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Autore: callistas    18/10/2013    9 recensioni
Ciao!
Eccomi tornata come promesso a postare il primo capitolo di una nuova storia con gli immancabili Draco e Hermione.
Draco è il titolare di Hermione, la quale lavora presso di lui come centralinista. Grazie a una piccola diatriba con la fidanzata di Draco - leggete e saprete fin dal primo capitolo chi è - per Hermione inizia un calvario senza fine, fatto di dispetti e punizioni immeritate.
Spero vogliate darmi ancora l'occasione di sapere cosa ne pensate.
Vi aspetto numerosi!
Un bacio,
callistas
P.S.: La magia non c'è.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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07 - Di minacce e figuracce Buon ciao a tutti!
Sapete, mi sto rendendo conto che sto allungando i capitoli sempre di più ma non riesco a capire se lo faccio per accontentare voi o perché voglio finire questa storia il prima possibile, per postare quell’altra… mah, fate voi.

Ma forse sarebbe il caso di dare letteralmente un taglio a questa eccessiva lunghezza, che ne dite?
Lascio aperte le votazioni.

Dunque, per passare al capitolo…
Qui troveremo due episodi: l’incontro con Babbo-Malfoy e la partenza per l’America. Qui avremo un altro assaggio della preparazione di Hermione e del suo carattere volitivo ma non voglio dirvi altro per non guastarvi la lettura.

Io vi lascio qui, ma ci rivediamo in fondo, ok?

Buona lettura,
callistas









Quella sera, Draco avrebbe portato Pansy a cena dai suoi.
Era passato a prendere la fidanata – con appena un paio d’ore di anticipo – con un girocollo di perle che necessitava un’assicurazione sulla vita e avevano fatto pace con del sano sesso, si erano ricomposti e avevano raggiunto Villa Malfoy in breve tempo.


Pansy si esaltava ogni volta che vi metteva piede.
Il lusso la faceva da padrone.
Arazzi, lampadari, tappeti, pavimenti… beh, l’arredamento era naturalmente della Malfoy Home e sembrava che Lucius Malfoy, il padre di Draco, avesse tenuto per sé solo il meglio della produzione.
Per non parlare del giardino.
Quello era forse il pezzo più bello della casa: era immenso e di un perfetto color smeraldo. La signora Malfoy, poi, aveva un’insana passione per le piante e i fiori e qua e là aveva creato delle vere e proprie oasi di pace.
Ma la cosa che più mandava Pansy in estasi era il fatto che una volta sposati, Lucius e Narcissa Malfoy avrebbero letteralmente cambiato dimora, perché Villa Malfoy sarebbe diventata proprietà di Draco quando lui le avrebbe messo la fede al dito.
Lei e Draco sarebbero convolati a giuste nozze solo ad Agosto dell’anno successivo e la donna ormai non stava più nella pelle. Pochi mesi ancora e sarebbe divenuta la padrona del mondo.


“Draco, Pansy, benvenuti.” – li salutò Narcissa Malfoy.
“Mamma.”
“Signora Malfoy, è un piacere rivederla.” – salutò Pansy, ossequiosa come sempre.
“Il piacere è tutto mio. Grazie Arthur, faccio da me.” – disse, liquidando il maggiordomo che si ritirò con un inchino. – “Prego.”
“Papà?” – chiese Draco.
“Torna tra poco.” – la voce di Narcissa era calma e modulata. – “E’ andato al Golf Club per giocare con Tiger.”
“Vincent?” – si accertò Draco.
“No. Woods.”
“Ah, capisco.”

Beh, era normale giocare a golf con Tiger Woods…

“Prendete qualcosa da bere?”
“Io passo. Pansy?”
“Un analcolico grazie.”
Draco sollevò un sopracciglio, perplesso, ma poi scosse la testa: ormai ci era abituato.
Conosceva la donna per una che non si faceva problemi a bere e quindi si straniva sempre quando la sentiva chiedere un analcolico.
Una parte di lui era contenta che Pansy cercasse di compiacere sua madre ma dall’altra non gli andava giù che fingesse di essere un altro tipo di persona.
“Allora Draco, come vanno i preparativi per il matrimonio?” – s’informò la donna.
“Bene.” – rispose lui. – “Il Wedding Planner crede che per Giugno avremmo finito tutto.”
“Oh mi fa piacere. E tu Pansy, sei emozionata?”
La mora si scambiò un sorriso con Draco che ricambiò abbastanza forzatamente.
“Moltissimo. Io e Draco non vediamo l’ora di sposarci, vero amore?”
“Sì.” – disse lui.

Lasciò che le due donne cadessero da sole in quella discussione, lasciando lui fuori.
Non aveva proprio voglia di parlare del matrimonio, anche perché i suoi pensieri erano tutti concentrati sul lavoro: Hermione Granger proprio non ne voleva sapere di schiodarsi dalla sua mente.
Forse, se le avesse dato un impiego adatto alle sue potenzialità, avrebbe ripreso a vivere la sua vita, tranquillamente. Sperò davvero fosse sufficiente perché non poteva andare avanti in quel modo.

In quel momento arrivò suo padre, Lucius Abraxas Malfoy.
“Buona sera a tutti. Scusate il ritardo.” – disse l’uomo, salutando i presenti.
Narcissa gli andò incontro e lo salutò, mostrandogli un amore e una devozione che Draco incosciamente sapeva che non avrebbe mai ricevuto da Pansy. Non che non lo amasse, ma non lo avrebbe mai amato come sua madre amava suo padre.
Lo sguardo che si scambiarono era pieno di amore e promesse silenziose.
“E’ andato tutto bene?”
“Tiger mi ha stracciato.”
“Come sempre, direi.” – disse Draco, tagliando quei pensieri scomodi.
“Fatti gli affari tuoi, tu.” – lo rimbeccò Lucius. – “Pansy ciao. Come stai?”
“Bene Lucius, e lei?”
“Oh, non ci lamentiamo. Narcissa, a che ora verrà servita la cena?”
“Per le otto. Hai tutto il tempo di una doccia.”
“Perfetto. Scusate, torno tra poco.”









E mentre Lucius Malfoy entrava in doccia, Hermione ne usciva.
“Lilly cosa mangiamo stasera?” – urlò la riccia per farsi sentire tra la musica che aveva acceso.
Nessuna risposta.
Naturalmente.
“Ti va la pizza?”
La risposta del cane fu che apparve magicamente di fronte a Hermione e iniziò a saltare, approvando in quel modo l’idea della sua padrona.
Divertita, Hermione se la prese in braccio e iniziò a tempestarla di coccole, mentre il cane ricambiava leccandole il naso.
La rimise a terra e il cellulare suonò.
Sorrise quando vide che era sua sorella.
“Daphne! Come stai?”
“Certo che se non ti chiamo io, noi qui possiamo essere anche morti, eh?” – frecciò l’altra.
Hermione rise.
“Hai ragione, scusa. È che sono molto impegnata con il lavoro, anzi… i lavori.” – specificò.
“In che senso?”
“No, niente di che.” – deviò Hermione. – “Allora, come state?”
“Noi bene. La Lilly?”
“Sì, sto bene anch’io, grazie…” – disse Hermione, palesemente contrariata perché sua sorella Daphne, quando chiamava, chiedeva sempre prima come stava il cane e poi lei.
“Dai non arrabbiarti! Noi tutto bene.”
“Papà?”
“Ancora al lavoro, che vuoi farci? Allora! Vieni per le vacanze di Natale, vero?”
“E chi manca?” – rise Hermione.
“Ah ecco. Senti… noi abbiamo deciso di regalare alla mamma e al papà un nuovo armadio, perché il loro è da buttare. Ci stai?”
“Sì, certo.”
“Perfetto. Allora quando ci vediamo?”
“Per il ventuno.” – la rassicurò.
“Perfetto. Ora scusa ma devo scappare. Ciao Hermione!”
“Ciao Daphne.”
Hermione riagganciò con un sorriso nostalgico sul volto.
Poteva farcela.









La cena a casa di Draco stava proseguendo tranquilla.
Pansy e sua madre si trovavano d’accordo su molti punti e per lui era molto importante. Sì, aveva fatto una scelta saggia nel chiedere a Pansy di sposarlo. Certo, aveva i suoi difetti, ma chi non ne aveva?

Conclusero il pasto con un delizioso tortino caldo di cioccolato e pere quando Lucius sequestrò il figlio per parlare “di affari”.
Lo condusse nel suo studio, dove finalmente Draco poté rilassarsi.
“Sembravi imbalsamato stasera.” – disse Lucius, mentre prendeva dal mobiletto dei liquori qualcosa di forte.
Non trovando niente di adatto per l’umore del figlio, scelse di fare un mix di alcol.
“Sono solo stanco.”
“Pansy?” – chiese Lucius, dando a intendere che di sesso ne capiva ancora qualcosa.
Draco lo guardò storto.
“No. Il lavoro.”
“Capisco. Tieni, bevi questo.”
Draco bevve un sorso e per poco non sputò fiamme.
“Che… che diavolo… cos’era?” – chiese, con la voce ridotta a un sussurro.
“Un mix di mia invenzione. Ti ha rimescolato le budella, vero?” – chiese l’uomo, con un sorriso d’intesa.
“Più che altro me le ha sciolte.” – si schiarì la voce. – “Tu sei un pericolo per l’umanità.”
“Può essere. Adesso dimmi cosa c’è che non va.”
“Ma niente… un insieme di cose.”
“Sì, sei stato chiaro.”
“Papà?”
“Mhm?” – mugugnò l’altro.
“Tu… tu hai mai fatto l’errore di sottovalutare un dipendente?”
Lucius lo guardò, decisamente incuriosito per la domanda.
“In che senso?” – chiese, portando alla bocca il bicchiere dello stesso mix dato a Draco.
Lui, a differenza del figlio, lo bevve come se fosse stata acqua.
“Ho una dipendente… Hermione Granger…” – disse. – “Quando l’ho assunta, l’avevo fatto perché mi serviva una centralinista. Patricia si era licenziata ed io ero rimasto a piedi.”
Lucius lo ascoltò con attenzione.
“Poi, il mese scorso, l’ho destinata al magazzino.”
Lucius sbarrò gli occhi.
“E perché scusa?” – chiese, severo. – “Non è politica dei Malfoy mettere le donne a fare certi lavori.”
Ecco il cazziatone…
“Sì, ma aveva risposto male a… a Pansy…” – Draco socchiuse gli occhi quando sentì suo padre esalare un gemito infastidito. – “… e l’ho messa laggiù.”
“Hai fatto male.” – fu la prima sentenza dell’uomo. – “Va avanti.”
“Il problema… se di problema si può parlare… è che questa ragazza mi ha risolto il problema dei ritardi!” – esclamò, ancora incredulo di fronte a tale abilità.
“I ritardi?”
Draco fece le spallucce.
“Tempo addietro ci sono stati dei ritardi troppo frequenti nelle consegne, con relativo ritardo nei carichi ma da quando ho messo questa al magazzino, puff!” – disse, accompagnando lo sbuffo con un gesto delle mani. – “Sono spariti! Io l’ho sentita parlare al telefono con un fornitore e sono rimasto… sorpreso dalla sua conoscenza sulle cifre che comporta un ritardo. Sembrava avesse studiato i costi della Malfoy Home!”
“E cos’hai fatto?”
“L’ho messa in amministrazione.”
“Hai fatto bene.” – disse Lucius, più tranquillo.
“Sì, ma comunque non l’ho mica levata dal magazzino.”
“E perché?”
“Perché se ce l’avessi tolta, le consegne avrebbero preso a ritardare.” – spiegò il figlio.
“Dato che ci sei, perché non ti licenzi e non la metti a capo dell’impresa?” – chiese Lucius, fortemente sarcastico.
Draco sospirò.
“Si può sapere che diavolo ti è preso?” – chiese Lucius, con un pizzico di delusione nella voce.
Draco non si era mai comportato in quel modo e aveva lavorato con lui abbastanza tempo per insegnargli il mestiere e vedere come se la cavava!
“Già a fare un lavoro è dura, figurarsi due! Chissà che danni starà facendo!”
“Ma è proprio questo il punto!” – esclamò Draco, accorato. – “Non ho mai avuto una contabilità e un magazzino tanto precisi! Io… io davvero non so come faccia! Riesce a tenere in piedi due argomenti così diversi neanche stesse facendo la spesa!”
Lucius si portò una mano sul mento, per pensare. Da come suo figlio descriveva questa tizia, sembrava davvero piena di talento.
“D’accordo, è una in gamba.” – concesse. – “Ma se lo è, perché l’hai punita? E non dirmi che è solo perché ha risposto male a Pansy, perché se è così ti prendo a sberle!” – disse, trattandolo alla stregua di un bambino.
Il silenzio di Draco fu il suo assenso.
Lucius sospirò pesantemente.
“Draco Lucius Malfoy…”
Il biondo stirò le labbra, decisamente preoccupato.
Quando i suoi lo chiamavano con entrambi i nomi, c’era solo da tremare.
“… invece di ragionare con la testa che penzola, perché non ragioni con quella sul collo?” – concluse, urlando.
“Io non…”
“Non ci provare, eh?” – lo sfidò Lucius a contraddirlo. – “Non provare a negare! Io ti avevo sempre detto che assumere Pansy non era proficuo, né per te, né per l’azienda. Adesso cosa conti di fare con quella ragazza?”
“Non… non lo so…”
“Beh, trova un modo perché se si dovesse licenziare perché è troppo sotto pressione, potrei diventare molto molto pericoloso Draco. E lo sai che posso.”
Oh, la minaccia il consiglio era arrivato a destinazione.
Adesso doveva solo capire come fare per risolvere quella situazione.









La soluzione si presentò il pomeriggio del ventisette ottobre, un lunedì.
Hermione era già all’opera da una buona oretta e niente avrebbe potuto turbare il suo lavoro. Di tanto in tanto Roger la chiamava, chiedendole delle spiegazioni o di parlare con qualche fornitore che tentava di alzare ancora la cresta: lei lo aiutava e poi tornava al proprio lavoro.
Era come se il suo cervello fosse diviso in due emisferi: uno seguiva l’amministrazione, l’altro il magazzino e mentre la ragazza spuntava da un enorme libro contabile le voci che le interessavano, parlava al telefono con Roger, aiutandolo in ciò che gli serviva.


Draco, nel suo ufficio, aveva gli occhi puntati sullo schermo del computer e fissava attonito un’E-mail che aveva ricevuto da un cliente americano molto importante – quello che praticamente gli faceva un bel fatturato sia mensile sia annuale – dove si scusava, ma non poteva più acquistare la merce dalla sua azienda.

L’azienda americana, la Livin Home, si trovava sulla costa atlantica del paese, nella città di New York, il che significava che stavano sei ore indietro con il fuso orario.

Il direttore della Malfoy Home guardò l’orologio del suo pc e vide che erano le quattro del pomeriggio. Lo avrebbe chiamato e si sarebbe fatto spiegare il perché non potesse più comprare da lui.
“Isabel? Chiamami la Livin Home e passami il signor Cook.” – ordinò Draco, preoccupato per quello strano comportamento.

Isabel, dalla sua postazione, guardò perplessa la cornetta del telefono. Riagganciò, e cercò la Livin Home tra i suoi contatti.

“Signor Malfoy?, il signor Cook sulla linea.”
“Passamelo.”
Il tempo di passare la chiamata e Draco aveva preso più o meno una ventina di respiri.
“Draco?”
“Ciao John.” – lo salutò Draco, tentando di sorridere. – “Come va?”
“Al solito.” – rispose l’altro.
Dal tono di voce, Draco comprese che non era in vena di chiacchiere, così troncò ogni sorta di “preliminare telefonico” e andò al dunque.
“John, scusa se ti ho disturbato, ma ho ricevuto la tua mail adesso. Che storia è questa?”
“Vorrei poterti fare la stessa domanda, Draco.”
“Come dici scusa?” – chiese l’altro, perplesso.
“Draco…”

John Cook intratteneva rapporti con la Malfoy Home fin da quando Draco era entrato a capo dell’azienda. I due “grandi capi” si erano sempre trattati con i guanti di velluto, uno perché comprava, l’altro perché forniva sempre materiale di prima scelta. Si ritrovò, quindi, parecchio in difficoltà nel pensare che un rapporto come il loro potesse finire in quel modo. Così, nonostante avesse preso già la sua decisione, John scelse di essere corretto fino in fondo con il direttore della Malfoy Home.

“… sarebbe il caso di parlarne di persona.” – disse John.
“Sì, certo. Sei libero? Puoi muoverti?”
“Purtroppo no.”
“Allora vengo io. Dammi il tempo di organizzare il volo e poi ti faccio sapere. Quando sei libero tu?” – chiese Draco, prendendo al volo la propria agenda – quella su cui Hermione sbavava – e cercò le date che gli stava fornendo John.
Nella data scelta, Draco notò che vi era una riunione con i soci, organizzata già da tempo, ma l’uomo non perse tempo a tirarci un segno sopra – avrebbe poi detto a Isabel di spostarla alla data che gli altri preferivano – per annullarla, perché la Livin Home era decisamente più importante.
“Perfetto.” – disse Draco. – “Dieci Novembre.” – ripeté Draco. – “Grazie della disponibilità, John.”
Quando Draco riagganciò la cornetta si sentì madido di sudore.
Che diavolo stava succedendo? Perché quella decisione improvvisa?
Tamburellò le dita sul tavolo, poi prese la cornetta e chiamò l’ufficio di Pansy. Dovevano studiare la situazione e partire immediatamente per l’America per parlare con John!
Peccato che il telefono suonasse a vuoto.
Incazzato come una iena – per quella mail inaspettata, per l’atteggiamento scostante di John e perché Pansy non si trovava mai quando serviva! – Draco sbatté il telefono sulla forcella.
“Isabel!” – tuonò.
La segretaria arrivò tutta trafelata e spaventata.
“Sì?”
“Dov’è Pansy?”
“Ieri ha chiamato dicendo che oggi non veniva in ufficio.”
Isabel, a volte, si chiedeva chi le faceva fare quel lavoro. A volte doveva fare il portavoce di notizie di sventura, proprio come in quel momento. La faccia di Draco era quanto di più spaventoso avesse visto in vita sua.

Draco, dal canto suo, non credeva possibile che quella donna fosse arrivata a tanto.
Si rese conto – ma furono pensieri che, una volta sbollita la rabbia per ciò che stava succedendo, si dissiparono come neve al sole – che Pansy si stava prendendo un po’ troppe libertà. Cosa le costava dire a lui che non poteva andare in ufficio? Cos’era? Era diventato troppo poco importante per essere avvisato?
Così, come ogni uomo ferito nel suo amor proprio, Draco fece l’ultima cosa che avrebbe mai ritenuto possibile fare.

“P-posso andare?” – chiese Isabel.
“Prima di andare prenota un volo per me e Hermione Granger per venerdì sette Novembre per New York e poi va a ritirare i biglietti.”
“Sì, certo” – disse.
Isabel non ci pensò su due volte a chiudere la porta e tornare al proprio posto, mentre Draco si alzò di scatto dalla propria poltrona e uscì dall’ufficio.


“Sì, certamente.” – rispose Hermione con un sorriso mentre giocherellava con il filo del telefono. – “Sono contenta che tu mi abbia chiamato, mi ha fatto molto piacere. Come? Guarda, piuttosto mi prendo un giorno di ferie. Per te questo e altro.”
Quando Hermione si accorse che Draco Malfoy era accanto a lei, per poco non le venne un colpo.
Draco aveva ascoltato parte della conversazione, e già arrabbiato per ciò che John gli aveva detto, si incazzò ancora di più quando vide la Granger – finalmente l’aveva beccata a fare qualcosa che non andava! – fare una telefonata privata.
“S-sì… ora scusa, ma devo andare. Sì, ho scritto tutto.” – disse Hermione, cercando di affrettarsi.
Il volto del suo titolare era più buio della notte più nera.
“Ok, grazie. Ciao!” – riagganciò la cornetta, con l’atteggiamento di chi sapeva di essere stato beccato a fare qualcosa che non doveva.
“Finita la telefonata di piacere?” – chiese, acido.
Hermione guardò il telefono e poi di nuovo Draco.
“Guardi che non era una telefonata privata…” – disse lei.
“Ah no? E chi era allora al telefono?”
“Jason.” – rispose lei, candida come una colombella.
Draco ruggì.
“Mi ha comunicato la data del servizio fotografico. Sa, quello che…”
“Sì, mi ricordo. Non mi è ancora venuto l’Alzheimer.”
Hermione sollevò un sopracciglio.
Che avesse mangiato veleno a colazione?
“Mi scusi…” – disse lei, remissiva.
Non aveva proprio voglia di litigare. Jason le aveva dato una bella notizia e non voleva fare nulla per guastarsela.
“Aveva bisogno di qualcosa?” – chiese Hermione.
“Tieniti pronta per la settimana prossima. Partiremo insieme per l’America.” – disse, per poi tornarsene da dov’era venuto.

Hermione aveva visto nero per un secondo.
L’attimo successivo aveva sentito la testa girarle.
America? Settimana prossima? Ma era impazzito?
Guardò i suoi colleghi vicini di posto, anche loro perplessi e sbalorditi per quella notizia. Da ciò che sapevano loro, nei compiti di Hermione non era previsto che lei dovesse spostarsi per lavoro.

Quello fu l’inizio dei pettegolezzi.

“Cosa?, ma… no aspetti!” – sbottò Hermione, correndogli dietro.
America? Ma era matto?
“Signor Malfoy, aspetti!” – lo rincorse Hermione, spaventata.
Draco si fermò davanti alla porta del proprio ufficio.
“Cosa c’è?”
Hermione effettuò una brusca frenata.
“Come cosa c’è? Che è ‘sta storia?” – chiese lei. – “Che ci vengo a fare io in America?”
“Perché ho deciso così.”
“Ma no… aspetti un secondo!” – gli disse, trattenendolo.
“Dimmi.” – era evidentemente spazientito.
“Io non posso venire in America con lei!”
“Perché?”
Oh, pure quella ragazzina ci si metteva, adesso?
“Perché non rientra nei miei compiti! Ad accompagnarla è sempre stata la signorina Parkinson. Lo chieda a lei.”
“Hermione…” – iniziò Draco con un tono di voce che seriamente la preoccupò. – “… non sono tenuto a discutere con te una mia decisione e mi sembra di ricordare che nemmeno tu sia abituata a discutere un mio ordine. Quindi tu verrai in America con me. La partenza è fissata per Venerdì sette Novembre. I dettagli del volo te li comunicherò tramite E-mail. Questo è quanto.”
La lasciò sola nel corridoio con un atroce terrore impiantato nel petto.
L’attimo successivo si ricordò dell’impegno con Jason e non trovò parole sufficientemente pesanti e offensive da rivolgere a Malfoy perché le aveva appena fatto perdere il servizio fotografico.




Per tutta quella settimana e la successiva della partenza, Pansy Parkinson si presentò in ufficio saltuariamente.
Per tutta quella settimana e la successiva della partenza, Hermione Granger fu bersaglio di frecciatine maliziose e sguardi divertiti da parte dei colleghi per quella partenza così improvvisa con il signor Malfoy.
Lei cercava di non farci caso, di proseguire il proprio lavoro con l’attenzione e l’impegno di sempre, ma era difficile quando accanto e davanti a lei vi erano persone adulte, o così lei credeva, che la guardavano in continazione e ridacchiavano tra di loro.
Era imbarazzata come mai lo era stata in vita sua.
Per carità di Dio!… non negava assolutamente che Draco Malfoy fosse un bellissimo uomo ma non era certo il suo tipo: troppo aristocratico e, da quanto aveva visto, con pessimi gusti in fatto di fidanzate…
Lì dentro non era la sola ad aver pensato a che tipo di uomo fosse Draco Malfoy nel privato, ma non era mai andata oltre.
Alla prima occasione, però, gliene avrebbe detto quattro!

L’unica cosa che aveva avuto il potere di accantonare il suo malumore fu la chiamata che era appena avvenuta con Jason. Non sapeva dirsi perché, ma sembrava che per qualche assurda congiunzione astrale, quell’uomo avesse preso in simpatia lei e le sue idee.
Per questo le aveva comunicato che aveva spostato il servizio fotografico alla settimana della partenza, o meglio, al giorno prima.









Quando Hermione scese nel “bunker” come lo chiamava lei, per poco non cadde svenuta a terra.
Uomini!, uomini ovunque! Adoni, Apolli e perfetti Bronzi di Riace si stavano preparando per effettuare il servizio fotografico.
Aveva ancora la bocca indecorosamente aperta, quando Jason le venne incontro.
“La tua faccia mi dice che ho scelto bene i modelli.”
Quando un modello dalla pelle nera si alzò dalla sedia, la torsione del busto mise in evidenza una serie di muscoli, che ebbero il potere di farle diventare molli le gambe.
“Tu sei gay.” – esordì Hermione, lasciando Jason a metà tra il perplesso e il divertito. – “Devi esserlo per forza perché nemmeno io che sono etero avrei scelto tanto ben di Dio!”
Jason rise di gusto.
“Dai, vieni dentro.”
Hermione entrò con la stessa espressione di un bambino che entra nel negozio delle caramelle e sa che potrà prendere tutte quelle che vuole.
“Allora… tu da dove inizieresti?”
Hermione si era appena seduta su uno sgabello e aveva guardato Jason come se fosse appena diventato un Sayan di quarto livello.
“Scusa?”
“Sì, da dove inizieresti tu?”
Beh, ormai c’era dentro: tanto valeva approfittarne anche perché… quando le sarebbe ricapitata l’occasione di girare intorno a tanto splendore?

I modelli erano tutti schierati in fila, in attesa del proprio turno. Hermione stava davanti a loro e non sapeva davvero chi scegliere. Doveva essere professionale, ma tutta quella bellezza la stava disorientando.
“Hermione?” – la esortò Jason.
“Eh? Ah sì, scusa…”
I ragazzi ridacchiarono per la spontaneità con la quale Hermione non faceva mistero di quanto belli fossero.
“Allora…”
Di ogni modello studiò gli occhi, i capelli e il colore della pelle.
Ne prese uno biondo con gli occhi castani e lo piazzò davanti a una lastra mogano. Diamine!, se avesse avuto soldi a palate si sarebbe comprata tutti quei piani cucina e i modelli insieme!
“Ok.” – disse Jason. – “Luci!”
Hermione rimase in disparte a guardare Jason che dava ordini a destra e a manca. Di tanto in tanto l’occhio le scappava sui modelli in attesa e quando vedeva che lo sguardo era ricambiato, tornava a guardare la schiena di Jason, permettendosi una risatina divertita per essere stata beccata.
La ragazza, però, aveva in mente qualcosa di diverso. Voleva che le foto fossero più dinamiche: Jason stava solamente fotografando un ragazzo accanto a una lastra, nemmeno fosse un turista accanto a un monumento.

Per ogni modello, Jason scattò una ventina di foto e poi ne parlò con Hermione in disparte con altri colleghi alle dipendenze di Jason.
La ragazza le studiò. Erano bellissime… ma statiche.
“Non ti convincono.” – disse Jason.
Accanto a lui gli altri collaboratori sbuffarono leggermente indispettiti. Insomma… loro erano lì apposta per dare consigli a Jason su come mettere in posa un modello: che diavolo voleva quella ragazzina?!?
“No, sono molto belle…” – disse, per non sminuire il suo lavoro. – “E’ che… non so… sono ferme…” – disse.
“Non hanno ancora inventato la macchina fotografica che fa muovere le persone.” – disse uno.
Hermione si risentì parecchio di quel commento.
“Adam…” – lo richiamò Jason e Hermione perse la sua occasione per dirgliene otto. – “Cos’avevi in mente tu?”
“Più dinamicità. Questo mi sembra un turista che si fa fare una foto accanto a un monumento!” – esclamò.
“Addirittura?” – disse Jason, perplesso.
“Senti…” – propose Hermione. – “… se me lo permetti, ti faccio vedere quello che avevo in mente.”
“Sorprendimi.” – disse Jason.

Quel giorno Hermione si era presa davvero un giorno di ferie, perché dubitava sinceramente che Draco Malfoy le avrebbe permesso di saltare un giorno di lavoro per vedere, alla fine, una serie di ragazzi in posa.
La ragazza aveva parlato con lo staff addetto alla scenografia e aveva chiesto loro un paio di cosette. Jason la guardava, cercando di capire cos’avesse in mente, mentre dietro di loro i suoi collaboratori sbuffavano indispettiti per quel lavoro extra.
Quando la vide calare dei fili dal tetto, si chiese che diavolo avesse in mente.

“Più giù! Ancora! Ancora un po’! Stop! Perfetto.” – disse Hermione. – “Scusami? Divino Apollo?” – chiamò Hermione uno dei modelli che si indicò, perplesso ma compiaciuto dall’appellativo. – “Sì, tu. Puoi venire un attimo?”
Il ragazzo si diresse da Hermione ma si girò verso i suoi compagni, ridendo di quella ragazzina così stramba.
“Ok, mettiti qui.” – Hermione ne approfittò per prendere per un braccio il ragazzo e saggiarne la nervatura. – “Adesso mettiti come se dovessi sollevare questa lastra.”
Il ragazzo si mise di fianco, celando gran parte del busto, ma evidenziando il braccio muscoloso nell’atto del sollevamento della lastra.
Naturalmente, una lastra del genere pesava troppo, per questo Hermione aveva fatto calare dal tetto delle funi per tenere sollevato il piano: il modello doveva solo fingere di sollevarla per evidenziare il muscolo del braccio.
Jason rise per l’idea e comprese cosa Hermione avesse inteso per dinamicità delle foto. Continuò a ridere quando vide la ragazza prendere un casco protettore e metterglielo in testa, facendolo passare per un manovale.
“Aspetta un attimo.” – disse al modello.
Corse alla zona trucco, prese uno spruzzino con dentro dell’acqua e una salvietta.
“Chiudi gli occhi.”
Il ragazzo obbedì e si sentì spruzzare addosso dell’acqua. Poi la ragazza gli tamponò gli occhi, facendolo passare per uno che stava sudando.
“Fagli una foto Jason!” – trillò Hermione.

La luce era perfetta e si frammentava sulle “goccioline di sudore” sulla fronte del ragazzo che fingeva di guardare dove camminasse. Il braccio era in perfetto primo piano e Jason aveva ritratto tutta la fasciatura muscolare nell’atto dello sforzo di sollevare la lastra e il modello… beh… sul modello non si poteva dire assolutamente niente tanto era perfetto.

Con l’aiuto di Hermione, Jason rifece tutte le foto in pose diverse: un modello doveva sistemare in verticale una lastra, uno ci stava sdraiato sotto il sole, uno fingeva di cucinarci sopra e così via, finché l’ultima foto non ritrasse tutti i modelli seduti su un piano come la famosa foto degli operai seduti sulla trave a New York.
Ma a torso nudo.


“Ti farò avere una copia del numero che esce. Queste tienile tu, ok?” – le aveva detto Jason, consegnandole una busta con tutte le foto fatte, sia quelle statiche, sia quelle dinamiche.
Hermione se le strinse al petto, grata.
“Grazie dell’aiuto. Hai una bella fantasia.” – le disse.
“Grazie.” – disse Hermione.
“Ciao Hermione!”
“Ciao…”
“Ciao ragazzi!” – esclamò la riccia che nel giro di una giornata era entrata in confidenza con quei modelli.

Anche lei se ne andò alle otto e mezza di sera, soddisfatta.









Venerdì sette Novembre. Il fatidico giorno.

Come promesso, Draco le aveva mandato una mail con i dettagli del volo:

Data di partenza: venerdì 07/11.
Data di rientro: venerdì 14/11.
Ritrovo in reception: ore 15.00
Volo: ore 18.27

Hermione era un fascio di nervi, perché non sapeva quale fosse il suo ruolo in quel viaggio di lavoro che lei aveva sempre visto fare a Draco e a Pansy.
Nonostante il brevissimo preavviso, era riuscita a lasciare la sua Lilly al vicino di casa, disponibile ogni qual volta lei dovesse andare via per qualche giorno e fosse impossibilitata nel portarsela dietro. Inutile dire che aveva pianto come una fontana. Aveva chiesto a Miky dove potesse lasciare la sua valigia e la collega si era offerta di tenergliela sotto la scrivania fino all’ora di partenza.


Era nervosa.
Ma era anche eccitata.
Beh, era sempre stato un sogno di Hermione quello di fare un viaggio in America, ma solo il biglietto costava un suo intero stipendio più metà della quattordicesima e aveva cose ben più importanti alle quali pensare, così aveva catalogato l’America come un sogno destinato a non avverarsi mai.
Aveva rimuginato come un pensatore filosofico sul perché Draco Malfoy avesse ordinato a lei di seguirlo in quel viaggio e l’unica conclusione alla quale era arrivata, fu che non era per premiarla per il suo lavoro. Naturalmente non sapeva niente di John Cook e della sua mail, non sapeva niente di Pansy Parkinson e degli altarini tra lei e il suo fidanzato; sapeva solo che per lei quel viaggio non era un premio per il lavoro svolto fino a quel momento in azienda.
Guardava in continuazione il suo orologio e sbarrava gli occhi ad ogni minuto che passava e che l’avvicinava inesorabilmente alla data di partenza.




Intanto Draco, nel suo ufficio, stava sistemando le ultime cose prima della partenza. Aveva delegato alcuni compiti ai suoi collaboratori più stretti e aveva lasciato il recapito dell’hotel in caso di estrema urgenza.
Era ancora molto arrabbiato con Pansy per il suo comportamento e aveva preso la decisione di estrometterla dall’azienda una volta tornato dall’America.
Suo padre aveva sempre avuto ragione: mescolare il lavoro con il piacere era sempre controproducente. Eppure una volta andava tutto così bene… da quando Hermione Granger era entrata nella sua vita, tutto sembrava aver preso un’altra direzione.
Preferì evitare di pensarci, perché erano problemi troppo complessi: da una parte c’era la soddisfazione nell’aver appreso che all’interno del proprio organico vi era una persona con ottime capacità gestionali ma dall’altra questa stessa persona e il suo carattere energico stavano mettendo a repentaglio il suo rapporto con la sua futura moglie.
Era un bel casino…

Neanche quel mattino Pansy si era fatta viva al lavoro.

Dalla chiamata con John, Draco aveva tentato di chiamare Pansy ma il telefono o era sempre staccato o quelle volte che riuscivano a parlarsi lei era sempre di fretta, così la chiamata si concludeva con Draco che non riusciva a dirle di quell’imprevisto.

Voleva giocare a sfidarlo? Bene, avrebbe presto imparato che con Draco Malfoy non si gioca! Non sul lavoro, almeno.
Ma non fece neanche in tempo a pensarlo, che una furente Pansy aprì la porta del suo ufficio.
“Che diavolo è questa storia?” – urlò, sventolando in aria i biglietti aerei.


“Buon giorno signorina Parkinson.”
“Buon giorno Isabel. Draco?”
“Nel suo ufficio.” – rispose la ragazza.
“Perfetto.”
L’occhio però le cadde su due buste che lei sapeva essere quelle che contenevano dei biglietti aerei. Perplessa, perché non ricordava di avere in programma un viaggio con Draco – forse era una sorpresa – li prese, prima che Isabel potesse nasconderli alla sua vista.
La segretaria aveva palesato insofferenza per quell’atteggiamento da “io posso fare quello che voglio” ma Pansy non le aveva dato bado.
Aprì il primo che scoprì essere quello di Draco e quando aprì il secondo – che aveva pensato essere a suo nome – era rimasta pietrificata.

Hermione Jean Granger.

“Che diavolo è questa storia?” – tuonò Pansy.
“Il signor Malfoy ha programmato per oggi un viaggio in America alla Livin Home. Mi ha fatto prenotare un biglietto anche per Hermione e… signorina Parkinson, aspetti!” – urlò Isabel, che aveva il compito di custodire quei biglietti a costo della sua stessa vita.
Ma fu troppo tardi: Pansy era già entrata nell’ufficio di Draco.
“Che diavolo è questa storia?”


“Buon giorno.” – salutò Draco senza guardarla, inespressivo, mentre continuava a sistemare le ultime cose.
“Non prendermi in giro Draco! Cos’è questa storia che vai alla Livin Home con Hermione Granger?”
“Esattamente questo.” – disse, bloccandosi un attimo per guardarla in faccia in modo che capisse che non si prendeva in giro Draco Malfoy senza pagarne le conseguenze. – “Tu eri troppo occupata per presentarti in ufficio e non rispondevi alle mie chiamate sul cellulare.”
“Ma… che te la porti a fare?!? Non sa niente quella!”
“La istruirò durante il volo.” – disse sbrigativo.
“Draco… non mi starai tradendo con quella, vero?”
Draco puntò lo sguardo su un punto alle spalle di Pansy. Dire che era profondamente indignato per l’accusa, era dire niente. Perché ogni volta che parlava con una dipendente donna Pansy doveva sempre pensare che la stesse tradendo?
Davvero… stava iniziando a stancarsi!
“Non dire assurdità.” – rispose Draco, il cui interesse nei confronti di Hermione era puramente professionale.
“Annulla il volo. Verrò io con te.” – sentenziò la mora.
Draco avvertì un profondo istinto omicida. Quel suo modo di dargli ordini stava davvero iniziando a innervosirlo.
“No. Ormai ho deciso e se ti fossi degnata di presentarti in ufficio o chiamarmi avrei potuto farlo anche prima, ma…” – Draco si zittì e sentì il sangue incendiarsi nelle vene quando vide Pansy fare una cosa che non avrebbe mai dovuto fare.

Il biglietto intestato a Hermione finì in mille pezzi a terra.

“Ti stai comportando da perfetta immatura.” – fu la risposta di Draco.
“E tu da uno che non vede l’ora di farsi un viaggetto con l’amante.”
“La tua gelosia è fuori luogo.”
Poteva sembrare calmo, ma in realtà Draco era una pentola a pressione pronta allo scoppio.
“Io sono la tua fidanzata!” – sbottò lei.
E Draco non ci vide più.
“E io il tuo fidanzato, ma sembra che questo ti venga in mente quando ti fa più comodo.”
Pansy non rispose a quella frecciatina.
“Puoi fare a pezzi anche il mio di biglietto, ma ormai la prenotazione è stata fatta e non intendo disdirla. Forse la prossima volta risponderai alle mie chiamate e ti presenterai in ufficio. Ora scusa, ma vado a pranzo.”
Naturalmente, non estese l’invito anche a lei.
“E, Pansy?”
La mora si girò, furente.
“Tornato dall’America parleremo.”
Pansy temette che Draco volesse annullare le nozze.
E tremò.




Alle dodici e trenta, Hermione uscì dall’ufficio per pranzare.
Avrebbe pranzato con i suoi amici del magazzino, dando loro una specie di “ultimo” saluto. Aveva un sacchetto pieno di robe da mangiare e nell’altro una torta fatta da lei. Era terrorizzata da quel viaggio perché non sapeva cosa l’attendeva.
Certo che però il direttore avrebbe potuto darle qualche informazione in più, accidenti! Cosa gli costava?
Dandosi mentalmente dell’idiota per aver dimenticato la borsa in ufficio, tornò indietro. Rimase perplessa quando vide Pansy parlare con il tecnico dei computer che era seduto proprio alla sua postazione. Quando Pansy si accorse di lei, sbarrò leggermente gli occhi.
“David… che ci fai qui?” – chiese Hermione, sorpresa.
“Ciao Hermione.” – la salutò l’altro, allegro. – “Ti stavo sistemando la banda dati di Internet.”
“Ah, perché?” – chiese lei, totalmente ignorante in materia.
“Di tanto in tanto controllo che la velocità di trasmissione dati non cali o non cresca eccessivamente e ho notato che la tua è troppo bassa. Hai notato rallentamenti quando usavi Internet?”
“Beh sì, ma pensavo fosse normale che ogni tanto ci fossero dei crolli.”
“No, qui avete un contratto per un tot. di MB. Se non ti secca, adesso te li sistemo, ok?”
“No, no, va benissimo, anzi! Grazie. Beh, ti lascio, io vado a pranzo. Ciao David, signorina Parkinson.”
“Ciao Hermione.”

La ragazza rallentò il passo stranita e, sì, agghiacciata, per quel confidenziale saluto.
Poi scosse la testa e si diresse agli ascensori. Aveva già sufficienti problemi e forse la Parkinson aveva finalmente compreso le direttive di Draco nei suoi confronti.









Alle quindici in punto, Hermione si fece trovare pronta nella reception della ditta in attesa di Draco. Miky le aveva consegnato la sua valigia e ora stava trafficando con i compiti del centralino.
Aveva il fiato corto, come ogni volta che doveva affrontare qualcosa senza le conoscenze adatte per farlo. Quando arrivò Draco capì che quel viaggio si stava concretizzando e che avrebbe dovuto improvvisare.
“Sei pronta?”
“Uh, come no?” – rispose lei, sarcastica.
“Alla fine mi ringrazierai.” – disse Draco. – “Andiamo, il taxi ci aspetta.”
Hermione afferrò la maniglia della sua valigia rosa shokking, che aveva appicciata addosso adesivi di tutti i posti che aveva visitato, sotto lo sguardo perplesso di Draco.
Hermione lo intercettò e sorrise.
“Almeno la riconosco subito quando esce dal nastro trasportatore.” – spiegò lei.
E prima di andarsene, Hermione si girò d’istinto verso l’ingresso. Alzò lo sguardo di poco e sbarrò gli occhi quando vide Pansy Parkinson farle “ciao ciao” con la manina e sorriderle.
Quella fu forse la cosa che la terrorizzò di più.




Il viaggio fu silenzioso, anche perché Hermione non sapeva proprio cosa dire.
Erano seduti entrambi vicini sui sedili posteriori e la ragazza faceva di tutto per non toccarlo.
“Guarda che non ti mordo.” – disse Draco, con lo sguardo fuori dal finestrino.
“Non vedo neanche il motivo per il quale dovrebbe farlo.”
Draco si girò di scatto per dirle che la sua era una battuta ma quando si accorse del sorrisetto divertito di Hermione, scosse il capo e sorrise pure lui.
“Sarà una buona esperienza per te.” – disse l’uomo.
“Non ne dubito, ma mi piacerebbe sapere cosa devo fare una volta arrivati.”
“Te lo spiegherò in aereo.”
Hermione annuì, anche se non capiva perché non volesse anticiparle qualcosa in taxi. Forse non voleva che il conducente ascoltasse? Boh? Prima o dopo non faceva differenza; l’importante era che lo facesse.




L’aeroporto di Gatwick era immenso e, naturalmente, affollato di gente.
Aveva viaggiato in parecchi posti, tutti vicini come la Francia, l’Olanda e anche in Italia, ma nessun aeroporto le piaceva come quello londinese. Il personale era cortese, i controlli rigidi ma giusti ma soprattutto c’era ordine. C’erano segnaletiche ovunque che indicavano ai turisti dove andare per raggiungere una certa destinazione o centri di assistenza per chi non riusciva a venire a capo di un problema. Anche gli addetti al fast-food erano gentili, anche a orari improponibili come quelli notturni.
Seguì Draco al check-in dove consegnò il proprio biglietto, ma non il suo.

“E quello della signora?” – chiese l’uomo.
“Purtroppo c’è stato un problema con il suo biglietto.”
Hermione lo guardò con gli occhi e la bocca spalancata. E glielo diceva adesso?!?!?
“Purtroppo non posso farla salire senza il biglietto.”
“Per cortesia, c’è una prenotazione a nome Hermione Jean Granger per New York, volo delle diciotto e ventisette, posto C1 First Class.”
L’uomo controllò e vide che sì, la prenotazione era stata fatta.
“Sì, la prenotazione c’è. In questo caso dovrebbe farsi fare una copia dal nostro Banco Assistenza laggiù in fondo. Poi torni qui per l’imbarco.”
“Può imbarcare la mia, intanto?” – chiese l’uomo.
“Certo, prego.”
La valigia salì sul nastro trasporatore e la pesata appurò che era nel limite consentito dalla legge.
Hermione era rimasta in disparte, tutta preoccupata per quel contrattempo.
“Andiamo. Facciano una copia e poi torniamo anche per te.”
“Certo che poteva anche dirmelo che c’erano problemi con il mio biglietto.” – disse.
Quel viaggio partiva decisamente male.
“Il problema si è risolto.” – disse Draco, tagliando corto.

Beh, non proprio risolto, pensò Hermione quando si rese conto di che razza di colonna ci fosse al Banco Assistenza. Alzò gli occhi al cielo e guardò Draco, spazientito pure lui per quel contrattempo.
“Senta, se vuole andare a sedersi rimango io qui.”
“Più che a sedermi, vado a vedere se si può aggirare l’ostacolo. Ci troviamo al bar laggiù, va bene?”
“D’accordo.”

Così Hermione si ritrovò a fare la colonna.
Quel genere di imprevisti, generano sempre una sorta di cameratismo tra turisti o viaggiatori. Hermione si girò e annuì vistosamente al commento di una signora che non credeva possibile un tale ritardo. Era lì perché aveva bisogno di sapere se al suo biglietto poteva essere cambiato l’orario e stava aspettando da ben due ore!
Poi da cosa nasce cosa e…
“Io sono qui perché ho la prenotazione ma non il biglietto.” – spiegò Hermione. – “Questa prenotazione non l’ho fatta io, ma una mia collega e non so perché non abbia ritirato il mio. Quello al ritiro dei bagagli mi ha detto di venire qui per farmi fare una copia autenticata, ma mi sembra che gli operatori si siano presi le ferie…” – commentò, mentre cercava di allungare il collo per vedere se erano tornati.
“Spero che tu non debba star qui come un baccalà per due ore…” – commentò la signora che, tra sé e sé, continuava a borbottare sull’inefficienza dei servizi aeroportuali britannici.
Hermione, intanto, stava iniziando a ricredersi pure lei su quanto aveva pensato all’entrata dell’aeroporto. Che avesse solo beccato il giorno sbagliato? Poteva essere…


I minuti intanto passavano e Hermione stava iniziando a spazientirsi.
Continuava a controllare l’orologio del cellulare fin quando non arrivò alla prima mezz’ora di attesa. Si disse che se fosse arrivata alla seconda, avrebbe preso il primo autoparlante e avrebbe stordito tutti con le sue urla.

“Niente.” – disse la voce di Draco dietro di lei. – “Purtroppo dobbiamo fare la copia… ma non è ancora arrivato nessuno?!?” – chiese, attonito, notando che il desk era ancora desolatamente vuoto.
Oltre a licenziare Pansy, le avrebbe messo in conto anche quel dannato imprevisto!
“No, e qui la gente inizia a spazientirsi!” – urlò, cercando di farsi sentire anche davanti.
Draco la strattonò per un braccio.
“Che diavolo urli?”
Hermione lo guardò indispettita ma la signora davanti a lei le andò in aiuto.
“La lasci urlare, giovanotto. Io ormai ho esaurito la voce.” – disse.
Draco sbuffò.
“Cristo…” – esalò l’uomo.

Quando controllò l’ora sul suo cellulare, Hermione era un peperone.
Alla fine era arrivata ad attendere un’ora.
“Ok, adesso mi sono rotta.” – disse la ragazza.
Draco stava dietro di lei, con le braccia incrociate al petto.
“Che stai facendo?” – chiese, mentre la vedeva allontanarsi dalla fila.
“Arrivo subito! E veda di difenderla a costo della sua vita!” – urlò, indicando la valigia.
A Draco parve davvero di essere stato catapultato in un universo parallelo. Ma che diavolo doveva fare per farsi mostrare un po’ di rispetto da quella donna?!


Intanto Hermione…
“Allora… direzione, direzione, direzione… ah, per di qua.”

Hermione si era veramente rotta.
Aveva lasciato Draco a fare la fila, cosa che un normale dipendente non avrebbe mai fatto ed era andata in cerca dell’ufficio del direttore o di chi aveva in gestione l’aeroporto per tirargli dietro un aereo di bestemmie.
C’era gente che doveva lavorare o peggio!, partire per le ferie e per colpa di alcuni lavativi lei e altre persone rischiavano di perdere il proprio volo! Oh, era cattiva come una bestia!
“Buon giorno, posso aiutarla?” – chiese una donna, dall’aria severa.
“Sì, cercavo il direttore dell’aeroporto o qualcuno al quale rivolgermi.”
“Di cosa si tratta?” – chiese la donna.
“Il Banco Assistenza è vuoto e c’è una colonna che ormai arriva al check-in. Forse sarebbe il caso di mettere qualcuno all’accoglienza.” – polemizzò.
La donna non aveva accettato per nulla quella stoccata. Aveva cose ben più importanti a cui pensare.
“Sono sicura che a breve arriverà qualcuno. Torni in fila.”
“Cos’è? Una veggente?” – chiese Hermione, infastidita dal fatto che non avesse nemmeno fatto finta di fare una chiamata per risolvere il problema.
“Senta signorina, lei non…”
Delle risate maschili attirarono l’attenzione delle due donne e Hermione si ritenne altamente baciata in bocca dalla fortuna nel sentire un uomo chiamare quello vestito con un completo grigio “direttore”.
“Mi scusi? Lei con il vestito grigio?”
L’inserviente dell’aeroporto sbarrò gli occhi e cercò di fermare quella ragazzina.
L’uomo, invece, si girò perplesso.
“Sì?”
“E’ lei che dirige l’aeroporto?” – chiese, senza tanti giri di parole.
“Sì, perché?”
“Direttore mi scusi. Stavo cercando di risolvere io il problema della signorina ma…”
“No, tu non stavi facendo un bel niente!” – l’aggredì Hermione, furente.
“Signore, signore per favore calmatevi. Grazie Mary, ci penso io. Prego, mi dica pure.”
Notando la sua gentilezza, Hermione si calmò.
“Al Banco Assistenza non c’è assistenza.” – ironizzò Hermione. – “Dovrebbe aprire alle due, ma sono le tre e non c’è nessuno a servire i clienti. Ci sono persone che stanno aspettando e alcune di loro sono anziane.” – chiarì.
Il direttore cercò di reprimere uno sbuffo.
“Signori, voi intanto accomodatevi pure. Io torno subito. Prego, venga con me.” – disse il direttore.
Hermione lo seguì, con la rabbia un po’ sbollita.


Quando Draco la vide arrivare in compagnia di un uomo, sollevò un sopracciglio.
E quello chi era?

“Signori buon giorno.” – salutò cortese. – “Sono il direttore dell’aeroporto…”
Draco sbarrò gli occhi e avvertì la mascella fare un volo di un metro e ottanta ma non riuscì a dire niente. Quella scriteriata aveva scomodato un direttore?!? Ohssignore!
“… sono davvero spiacente per la vostra attesa, ma vi assicuro che durerà ancora poco. Andrò personalmente a chiamare il personale e verrete serviti in men che non si dica.”
Vari “ooohh” di soddisfazione e malcelati “finalmente!” partirono dalla fila.
Infatti, come previsto dal direttore, due donne arrivarono nel giro di cinque minuti, accesero i computer e finalmente iniziarono a smaltire la ressa.

“Io davvero non ci credo!” – esclamò Draco, sbigottito.
Hermione avanzò di un passo.
“A cosa?” – chiese, più concentrata a preparare eventuali documenti di identità che ad ascoltare Draco.
“Sei andata nell’ufficio del direttore?!?”
“Tecnicamente lui era uscito, ma il concetto è quello.”
“Non puoi scomodare le persone per i tuoi comodi!” – sbottò Draco.
Dietro di lui una signora sollevò un sopracciglio. E meno male che quella ragazza lo aveva fatto o alle otto sarebbero stati ancora lì in fila!
Hermione si girò e si trattenne dal mandarlo a quel paese.
“Quindi lei mi sta dicendo che avrebbe preferito rimanersene in fila fino alle sei?”
“Certo che no ma…”
“E poi non ho scomodato le persone per i “miei” comodi. Il mio intervento ha aiutato tutti, alla fine. E se a nessuno è venuto in mente di andare a lamentarsi ai piani alti, non so cosa farci!” – pure il rimprovero doveva farle?!
Ma come diavolo era stato abituato?!?
“C’era un problema e l’ho risolto. Non mi sembra davvero il caso di rimproverarmi!”
“Buon giorno.” – salutò la donna, fintamente cordiale.
Era ovvio che era stata disturbata nei suoi compiti per coprire un posto che non era di sua competenza. Hermione, già infuriata per tutto quel tempo perso e per la falsità di quel saluto, diede sfoggio della sua innata eleganza.
“Buon giorno una sega.” – chiarì Hermione.
Draco e la donna alla reception sbarrarono gli occhi.
“Mi serve una copia del mio biglietto aereo. Prima di domani, magari.” – sintetizzò, mentre Draco voleva scavarsi una fossa con le proprie mani.
La tizia dietro il bancone non rispose perché, oltre al motto “il cliente ha sempre ragione”, era consapevole che una fila di un’ora avrebbe minato la pazienza anche ad un santo e perché la ragazza aveva il pieno diritto di arrabbiarsi per tutta quell’attesa.
“Il suo nome?”
“Hermione Jean Granger.”
“Volo?”
“New York.”
“In che classe?”
“First class.” – disse lei. – “Posto C1.”
“Ho una Hermione Granger, nata a…” – la donna ripeté i dati anagrafici di Hermione che annuiva, per accelerare il processo. – “… è corretto?”
“Sì.”
“Perfetto. Ora lo stampo.”
Come promesso, l’operatrice stampò la copia del biglietto e glielo porse con un sorriso.
Hermione lo ricambiò con uno talmente falso che l’operatrice smise di sorridere come una babbea.
Insieme a Draco, tornò al check-in, sempre più costernato da quel carro armato di donna.

“Ecco il biglietto.” – disse Hermione, schiaffandoglielo sul banco.
Prese la valigia e la scaraventò sul nastro trasportatore sotto lo sguardo mortificato di Draco e quello perplesso dell’operatore che iniziò a controllare i dati, appose le varie etichette su valigia e biglietto e poi consentì ai due di andare dove più preferivano.

“Vuoi qualcosa da bere?” – chiese Draco, già prostrato ancora prima di salire sull’aereo.
“Eh? No grazie.”
Draco invece si prese un caffè e se ne andò. Per il bisogno di caffeina nel sangue avrebbe mangiato direttamente i chicchi di caffè!
“Che si fa adesso?” – chiese Hermione.
“Sono le cinque. Se vuoi possiamo dirigerci alle uscite.” – propose lui.
“Sì, va bene.”









Calli-corner

Ed eccoci qua.
Finalmente fanno la loro entrata in scena mamma Narcissa e papà Lucius, che va a giocare a golf con Tiger Woods. Finita la cena, sequestra il figlio e Draco si sfoga con lui su Hermione e Lucius gli consiglia di non farsi scappare una tipa simile.


Forse non mi farà una bella pubblicità dirlo, ma giuro che io ho riso come una demente mentre scrivevo il pezzo sull’aeroporto.
Non so voi, ma io Hermione me la figuravo benissimo mentre ordinava a Draco di proteggerle la valigia – quale dipendente sano di mente tratterebbe in quel modo un datore di lavoro? – e andava alla ricerca del direttore.
Per non parlare poi di quando ha salutato l’hostess con quel regale “Buon giorno una sega” che lei si era meritato in pieno.
Io posso capire che quello non è il tuo lavoro, ma se per colpa della tua inefficienza io devo rischiare di perdere il mio volo, permetti che mi possano girare un po’?
Comunque Hermione ha appena dimostrato a Draco di non guardare in faccia nessuno, se si tratta di risolvere un problema. Chissà che il biondino non apra finalmente gli occhi.

Come al solito, sono aperta a qualsiasi tipo di recensione.
Vi lascio con lo spoiler!

“Draco Malfoy, certo.” – rispose la commessa. – “Una camera matrimoniale, giusto?”

A venerdì tessssssssssori!

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