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Autore: Marti Lestrange    21/10/2013    7 recensioni
[STORIA SOSPESA]
Killian|Ariel
Dal prologo:
{Lanciò un ultimo sguardo al promontorio in lontananza, appoggiata al suo scoglio preferito in mezzo al mare, e poi si rituffò nelle profondità marine, mentre l’oceano si richiudeva sopra di lei.}
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ariel, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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A Drop In The Ocean
Capitolo Due

~  When The Darkness Comes ~ 
 
 
 

“And no man is an island, oh this I know
But you can’t see, oh?
Maybe you were the ocean, when I was just a stone.”
 
 
 
 
 
§ Atlantica, Mare di Giada
 
 
- Non sarai… - cominciò lei, deglutendo a fatica. La voce le morì in gola.
- Sono conosciuto con molti nomi, sirena.
- Davy Jones - sussurrò Ariel prima che l’oscurità la inghiottisse.
 
 
Era tutto nero, dietro i suoi occhi. Non c’erano luci, nemmeno quella della luna che, pallida, era solita filtrare attraverso le placide acque del Mare di Giada durante l’alta marea. Non c’erano luci, soltanto oscurità.
Il nero minacciava di inghiottirla, fagocitarla, scuoterla, per poi sputarla fuori, scaraventata in un limbo di caos e dolore. Faceva male. Premeva contro il petto, le stringeva la coda e gli occhi le bruciavano. Sentiva le lacrime scorrerle lungo le guance.
Si sentiva perduta.
All’improvviso, l’oscurità sparì, veloce come era apparsa, e con lei il dolore. Intorno ad Ariel, la spiaggia. Poteva vedere il mare di fronte a lei, calmo e profumato, le onde che, leggere, andavano a infrangersi sulla riva. Il sole era caldo e le accarezzava la pelle. Ariel chiuse gli occhi, inspirando a fondo. Poteva sentirla, la vita che scorreva in lei, quella ninfa e quella luce che la invadevano.
Poteva camminare. Si rese conto di poter muovere le gambe. La coda era magicamente sparita e al suo posto erano apparse due belle gambe, pallide e longilinee. Ariel le osservò per un momento, l’acqua che andava a bagnarle i piedi. Mosse le dita e mai azione le venne così facile. Era quasi come nuotare. Fece un passo, e poi un altro, e un altro ancora. Sentiva la sabbia sotto la pelle, umida ma piacevole. Era tutto diverso, per gli esseri umani. In quel momento se ne rese conto. In quel momento, si sentiva davvero parte di qualcosa, come se le sue gambe fossero le radici, ben piantate nella terra, ancorate al mondo. A quel nuovo mondo.
Si mise a correre, l’aria profumata di salsedine che l’accarezzava, il vento tra i capelli, la libertà nel cuore. Corse e corse, fino a quando poté vedere il bianco castello di Port Royal pigramente abbarbicato sulla Rocca. Le cime delle sue due torri splendevano al sole. Più sotto, il piccolo centro arrancava frenetico e ad Ariel parve quasi di sentire le voci e i rumori di tutte quelle persone lontane. Lontane ma improvvisamente vicine. Nulla era più irraggiungibile, per lei. Sarebbe potuta andare a Port Royal e in decine di altri posti diversi. Davanti a lei, un infinito mare di possibilità.
- Ariel, mia adorata!
Una voce alle sue spalle. Si voltò. Un bellissimo ragazzo la guardava, gli occhi splendenti e accesi, le braccia aperte tese verso di lei. Un sorriso mozzafiato gli increspava il bel volto. Era tutto così perfetto… Sembrava quasi che stesse aspettando il suo arrivo. Forse da sempre.
Fece un passo avanti, ma il sole si oscurò tutto a un tratto, intorno a lei calò il gelo e il bel principe che l’aveva accolta sparì.
Non riusciva a muoversi, era di nuovo sirena. Era di nuovo nell’oceano.
Ariel si guardò intorno, spaventata. Il mare era come sempre scuro e silenzioso. Il sogno era svanito. Abbassò lo sguardo sulla sua coda, sconsolata.
- Posso darti tutto ciò che vuoi, principessa del mare.
Di nuovo quella voce. Ariel alzò lo sguardo di scatto, guardandosi intorno, vigile.
- Che cosa vuoi da me? - si ritrovò a chiedere.
- Che cosa voglio da te? - ripeté la voce. Rise, di una risata fredda e glaciale come la morte.
- Piuttosto, la domanda giusta sarebbe… che cosa vuoi tu, Ariel.
La sirena incassò le spalle, abbassò di nuovo lo sguardo sulla sua coda, desiderando ardentemente di vederla sparire. Non sarebbe accaduto. Era impossibile. Solo la magia avrebbe potuto donarle quello che voleva, ma le era stato insegnato di starci lontano, il più a lungo possibile.
- Puoi averlo, principessa. Puoi avere questo e tanto altro ancora. Lo hai visto. Nel sogno. Tutto quello che vuoi è ad un passo da te. Devi solo chiedere…
Devi solo chiedere.
In fondo, non avrebbe fatto male a nessuno. Suo padre non avrebbe sentito la sua mancanza. Non faceva che rimproverarla tutti i giorni, da che era nata. Non c’era nulla, nella vita di Ariel, che lui avesse mai approvato. E aveva minacciato di distruggere i suoi sogni. No, non le sarebbe di certo mancato, non con la sua nuova vita davanti. Le sarebbe spiaciuto solo per Alana, la sua dolce sorella Alana. Le sarebbe mancata, ma era un prezzo sufficiente da pagare per essere finalmente felice.
Devi solo chiedere.
Ariel alzò lo sguardo, risoluta.
- Lo voglio. Hai capito? Qualsiasi cosa tu sia e in qualunque luogo tu ti nasconda, esci fuori e dammi ciò che voglio - gridò.
- Quanta fretta, bambina - rise malignamente la voce del demonio del mare. - Non vuoi nemmeno sapere quale sarà il prezzo da pagare? Perché sai che c’è sempre un prezzo, vero?
Ariel deglutì. Un prezzo. Cosa le avrebbe chiesto Davy Jones?
Di qualsiasi cosa si sarebbe trattato, lei l’avrebbe pagata. Sì, sarebbe riuscita a saldare il suo debito, se questo voleva dire una vita da umana. E la sua libertà.
- Non mi interessa - rispose, risoluta, scuotendo la testa. - Voglio una vita da umana, Davy Jones. E la voglio ora.
Silenzio.
Solo silenzio.
Ariel si chiese se non fosse stato tutto frutto della sua fervida immaginazione. Si chiese se non si fosse sognata tutto.
E poi, potente come un rombo di tuono, arrivò. La magia. Rischiarò il mare e fece tremare il fondale, fino a scuotere la viscere della terra. Un lampo e un rumore assordante, come di mille cannoni che sparano insieme. E infine, una figura lontana. Una figura avvolta nella bruma e nell’oscurità dell’oceano più profondo. Una figura inconsistente come spuma e buia come la morte.
- E sia.
Una voce, che conteneva il ringhio infernale di animali feroci e grida inumane di anime dannate. Due occhi, rossi come il sangue e malvagi, impregnati dal male. Un teschio, bianco come il latte e aperto in un ghigno remoto e sepolcrale. La morte, che avvolgeva Davy Jones come una coperta, con il suo lezzo di cancrena e sofferenza.
E poi, soltanto luce.
 
 
* * *
 
 

§ Port Royal, Terre della Lunga Estate - diciotto anni prima
 

- Chi è là?
- William Jones, dell’equipaggio di Barbanera. Mi faccia entrare.
- Cosa vuole, Jones? Non c’è niente da rubare, qui, ci sono solo dei poveri orfani pieni di pidocchi. Se ne vada.
- Voglio mio figlio. Apra la porta o se ne pentirà.
 
 
L’ingresso era sudicio, il pavimento imbrattato di sporcizia e altro lerciume non meglio identificato. L’aria puzzava di escrementi stagnanti e acqua torbida e urina. Le pareti erano nere come il carbone e i vetri delle finestre oscurati da strati e strati di incuria e lezzo.
William Jones trattenne il fiato. Quel posto - e quell’odore - era cento volte peggio della sua ciurma di pirati dopo mesi passati in mare aperto. Tirò fuori un fazzoletto ricamato e se lo premette sul naso. Vi erano ancora ricamate le sue iniziali: DR.
La vecchia inferma e lurida che gli aveva precipitosamente aperto la porta a seguito delle sue serie minacce gli faceva strada lungo un corridoio malamente illuminato, lungo il quale erano disseminate parecchie porte, tutte chiuse. Ogni tanto si sentiva qualche pianto lontano di bambini sofferenti. Quel posto era un inferno in terra e Jones sarebbe volentieri scappato lontano, via dall’angoscia e da quell’odore di tristezza e malattia e abbandono.
- Manca ancora molto? - chiese, spazientito.
La vecchia megera si girò a guardarlo, la veste grigia che le svolazzava intorno alle caviglie scheletriche. Borbottò qualcosa e tornò a guardare di fronte a sé.
- Grazie per la risposta - aggiunse Jones, ironico.
Poco dopo, si fermarono di fronte ad una delle tante porte in legno, anonime e marce in vari punti. La vecchina aprì e il legno sofferente cigolò piano. All’interno, quattro letti erano disposti agli angoli di una stanzetta. Non c’erano finestre. Jones spostò lo sguardo tutto intorno, soffermandosi sui bambini raggomitolati nei loro lettini dalle lenzuola sudice. Due erano femmine, dai capelli spenti raccolte in due trecce strette. Una dormiva profondamente, l’altra fissava il soffitto, lo sguardo perso. Jones non si soffermò a guardarle, sarebbe stato troppo doloroso da sopportare. Un terzo bimbo, un maschio, dormiva anche lui nel suo letto, il pollice in bocca, alcune lacrime ormai asciutte sulle guance emaciate. Nessuno sarebbe venuto a prenderli per portarli via.
Infine, un quarto bambino, che indossava quello che sembrava un pezzo di lenzuolo malamente tagliato, sporco e incrostato, sedeva ai piedi del suo letto. Teneva in mano un gessetto bianco e scarabocchiava qualcosa sul duro pavimento in pietra della stanza. Alzò per un momento gli occhi al loro ingresso - due occhi azzurri come il mare, limpidi e belli. Innocenti. Riabbassò lo sguardo, stringendosi le ginocchia con un braccio e continuando a disegnare.
- Ci lasci soli per un momento - intimò Jones alla megera. Questa borbottò nuovamente, ma fece come le era stato detto. Uscì e si richiuse la porta alle spalle.
Jones fece qualche passo in avanti e poi si andò a sedere accanto al ragazzino. Quest’ultimo alzò gli occhi su di lui, lo studiò per un momento, curioso. Aveva uno sguardo acceso e spento allo stesso tempo, come se quel luogo gli avesse risucchiato tutti i ricordi felici. E tutta la speranza.
- Ciao - esordì Jones.
Il ragazzino non rispose. Stava disegnando delle piccole barche, con tanto di vela.
- Che belle barchette - continuò l’altro indicandole. - Ti piacciono le barche?
Il piccolo annuì, in silenzio.
- Sai che io ne comando una? Non la più grande e la più bella della flotta, ma è comunque splendida. Si chiama Vento Nero.
Il bambino abbandonò il gessetto e si girò a guardarlo per bene negli occhi, ora accesi di un nuovo interesse.
- È venuto qui con la sua nave? - gli chiese tirando finalmente fuori la voce. Era bassa e leggermente roca, come se non la usasse da tanto tempo. Da troppo.
William Jones scoppiò a ridere, tenendosi stretta la pancia con le braccia.
- Sei simpatico - rispose. - Comunque no. La Vento Nero è ormeggiata giù al porto. Ti andrebbe di vederla? E magari di salirci?
Gli occhi del ragazzino si illuminarono di gioia e speranza.
- Sì, tantissimo, signore - rispose sorridendo. Aveva un sorriso dolcissimo. - Ho sempre e soltanto visto le navi da lontano, dalle finestre del refettorio. Sarebbe un sogno.
- Allora andiamo - esclamò Jones alzandosi in piedi e tendendogli una mano.
L’altro lo guardò per un momento, confuso. - Vengo con voi, signore? Perché mai?
- Perché sei mio figlio, Killian Jones.
 
 
§
 
 
- Allora, che ne dici?
Killian alzò gli occhi su quell’uomo, William Jones, che era venuto a prenderlo e a portarlo via dall’orfanotrofio, da quel luogo triste e tetro nel quale aveva vissuto durante gli ultimi tre anni.
Ricordava poco e niente della sua vita prima di arrivare là. Ricordava un tenue profumo di gardenia e rosa, un quadro raffigurante un antico veliero e alcuni volti, soprattutto uno, quello di una donna, bellissima, dai lunghi capelli neri e gli occhi azzurri come il mare. Sua madre. A volte, il suo sorriso gli appariva in sogno e immaginava che tornasse a prenderlo e lo riportasse a casa.
Quell’uomo gli aveva detto di essere suo padre. Killian non sapeva se crederci ma, dentro di sé, sperava che fosse davvero così. La direttrice dell’orfanotrofio non aveva protestato alla sua repentina partenza. In fondo, si lamentava sempre di non avere spazio. Killian aveva portato via con sé le poche cose che possedeva, i suoi piccoli tesori: un pupazzo logoro fatto con alcuni stracci e avanzi di lenzuola e coperte, i gessetti bianchi che usava per disegnare e un vecchio e logoro libricino intitolato “L’isola del tesoro”, che gli era stato regalato da un ragazzino più grande che aveva lasciato l’orfanotrofio l’anno precedente. Non aveva altro.
Jones lo aveva accompagnato lungo la strada e giù fino al porto. I velieri che Killian era solito ammirare dalle finestre della mensa erano ancora più grandi, visti da vicino. Le vele, bianche e ampie, ondeggiavano leggere al venticello caldo che spirava da sud e che muoveva anche le grandi foglie di palma lungo la strada che costeggiava il mare. Un penetrante profumo di spezie e salsedine e lontani luoghi esotici permeava l’aria. Killian l’aveva respirato a bocca aperta, socchiudendo gli occhi e immaginando avventure e viaggi e isole misteriose.
La nave di Jones - di suo padre - era grande, profumava di legno e cera, e luccicava dopo la mattutina riassettata. Il nome, “Vento Nero”, era inciso a lettere dorate sullo scafo. A prora c’era una polena di ferro nero raffigurante una fanciulla con un braccio proteso. Aveva la vita sottile, i seni alti e fieri, le gambe lunghe e snelle. Una folta capigliatura di ferro nero mossa dal vento le decorava il capo; gli occhi erano di madreperla, ma il suo viso non aveva la bocca. Era spaventosa e bellissima.
Dopo una veloce occhiata al ponte principale, Killian non sapeva che dire. Era un sogno che si avverava.
- Non lo so… - rispose, continuando a guardarsi intorno. - Qui è tutto così… così reale. Ho sempre soltanto immaginato di salire su una nave come questa. E ora ci sono per davvero!
Jones rise, stringendolo per le spalle. - Sei proprio mio figlio, non c’è che dire! - esclamò. - Io sono cresciuto sulla nave di mio padre. Tuo nonno - aggiunse poi. - Garreth Jones. Un vero lupo di mare, devo ammetterlo. Governava lui la Vento Nero. E l’ha lasciata a me.
- Tu la lascerai a me? - chiese subito Killian, che però si pentì all’istante di aver fatto una domanda tanto impudente.
Jones lo guardò, all’improvviso serio. - Ti faccio vedere una cosa. Vieni.
Killian lo seguì fino alla murata, dalla quale si poteva osservare la nave più grande che avesse mai visto. Se prima aveva considerato enorme la vento Nero, nessuna poteva rivaleggiare con la temuta e famosa Jolly Roger. Era bellissima. Maestosa e spaventosa, galleggiava alla fonda e occupava il posto di tre grandi velieri. Il suo albero maestro si innalzava nel cielo e superava di gran lunga tutti gli altri alberi presenti in porto. La sua cima sembrava perdersi oltre le nuvole, oscurata dal sole. La polena a prora raffigurava una sirena dorata dai lunghi capelli legati dietro la nuca. Sorrideva e teneva stretta tra le mani un’arpa, anch’essa dorata. Quasi alla sommità del possente albero maestro, la coffa ospitava un uomo, che a Killian appariva piccolo da quella distanza. L’uomo era concentrato ad osservare il porto e il mare. A poppa, le finestre in vetro colorato del cassero erano illuminate, nonostante fosse giorno. Killian immaginò il capitano, il ben noto Edward “Barbanera” Teach, riunito lì dentro con i suoi pirati più fedeli, a decidere del prossimo arrembaggio o saccheggio sanguinoso. La parte posteriore del cassero era  decorata con un grande teschio dorato, monito per tutti i nemici. In alto sventolava la Jolly Roger, l’omonima bandiera, un teschio bianco in campo nero: il terrore dei mari.
- La Jolly Roger - sussurrò Killian estasiato, appoggiandosi alla murata e osservando il veliero con attenzione e ammirazione.
- La vedi bene, Killian? - cominciò Jones inginocchiandosi accanto a lui. - Osserva bene ogni vela, ogni albero, ogni dettaglio. Ogni cosa. Un giorno quella nave sarà tua, figlio mio. Sarà tua, te lo prometto.
 
 
* * *
 
 
§ Empress, Mare dei Vapori
 

“Un giorno questa nave sarà tua, Mulan. Mi hai capito? Rendimi fiero di te”.
 
Mulan non avrebbe mai dimenticato le parole di suo padre, Sao Feng, capitano della Empress e della Flotta Orientale. Le ricordava ogni volta che si sentiva vacillare; ogni volta che gli antichi ricordi riaffioravano, portando con sé la tristezza; ogni volta che si guardava allo specchio e non riconosceva più se stessa in quel riflesso.
Mulan, figlia di Sao Feng, nata per combattere, usare la spada, vivere su una nave. Nata per vincere. Sua madre non avrebbe voluto niente di tutto ciò per la sua unica figlia femmina, ma era morta troppo presto per poter anche solo esprimere il suo dissenso. Mulan la ricordava a stento. L’unico suo ricordo era un quadro, appeso nella sua piccola cabina, e un antico portagioie contenente dei gioielli e un piccolo fermacapelli in avorio. Ogni tanto Mulan tirava fuori quegli oggetti preziosi e li rimirava, cercando di rammentare il viso di sua madre, inutilmente. Allora li metteva via e saliva sul ponte ad allenarsi con la spada, i lunghi capelli scuri e lisci raccolti sulla nuca. Era stata cresciuta sulla Empress dalla ciurma di suo padre, non conosceva paura e non temeva pericoli. Il mare era la sua casa.
Un leggero ticchettio contro il vetro della finestra la ridestò da suoi pensieri. Si voltò e notò un piccione, bianco come la neve, appollaiato all’esterno. Si alzò dal letto e aprì la finestra. Il piccione le porse la zampetta, alla quale era legato un foglietto. Dopo averlo recuperato, l’animale volò via, perdendosi nell’orizzonte aranciato del tramonto. Mulan richiuse la finestra e tornò al suo letto, cominciando ad aprire il messaggio.
 
 
Riunione degli alti ufficiali.
Delibera: attacco immediato a Port Royal.
Iniziata rotta di avvicinamento.
Partenza: Mare di Giada.
 
A.
 
 
 
“A” come anonimo.
Mulan aveva atteso quel biglietto, trepidante, per tutta la giornata, durante la quale suo padre aveva riunito il Concilio dei Cinque, formato dai suoi cinque più fedeli consiglieri. Mulan non ne faceva parte, ma non le serviva essere membro di uno stupido Concilio per essere tenuta a parte dei segreti e delle decisioni di suo padre.
Il suo informatore segreto parlava chiaro. La flotta di Barbanera avrebbe attaccato Port Royal. Senza attendere oltre. Mulan ignorava lo scopo preciso di tale decisione, ma intuì che il vecchio Teach volesse mandare un messaggio a Sao Feng: “stai attento, non sono ancora morto”. Be’, nemmeno Sao Feng lo era.
Mulan indossò la casacca di lino beige e rossa, si legò i capelli in una treccia e bruciò il foglietto sulla fiamma tremolante di una candela. Dopo di che, uscì dalla sua cabina, diretta in quella del capitano. La guerra era iniziata.
 
 
 

 NOTE
 
·         Il titolo è tratto dall’omonima canzone di Colbie Caillat, “When The Darkness Comes”; la citazione arriva dalla bellissima “Black Flies” di Ben Howard.
·         “Perché sai che c’è sempre un prezzo, vero?”: riferimento alla frase preferita di Rumpel/Gold, “magic always comes with a price”.
·         “Vento Nero”, come la nave di Asha Greyjoy [ <3 <3 <3 ] ne “Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di GRR Martin.
·         “L’isola del tesoro”, il capolavoro di Robert Louis Stevenson. Ho immaginato che sarebbe stato un libro perfetto nelle mani del nostro Killian.
·         La descrizione della polena a prora della Vento Nero arriva direttamente da “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco” di Martin: si tratta della Silenzio di Euron Greyjoy.
·         Garreth Jones, altro nome di fantasia.
·         Coffa: piattaforma semicircolare quasi sulla sommità di ogni albero dei velieri, con la parte rotonda rivolta a prua. Usata dai marinai che lavorano alle vele. Punto di osservazione per le vedette. [Wikipedia.it]
·         Cassero: sovrastruttura sopraelevata rispetto al ponte di coperta che si estende parzialmente per la lunghezza della nave, ma totalmente per la larghezza. I limiti trasversali sono costituiti dal prolungamento delle murate. [Wikipedia.it]
·         Empress: la nave di Sao Feng in “I pirati dei Caraibi”.
 
 
 
 
Buongiorno a tutte e buon OUAT day! Scusate, sono ancora in fibrillazione/iperventilazione per lo spoiler uscito l’altro giorno, precisamente una foto spoiler. Non dico niente, ancora qualcuno non voglia notizie indesiderate…
Detto ciò, ecco qui il capitolo due della mia CaptainMermaid, finalmente. Che ne dite? Scopriamo qualcosa in più sul passato del nostro Killian, in attesa della puntata 3x05, nella quale forse sapremo tutto. O quasi tutto. Come vi è sembrato il piccolo Killian? Non era dolcissimo? A proposito, di chi saranno le misteriose iniziali sul fazzoletto di William Jones, il padre di Killian? DR… Lo scopriremo più avanti. Sono cattiva, lo so.
Inoltre, nel finale scopriamo finalmente chi è la famosa figlia di Sao Feng, anche se l’avevate indovinato tutte, lo ammetto. La nostra Mulan! E chi sarà l’informatore segreto che si firma con A? Mistero… :3
 
Non vi resta che continuare a seguire questa storia u.u
 
Ringrazio come sempre chi segue/legge/preferisce/ricorda e soprattutto recensisce, lasciando commenti, pareri e tanto sano fangirling. Grazie <3
 
Vi ricordo l’altra mia long in corso, una New York!AU dedicata al mio OTP, il CaptainSwan.
Ecco il link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1964381&i=1
 
Infine, il mio gruppo Facebook, per spoiler, anticipazioni e tanto altro. Il link:

https://www.facebook.com/groups/159506810913907/
 
 
Alla prossima! Marti
   
 
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