Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Malvagiuo    18/10/2013    5 recensioni
Una strana maledizione si è impadronita di un remoto villaggio circondato da una foresta ancestrale: da anni, i bambini muoiono in preda a un male oscuro, di cui nessuno riesce a individuare la fonte. Un cavaliere raggiunge il villaggio, entrando in contatto con un’entità di cui diventerà preda egli stesso.
[Storia Vincitrice del Contest 'L'ANTIEROE' di Athenryl e Shayd]
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Per un istante, Mendrick fu assai indeciso su come reagire. Doveva mostrarsi allibito, o era meglio apparire sconvolti? Poteva permettersi di minimizzare le parole del cavaliere o addirittura ridicolizzarle? Quello che era certo era che l’unica emozione che non doveva lasciar trasparire era la sola che provasse davvero in quel momento: una paura che lo scuoteva fin nelle viscere. Alla fine, optò per l’incredulità mista a timore.
«Vi prendete gioco di me, spero! Non può esistere niente di così orrendo in un posto come questo! Porta sventura anche solo nominare un simile abominio.»
«Eppure, sono convinto di quello che dico.»
«Che prove avete?»
Il cavaliere sorrise.
«Per essere un monaco, vi affidate ben poco alla fede.»
Mendrick si morse la lingua, temendo di essersi tradito. Ma quando si avvide che il sorriso di Galwaire era volto a rassicurarlo, il suo cuore decelerò di qualche battito. Nonostante ciò, comprese di essere in grave pericolo.
«Se anche fosse vero, che cosa intendete fare al riguardo?»
Alla domanda, Galwaire si rattristò.
«Ora come ora, non posso fare nulla. Oggi stesso devo ripartire per raggiungere l’accampamento del re. I tempi di una guerra sono impossibili da prevedere: potrei non ripercorrere la via del ritorno per molti anni. C’è anche la possibilità che non torni affatto» sorrise mestamente. «Tutto quello che posso fare è mettervi in guardia: so quello che dico. Una presenza oscura si annida qui, da qualche parte. Trovatela e cancellerete il male che infesta la vostra terra.»
Mendrick stentava a credere alle proprie orecchie. Pareva proprio che il suo problema si stesse risolvendo da sé! Galwaire si era dimostrato perspicace a sufficienza da intuire la sua opera, ma le circostanze gli impedivano di fare alcunché per ostacolarlo. Il monaco dovette fare ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non spalancare la bocca in un ghigno famelico.
«Avete riferito a qualcun altro i vostri sospetti?»
«No, non preoccupatevi» disse Galwaire, con un tono di profonda comprensione. «So bene di non avere il diritto di allarmare questa gente, così come non spetta a me il compito di prendermene cura. Quel ruolo è stato affidato a voi, e so che siete un uomo in grado di svolgerlo al meglio. Lascerò che siate voi a occuparvi della faccenda, com’è giusto che sia.»
Di bene in meglio. Quel bellimbusto, per quanto perspicace, rimaneva uno sciocco che si lasciava abbindolare dalle apparenze.
 
Mendrick tornò a Forgruik, trattenendo a stento il senso di sollievo che lo pervadeva. Galwaire sarebbe scomparso dalla vita del villaggio quel giorno stesso, senza rendere necessario alcun intervento da parte sua.
La felicità di Mendrick subì un duro colpo non appena rimise piede nella capanna di Alben. Erano immobili, esattamente come li aveva lasciati. Ma negli occhi del vecchio e di sua moglie brillava una scintilla che non gli era mai capitato di vedere, prima di allora. Una fiamma era stata accesa nei cuori dei due, una pericolosa fiamma che Mendrick aveva fatto il possibile per mantenere agonizzante. Gli bastò uno sguardo per capire che il danno inflitto al suo sortilegio era troppo esteso per potervi rimediare facilmente. Era necessaria un’operazione ben architettata.
E per poterla compiere, Galwaire sarebbe dovuto rimanere a Forgruik.
 
Sul sentiero per l’abbazia, Mendrick abbandonò la strada per inoltrarsi nella foresta, non prima di essersi assicurato di non essere seguito. Procedette a lungo tra le fronde ripiegate verso il suolo e gli arbusti selvaggi. Raggiunse la grande pietra degli spiriti della foresta: un masso dall’estremità piatta, ricoperto di muschio come a formare un materasso, su cui era stato deposto il corpo dell’ultimo figlio di Aben. Mendrick lo afferrò e lo trascinò giù dalla pietra.
Il vecchio salice era a un miglio di distanza e il monaco si affrettò a raggiungerlo correndo. Al cospetto del maestoso albero, morto e rinsecchito da anni, strisciò nel fango al di sotto delle sue radici rialzate dal terreno,  spingendo il cadavere del bambino e intrufolandosi nel passaggio scavato nel suolo fangoso. Si lasciò scivolare nel condotto verticale, incurante delle radici e delle rocce viscide che lo circondavano, fino a ricadere nel sepolcro.
La sua casa era in pericolo. Non sarebbe sopravvissuto senza gli abitanti del villaggio, in particolare senza Aben ed Eby. Non era riuscito a impedire una contaminazione, ma ora doveva porvi rimedio. Non tutto era perduto, aveva solo bisogno di un po’ di fortuna e ogni cosa sarebbe tornata a posto.
Frugò a lungo nell’ampio spazio tra le pareti di roccia, finché non trovò quello che cercava. Si augurò che il piano funzionasse. Sarebbe stato molto amareggiato se fosse stato costretto ad abbandonare quel luogo. Trovarlo era stato una vera benedizione, dubitava che altrove si celasse un altro nascondiglio altrettanto comodo. Al buio individuò la vasca dell’idromele, percependo il profumo dolciastro e intenso del residuo secco. Ne avrebbe prodotto ancora, sì. Molto altro ancora. Per sempre.
Spogliò il bambino e lo gettò nella vasca vuota. Aggiunse il fazzoletto intriso del dolore di Aben. Immerse tutto nell’acqua e cominciò i preparativi per dissolverlo.
 
Era sera quando Galwaire salì in groppa a Grandivento, pronto al lungo viaggio verso Boswald.
Un nutrito gruppo di abitanti del villaggio si era sollevato dal proprio giaciglio di fango e si era raccolto intorno a lui, desideroso di osservarlo da vicino prima della partenza. Tramite Eby e Aben, le sue storie erano circolate di bocca in bocca a una velocità sorprendente, e in breve tutto il villaggio era venuto a conoscenza delle sue gesta.
Galwaire si augurò di poter tornare un giorno. Sentiva che quel posto aveva bisogno di lui, gli sguardi degli abitanti parevano supplicare il suo ritorno, anche se le loro bocche non osavano formulare quella richiesta.
Il tempo stringeva, doveva andarsene. Dopo un rapido cenno di saluto, voltò Grandivento e prese a cavalcare al piccolo trotto in direzione ovest.
Si era da poco lasciato alle spalle il villaggio quando la strada diventò accidentata, costringendolo a rallentare ulteriormente l’andatura. La strada serpeggiava tra due ali di foresta fitta e di un verde cupo. Alberi dai tronchi secchi e alti protendevano i loro rami verso quelli degli alberi dall’altro lato del sentiero, come a volersi ricongiungere dopo una separazione innaturale. Un denso strato di foglie ricopriva la via, coprendo pozzanghere e fanghiglia, celando eventuali pericoli alla vista. Galwaire si augurò di lasciarsi alle spalle quel tratto al più presto.
Mentre rimuginava sulla strada da percorrere, fu riportato bruscamente alla realtà da uno stridio metallico e da un nitrito straziante immediatamente successivo. Una furibonda impennata dell’animale per poco non lo disarcionò.
Non comprendendo il motivo di quell’improvvisa agitazione, Gal smontò agilmente per capire cosa fosse successo. Fu sufficiente un’occhiata alla zampa sinistra del destriero: Grandivento l’aveva poggiata su una trappola per volpi. Il morso della tagliola aveva lacerato in profondità la carne, lo zoccolo si stava già ricoprendo di sangue.
Galwaire afferrò le due mascelle della tagliola e aprì il morso, tagliandosi a sua volta. Grandivento estrasse immediatamente la zampa, ma al primo tentativo di appoggiare il peso su di essa incespicò e fu sul punto di cadere. Gal comprese che il cavallo sarebbe fuggito in preda al terrore se avesse potuto, ma la ferita glielo impediva. Continuò a nitrire, in preda al dolore.
Fin da quando aveva visto la zampa dell’animale incastrata nella trappola, Gal aveva ostinatamente respinto un pensiero inevitabile. Nell’ultima ora, quel pensiero aveva continuato ad assalirlo, come un esercito ostinato, e Gal ogni volta l’aveva allontanato, ma a ogni nuovo assalto era più difficile da ignorare.
Cominciò a piovere. Grandivento cominciò a sbuffare, sempre più spesso e più forte. Infine, si accasciò per terra e Galwaire non riuscì più a farlo rialzare. La zampa tremava. Gli occhi del destriero erano spalancati, lucidi, terrorizzati. All’ennesimo, infruttuoso tentativo di rimettere in sesto l’animale, Galwaire lasciò che quel pensiero, così insistentemente cacciato dalla propria testa, avesse il sopravvento.
Senza che ne fosse cosciente, la sua mano destra afferrò il pugnale allacciato alla cintola. La lama estratta produsse un bagliore che riverberò per meno di un istante, ma l’effetto fu quello di una notte rischiarata da un fulmine.
Galwaire svuotò la mente. Non sarebbe mai riuscito a farlo se un solo pensiero estraneo fosse rimasto a balenargli in testa. Strinse le dita intorno all’elsa del pugnale e lo sollevò. Le gocce di pioggia imperlarono la lucente superficie metallica, scorrendo fino alla punta e precipitando al suolo, come pioggia qualsiasi. Caddero venti gocce dalla punta della lama. La ventunesima non fece in tempo. Fu perduta, mescolata al sangue di Grandivento.
 
La gente del villaggio non si sarebbe mai aspettata di rivederlo così presto. Ancor meno, si sarebbe immaginata di vederlo tornare appiedato, con una sella in spalla e trascinando le redini lungo il selciato fangoso.
Mendrick preferì aspettare. Meglio non essere il primo uomo con cui il cavaliere avrebbe parlato. Il caso volle che fosse proprio Eby la prima persona con cui Galwaire venisse a contatto.
«Galwaire! Che cosa vi è successo?»
«Non osare chiamarmi per nome. Devo ricordarti che sono un cavaliere?»
Il gelo del tono sconcertò Eby. Quell’uomo era così diverso dal cavaliere cortese che aveva conosciuto poche ore prima. Ma forse, proprio perché quella conoscenza era stata così breve, era stata lei stessa a illudersi che la vera natura di Galwaire fosse quella di un uomo gentile. Un triste pensiero la colse all’improvviso: la gentilezza del cavaliere era stata solo un espediente per assicurarsi l’ospitalità e il cibo di cui aveva bisogno?
«Dov’è il vostro cavallo?»
Un lampo d’ira balenò negli occhi di Galwaire. Non proferì parola. Scaraventò la sella nel fango, lasciando scoperto l’oggetto che vi si nascondeva sotto.
«A chi appartiene questa?»
Eby osservò la tagliola per volpi che il cavaliere reggeva a mo’ di lanterna di fronte a sé. La riconobbe subito: era una trappola che suo marito aveva acquistato da un mercante anni prima, con la quale non era mai riuscito a catturare alcunché. L’aveva perduta da tempo, senza preoccuparsi troppo di ritrovarla. Eby non avrebbe potuto immaginare una circostanza peggiore in cui rivederla.
«Era di Aben...»
Galwaire la fulminò con lo sguardo.
«Tuo marito? Chiamalo.»
«È a casa. Vi faccio strada.»
«No. Non intendo rimettere piede in quella casa. Ho detto di chiamarlo. Ti consiglio di farlo.»
«Ma signore... piove a dirotto. Questo tempo non giova alla vostra salute, e tanto meno alla sua... abbiate cuore, io...»
Eby non poté concludere la frase. Galwaire l’afferrò per la collottola e strinse con vigore.
«Non voglio ripeterlo. Portamelo qui o lo trascinerò io stesso.»
La stretta si sciolse ed Eby corse verso la capanna, mescolando lacrime alla pioggia che le ricopriva le guance.
 
Aben avanzò a passi brevi nel fango sempre più melmoso del villaggio. Nonostante il diluvio, uomini e donne del villaggio erano fuori a osservare la scena. Galwaire non fece un passo nella sua direzione, aspettando pazientemente che giungesse al proprio cospetto.
«La riconosci?» domandò, sollevando la trappola di fronte al vecchio.
Aben annuì.
«Questa trappola ha azzoppato il mio cavallo. Forse sarà difficile da capire per un bifolco, ma a causa tua ho perso molto più di un fedele compagno. Grazie alla tua stupidità, ho perso il mio diritto alla battaglia. Questa guerra si combatterà senza di me, visto che non raggiungerò mai Boswald in tempo a piedi. Ti rendi conto che con un colpo solo mi hai fatto perdere il cavallo, la guerra e l’onore? Razza di idiota!»
Aben era pallido come un morto. Tremava come una foglia, investito dalla pioggia e dal vento. Cercava le parole per replicare, ma sapeva che ogni sua obiezione avrebbe fatto infuriare ancor di più Galwaire. Tuttavia, con voce flebile, accennò al proprio cavallo da soma, tentando di offrirlo come indennizzo.
«Un cavallo da guerra è un compagno per la vita. Credi che possa essere sostituito con un ronzino qualsiasi?»
Urlate le ultime parole in faccia a Aben, Gal levò con rabbia la mano che stringeva la tagliola e la sbatté con forza sulla faccia del contadino, che stramazzò a terra. Immerso nel fango, Aben subì una serie di calci allo stomaco, che gli fecero perdere i sensi. Eby era svenuta. Il resto degli abitanti del villaggio, atterriti, rimasero immobili. Quelli che potevano farlo si rintanarono in casa.
Galwaire avanzò, nel fango e nella pioggia, nella direzione da cui era arrivato quella mattina. Senza voltarsi, gridò un’ultima maledizione.
«E che il vostro demone vi porti alla dannazione!»
 
«L’avete visto? Era un mostro!»
«Ha quasi ucciso il vecchio Aben!»
«Questo è il mondo là fuori!»
«E se ne arrivassero altri come lui?»
«I cavalieri devono essere tutti così: nobili quando hanno bisogno d’aiuto, ma bruti appena ne hanno l’occasione.»
Mendrick si godette ognuna di quelle esternazioni, che sembravano non avere mai fine. L’intero villaggio era rimasto sconvolto dalla reazione di Gal. A dire il vero, le cose erano andate persino meglio di quanto sperasse. L’opera che Galwaire aveva inconsapevolmente avviato a Forgruik era stata spazzata via da lui stesso, grazie a quell’accesso di furia.
Aben non sarebbe morto: gliel’avrebbe impedito a ogni costo. Il vecchio contadino non aveva certo un bell’aspetto, disteso nel letto della propria capanna. Aveva riportato brutte ferite, ma nessuna mortale. La ferita più profonda non era certo visibile per le persone comuni, ma Mendrick non aveva difficoltà a scorgerla. Era meravigliosa. Forse, la venuta di Galwaire era stata addirittura una benedizione. Niente può infrangere una speranza meglio della speranza stessa.
Chino a medicare le ferite di Aben, Mendrick si voltò a osservare Eby: gli occhi erano incavati, il colorito terreo, lo sguardo assente. Aveva pianto a lungo, ma le lacrime ora erano esaurite. Un celestiale vuoto riempiva i suoi occhi. Per la prima volta dopo tanto tempo, la cara Eby era diventata una preda più interessante di Aben.
«Mi addolora quello che è successo, figliola.»
Eby volse lentamente il capo verso di lui. Era come se fosse stata richiamata da una voce lontana, che non apparteneva al suo mondo.
«Abbiamo ancora voi, almeno. Vero, padre? Vero?»
Mendrick estrasse la fiaschetta di idromele e la porse a Eby.
«Bevi. Starai meglio.»
Eby obbedì, ormai priva di volontà.
Mendrick osservò ancora una volta la magnificenza della propria opera. Nutrire le persone con il loro stesso dolore era qualcosa di sublime. Se solo la povera Eby avesse avuto una vaga idea della ricetta di quell’idromele! Dopo che la donna ebbe trangugiato un’abbondante sorsata, Mendrick si affrettò a ricavare l’ingrediente essenziale del proprio capolavoro.
Dalla bisaccia fuoriuscirono un fazzoletto e una boccetta blu. Il contenuto oleoso della boccetta fu riversato in piccole dosi sul fazzoletto, che Mendrick non ebbe difficoltà ad applicare sul volto distrutto di Eby. Con un secondo fazzoletto, effettuò la stessa operazione anche su Aben. Aveva di nuovo ingredienti di prima qualità per produrre altro idromele.
Idromele!
Mendrick sghignazzò tra sé. In tutti quegli anni l’aveva somministrato così tante volte a tutti gli abitanti del villaggio spacciandolo per idromele, da convincersi lui stesso che lo fosse per davvero!
L’Elisir di Lunga Vita spacciato per idromele! Ah!
Sorrise apertamente. Eby ormai non lo considerava più, di nuovo persa nella sua spirale di agonia.
Presto, lei e il caro Aben avrebbero sfornato un altro figlioletto, che entro breve avrebbe goduto della compagnia degli ‘spiriti della foresta’ e di centinaia di bambini che l’avevano preceduto.
Galwaire aveva quasi rovinato quell’idillio. Quasi. Ma non si sopravvive per cinquecento anni senza un’innata capacità di far fronte a tutte le situazioni.
Mendrick si compiacque di se stesso.
Quello era il suo raccolto, e nessuno poteva depredare i frutti che gli appartenevano. 
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Malvagiuo