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Autore: RainbowCar    18/10/2013    1 recensioni
FF iniziata quando DAI non era ancora stato rilasciato. In questa storia gli eventi di Inquisition non sono mai accaduti: ho scelto di immaginare i miei eroi e le loro storie; personaggi nuovi che inevitabilmente incontrano quelli di DA:O e DA2.
"Era tutto perfetto. Mio padre e mia madre si abbracciavano sorridenti mentre mi guardavano giocare col mio fratellino. Il sole splendeva alto nel cielo e il lago Celestine luccicava come uno zaffiro. C’erano uccelli e cerbiatti, e nug. E c‘era un drago. Un drago enorme, mostruoso. Era venuto per uccidere."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Custode, Hawke, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“Come fai a sapere queste cose?”
“Sono una veggente… è mio compito sapere certe cose”
La donna si avvicinò sinuosa all’orlesiano, facendo ondeggiare i suoi fianchi con grazia.
“Sei innamorato di lei, vero?”
Deleric respinse quelle insinuazioni con fin troppa decisione.
“Ti sbagli, e comunque non sono affari che ti riguardano, dimmi solo come possiamo sfuggire all’agguato”
“Vi aiuterò a respingerli, portami all’accampamento”
“E in cambio? Cosa vorresti?”
“Venire con voi. Siamo diretti verso la stessa destinazione”.
La maga voleva dunque unirsi al gruppo.
“Perché mai? Se sei in grado di aiutarci, sarai in grado di viaggiare da sola, di difenderti da sola”
“I tuoi dubbi sono giustificati, ma le strade che portano a Denerim sono pericolose per una donna sola, nonostante i miei poteri. Non posso sempre controllare le mie previsioni, potrei essere colta di sorpresa anch’ io come tutti voi”
Il suo interlocutore sembrava titubante.
“Se vi ho visto nella mia visione”aggiunse mostrandosi completamente sincera, “ci sarà di sicuro un motivo, non mi succede di averne per caso. E confesso che sono curiosa di scoprire quale sia”
La donna sorrise, guardando il ragazzo negli occhi, sicura di sé.
“Ma adesso dobbiamo andare” continuò, “non abbiamo più molto tempo, i templari stanno arrivando”
 
 
Ormai non sembravamo avere più una via d’uscita. Erano in troppi. Certo, eravamo riusciti sopraffarne alcuni, ma ne rimaneva un numero consistente. Vedere i miei incantesimi per loro fu la conferma definitiva che eravamo io e Altelha le fuggitive ricercate. Beh, avevano ragione solo in parte.
Difatti uno di loro si chiese dove fosse l’eretico che era scappato con noi, e un altro gli rispose che glielo avremmo confessato volentieri una volta catturate. Perfetto. Ci avrebbero anche torturate. Ma non me ne sarei stata lì con le mani in mano, avrei combattuto fino alla fine.
Non ero certo una che si lasciava scoraggiare da un numero maggiore di nemici, eppure in quel momento qualcosa in me mi fece desiderare, implorare forse, che arrivasse qualcuno a toglierci dai guai. Sapevo che mia madre ci osservava, ma allora perché non interveniva? Possibile che mi fossi sbagliata? Possibile che avesse deciso di starsene a guardare? Mi avrebbe fatta catturare dai templari? No, piuttosto mi avrebbe uccisa con le sue mani, ne ero certa. Forse voleva solo vedere fino a che punto sarei arrivata con le mie sole forze. Forse era quello.
Ma io non temevo solo per me stessa. Altelha rischiava grosso, e con lei Gulliack, che non avrebbe permesso a nessuno di farle del male a costo della vita. E Feron… il ragazzo che era stato pronto a sacrificarsi per me, una sconosciuta, pur di farmi uscire dall’oblio. Il ragazzo che ancora una volta era lì e cercava di proteggermi con tutte le sue forze. Più di una volta si era messo tra me e i nostri assalitori. Non capivo perché fosse così avventato, così sciocco.
Proprio cercando di difendermi un fendente lo raggiunse in un fianco, provocandogli una ferita piuttosto seria.
“Andraste, scappa!” mi urlò, accasciandosi a terra. “Vai via da qui, se ti catturano ti uccideranno!”
Altelha e Gulliack in qualche modo erano riusciti ad allontanarsi dalla battaglia, avevano la possibilità di mettersi in salvo, ma nonostante ciò si erano fermati come a volermi aspettare.
Avrei dovuto abbandonare Feron al suo destino per fuggire dai templari?
Mi tornò in mente quel ragazzino che abbandonai a Val Royeaux, quel ragazzino ferito. Non potevo farlo di nuovo, non potevo ancora una volta convivere con lo stesso rimorso. Sapevo che ciò che contava era solo la mia sopravvivenza, mi era stato insegnato sin da piccola: sopravvivere, a qualunque costo. Tuttavia mi precipitai ad aiutare Feron. D’istinto corsi accanto a lui e lo presi tra le braccia.
“Non ti lascio qui, posso guarirti e lo farò”
Ignorai le sue proteste e poggiai la mia mano sullo squarcio, affondandola nel suo sangue.
Ne aveva perso molto, era estremamente pallido, non ero abituata a vederlo in quello stato. Era a un passo dalla morte eppure continuava a dirmi di lasciarlo lì, di mettermi in salvo. Poggiò la sua mano sulla mia. Poi smise di ribellarsi. Lo sguardo si perse nel vuoto. Chiuse gli occhi.
Se n’era andato? Non potevo permetterlo.
“Feron!” lo chiamai. Ma lui non mi sentiva più.
Intensificai la potenza dell’incantesimo di guarigione, intenzionata a fare di tutto per riportalo indietro.
“Feron, rispondimi!”
Sentii una strana sensazione. I miei occhi… i miei occhi si erano annebbiati. Li sentivo gonfi, mi bruciavano. Poi scivolò qualcosa sulle mie guance.
Perché ancora una volta Feron aveva preferito sacrificarsi per me? Perché era così dannatamente altruista dietro a quella sua aria strafottente?
“Torna da me…” sussurrai, ormai priva di energie. L’incantesimo si stava affievolendo. Ero completamente spossata. Feron non accennava a riprendersi.
La mia mente vagò tra mille pensieri.
Perché Feron era rimasto al mio fianco? Avrebbe potuto fare come Deleric, sparire nel nulla e lasciarsi tutto alle spalle…
E perché Deleric ci aveva abbandonati? Perché ci aveva addirittura denunciati?  
La risposta alle mie domande non si fece attendere molto.
 
Non feci caso alla spada che stava per affondare nel mio collo. Era successo tutto così in fretta che non mi resi conto di essere ancora in pericolo. Forse non mi importava. Tenevo Feron stretto a me. Non avevo più la forza per continuare con l’incantesimo. E probabilmente sarebbe stato comunque inutile. La ferita sembrava guarita ma… dalla morte non si può guarire, nemmeno con la magia. Avrei potuto usare la magia del sangue, ma ne avrei fatto uno zombie; il ragazzo che conoscevo non sarebbe più tornato.
Il templare alzò le braccia impugnando la sua arma. Probabilmente mi avrebbe uccisa sul posto senza nemmeno interrogarmi. Per fortuna non ebbi modo di saperlo.
Sentii appena Altelha che mi urlava di stare attenta, quando, alzando lo sguardo, notai il mio aggressore crollare davanti a me, folgorato da un incantesimo.
Magia? Ma chi poteva essere stato?
“Madre?” mormorai.
Mi voltai e vidi Deleric avanzare accompagnato da una donna. Quella non era mia madre. Non sapevo chi fosse, ma evidentemente era un’eretica come me.
Si lanciarono nella battaglia. La maga era davvero molto potente e contribuì significativamente ad abbattere i nemici. Rincuorati, anche l’elfa e il nano trovarono il coraggio di ricominciare a combattere.
Ero come intontita. Deleric era tornato. Forse non ci aveva traditi, forse era solo andato a cercare aiuto? Ma come faceva a sapere che sarebbero arrivati i templari? Perché non ci aveva avvertiti?
“Stai bene?” Mi chiese mentre schivava i colpi avversari.
Ero incapace di rispondere. Osservavi lui, osservai la maga, Gulliack, Altelha. Osservai Feron, inerte, col viso bagnato dalle mie lacrime.
Avrei dovuto rispondere che stavo bene, ma nessun suono uscì dalle mie labbra. Perché ero così sconvolta?
Non riuscivo a staccare gli occhi da quel volto cereo.
All’improvviso mi sentii afferrare. Una mano si era posata sulla mia spalla e mi stava scuotendo.
“Andraste, sei ferita?”
Deleric era riuscito a raggiungermi. Guardò me e poi guardò Feron, io ricambiai il suo sguardo.
L’espressione del guerriero sembrava mostrare profondo rammarico. Anche lui era dispiaciuto per Feron, ne ero convinta. In quel momento capii. No, non poteva essere stato lui a tradirci. C’era sicuramente una spiegazione a tutto quello che era successo.
Ricaccia indietro le lacrime. Non ero abituata  a versarne, non riuscivo nemmeno a ricordare l’ultima volta che avevo pianto. Non potevo lasciarmi andare, la situazione stava volgendo a nostro favore, dovevo dare il mio contributo. Lasciai il corpo che stringevo adagiandolo a terra con delicatezza, poi mi alzai, decisa a porre fine a tutto ciò.
“So bene Deleric. Adesso pensiamo a eliminare i nostri nemici”
 
Detto fatto. Non ci volle molto per abbatterli tutti. Ero arrabbiata, furiosa. Ero passata dall’essere catatonica all’essere implacabile. Combattei con una collera mai provata prima, trovando forze dentro di me che non credevo di possedere. Mi trasformai in un ragno gigante e feci letteralmente a pezzi alcuni templari. Non meritavano di meno. Poi individuai quello che aveva colpito Feron.
Non dimenticherò mai quella faccia. Quegli occhi terrorizzati di fronte a una bestia che non si aspettava di vedere e che non avrebbe mai avuto la possibilità di battere.
Mi accanii su di lui. Riacquistai la mia forma umana quando ormai il suo corpo era a brandelli, ma non mi fermai. Continuai ad infierire, ancora e ancora, dilaniandone la carne con le mani nude, in una sorta di stato di trance. Urlavo e colpivo, incapace di smettere.
Qualcuno dovette riportarmi alla realtà. Deleric mi trascinò di peso lontano da quel corpo straziato, nonostante mi opponessi e scalciassi con tutte le mie forze. Il ragazzo tentò di calmarmi. Mi abbracciò, mi strinse, poi mi accarezzò i capelli dicendomi che era tutto finito, che avevamo vinto, che non eravamo più in pericolo. Continuò a rassicurarmi, mentre finalmente riacquistavo lucidità e mi rendevo conto di quello che avevo appena fatto.
Non potevo credere di aver perso in quel modo la ragione. Che mi era successo? Non mi era mai capitata una cosa del genere. Di sicuro il templare se lo era meritato, ma tutta quella violenza ingiustificata… non era da me. Non ero io quella, non ero io a controllare il mio corpo, ero come posseduta. I miei compagni mi avevano vista in quello stato che nemmeno io sapevo spiegare. Forse era stata la morte di Feron a spingermi fino al limite. Feron era morto e io non avevo potuto salvarlo, non avevo potuto fare niente, tranne che vendicare la sua morte nel modo peggiore possibile…
Le braccia che mi cingevano erano calde. Notai la differenza con quelle di Feron che avevo stretto poco prima. La presa si allentò, mi ero calmata, non c’era più bisogno di trattenermi.
Mi staccai da Deleric. Eravamo entrambi sporchi di sangue. Probabilmente in maggioranza era dei templari, eppure sapevo che su di me non c’era solo sangue nemico, ma anche quello di un amico. Guardai la mano che avevo usato per guarirlo, la stessa mano che poi l’aveva vendicato. Non riuscivo ancora ad accettare la cosa ma trovai la forza per parlare.
“Io… vi chiedo scusa. Ho… ho passato ogni limite”
Abbassai lo sguardo, mortificata.
“Ma adesso sto bene. Mi sono… mi sono ripresa”
Scostai i capelli dal viso. Mi ricadevano scompigliati sulla faccia e sulle spalle.
Deleric sembrava molto preoccupato. Lo ignorai. Non avevo voglia di dare o sentire spiegazioni in quel momento.
“Andraste…”
Una voce richiamò la mia attenzione.
“Andraste, vieni qui”
Altelha mi stava chiamando.
Mi diressi verso di lei, che si era inginocchiata accanto a Feron, insieme alla maga sconosciuta.
Mi inginocchiai anch’io vicino a loro, sotto lo sguardo incredulo di Gulliack e Deleric.
“Andraste…” continuò l’elfa indicandomi Feron, “guarda… respira!”
 
*************
 
Hawke rimase appostata nell’ombra finchè la persona che era assieme ad Anders non abbandonò l’edificio. Aveva ascoltato per un po’ la conversazione, poi un gattino dal pelo tigrato aveva cominciato a strofinarsi sulle sue gambe e a fare le fusa. Non voleva rischiare di essere scoperta. Accarezzò il micio, poi si allontanò in fretta, nascondendosi tra gli alberi.
Anders stava parlando di lei. Dapprima di quando avevano aiutato un mago un po’ imbranato ad abbandonare Kirkwall. Emile, si chiamava. Un mago fuggito dal circolo che voleva disperatamente combinare qualcosa con una ragazza.
 Aveva riso, ricordando come la sua ospite avesse rifiutato l’invito di Hawke ad esaudire quel desiderio.
“Era troppo anche per me” aveva affermato Isabela. “Sono buona col prossimo, ma non fino a questo punto”.
E così Isabela stava bene e sapeva dove trovare Anders. Magari non era la prima volta che andava da lui.
Hawke non aveva saputo più nulla di Isabela da quando si erano salutate prima della partenza per il Ferelden. La piratessa era salpata a bordo della sua nave, verso nuove avventure, mentre lei sarebbe andata via per sempre dai Liberi Confini insieme a Fenris.
Chissà come se l’era passata in tutti quegli anni. Di sicuro ne aveva di storie da raccontare. E forse di tanto in tanto veniva a raccontarle ad Anders, che ormai non aveva più avventure sue da condividere.
“Ricordi com’era bella quella sera, all’Impiccato, quando ci riunimmo per festeggiare la vittoria contro l’Arishok?” aveva sentito dire poco prima, con la voce musicale di Anders, di cui adorava i toni armoniosi.
“E’ vero. Hawke è sempre stata molto bella. Pensa che anche io ci avevo fatto un pensierino una volta”
Hawke aveva sorriso ascoltando quel commento, riuscendo a stento a trattenere una risata.
Isabela era sempre stata molto schietta. Non aveva peli sulla lingua e diceva sempre con chiarezza quello che pensava. Proprio per questo era apprezzata e rispettata da tutti i membri del gruppo (a parte alcuni banali screzi con Aveline), nonostante spesso quello che pensava avrebbe fatto arrossire una cortigiana.
“Lo so, lo so. Ti ricordo che non sei esattamente una donna discreta” l’aveva canzonata Anders, scherzando.
“Senti chi parla, ma se non facevi altro che struggerti per lei, giorno e notte! Quando venivo a trovarti alla clinica ti trovavo sempre con aria trasognata e dalla tua bocca uscivano sospironi grossi come la mia nave”
Isabela aveva la risposta pronta. “Inoltre ti ricordo che tutti sapevano della tua enorme cotta, persino Hawke. E Fenris. Forse per questo ti odiava così tanto”
Quella di Isabela voleva essere una battuta ma aveva ottenuto l’effetto contrario. Era seguito un silenzio, interrotto poi da parole appena sussurrate.
“Diceva di odiare i maghi… Ma Hawke non si può odiare. Si può solo amare”
Un sospiro.
“Non posso biasimarlo”
In quel momento una palla di pelo aveva deciso di strusciarsi sui suoi stivali, impedendo alle lacrime di Hawke di sgorgare.
 
 
“E così ti sei decisa a venire a trovarlo?”
Isabela l’aveva scovata, sebbene avesse tentato di nascondersi bene.
“Ti sei accorta che vi stavo spiando?” chiese Hawke, meravigliata.
“Ho un udito molto fine, dovresti saperlo” rispose facendo spallucce.
Isabela le stampò un bacio sulle labbra per salutarla.
La maga abbracciò la sua amica. Non si vedevano da anni. Doveva ammetterlo, le era mancata.
 “Mi sei mancata anche tu” disse la ladra quasi leggendole nel pensiero. “Però adesso smetti di stringermi altrimenti penserò che tu abbia cambiato gusti”
Hawke rise assieme a lei, notando ancora una volta che non era affatto cambiata.
Poi d’un tratto il discorso tornò serio.
“Perché non vai da lui?” le chiese la donna dalla pelle ambrata. “E molto triste… e solo. Lui… sta per morire”
Quelle parole penetrarono nel suo cuore come lame affilate.
“Non so nemmeno perché sono qui. Volevo andare da lui, ma non so darmi una motivazione valida…”
“Hai bisogno di un motivo? Non puoi semplicemente seguire il tuo istinto?”
Hawke sospirò.
“L’istinto mi ha portata fin qui. Ma adesso? Che dovrei fare? Presentarmi da lui e dirgli: ‘Ehi ciao, scusa se ti ho snobbato anni fa pur sapendo che avevi bisogno di me, ma eccomi qui, facciamo pace?’. No, non funziona così”
“E perché no? Chi decide che non funziona così?”
La campionessa di Kirkwall non seppe rispondere a quella domanda, l’aveva colta alla sprovvista. Avrebbe dovuto aspettarselo da Isabela.
“Senti, è chiaro che ti senti in colpa. E che essere qui e parlare con lui non ti laverà la coscienza”
Isabela aveva centrato il punto. “ Ma forse potresti fargli quest’ultimo favore. Forse se ne andrebbe più serenamente…”
Hawke ripensò alla lettera che lui gli aveva mandato.
“Non sono sicura che vedermi potrebbe essere un bene per lui… e se gli facesse solo del male?”
“Quindi hai paura? E’ quella a frenarti? Hai paura che ti rinfacci la sua situazione e ti accusi di averlo abbandonato?”
“No… sinceramente so che me lo meriterei. Anzi, mi farebbe persino piacere se lui potesse sfogarsi in questo modo. Ma so che non accadrebbe. Lo conosci… lui...”
Isabela annuì.
“Lui non ti incolpa di nulla. Ritiene di essere l’unico responsabile del suo destino”
“Per questo non posso. Non posso andare da lui solo per… pietà. Non sarebbe giusto. Non posso trattarlo in questo modo, non posso fargli anche questo”
“Lo capisco” la rassicurò la rivainiana.  “Eppure sei venuta qui. Hai sentito il bisogno, dopo tutto questo tempo, di avere un contatto con lui. Tu gli vuoi bene, è chiaro, e proprio per questo vuoi evitargli di rivivere ancora una volta la vostra separazione”
Isabela era una donna all’apparenza frivola. In realtà era molto saggia. Non aveva avuto una vita facile e aveva avuto a che fare con tutti i tipi di persone. Aveva acquisito una certa esperienza e una certa empatia. Era brava a capire gli altri e ad aiutarli a vedere meglio dentro di loro.
La sua conclusione era esattamente quello che Hawke stava provando ma era incapace di esprimere con le parole. Le aveva reso tutto chiaro.
 
Le due donne passeggiarono assieme per un po’. Si raccontarono parte delle proprie vite, a cominciare dal giorno dopo il loro addio. Hawke le disse dove si trovava casa sua, invitandola a venire a trovarla.
“Come mai sei sparita?” le chiese poi.
In fondo vedeva Aveline e Varric abbastanza spesso, ma di Isabela e Merrill aveva perso le tracce. L’elfa era partita con la piratessa, ma poi si erano separate.
La rivainiana in seguito, in uno dei suoi viaggi sulle rive fereldiane, aveva conosciuto un ragazzo giovane e prestante che era stato il suo amante per un po’. Questo ragazzo conosceva Anders molto bene e l’aveva portata da lui quando, per caso, aveva saputo che lei era la stessa Isabela di cui parlava spesso il suo amico. Aveva saputo da Anders che Varric stava bene e che Hawke e Fenris erano da qualche parte ai confini occidentali del Ferelden.
“Sarei voluta venire a trovarti, ma l’ultima volta che sono venuta da Anders, non sapeva esattamente dove abitassi”
Evidentemente Varric alla fine aveva vuotato il sacco, anche se Hawke l’aveva pregato di non dire mai all’eretico dove si trovasse lei. Infatti non si era stupita troppo quando aveva ricevuto quel messaggio. Aveva subito capito chi l’aveva informato. Dopotutto Varric era un gran chiacchierone.
Hawke sorrise a quel pensiero. Si era praticamente catapultata in un viaggio lungo e pericoloso, lasciando la sua famiglia, e ora che era arrivata, se ne sarebbe andata così com’era venuta: silenziosamente e in fretta.
Non le restava che tornare indietro, riabbracciare i suoi figli, riabbracciare Fenris, che, seppur con riluttanza, aveva capito, o almeno aveva accettato ancora una volta le sue scelte.
Aveva sentito la voce di Anders, seriamente provata, ma aveva sentito anche la sua risata. Non aveva avuto il coraggio di affacciarsi per rivedere il suo viso, poiché non aveva avuto il cuore di rischiare di farsi vedere da lui.
“Ti accompagnerò fino all’accampamento Dalish” asserì Isabela quando Hawke espresse il desiderio di un luogo in cui poter riposare un po’, “ma sono attesa altrove. Dovrò andarmene, ma ti prometto che verrò a trovarti presto”
 
Anders rimase solo, a scrutare il vuoto. L’entrata della sua dimora era avvolta dall’oscurità. Ne era appena uscita Isabela ma qualcosa non tornava. Isabela non era una maga, eppure Giustizia nel corso della serata aveva avuto un fremito, aveva avvertito tracce di magia.
Ser Pelosotto si avvicinò al suo padrone, col suo miagolio soave e il pelo arruffato da una mano gentile.
Anders  portò i suoi palmi al volto. Qualcosa scorreva sul suo viso…  Si abbandonò, incapace di non lasciarsi andare ad un pianto disperato. Alcune gocce caddero sul gatto accovacciato sulle sue ginocchia.
Le osservò, poi guardò le sue mani.
Rosso. Rosso sangue.
  
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