?”
“Bene. Cioè, non che io e Ted ci capiamo granché di arredamento e di camere per bambine … ma dobbiamo sbrigarci, domani la dimettono. Oggi viene Lils a darci una mano. O a prenderci per il culo, non ho ancora capito.”
“Io direi entrambe le cose.” James Potter era una continua scoperta, pensava Scorpius. Da quando lo conosceva, e non contava il periodo in cui si erano scazzottati per i corridoi di Hogwarts, non aveva mai smesso di stupirlo. Era capace di essere il più testardo degli idioti, di masticare pregiudizi e idee preconcette a colazione, e poi accogliere nella sua vita una novità grossa come avere una bambina senza battere ciglio.

Un idiota sorprendente!
“Quindi adozione?” Chiese mentre passavano le porte dell’ufficio auror. Quella mattina erano arrivati nello stesso momento, quasi scontrandosi una volta usciti dai camini dell’Atrio. Gli era parso esausto – i suoi soliti capelli impazziti avevano una piega quasi umana. A sua domanda gli aveva spiegato di aver passato tutto il fine settimana a rendere la casa prova di piccolo Mannaro.
James, quasi a sottolineare quella sua linea di pensieri, sbadigliò. “Già!” Fece una smorfia. “O meglio, ci vorrà un po’ prima che le cose diventino ufficiali … C’è un periodo di prova o che so io. Per vedere se possiamo essere bravi tutori.”
“Niente feste folli quindi?” Chiese un po’ preoccupato; se si fosse trovato senza il suo principale braccio destro festaiolo sarebbe stato un bel problema.
Sabato c’è la festa!
James gli scoccò un’occhiata orripilata. “Scherzi Malfuretto? Non sto mica andando a farmi monaco. Dovrò solo … sai … evitare di farle a casa mia.” Si strinse nelle spalle. “Ma non le facevamo comunque. Chi ha voglia di andare ad infognarsi ad Hogsmeade quando c’è Londra?”
“Parole sagge.” Convenne rasserenato. “A questo proposito, ne ho parlato con Rosie … niente Incantatrici, neanche se sembra che tu abbia deciso alle mie spalle.”
“Gli hai detto del nostro piano segreto!”
“Non ho segreti per la mia dolce gattina.”
“Dolce gattina un cazzo, è uno Kneazle rabbioso!” Grugnì scornato. “Ti fai già mettere il giogo prima ancora di averlo al collo!”

“L’ho sempre fatto.” Gli fece notare tranquillo, divertendosi all’occhiata schifata che gli venne rivolta.
Senti chi parla … Stai per diventare un padre di famiglia!
James lasciò cadere l’idea da come scrollò rassegnato le spalle. “Allora mi ingegnerò con quel Nott per far avere un po’ di roba seria. Se non abbiamo le Incantatrici, almeno l’alcool!”
“Guarda che ti ho fatto un favore. Sei l’unico, assieme ad Al, che ha la sua metà presente.”
“Teddy non è geloso.” Alla sua occhiata poco convinta fece spallucce. “Delle donne.” Aggiunse. “Sa che preferisco ben altro, anche se continuo ad apprezzare un paio di tette.” Si buttò sulla sedia della scrivania e fece cenno a Bobby, che stava entrando in quel momento. “È la tua Rosie che è paranoica.”
“Mi chiedo da che lato della famiglia abbia preso…”
“Non dal mio!”
“Ehi ragazzi!” Sorrise Jordan dando loro una rispettiva pacca sulla spalla, fresco e riposato come una rosa: era una cosa che gli aveva sempre invidiato a morte. “Gran festa di addio alla libertà questo sabato?”

“Sicuro! Vogliamo fare o no le condoglianze al nostro furetto biondo preferito?” James per sottolineare il concetto fu lesto ad arruffargli i capelli, cosa che lo divertiva immensamente da quando aveva avuto la sciagurata idea di dirgli che era un gesto che detestava. “Deve perdere i pantaloni e la dignità questo fine settimana, non c’è storia che tenga!”
“Preferirei che mi rimanesse almeno la seconda…”
“Scordatelo!” Fu la corale quanto inevitabile risposta.
I ranghi furono ripristinati quando videro arrivare il Sergente Gillespie; per quanto fosse amichevole con loro, Scorpius aveva l’impressione che poco apprezzasse il machismo che veniva spesso e volentieri sciorinato all’interno del loro ufficio.
Siamo quasi tutti maschi … è inevitabile il clima da camerata.
“Buongiorno Sergente.” La salutò cortese, subito imitato dagli altri due. James, che era stato cresciuto in un contesto di donne forti, sembrava temere di oltrepassare il limite ogni volta che la strega era tra di loro.
Prince potrà anche avergli fatto girare l’anima, ma la Gillespie gli mette ansia. E si vede.
“Buongiorno ragazzi.” Li salutò di rimando. “Piani per una festa?” Doveva averli ascoltati, o forse semplicemente era stata investita dal loro chiacchierare; erano famosi in tutto il Dipartimento per tenere alti i volumi dei loro discorsi.
“Sì, il mio addio al celibato! Il prossimo mese mi sposo con la mia fidanzata.” Spiegò trovandovi soddisfazione come ogni volta. “La inviterei, ma è una cosa uhm … molto maschia. Comunque la quota americana ci sarà, ho invitato Prince!”
Venne guardato con sorpresa. “L’agente Prince?” Alla sua faccia confusa scosse fece spallucce. “Di solito non è tipo che va a questo genere di feste … o feste in generale.”

Lo aveva immaginato e si sentì quindi in dovere di sentirsi speciale. “Io e Sören abbiamo fatto amicizia … Credo venga più perché l’ho supplicato che altro.” Ammise. “E poi, è anche un modo per distrarlo.”
“Sono d’accordo. Iniziamo?” Gli sorrise voltandosi poi a prendere qualcosa dalla borsa a tracolla che portava sempre con sé. Ai tempi della scuola doveva essere stata una di quelle ragazze con troppi chili di libri addosso. Gli sarebbe piaciuta. “Come vi avevo anticipato, la mia squadra ha fatto una ricerca sui possibili finanziatori del Demiurgo.”

“È uscito fuori qualcosa?” Lavorando a stretto contatto con gli americani era impossibile non rendersi conto della qualità superiore delle informazioni di cui disponevano, nonché dei mezzi con cui operavano.
A volte qua sembriamo rimasti a lanciarci incantesimi e setacciare Notturn Alley finché non troviamo qualcosa…  
Deprimente. Ma guai a dirlo ad alta voce!
“Delle piste promettenti.” Rispose l’americana. “La mia squadra ha fatto una ricerca nella Pergamena Nera ed ha ristretto la rosa a cinque possibili candidati.”
Cinque!” Esclamò James sgranando gli occhi. “Cavolo, sono pochi! Siamo in sella alla scopa!”
“Magari.” Ama scosse la testa, mentre Bobby arrivava sospingendo una lavagna di sughero che veniva usata nei casi di più ampio respiro, dove non bastavano le pareti dei propri cubicoli per appendere foto e informazioni. “Finché non abbiamo prove che colleghino queste persone al Demiurgo rimangono solo maghi che corrispondono ad un profilo.”
“Che cos’è la pergamena nera?” Chiese curioso.  
“Una lista di maghi e streghe che sono stati segnalati dai rispettivi Ministeri per attività illecite.” Gli rispose. “In realtà non è una vera e propria pergamena, ma un archivio cartaceo presso la sede centrale dell’Ufficio Interfederale di Giustizia. È piuttosto utile quando cerchi nomi fuori dai confini americani … ”
Avere un archivio del genere avrebbe reso le cose infinitamente più semplici dalle loro parti. “Che criterio avete usato per individuarli?”
“Abbiamo fatto una ricerca incrociata su quello che avete scoperto qui. Interesse nelle Arti Oscure, contatti precedenti con la Thule e una causa a cui servono maghi e streghe da usare come soldati.” 
“Quindi questi cinque sono tutte persone che potrebbero volere il Demiurgo per creare una sorta di esercito di super-maghi?” Si inserì Bobby parcheggiando la lavagna di fronte a loro. “Allora sono già troppi.”
“È quello che intendevo.” Convenne la strega con un sospiro, appendendo la prima foto al pannello. “Il primo è Abdul Faiz Katib, ventisei anni, cittadino del Ministero Afghano, figlio di un capotribù Hazara. In Afghanistan il territorio magico è diviso in tribù. Non è un estremista Purosangue, ma la morte del padre ha portato alla spartizione del suo territorio ad opera di altri capotribù, causando la morte di molte persone, molte delle quali suoi familiari.”
“Okay, ma quella gente non vive tra le capre?” Replicò James. “Come sono venuti in contatto con Von Hohenheim?”
Ama gli rivolse un’occhiata che a Scorpius ricordò terribilmente quelle che Prince tentava di tener nascoste quando pensava che fossero un mucchio di idioti rumorosi. “Katib è istruito, ha frequentato Durmstrang grazie ad un anonimo benefattore… È intelligente, carismatico e vuole vendetta.”
“Materiale perfetto per Von Hohenheim.” Le venne in aiuto perché non erano tutti idioti rumorosi. “Il Signor Thule aveva un pallino per far istruire giovani maghi di talento, mi pare, no?”

Ama annuì. “Il padre era uno dei Pozionisti più conosciuti del Medio Oriente ed ha aiutato la Thule a sviluppare una serie di veleni le cui formule per fortuna sono adesso in nostro possesso.” La foto ritraeva un ragazzo dall’aria anonima, ma con un’espressione feroce annidata negli occhi a mandorla tipici del proprio popolo, tanto che a Scorpius vennero i brividi.
Potrebbe essere il genere di persona che crea un esercito, sì …
Ama però non aveva finito. “C’è da dire però che Katib ha tagliato i ponti con la Thule non appena il padre è morto. Ci sono forti sospetti che fu proprio Von Hohenheim ad ordinarne l’assassinio.”
Scorpius incrociò le braccia al petto. “Quindi è difficile che si sia rivolto ad uno dei suoi ex-scagnozzi per farsi aiutare a vendicare la propria gente. Okay, il prossimo?”

Ama appese la foto di un tizio di mezz’età dall’aria pasciuta e vestito con coloratissime vesti africane nonostante fosse di etnia europea.“Renard Thierry, cinquantadue anni, cittadino del Ministero Belga, trafficante di Pozioni e Incantesimi tra il Mozambico e lo Zimbabwe. La situazione tra le due comunità magiche è molto tesa, specie da quando lo Zimbabwe ha dato il via ad una politica razzista nei confronti dei maghi bianchi presenti nel suo territorio. Potrebbe volere il Demiurgo per venderlo ad una delle due fazioni. È un uomo molto influente nell’Africa Orientale, ed ha a disposizioni mezzi e capitali tali da finanziare una ricerca simile per anni.”
“Sulla carta sembra perfetto.” Interloquì Bobby consultando il fascicolo con le informazioni sull’uomo. “Ma qui dice che si è ritirato a vita privata una decina d’anni fa.”
Ama confermò con un cenno della testa. “Si vocifera sia sul letto di morte.”
“Perché fare un colpo grosso quando si ha un piede nella fossa?” Si inserì James scrollando le spalle. “No, a meno che non voglia farlo per lasciare un bel gruzzolo alla famiglia, direi che non è il nostro uomo.”

“Non ha famiglia.” Replicò Ama con un sospiro. “Devo ammetterlo, ognuno di essi ha qualcosa che non mi convince, che mi fa pensare che non sia lui il finanziatore.”
Scorpius sentendo la descrizione degli altri tre sospetti non poté che darle retta; due erano trafficanti di Pozioni come Thierry, con i quali la Thule aveva collaborato per piazzare i suoi ‘prodotti’ e l’ultima era una terrorista cecena che lottava per affermare la supremazia della propria corrente politica – neanche a dirlo, Purosangue – su quella dell’attuale Ministero liberale del suo paese.

Era spaventoso realizzare come, nel mondo, esistessero tanti maghi pronti a fare quello che aveva fatto Voldemort decenni prima. Dava una prospettiva tutta diversa alle cose.
Noi abbiamo pensato che il Signor Faccia da Serpente fosse la minaccia dell’intero Mondo Magico … ma forse non abbiamo mai messo il naso fuori dalla porta di casa. Al mondo i pazzi sanguinari sono ovunque.
“Non c’è modo di di parlare con queste persone faccia a faccia, ah?” James sembrava a disagio all’idea di non poter diventare operativo e non poteva biasimarlo. 
Ma qui si tratta di cooperazione internazionale. Papà lo dice sempre, è come andare a dare un bell’abbraccio ad un Tranello del Diavolo.
“A meno che non abbiamo prove solide del fatto che abbiano avuto contatti con John Doe non possiamo pretendere di interrogarli né tantomeno di mettere piede in un altro Ministero con queste premesse.” Rispose paziente Ama, che sotto sotto pareva inquieta come loro. “Dobbiamo continuare a lavorare sulle prove che abbiamo in Inghilterra e trovare un collegamento che non sia solo una speculazione.”
“A questo proposito sono arrivati i risultati delle analisi fatte nella fabbrica usata per testare il Demiurgo. Nei mozziconi di sigaretta fumati da John Doe e trovati da Prince sono state rinvenute tracce di terriccio inglese.”
James scrollò le spalle. “E quindi? Sappiamo che è in Inghilterra!”

“Non ne avevamo la certezza però.” Obbiettò Ama. “Fin’ora sapevamo solo che la base operativa era qui. Adesso sappiamo che John Doe è qui fisicamente.” Fece una pausa. “Sono riusciti a circoscrivere l’aria da cui proviene?”
Bobby scosse la testa. “Non abbiamo strumenti così precisi, ma l’analisi ha circoscritto l’aria ad Ovest dell’Inghilterra.”
“È già qualcosa.” Sospirò l’americana. “Se non altro sappiamo che Il Camaleonte è stato lì e c’è stato più volte se non è riuscito a pulire del tutto i suoi stivali.”
“Stilo una lista dei luoghi magici in quella zona?” Suggerì. “Forse è da quelle parti che alloggia. Se hanno problemi con il Demiurgo e stanno usando cavie inglesi, lui e la madre di Prince saranno rimasti a supervisionare, no?”
Ama annuì. “Non sarà facile trovare due maghi che hanno passato la vita a nascondersi … ma vale la pena provare.”

 
****
 
Lincoln Inn Park, Mattina.
 
Sören non aveva ancora trovato il modo per riavere l’indagine e aveva l’impressione di aver promesso a Lily qualcosa che non sarebbe stato in grado di fare.
Era infatti impossibile per uno come lui, abituato sin dall’infanzia ad obbedire agli ordini senza fare domande, disobbedire o ancor peggio far cambiare idea ad un suo superiore facendo valere la propria.

Che poi qual è la tua idea? Ridatemi il caso perché voglio vendicarmi della mia famiglia?
Anche se non era solo quello a muoverlo; c’era tutto un grumo di sentimenti che non riusciva a sbrogliare quando pensava al Demiurgo ed erano così confusi da rendere la sua mente tutt’altro che focalizzata sull’obbiettivo.
Non promette bene.
Doveva trovare una soluzione e l’unico modo che conosceva per schiarirsi le idee era l’esercizio fisico, quindi quella mattina, visto che Dionis non era in Accademia, aveva ripiegato sul correre in un parco vicino, scoperto per caso nei suoi vagabondaggi serali, quando non bastavano i suoi classici due bicchieri di whisky incendiario per farlo dormir tranquillo.
Il parco era piccolo, ma ben curato e piuttosto affollato vista la bella giornata estiva. Le persone oziavano sull’erba che delimitava il sentiero principale e Sören si perse a seguire una partita di tennis giocato da un gruppo di ragazzi, preferendo far finta di non notare la sua scorta auror, due tizi in giacca e cravatta seduti su una panchina vicina. Cominciava a rimpiangere il quieto vivere di Boston.
Però là non avresti Lily. Faresti davvero a cambio? Tranquillità per Lilian?
La risposta che si diede lo spinse ad accelerare; anche la sua piccola amica era un problema che non riusciva – o non voleva - affrontare.  
Ti stai appoggiando troppo a lei. Anche se, in effetti, te lo lascia fare. Addirittura ti cerca.
Avrebbe voluto che qualcuno gli spiegasse come interpretare quell’atteggiamento di Lily, ma dubitava che Milo avrebbe potuto essergli d’aiuto.
Lui è convinto che lei mi voglia. Ma non mi vuole. Non può volermi in quel senso. Ha Scott Ross.  
L’unica persona che al momento pareva desiderarlo era Ama, e per questo, vincendo le sue ritrosie, si era deciso a chiederle un appuntamento per quel venerdì.
Certo, avresti anche potuto chiamarla invece di inviarle un messaggio … Ma il punto rimane, no? Ha detto di sì. Uscirai con lei.
Se non altro, non ti farà pensare a Lily per un po’.
Perso nei suoi pensieri non si accorse dell’avvicinarsi di un altro corridore, che invece di sorpassarlo gli si affiancò. Voltandosi fu sorpreso dal riconoscerne gli occhi chiari e il sorriso mite: era Albus Potter.
“Ciao!” Lo salutò. “Jogging?”
“Buongiorno.” Non era così sorprendente trovarlo lì dopotutto; era il primo parco nelle vicinanze di Diagon Alley, dove entrambi alloggiavano “Sì.” Non trovò di meglio da dire.
L’altro gli rivolse il sorriso luminoso per cui era famoso. Sembrava davvero contento di essersi imbattuto in lui. Il che era improbabile: Lily gli aveva detto quanto fosse bravo a fingere il contrario di ciò che provava. “Bel posto, eh?” Interloquì. “Ti secca se faccio un pezzo con te? Mi si è scaricato l’Ipod, se corro da solo e senza musica mi annoio!”
Non poteva negarsi senza sembrare scortese, così annuì; quel gesto gli diede una sensazione di deja-vu.
Non è la prima volta che correte assieme. È successo anche a Durmstrang.
La situazione si prospettava imbarazzante.
Albus Severus Potter era un’ottima persona, ed era questo il problema: emanava un’aura di correttezza tale dal fargli realizzare di non essere al suo stesso livello morale ogni volta che lo incontrava. 
Almeno James Potter è insopportabile.
Un’improvvisa fitta al polpaccio fu l’ennesimo deja-vu di quello scomodo incontro, anche se non era la prima volta che un crampo lo sorprendeva durante un allenamento. Era il modo in cui il suo corpo rifiutava il carico di lavoro a cui lo sottoponeva durante periodi di stress. Rallentò, zoppicando e beccandosi un’ovvia occhiata preoccupata.
“Crampo?” Indovinò l’inglese fermandosi con lui. “Ti successe anche a…”
“… a Durmstrang, me lo ricordo.” Replicò più brusco di quanto fosse necessario. Non riusciva ad importargli mentre claudicava verso la prima panchina libera. “Mi succede spesso, non è nulla di grave.”

“Lo so.” Gli sorrise con aria paziente, sembrando precisamente il Guaritore che era. “Però non sono da sottovalutare. Sono dolorosi e nei casi peggiori invalidanti per giorni …” Fece una pausa. “Posso darci un’occhiata? Sai, adesso sono davvero un Guaritore.”
Sarebbe stato stupido non approfittarne. Annuì e lasciò che l’altro si inginocchiasse per toccargli la gamba. Alzò lo sguardo. “Il muscolo è molto contratto.” Gli comunicò. “Ti succede spesso di avere crampi?”
“È quello che ti ho appena detto.” Odiava ripetersi.
“Ho sentito.” Lo liquidò con un tono che pareva avvezzo alle rispostacce. “Ma con quale frequenza?”

“Non saprei, spesso…” Si trovò a borbottare, tentando di non sussultare quando l’altro premette le dita sul muscolo dolorante. “… alla fine passa.”
Albus – gli aveva detto di chiamarlo Al, ma non si sarebbe mai abituato – scosse la testa con l’aria di considerarlo un bambino recalcitrante. “Certo che passa, ma questo non significa che tu debba zoppicare fino ad allora.” Si alzò in piedi, spazzolandosi le mani sui pantaloncini da corsa. “Dai, ti porto a casa.”
“Come scusa?” Gli uscì sconcertato; non era certo un gatto randagio da accogliere nella propria dimora con una ciotola di latte!

Per chi mi ha preso?!
L’inglese parve di colpo in imbarazzo, almeno a giudicare da come arrossì. Arrossiva come Lily: partiva tutto dalle orecchie per finire a incendiargli le guance. “Scusa sai … l’abitudine.”
“L’abitudine?”
“Tom.” Sbuffò impacciato. “Non prenderla per il verso sbagliato, ma fate il broncio nello stesso modo.”
“Io non faccio il broncio!”

“Beh, veramente sì.”
Non sapeva se essere sconcertato o oltraggiato dalla condiscendenza con cui veniva trattato. Nel dubbio preferì alzarsi in piedi. “Ho chi si occupa di me alla locanda, non ho bisogno del tuo aiuto, ti ringrazio.” Sarebbe stato più convincente se non avesse frenato un gemito di dolore trai denti, probabilmente.
“Ti ho già detto che sono un Guaritore?” Gli trotterellò dietro e Merlino, era insistente come Lily nei suoi momenti peggiori. Doveva essere un tratto comune a tutti i Potter.
A quanto pare ne hai uno anche tu. Con Thomas.
Accantonò quel pensiero non sapendo cosa pensarne, continuando a arrancare verso l’uscita del parco, testardo. Albus Severus non fu da meno; lo sorpassò agevolmente e gli si piazzò davanti. “Meinster non può rimetterti in piedi con la velocità con cui lo farei io.” Dichiarò.
A quanto pare un semplice e cortese rifiuto non bastava. “Sei insopportabile.” Decretò, e non si sentì in colpa. Ogni tanto poteva anche sfogarsi, no?
L’altro ebbe cura di arrossire di nuovo, ma era troppo compiaciuto per essere sul serio in imbarazzo. “Solo quando si tratta di lavoro. Dai, fatti dare una mano.” Replicò sfoderando un’aria supplice che lo fece immediatamente sentire un ingrato.

“Cos’è, il vostro motto di famiglia? Aiuta uno sfortunato?” Gli uscì salace.
Vuole solo aiutarti, smettila di essere così arrabbiato!
Albus lo guardò sorpreso e poi, dal nulla, si mise a ridere come se gli avesse appena raccontato una barzelletta.
Gli piace quando viene trattato male?
Forse era il sarcasmo ciò che aveva apprezzato; da come lo stava squadrando divertito e sorpreso, pareva di sì.
“Ci hai scoperti. Se non aiutiamo una povera anima disperata al giorno ci sciogliamo al sole.” Replicò sullo stesso tono, porgendogli la mano. “Materializzazione congiunta? E ti avverto, faccio abbastanza schifo quindi reggiti forte.”
Non c’era molto altro che potesse fare se non afferrarla e pregare che fosse solo un modo di dire.
 
La compressione da Materializzazione fu terribile e ci volle più di qualche attimo perché non avesse voglia di rimettere la colazione. “Avevi ragione.” Gli uscì soffocato. “Fai schifo.”
L’educazione, principino, l’educazione!
Al diavolo, è stato tremendo. Chi gli ha dato la licenza?
“Già.” Aveva la vista ancora offuscata, ma gli sembrava di essere in un salotto. Gli venne poi intimato di sedersi con una lieve pressione della mano sulla spalla. “Resta qui, vado a prendere il kit medi magico.” Si sentì dire. “Torno subito.”
Lasciato solo, Sören si guardò attorno; era indubitabilmente un salotto, dotato di ampio camino in mattoni cotti e con sopra una mensola ingombra di foto e ricordi scolastici. L’intero ambiente era pieno zeppo di oggetti e suppellettili di svariate forme e funzioni, dal vecchio giradischi all’impianto cd, dalla miriade di cuscini colorati sparsi persino a terra.

I libri erano ovunque, tanto che ne fece cadere alcuni non appena poggiò il gomito sul bracciolo. Ci doveva essere metodo in quella confusione però, perché l’impressione generale era confortevole, calda sebbene il colore dominante fosse il verde della moquette e delle tende. Ma era un verde smeraldo, che gli ricordava un brillante sottobosco primaverile.
Questa è una casa. Il tuo appartamento in confronto sembra a malapena abitato.
“Ehi, e tu chi sei?”
La voce apparteneva ad una ragazzina bionda che gli sembrò Babbana, dato l’abbigliamento, il troppo trucco e la quantità di piercing che aveva addosso. Notò poi la bacchetta.
Nata Babbana?
“Sören Prince.” Rispose, perché gli era stata fatta una domanda. “Albus mi ha portato qui.”  
… ti ha portato qui? Come un cane randagio?  
La ragazza non parve curarsi della risposta cretina perché gli si sedette affianco. “Sì, tende a farlo… È una specie di chioccia alla ricerca di pulcini da proteggere.” Disse svagata. “Ha fatto lo stesso con me. Sono Meike.” Gli tese la mano. “Ce l’hai la ragazza?”
“ … Come?”
Mei!” La voce di Albus fece sobbalzare l’adolescente come se si fosse seduta su un puntaspilli. “Lascia in pace Sören.”
“Via Mutti, non puoi portare a casa tizi carini e poi pretendere che io me ne stia buona. Ho degli ormoni, sai?” Rintuzzò con aria di sfida. Dall’accento si rese conto che era tedesca. E realizzazione doveva essere reciproca perché quando gli si rivolse per la seconda volta lo fece nella loro lingua madre. “Non capita mica tutti i giorni di trovare un conterraneo che non abbia la pancia da birra!”   

“Io…”
“Sören si è fatto male, non ha bisogno di una quindicenne fastidiosa che gli ronza attorno.” Le fece un cenno imperioso, ma doveva esser tutta scena perché pareva piuttosto divertito dal suo imbarazzo. “Sciò!”

Eccheppalle … per una volta che un ragazzo etero varca la soglia di questa casa e non è Malfoy…” Mugugnò, ma obbedì lasciando la stanza con passi pesanti dovuti ad anfibi che pensava potessero portare solo uomini fatti. Poco dopo in tutto l’appartamento risuonò musica rock a tutto volume.
Decisamente un adolescente.
“E quella era Meike, il nostro angelo del focolare.” Esordì prendendo un poggiapiedi e sedendosi davanti a lui con la cassetta medica in grembo. “Anche se sembra tutt’altro che angelica, me ne rendo conto.”
“Perché ti chiama mamma?”
Albus si strinse le spalle, ma non gli sfuggì il rossore che gli incendiò il viso. “Lunga storia … imbarazzante, anche.” L’espressione si addolcì. “Per farla breve … Mei è orfana. Ha una nonna in Germania, ma io e Tom siamo i suoi tutori quando è qui in Inghilterra. Io sono quello più severo e per questo il nomignolo.”
“Le madri di solito sono più severe?”
Venne guardato in modo strano, ma c’era abituato; quando faceva domande del genere succedeva sempre.
“Quelle che conosco io sì.” Gli sorrise. “Togliti la scarpa, vediamo di rimetterti in piedi.”
Non apprezzava quel tono condiscendente, ma avrebbe apprezzato ancor meno dover zoppicare per tutta la giornata quindi ubbidì. Albus gli fece quindi posare la caviglia sulla sua gamba per passargli una densa pomata scura e dal forte odore di erbe. Dopo l’iniziale sensazione di caldo intenso sentì il muscolo rilassarsi lentamente. Alla sua espressione sorpresa, l’altro ghignò soddisfatto. “Noi inglesi non avremo tutta la scienza innovativa che hanno gli americani, ma sulla pozioni e gli unguenti sappiamo il fatto nostro.”  

“Lo so, per anni sono stato curato con metodi tradizionali.” Dopotutto l’America e la sua medicina comparata erano arrivate tardi nella sua vita.  
“Conoscevi questo balsamo? Il principio attivo sono le bacche di Strychnos Ignatia.”
“Pensavo si usasse come tranquillante. Non sapevo si potesse usare anche per curare le contrazioni muscolari…”
“Sì, è una scoperta che è venuta fuori qualche anno fa!”

Non seppe come ma cominciarono a parlare di ingredienti e pozioni come se non avessero fatto altro da tutta la vita; Lily gli aveva detto che il fratello era un pregevole pozionista, ma non gli aveva detto quanto fosse innamorato della materia. Un amore che poteva capire dato che aveva passato la sua infanzia – la parte migliore – nel laboratorio del padre.
“Dovresti riprendere a fare pozioni, sai. Comprarle è comodo, non lo nego, ma farsele da soli …” Albus sospirò mentre gli occhi gli brillavano. “… è tutta un’altra cosa. E poi puoi aggiustare le dosi a tuo piacimento!”
“Cosa piuttosto pericolosa.” Replicò divertito. “Ma immagino che questo per te non sia un deterrente.”
“Tutto il contrario!” Albus cominciò a coprire con una garza la parte ormai non più dolorante. “Aiuterà ad assorbire quello che è rimasto del balsamo. Tienila fino a stasera, okay?”

 
“Che ci fa lui qui?”
 
Il tono di suo cugino non cambiava neppure quando era infuriato. E lo era, a giudicare dal fatto avesse varcato la soglia del salotto e stesse guardando da lui al compagno con l’intero corpo in tensione, un chiaro messaggio di quanto si sentisse pronto ad estrarre la bacchetta. Fece per alzarsi ma Albus glielo rese impossibile, bloccandogli la gamba con un braccio.
“Secondo te che ci fa qui?” Ribatté con un’espressione che avrebbe fatto sentir un patetico idiota
Merlino in persona. “Sentiamo.”
Il cugino, con sua enorme sorpresa visto che ricordava bene il suo temperamento, non perse le staffe, stringendo piuttosto quella che sembrava una borsa della spesa fino a farsi diventare le nocche bianche. Sperò che non volesse tirargliela addosso. “Perché hai la sua caviglia sulle tue gambe?”
L’altro inglese abbassò lo sguardo sulla cassetta medica. “Che lavoro faccio Tom?”
La risposta fu borbottata. “Il Guaritore.”
“E quindi cosa pensi che stia facendo?”

“Quello.” Non avrebbe mai pensato di vedere l’erede di Von Hohenheim comportarsi come un bambino sorpreso a rubare dalla famigerata scatola dei biscotti, testa china e sguardo fisso sui propri piedi compresi. “Ho…”
“Se mi dici che hai frainteso la tua prossima tappa sarà il divano. Per due settimane.” Il tono era leggero, ma era palese che la bacchetta, in quella casa, la impugnasse Albus Severus. “Va’ a mettere a posto la spesa.”

Quando Thomas batté in ritirata – perché altro non poteva essere - si voltò verso di lui. “Scusalo.” Disse liberando la sua povera gamba da una presa che era stata a dir poco ferrea. “A volte crede di essere il protagonista di un melodramma.”
Otello probabilmente.
“Credeva che stessimo …”
“Già, è un idiota.” Gli diede una pacca sulla spalla. “Rimani a pranzo, vero? Tom avrà comprato solo metà delle cose che gli ho segnato, quelle che piacciono a lui, ma Mei dovrebbe riuscire a tirarne fuori un pasto decente.”
“Avrei da fare…”

“Oh. Cosa?”
Con orrore si accorse che non sarebbe riuscito ad inventare una scusa sensata neanche se ne fosse andato della sua vita; gli occhi di Albus Potter sembravano ordinargli di dire la verità, e nient’altro che quella. E non era mai stato bravo a disobbedire. “… niente in realtà.” Ammise. “Ma non vorrei disturbare.” Tentò come ultima spiaggia.
L’altro scosse la testa, facendo Levitare via la cassetta. “Sciocchezze! Sei il benvenuto.” Gli assicurò con un gran sorriso. “Oggi cuciniamo tedesco!”
 
****
 
Hogsmeade, Casa di Ted Lupin e James Potter.
 
“Sei proprio sicura? Luci natalizie?”
“Fanno tanto effetto cielo stellato, vedrai, le adorerà!”
Ted, per quanto volesse bene a Lily, si fidava delle sue idee quanto si sarebbe fidato a cavalcare la scopa da corsa modificata di James, chiamata affettuosamente Il Vessillo Della Morte. Tuttavia c’erano momenti in cui doveva fare un passo indietro in quanto bipede maschio. Ed era quello il caso.
“Vedrai, le piacerà!” Ripeté la ragazza appendendole con piccoli colpi della bacchetta, mentre tutti attorno a loro si affastellavano scatoloni già parzialmente svuotati di oggetti e biancheria; avere una famiglia adottiva come gli Weasley portava inevitabilmente ad avere quintali di cose da riportare a nuova vita ed utilizzo. “Mi passi le tende? Quelle da appendere al letto dovrebbero essere nello scatolone rosso.”
“Arrivano.” Si chinò a cercarle, lanciandole un’occhiata meditabonda; non aveva ancora avuto modo di ringraziarla per quanto aveva fatto e stava continuando a fare per Benedetta.

Certo, si è impicciata nonostante le avessi chiesto il contrario, ma è Lily … Le dici di fare una cosa e fa l’esatto opposto.
“Grazie.” Disse passandole la montagna di stoffa ripiegata e dal profumo acuto di canfora. “Per oggi, e…”
“Non c’è problema. Siamo una famiglia, no?” Lo bloccò, come se far parlare Benedetta fosse stata una cosa da niente: era un atteggiamento che le faceva onore quanto era irritante. Ma ancora, era Lily.

“Ben è una bambina fortunata, ha trovato te e Jamie.” Aggiunse appendendo le tende del baldacchino con una maestria che gli ricordò come  fosse la designata erede di nonna Molly. “Molte persone sono sole al mondo e lei non lo è.”
Ted si chiese se stesse pensando a qualcuno in particolare, ma era un po’ un esercizio sterile, perché Lily aveva tanti segreti chiusi in quella sua buffa testolina rossa. Si sedette sul materasso e tirò un sospiro. “Hai ragione … ma mi chiedo se, nonostante tutto, potrò essere abbastanza.”
“Per Ben?” Lily finì la sua opera, la ammirò da un paio di angolazioni e poi gli si sedette accanto; nessuno dei due era mai stato un fan del lavoro continuativo. “Devi volerle bene e … non fare troppe cretinate quando comincerà ad uscire con i ragazzi.” Sogghignò dandogli di gomito. “Tra tu e Jamie … parlo per esperienza … poverina.”
“Soprattutto Jamie.”
Soprattutto.”

Si sorrisero e rimasero in confortevole silenzio a guardare le centinaia di piccole luci natalizie che galleggiavano sul soffitto. “Hai ragione, sono deliziose.” Ammise.
“Te l’avevo detto!”

Ted si era accorto di come l’altra fosse pensierosa – certo, nei suoi limiti, quindi pareva comunque il manifesto della gioia di vivere. “Come va?” Offrì quindi diplomatico.
“In generale o in particolare?”  
“Tutt’e due?”
“Così…” Non si sbilanciò e non era un buon segno. Lily era un’entusiasta di natura: qualsiasi sua piccola gioia diventava trionfale, come, al contrario, qualsiasi problema diventava teatro di una possibile tragedia. La quiete emotiva, in lei, era preoccupante.
“Problemi in ospedale?”
“No, no, là va tutto bene. Adoro i pazienti.” Gli sorrise. E sì, c’era qualcosa che la turbava.
E allora andiamo per esclusione.
“Con Scott?”
Ed eccolo lì il nocciolo del problema; lo capì da come raddrizzò le spalle ed assunse la tipica aria colpevole di quando, da bambina, combinava una marachella. In questo lei e i fratelli erano identici. “Il solito…” Mugugnò. “Cioè, uhm.” E si bloccò. “Se ti dico che non ne voglio parlare per mettermi al lavoro sono credibile?”
“Direi proprio di no.”
“Cavolo.” Borbottò buttandosi stesa sul letto. “Cavolo.” Ripeté lentamente, quasi stesse assaporando la parola. “Ti è mai capitato di sentirti in stallo?”
“In un rapporto?” Annuì: aveva una certa esperienza in materia, per quanto preferisse non pensare al fallimento che era stato il suo rapporto con Victoire. Erano tornati in buoni termini, ma non sarebbe mai più stata la stessa cosa ed era un rimpianto che si sarebbe portato nella tomba.
Ho rovinato l’amicizia con la mia prima e migliore amica.
“Scotty è perfetto, no?” Fece una smorfia, soffiandosi via una ciocca di capelli che le era scivolata sulla fronte. “Riesce a gestirmi e credo che sia la prima persona in tutta la mia vita in grado di farlo.”
“È un bel primato.” Convenne. “Del resto, noi Tassorosso…” Non poté fare a meno di frecciare per allentare un po’ l’atmosfera. Lily ridacchiò, dandogli un calcetto con il piede. “Allora cosa c’è che non va?”
“C’è Sören.”
Oh.

Non era esattamente un fulmine a ciel sereno; il rapporto con il giovane Von Hohenheim era stato un punto fisso, una pietra miliare nella crescita emotiva di Lily. L’aveva resa più cinica verso l’universo delle relazioni e, in generale, meno disposta ad aprirsi, ma al tempo stesso non era riuscito nel suo obbiettivo principale.
Allontanarla da lui.
“Credo … beh, credo di provare ancora qualcosa per lui.” Mormorò premendosi un cuscino sul viso; sin da bambina era quello il suo modo di reagire quando doveva confessare qualche tremendo segreto. “Morgana, sono un idiota, vero?”
Ted rifletté; non si era mai trovato ad avere il cuore diviso tra due persone. Quando si era innamorato di James, Vic era già ben lontana dai suoi pensieri. “Non sai se scegliere tra Scott e Sören?”
No!” Esclamò saltando a sedere e stritolando il cuscino come se fosse un salvagente. “Voglio dire, razionalmente è ovvio che Scott sia l’unica scelta. Sören ed io … Merlino, siamo troppo incasinati anche solo per pensare … e poi non gli interesso in quel senso. Scott è la mia scelta. È solo … che vorrei smettere di pensare che ne ho anche un’altra. Perché non … decisamente non la ho.” Balbettò e vederla impappinarsi era uno spettacolo inusuale. E un po’ inquietante.
Ted non si riteneva un esperto in relazioni interpersonali. Era un miracolo fosse riuscito avere James – e a riconoscerlo per quel che era, ovvero l’amore della sua vita.
Per questo si riteneva poco qualificato a dar consigli. Però doveva provarci: era richiesto dal suo contratto di fratello maggiore collettivo degli Weasley.
“Mia nonna una volta mi ha detto che razionalità e amore non dovrebbero stare nella stessa frase.” Esordì. “E vista la mia storia personale, tendo a darle ragione.”
Lily fece una smorfia. “Forse, ma…”
“Non posso dirti se sia meglio rimanere con Scott o cercare di capire se quello che provi per Sören possa avere un seguito.” La interruppe. “Però credo che dovresti scegliere ciò che ti rende felice … chi ti rende felice.”
“Scott mi rende felice.” Sbottò quasi con rabbia. “Solo che non posso mollare Sören per lui. È il mio migliore amico e c’è tutta questa … roba … che provo per lui, solo che adesso sta uscendo con una tizia e non sono mai stata così gelosa di Scott e … ed è un casino.” Concluse la tirata soffocando di nuovo il viso nel cuscino. 

Ted le accarezzò i capelli perché se qualcuno gliel’avesse chiesto, avrebbe detto che se l’era aspettato. Aveva visto crescere Lily, l’aveva vista sognare il principe azzurro, l’aveva vista innamorarsi dell’esatto contrario e poi venirne ferita e nonostante questo, non serbare rancore. Aveva combattuto per quel suo principe, che tutti avevano pensato cattivo e irrecuperabile. Quindi sì, da divoratore di romanzi e romantico incallito, non era sorpreso da quella svolta di trama. Per niente.
Io sono un casino.” Soggiunse ad un palese passo dalle lacrime. “Perché sono un casino, Teddy? Che c’è che non va in me?”
“Niente. Lo siamo tutti.” Perché era vero: potevi essere mago o strega, Babbano o magico, ma alla fine della storia era quella l’unica verità scritta nella storia dell’umanità tutta. “Cioccolata?”
 
****
 
Diagon Alley. Casa di Al Potter e Thomas Dursley.
Ora di pranzo.
 
Non era difficile capire di che pasta fosse fatto suo cugino, una volta avuto tempo e modo di averlo attorno.
Non che lo volesse trai piedi, beninteso. Aveva poca simpatia per chi entrava in casa sua e vi rimaneva più tempo di quanto fosse opportuno; tipo, per pranzo.

Albus però la pensava in tutt’altro modo, visto e considerato che aveva costretto Prince ad accettare e lo stava servendo di liquore alle erbe dopo un pasto a tre portate.
“Ti piace? Lo fa mia nonna!”
“È molto buono…”

Cos’ha in mente?
Tom si mosse sulla sedia, incrociando le braccia mentre considerava la situazione per quella che era: qualsiasi cosa stesse complottando Al, Sören, forse per via della sua educazione, forse per i traumi lasciati da Von Hohenheim, aveva un istinto tutto improntato a dargli retta.
Adora farsi dire quel che deve fare, è evidente. Del resto, non è forse diventato una testa di latta al soldo di un Ministero? È un gregario. Ce l’ha nel dna.
“Prendine ancora!”
E Albus, dietro la sua faccetta da bravo ragazzo e i suoi grandi occhioni da cerbiatto adorava dare ordini e disporre le truppe. Non che lo facesse vedere in giro, preferendo atteggiarsi a mite ragazzo di campagna, ma lui conosceva la verità.

Visto e considerato che ti comanda a bacchetta.  
Fece una smorfia, mentre Sören si lasciava riempire il bicchiere con una docilità che confermava a pieno le sue ipotesi. Meike, una volta realizzato che il compatriota non era pane per i suoi denti, era uscita lasciandolo così unico spettatore di quell’irritante teatrino. Decise quindi di prenderne il comando.
“Così ti hanno tolto il caso…”  
Al lo fulminò con un’occhiata che prometteva divani e ritorsioni silenziose, ma la ignorò, concentrandosi invece sulla reazione del cugino. Quest’ultimo a suo favore raccolse le idee prima di parlare. “Sì.” Confermò. “E i motivi immagino tu li conosca.”
Li conosceva, ovvio, dato che Albus si era premurato di andar a cercare risposte sia da James che da Lily. “Dovrei?” Dissimulò.

Sören parve quasi annoiato da quella messinscena. “Se c’è una cosa che ho imparato stando qui è che nessun segreto o dato confidenziale rimane tale se è coinvolto un membro della vostra famiglia.”  
Se vuoi avere a che fare con i Potter Weasley … abituatici.
Al si mosse a disagio. “Ci hanno detto di tua madre … Mi dispiace Sören … Sappiamo che non sono affari nostri, ma…”
“Nel mio caso lo sono. La testa del progetto Demiurgo è, apparentemente, mia zia.” Obbiettò. Non era sua intenzione indagare nella vita del cugino. Era il coinvolgimento della famiglia Von Hohenheim in un ennesimo piano di ‘conquista del mondo’ che lo preoccupava. “Cosa conti di fare per rientrare nei giochi?”
“Sto vagliando varie ipotesi.”
“Quindi non stai facendo niente.”

Tom.” Al sembrava ad un passo dal tirargli la bottiglia del cordiale di nonna Molly. “Non è così semplice rientrare in un’indagine!”
“Andare a far jogging in un parco cittadino non aiuta di certo.”
Tu cosa faresti?”
Sören, da come lo stava guardando, aveva realizzato qualcosa. E Tom sapeva cosa: ovvero che il sangue che condividevano non era l’unico legame che avevano. Avevano anche un obbiettivo, in comune.
La casata Von Hohenheim. Entrambi vogliamo vederla estinguersi più di ogni altra cosa al mondo.
Entrambi vogliamo che sparisca e smetta di inquinare il nostro futuro.
“Non cercherei  di far cambiare idea ai tuoi capi … È ovvio che pensano di averti estromesso per il tuo bene.” Fece un sorrisetto sarcastico che fu ricambiato. Pareva che il cugino non fosse poi così pronto a crogiolarsi nella pietà altrui.
Buono a sapersi.
Giocando a carte scoperte, Sören pareva più a suo agio. “Se stai suggendo che continui a lavorare al caso per conto mio c’è un problema di fondo, e non è l’illegalità in sé.”
Al si morse un labbro. “È la tua permanenza qui, vero? Se non lavori, devi tornare in America.”
“Ho un visto che non verrà rinnovato a fine mese.” Confermò. “Tra dodici giorni dovrò prendere una Passaporta e andarmene.”
“Se non aiuti, diventi un ospite sgradito.” Riassunse. Era un ragionamento corretto alla luce del rischio che la madre o John Doe tentassero di approcciarlo, rapirlo o ancor peggio sfruttarlo per ottenere informazioni.
Corretto, ma sbagliato nella sua premessa. Lo stanno accusando di qualcosa che non ha ancora fatto.
Era una situazione a lui familiare. “Come pensi di convincerli a farti rientrare?”
Sören fece una smorfia, quasi avesse ingoiato qualcosa di disgustoso. L’impotenza, in effetti, aveva un brutto sapore. “Non ne ho la minima idea.” Mormorò.
Ovvio che non ce l’ha…
Sören, come Al aveva teorizzato brillantemente cinque anni prima, in un’immaginaria scacchiera sarebbe stato un alfiere, non il Re. Le sue capacità strategiche non si attivavano senza una direttiva superiore.
Persino quando ha salvato Lily ha avuto degli ordini. Salva la ragazza, non importa se muori.
Li aveva avuti dalla sua coscienza, certo, ma una cosa era una missione suicida, semplice da attuare una volta inquadrato l’obbiettivo…
Un’altra è far cambiare idea a qualcuno. Ben più difficile.
 Si scambiò un’occhiata con Albus e nel mentre si chiese se il suo ragazzo non avesse organizzato tutta quella manfrina del pranzo proprio per portarli a quel punto.
Ovvero ad aiutarlo.
Non poteva escluderlo.
E sono settimane che vuole trovare il modo di aiutare Prince.
“Devi portar loro dei risultati.” Disse decidendo di trattare un problema per volta. “Devi dimostrargli che senza di te le indagini non possono andare avanti.”
“Ma andranno avanti.” Obbiettò l’altro scuotendo la testa. “Sono sostituibile.”
“Devi fargli credere che non è così allora!” Replicò Al.

Eccolo qui, il mio piccolo manipolatore …
Gli rivolse un sorriso che non passò inosservato da come le orecchie dell’altro presero fuoco in maniera vivace.
“E poi sei indispensabile, Sören.” Aggiunse perché non era Albus se non ci metteva una parentesi automotivazionale. “Conosci la Thule e John Doe meglio di chiunque altro, sei stato coinvolto nel Demiurgo ancor prima che tua madre ci mettesse le mani sopra … Tagliarti fuori non è stata una scelta lungimirante!”
“Ma è quella giusta.”
“Spesso fare la cosa giusta non ti porta ad avere ciò che vuoi.” Al abbozzò un sorriso e lo guardò. E c’erano un bel po’ di ricordi e scelte scriteriate dietro quell’espressione. “E penso che fermare il progetto Demiurgo sia quello che vogliamo tutti, no?”
Sören guardò dall’uno all’altro ed era chiaro che nella sua testa, settata sul comando ‘obbedire e servire e non fare domande’, si stesse lentamente profilando un’opzione.
Dimostrami che sei mio cugino, avanti.  
“Volete aiutarmi a riavere l’indagine…” Era così genuinamente sorpreso che Tom percepì il momento in cui gli occhi del compagno di inumidirono di commozione.
Dannati Potter. Se non raccolgono un cagnolino bagnato o uno stramaledetto passerotto con un’ala ferita almeno una volta all’anno non si sentono a posto con la loro egomaniaca coscienza.
“Sì, vogliamo aiutarti se ce lo permetterai.”
“Perché?”

Bella domanda.
Per quanto lo riguardava di motivi ce n’erano abbastanza per non farlo riposar la notte, ma uno spiccava sopra a tutti: i Von Hohenheim avevano rischiato di rovinargli la vita talmente tante volte che vederli tornare, anche se sotto forme diverse, lo portava a desiderare di schiacciar loro la testa come avrebbero fatto con una vipera velenosa.
E non posso farlo se non aiuto qualcun altro. O te, o Albus.
Non era il protagonista stavolta, ma poteva comunque entrare in gioco.

“Perché ne hai bisogno.” Riassunse Al con uno di quei suoi sorrisi omni-comprensivi, che spingevano streghe e maghi ad affidarsi fiduciosi alle sue cure. “E perché non sappiamo farci i fatti nostri.” Aggiunse allegro.
“L’avevo notato.”
“Abbiamo già avuto a che fare con la Thule e le sue macchinazioni.” Gli fece notare. “Inoltre, siamo già coinvolti. Chi pensi che abbia scoperto che tu sei il paziente zero?”  
Sören strinse le labbra, incerto, ma stava cedendo. Voleva troppo quel caso. E infatti, parlò. “Se accetto … come intendete aiutarmi?”
Al gli sorrise. “Iniziamo dalle basi. A che punto sei rimasto con le indagini?”
 
 
“Hai ottenuto quello che volevi?”
Aveva calcolato che Tom sarebbe rimasto arrabbiato con lui per tutta la sera dopo che aveva dato sfogo all’idea che si teneva dentro per giorni senza consultarlo.
Dare una mano a Sören. Sapere come stanno andando le indagini. È quello che volevo … ho solo colto la Pluffa al volo.
Le sue previsioni si erano però rivelate sbagliate: Tom non solo era venuto a cercarlo mentre stava dando da mangiare a Fanny – la quale aveva sempre un posto nel suo cuore e nella sua voliera - ma addirittura gli si era avvicinato mentre l’aveva posata sul braccio, cosa che non faceva mai a meno che non venisse costretto.
“Più o meno.” Non ci girò attorno, intuendo che quel momento di grazia poteva passare com’era arrivato.
“Vuoi davvero aiutarlo? O vuoi solo essere aggiornato sullo stato delle indagini?”
“Entrambe le cose.” Mise in libertà la fenice, che con un trillo soddisfatto mangiò gli ultimi semi dalla sua mano e poi si librò oltre i tetti, dove avrebbe fatto un lungo giro prima di tornare a casa, nella Foresta Proibita. Al si voltò. “Non dirmi che non vuoi essere della partita! Ti ricordo che sei stato tu quello a trafugare le cartelle mediche degli infetti.”
“Infatti è questo il motivo per cui ho tollerato la presenza di Prince.”
Tollerato.” Fece una smorfietta, tramutandola in linguaccia quando l’altro assunse un’aria di stoica convinzione. “Sören ti piace.”
“Piace a te.”
“Forse.” Ammise divertendosi quando arrossì di rabbia. Era un fenomeno così raro, e tenero, che era ben felice di essere il solo a riuscire a scatenarlo. Gli passò comunque le dita dietro la nuca, con gentilezza.“L’ho rivalutato che male c’è? Un mago può cambiare opinione. Cinque anni fa Lils era l’unica a vederci qualcosa di buono. Adesso è diverso … e merita di combattere i suoi demoni come noi abbiamo combattuto i nostri.”

“Lo dici solo perché riesci a convincerlo a darti retta.”  
Vivere con una persona da tutta una vita era come avere uno specchio sempre puntato addosso; spesso non era piacevole, a volte era liberatorio. “Touché.” Confessò. “Sono una cattiva persona se voglio aiutarlo e usarlo un po’ al tempo stesso?”
“Lo chiedi al mago sbagliato.” Tom gli tirò una spintarella che lo fece finire docilmente schiena sulla moquette. Il bacio possessivo sul collo che ne conseguì se l’era aspettato … e l’aveva voluto. “Tom, sto facendo una cosa sbagliata?” Ripeté passandogli le mani sulle spalle e lungo il petto.
Si rendeva conto che il Demiurgo era tutto fuorché affar suo. Cinque anni prima aveva ordinato a Lily di farsi da parte e adesso avrebbe fatto lo stesso, se l’avesse scoperta ad entrare in quella faccenda. Ma se per fortuna sua sorella aveva imparato la lezione …
… io no. Al San Mungo la situazione è stazionaria, i pazienti non migliorano né peggiorano.
Ho bisogno di sapere che succede. E Sören potrebbe essere il mio alfiere.

“Prince non è in grado di rientrare nell’indagine da solo e non chiederà aiuto a Lily, se è quello che temi.”
“No, io…”
“Forse lo stai usando per rimanere informato, ma lui ci userà per riavere indietro l’indagine. Non sentirti in colpa per qualcosa che sarà vicendevole.”

… ci sarà un motivo per cui sei nella mia vita, no?
Lo tirò a sé facendoselo crollare a dosso e, ignorando le sue proteste indignate per la posizione indecorosa, lo strinse forte. “Dici cose terribili m mi fai sentire bene … ti amo.” Gli mormorò, ridacchiando quando lo sentì bloccarsi e rassegnarsi ad essere abbracciato come un ossuto e scomodo pupazzo. “… tu che intendi fare?”
Tom sbuffò, puntellandosi per tirarsi su. Glielo concesse e lo guardò stringersi nelle spalle. “Non è coinvolto mio padre, ma come ho detto, si tratta pur sempre dei Von Hohenheim.” Fece un sorriso amaro. “Capisco il desiderio di Prince di far sparire quel nome dalla faccia del Mondo Magico. E capisco perché vuol essere lui a farlo.” Sospirò. “Quindi lo aiuterò.”
 
****
 
Da qualche parte nel Lancashire …
 
Per Johan c’erano un paio di motivi per gioire nonostante stesse preparando l’incursione della sua Regina in un posto dove il rischio di essere messi in manette era fortissimo.
(Si riteneva il tipo di persona che guardava sempre al lato luminoso delle cose.)
Il primo, era che il suo contatto americano gli aveva dato un’ottima notizia, non solo per quanto riguardava il Demiurgo, ma anche personale.
Sören era il paziente zero: il marmocchio, a quanto sembrava, era stata la prima cavia in assoluto di quel progetto, anche se all’epoca aveva un altro nome ed era sotto il controllo dirtto di Von Hohenheim e del suo capo-Pozioni, Elias Prince.
Il marmocchio non solo era il paziente zero, ma non si era ammalato. Era stato l’unico paziente in grado di adattarsi al virus, permettendogli così di fare il proprio lavoro, ovvero aumentargli la capacità magica.
Quel piccolo ingrato è la soluzione ai nostri guai.
Certo, dovevano ancora averne la certezza, e per questo aveva passato le cartelle mediche del ragazzo ai suoi topi da laboratorio.
Ma quando la avrò …

Rapirlo tuttavia, anche se sembrava la soluzione più ovvia, era quella meno praticabile; non tanto per le ridicole misure di protezione messe in atto dagli inglesi…
Due auror a piantonarlo giorno e notte. Non imparano proprio mai.
Quanto piuttosto per via della Traccia che gli avevano piantato addosso gli americani; con quella era una sorta di punto luccicante in un campo buio, rintracciabile in ogni luogo della terra.
Se lo rapiamo con la Traccia addosso sarà come disegnarci un bersaglio rosso sulla schiena.
Ci troveranno prima che possiamo Smaterializzare anche solo un mignolo.
Il suo contatto gli aveva assicurato che se ne sarebbe occupato, ma che ci sarebbe voluto del tempo.
Proprio ciò di cui siamo poveri.
Preso da quei pensieri quasi non si accorse di essere arrivato al laboratorio; si fece così aprire la grossa porta di ferro da due Mercemaghi che la sorvegliavano.
Era stata un’idea di Sophia usare il vecchio castello della famiglia Prince come base operativa.
Nessuno verrà a cercarci proprio nel cuore dell’Inghilterra e tantomeno in quello che viene considerato un vecchio rudere inagibile. Anche dal proprietario.
Il proprietario era infatti, per linea diretta di sangue, proprio il marmocchio; ma come tutti i Purosangue cresciuti nella bambagia non aveva interesse per i propri immobili. Dubitava persino sapesse di averlo, quel grosso e imponente maniero grigio e dalle torrette di foggia medievale.
Certo, non era una reggia, e buona parte era inagibile a causa di crolli e dell’umidità, ma le segrete e l’ala padronale erano ancora in buone condizioni, e con robusti incantesimi di consolidamento quel posto era diventato il centro operativo del Demiurgo.
Si vide venir incontro il capo ricerca, Helmut Loer, un ometto che aveva lavorato al soldo di Von Hohenheim e che non era riuscito a fare nient’altro nella vita, tanto che era stato ben felice di salire sul carro. “Signor Doe.” Lo apostrofò. “Se è qui per le analisi del ragazzo…”
“Per quale altro motivo dovrei venire qua sotto?” Replicò di rimando, osservando distratto le celle che una volta dovevano aver ospitato i nemici della famiglia, ma che adesso alloggiavano le cavie debitamente sedate. “Allora?”

“Le analisi fatte dal San Mungo non sbagliano …”
“Quindi? Potete usarlo per creare un nuovo siero?”

“Il problema è proprio questo. Creare una versione modificata del Demiurgo partendo da Sören è … difficile. È come partire dal prodotto finito per creare gli ingredienti iniziali.”
“È il motivo per cui la mia Regina ti paga, Loher. Per renderlo possibile.” Inarcò le sopracciglia. “Ti ricordi, spero, cosa succedeva a chi non portava risultati con il nostro vecchio padrone.” Sorrise dandogli una pacca sulla spalla. “…indovina un po’. La canzone non è cambiata. Vuoi fare la fine di Elias Prince? No, vero?”

Questo scosse la testa, mentre diventava pallido alla luce delle torce magiche. “Mi serve un campione del sangue del ragazzo allora … Non lavorare solo su delle analisi di ospedale.”
Doe analizzò la richiesta, vagliò le ipotesi e poi, alla luce dei capricci della sua donna, trovò la soluzione. E sorrise. “Penso che si possa fare.”


****
 
Vicolo che porta a Diagon Alley.
Dopocena.

 
Era così arrabbiata che avrebbe preso a calci il mondo. O lo avrebbe fatto collassare con un qualche incantesimo potentissimo che al momento non conosceva. Ma l’avrebbe imparato.
Lily espirò ed ispirò, si drappeggiò lo scialle color crema che andava a paio con il suo vestito più carino ed entrò nel vicolo che ospitava il Paiolo Magico. Toccò con la punta della bacchetta i mattoni umidicci e aspettò che l’ingresso si rivelasse.
Lei e Scott avevano litigato, e di brutto.
Non avevano mai litigato. A volte era un po’ frustrante non potersi arrabbiare con tutte le ragioni del caso, ma se l’avesse detto a qualcuno probabilmente sarebbe stata considerata fuori di zucca.
Chi non vuole un rapporto privo di scontri? Rossa, sei ubriaca?
Quella mattina aveva avuto sentore che qualcosa era fuori assetto nella loro solita routine, ma non vi aveva dato peso. Si era sbagliata.
La sera era iniziata nel migliore dei modi: una cena squisita, il suo vestito più carino e lo sguardo di Scott a mostrarle quando fosse stato un acquisto azzeccato. Avevano scelto il vino, avevano cominciato a parlare e tutto quello di cui avevano parlato era stata l’Australia.
Per un po’ aveva semplicemente pensato che il suo ragazzo avesse un banale attacco di nostalgia. Un po’ monotematico, ma nulla che non potesse sopportare per una manciata d’ore.
Come da copione, era stato al dolce che aveva capito il motivo di quella cena.
 
“Allora, vuoi dirmi come mai hai deciso di alleggerirti il portafoglio stasera?”
Scott aveva ridacchiato, prendendole una mano con la sua e intrecciandovi le dita. “Potresti leggermi e scoprirlo…” Le aveva suggerito.
Lily aveva fatto una piccola smorfia. “Lo sai che non mi piace farlo fuori dal lavoro.” Non che biasimasse Scott per ventilare ogni tanto quell’idea. Da un certo punto di vista poteva essere liberatorio non dover cercare le parole.
Sì, ma così il lavoro lo faccia tutto io.
“Vero, hai ragione…” Aveva fatto spallucce. “In realtà ho una sorpresa.” E aveva tirato fuori una busta spingendola nella sua direzione. “Aprila.”
Lily aveva obbedito ma quando aveva tirato fuori il contenuto le si era gelato il sangue nelle vene. Il contenuto era nientemeno che due biglietti per una Passaporta Continentale. Per l’Australia. “Sono due biglietti per l’Australia.” Aveva mormorato.
Scott aveva annuito. “Mi avevi detto che un giorno ti sarebbe piaciuto vederla ed ho pensato … perché no?”
Adesso?”
Si era passato una mano trai capelli, realizzando che forse non era sorpresa quella che l’aveva congelata sul posto. “Non stasera, ovvio. Ma è un biglietto aperto, possiamo decidere di partire anche domani.” E poi, quasi a peggiorare le cose. “Ho preso due settimane di ferie che posso gestirmi come voglio.”
“Già, ma io no!” Aveva esclamato, mordendosi la lingua quando un paio di persone del tavolo accanto li avevano guardati. “Sai che al San Mungo ho dei pazienti che devo seguire!”

Scott aveva aggrottato le sopracciglia. “Lily, le lezioni all’Accademia sono finite da settimane, quello che stai facendo adesso è anticiparti le ore di reparto che farai il prossimo anno, no?”
Era vero. La Patil non l’avrebbe certo incatenata all’entrata del Thickley se fosse partita. “Sì, ma … non è … insomma, lo sai, non è il momento.” Aveva balbettato infilando i due biglietti nella busta, quasi bruciassero.
Una piccola parte di sé si rendeva conto, da come Scott la stava guardando confuso e ferito, che la sua reazione era inaspettata. Era sempre stata una fan sfegatata delle partenze istintive, fatte con la valigia semi vuota e una gran voglia di perdersi in qualche paese esotico.
Ma non posso. Non posso andarmene.
Erano rimasti in silenzio mentre il cameriere aveva portato via i piatti vuoti. Poi Scott aveva continuato. “Perché no? Entrambi possiamo andare in ferie senza problemi, e abbiamo sempre detto che sarebbe stato bello andarci assieme.”
“Sì, ma non… C’è il matrimonio di Scorpius e mia cugina!” Aveva sbottato alla cieca.  
“Il matrimonio di Scorpius e Rose c’è tra un mese.” Aveva ribattuto l’altro spazientito. “Dimmi piuttosto che non vuoi venire. Almeno saresti sincera.”
Si era morsa le labbra, sentendo la rabbia incendiarle lo stomaco. “Possiamo anche evitare di parlare di sincerità, visto che non hai neanche pensato di chiedermi cosa ne pensassi.”
“Hai sempre detto…”
“Una cosa è dire, una cosa è prendere due biglietti e impormi di seguirti!”
“Non ti sto imponendo niente e non urlare.” Se c’era una cosa che Scott sapeva far bene era trattarla come una bambina piccola e irragionevole. Non aveva mai detestato quel suo difetto tanto come in quel momento.

Si era comunque calmata, perché al di là di tutto non era un’idea brillante mettersi a litigare in mezzo ad un ristorante Babbano. “A casa mia quando qualcuno prende una decisione e ti mette davanti alle conseguenze è imporre.” Aveva detto.
L’altro aveva guardato la busta e poi aveva scosso la testa, rimettendosela nella giacca. “Va bene, è stata un’idea stupida… Pensavo di farti piacere.”

No che non lo pensavi!
“Non è … Scott, non è questo il punto.” E non lo era, non davvero; l’idea di andare in Australia per due settimane poteva anche essere carina, ma era il tagliarla fuori e presentargliela come sorpresa che non andava bene. Perché era ovvio che nascondeva un’insicurezza che aveva un’origine ben precisa. “Non posso allontanarmi da Londra, non adesso.”

“Per Sören. Non puoi lasciare Londra perché c’è Sören.”
Gli avrebbe tirato un piatto in testa. Perché lo sentiva
vibrare di irritazione, gelosia, ma anche compiacimento. Compiacimento nell’avere conferma che sì, aveva fatto bene a dubitare di lei.  
“Non metterlo in mezzo.”
Scott aveva fatto una smorfia. “Non dovrei?”
“No, non dovresti. Merlino Benedetto, abbiamo già fatto questo discorso!” Aveva risposto esasperata. “Non ti mollerò per lui, non stiamo avendo una tresca alle tue spalle!”
“Lo so!” Era sbottato, mordendosi le labbra quando si era accorto di aver alzato la voce quanto e più di lei. “Okay, senti, mi fido di te.” Aveva aggiunto più calmo. “È che non capisco cosa hai paura di lasciare indietro. Perché non lasci niente.” Gli aveva messo una mano sulla sua e l’aveva stretta. Lily si era frenata dal non ritrarla: non era giusto, anche se si era sentita come presa da un laccio. “Sei stressata Lily, lo vedo ogni giorno che passa … E preferisci andare ad allenarti con lui che parlarne con me.”
… questo non depone bene, eh Rossa?
“Sören ci è passato, per questo…”
“Va bene.” L’aveva fermata. “Ma rimane il fatto. Hai bisogno di staccare, e non basta un fine settimana in Scozia. Dimmi che mi sto sbagliando.”

Non si stava sbagliando, purtroppo. E sarebbe stato così semplice dire di sì … andar via per giorni, spegnere il cervello e lasciare che l’Australia le facesse dimenticare Sören, Londra e tutti i problemi in essa contenuti. Aveva chiuso gli occhi, passandosi una mano trai capelli.
Sarebbe così semplice, Rossa. Scappare. Sei sempre stata un asso in questo.
“Lily, voglio solo proteggerti.”
E quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Scott poteva avere tutte le buone intenzioni del mondo – e le aveva, al di là dei metodi discutibili – ma proteggere non era la parola giusta. “No, vuoi portarmi via. Come un oggetto.”
L’altro aveva fatto per ribattere, poi aveva semplicemente sospirato. Non amava litigare, non era come lei. “No, Lily … ma immagino che adesso qualsiasi cosa dica mi verrà ritorta contro.”
“Quindi?”

“Quindi niente, lascia perdere. È stata un’idea stupida.”
Erano rimasti in silenzio, uno di quelli pesanti e troppo dolorosi per essere lasciati com’erano. “Faccio portare il conto.” Aveva aggiunto facendo un cenno al cameriere. “Ti accompagno a casa.”
Avrebbe preferito amputarsi un piede che mantenere quel silenzio orribile anche nel viaggio verso Il Mulino. “Preferisco fare una passeggiata.” Aveva preso la borsetta e la stola che fungeva da cappotto, stringendola come se ne andasse della sua vita. “Poi prendo una Passaporta.”

 
Scott non aveva obbiettato; non che gli avesse dato i margini per farlo, dato che era uscita dal ristorante senza voltarsi indietro.
Erano quelli i momenti in cui malediceva di essere una Legimante: il suo maledetto potere aveva piazzato un gigantesco cartello al collo di Scott, spiegandole per filo e per segno perché se ne fosse uscito con quell’idea dell’Australia.
Vuole allontanarmi da Sören.
Era furiosa … furiosa nella stessa misura in cui si sentiva in colpa. Perché Scott non era il tipo di ragazzo da clava, capace di rinchiudere in una torre la propria bella perché geloso.
Gli hai dato motivo di pensare che dovesse comportarsi come un cretino.
Quindi … scappare con Scott o rimanere a Londra ed affrontare quello che provo per Ren?
Aprì la porta del Paiolo Magico; non era quella la sera in cui avrebbe preso una decisione. Tutto ciò che voleva era togliersi i tacchi, struccarsi ed infilarsi a letto.
Ora di tornare a casa.
Sperava solo di non incrociare Sören alla taverna, anche se era probabile fosse sceso per ammazzare la serata con un bicchiere di whisky …
… e infatti era lì; solo non era seduto ad un tavolo, era in piedi, aveva un borsone a tracolla ed era scortato da due auror in uniforme.
… cosa?
“Lily!” Sorrise, sorpreso di vederla. “Cosa ci fai…”
“ … te ne stai andando.”

 
****
 
Note:

:D
Cliff-hanger sentimentale!
Per Milo e Mike temo dovrete aspettare il prossimo capitolo!
Qui la canzone ad inizio capitolo, e qua un’altra che mi ha ispirato nella stesura del resto. Per chi volesse vedere il castello della famiglia Prince, ho preso a modello il Lowther Castle. Qui una foto esemplificativa. Ebbene sì, Ren è proprio un principino. E dedico questo capitolo ad Ale, complimenti per la laurea!
  
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