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Autore: Uzumaki94    09/04/2008    3 recensioni
La storia di un giovane Zetsu, un viaggio all'indietro nel tempo fra le sue amicizie e i primi amori.
Il titolo è a libera interpretazione. xP
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Zetsu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Ciao gente!! Mammamia, quanto ci ho messo a buttar giù questo capitolo, che non mi piace neanche tanto! Scusatemi, dopo tutto questo ritardo non pubblico nemmeno un capitolo soddisfacente ç_ç” prendetelo come un chapter di transizione… spero che il prossimo risulti più avvincente ç_ç” come al solito ringrazio tuttissimi! ^^ alla prossima!]

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“Bip… bip… bip…”

Ripresi lentamente coscienza, mentre un suono elettrico rimbombava nelle mie orecchie.

- Così questo è quello che ha riportato le ferite meno gravi, eh? –

In lontananza sentii la voce di una ragazza, probabilmente un’infermiera, che confabulava con un’altra. Decisi di non dare a vedere subito che mi ero svegliato, volevo sapere cosa era successo…

- Già… - rispose un’altra voce femminile – Tra l’altro assieme alla ragazza in rianimazione… sembrerebbe che siano sopravvissuti solo loro due, vero? –

- Sì, sì, proprio così… sai, sono stati trovati i corpi di altre persone… tre adulti e un ragazzo… ovviamente morti… -

Spalancai gli occhi, alzandomi di scatto.

- COSA?! – urlai – CHI È MORTO? CHI È IN RIANIMAZIONE?! –

Le due infermiere corsero verso di me, l’una da un lato e l’altra dall’altro, cerando di fermarmi.

- Calmati! Calmati! – disse una di loro, spingendomi con forza contro il lettino – ti spiegherà tutto il medico, quando arriverà! –

Io cercai di mantenere la calma, ma ero nervoso! Nervosissimo!

In quell’istante entrò un uomo, e si avvicinò al lettino.

- Ragazze, potete andare, ci penso io –

Le due infermiere si inchinarono rapidamente, con educazione, quindi uscirono entrambe dalla stanzina.

- Cos’è successo? Voglio sapere cos’è successo! Dimmelo! –

- Calma, calma – mi disse – Innanzitutto, sappi che sei stato fortunato. A parte qualche ferita superficiale non ti sei fatto granché – mi disse.

- Non mi importa cos’è successo a me! Dove sono i miei compagni di squadra? E il mio Sensei? – domandai, al colmo della tensione.

L’uomo prese fiato e si sedette su uno sgabello poco lontano da me.

- Ragazzo, avrai sentito che ci sono stati solo due sopravvissuti. – disse. Io annuii. Ero già disperato.

- Uno sei tu. L’altro… anzi l’altra, è una ragazza dai capelli verdi. Poco fa era in sala rianimazione, ma ora è fuori pericolo. – fece una lunga pausa - Per quello che riguarda gli altri… non ce l’ha fatta nessuno. –

Non sapevo se rallegrarmi o piangere. Midori era salva, stava bene… ma Numero tre… il Sensei… erano entrambi morti… sotto le macerie…

Mi lasciai cadere sul lettino, in uno stato pressoché comatoso.

- Che è successo… che è successo esattamente a Midori? Come sta adesso? – riuscii a chiedere.

- Midori è il nome della ragazzina? Se è lei… beh… come ti ho detto poco fa, non è più in pericolo di vita, però… -

- Però cosa?! – chiesi

- Il fatto grave è che ha perso quasi totalmente l’uso del braccio destro. Non dico che non potrà più muoverlo, ma… non riuscirà neanche a compicciare molto. – si schiarì la voce – E non potrà maneggiare nessun tipo di… arma… - concluse

Il mondo mi crollò addosso.

Perché?! Perché solo io non mi ero fatto nulla?! Perché Midori non avrebbe più potuto utilizzare il suo punto di forza, l’arco?

- Credo che sia meglio che io ora ti lasci da solo… - mi disse il medico, uscendo dalla stanza e chiudendo, piano piano, la porta.

Io mi misi a sedere sul lettino. Sentivo una specie di rancore verso me stesso crescermi dentro, una rabbia profonda, una sensazione stranissima, mai provata prima.

Avvertii delle lacrime bollenti corrermi lungo il viso. No… non ero riuscito a proteggere le uniche persone che, in un certo senso, avevano contribuito a riempire la mia vita.

Mi alzai lentamente, sistemai il lettino, quindi mi fermai al centro della stanza e…

Cominciai ad urlare. Fu un grido lungo e disperato, e nessuno fu capace di fermarmi. Le infermiere accorsero, provarono ad iniettarmi sedativi, ma glielo impedivo. Sentivo un forte risentimento crescere dentro me… odio, odio profondo verso gli altri… un sentimento di repulsione tenuto nascosto per troppo, troppo tempo, aveva bisogno di uscire. Non riuscivo più a ragionare: un’altra parte di me prese il sopravvento, una parte vogliosa di sangue e di distruzione.

Solo dopo che ferii molto gravemente ben dieci lavoratori in quell’ospedale riuscii a placare la mia ira. Cosa avevo fatto? Che mi era preso? L’altra parte di me non riusciva a capire.

Scappai dall’edificio e mi diressi verso il nascondiglio mio e di Midori. Avevo bisogno di riflettere, e di stare da solo…

Dopo qualche giorno, sentii la porta aprirsi. Era lei… Midori, che era stata dimessa dall’ospedale.

- Zetsu… - mi disse, con una voce ancora stanca – … cosa hai fatto all’ospedale? Mi hanno detto tutto, sai, il massacro… è stato fatto dalla tua mano… - sussurrò, avvicinandosi a me.

Mi alzai: - No! Non è vero, non sono stato io, è stato… - la mia bocca cominciò a dire cose diverse da quelle che il cervello dettava… e soprattutto non stava parlando la mia voce! – … io

- Cosa cavolo… ?– domandò lei, quasi spaventata.

- Midori, non so cosa mi sta prendendo, dal salvataggio fallito… – di nuovo la bocca cominciò ad andare per conto suo – mi sono sentito rinascere, sai, per troppo tempo questo mio lato è rimasto nascosto… - riuscii a riprendere il controllo – e sono riuscita a mascherarlo grazie a te, Midori.

Midori non sapeva se scappare o rimanere. La vedevo, era profondamente intimorita, ma anche interessata.

- E come mai… ti sei risvegliato… ? – domandò, timorosa.

- Ero furioso con me stesso in quanto sono rimasto illeso mentre voi siete feriti o deceduti… la rabbia verso il sottoscritto m’ha permesso di liberarmi –

- E perché ti sei arrabbiato così tanto? – continuò lei

- Il fatto è che la rabbia è scattata quando… - dissi, facendo attenzione a lasciar parlare sempre e solo me - … quando ho scoperto che avevi perso l’uso del braccio destro, Midori. –

Lei mi si avvicinò ancora di più. Quindi, con una stretta piuttosto debole, mi abbracciò.

- Tu non hai colpa di niente, Zetsu. Non è affatto colpa tua se non potrò più utilizzare il mio arco. Non c’è motivo che tu ti accanisca così contro te stesso, e sappi che non lo dico come consolazione – respirò profondamente – lo dico come una verità assoluta. -

In qualche modo, quelle parole, mi rimisero al mondo. Sentii il rancore sciogliersi dentro me come la neve al sole, ma sapevo anche che non ero più lo stesso Zetsu di una volta. Ora c’era una specie di entità malvagia che viveva nel mio stesso corpo e anche se, effettivamente, c’era sempre stata, in quel momento capii che aspettava ogni momento di debolezza o di rabbia per scatenarsi. Mi aveva sempre seguito, giorno dopo giorno, e probabilmente aveva assistito in silenzio alla mia vita, attendendo l’istante in cui si sarebbe potuto mostrare al mondo. Ero molto spaventato di questo fatto.

In ogni modo, da quel giorno, io e Midori continuammo a vederci. Nonostante noi ormai non fossimo più un team, e soprattutto nonostante i nostri problemi, io morali, lei fisici, provammo a tornare come prima, una coppia di adolescenti amanti del divertimento. Per quanto fosse difficile, secondo lei ce l’avevamo fatta. Secondo me invece per niente, ma non volevo che lei capisse che io pensassi questo.

Oltretutto, il nostro rapporto… si era allentato, soprattutto da parte sua. Non eravamo più così uniti come un tempo… Midori non si fidava più di me, cercava in tutti i modi di non farmi arrabbiare e questo ormai era diventato qualcosa di insopportabile… non riuscivamo più a divertirci, ed era tutta colpa mia.

Tuttavia, ogni volta che stavo per esplodere, l’amicizia e… sì, insomma, anche il grande amore che provavo per lei… mi riportavano alla normalità, ma sentivo che la cosa che mi avrebbe fatto tornare l’individuo che non volevo era proprio lì, in agguato, dietro ad un angolo.

… e questa “cosa” arrivò proprio poco dopo, heh?

Già… quella maledetta carestia…

  
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