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Autore: Sleepingalone    22/10/2013    12 recensioni
Attraverso i rami dei mandorli filtra una scia argentea, nella quale le stelle sostengono la luna bianca, cui luminosità illumina lo sguardo verde Parigi di Harry che, attirandomi a se con fare austero, mi cinge mediante braccia calde e protettive. ‹‹Concedimi questo ballo, Maria››, sussurra, comprimendo le labbra a forma di cuore sull’incavo del mio collo nudo.
Sussulto al tocco morbido e delicato.
‹‹Avresti dovuto dirmi la verità sin da subito, Harry››, sussurro, asciugandomi una lacrima con il dorso della manica.
Lui annuisce, ed esala un respiro candido. ‹‹Promettimi che ti ricorderai di me, anche se dovessi scomparire per sempre››.
‹‹Ma cosa dici?››.
‹‹Quello che temo, Maria››
[...]
Lui voleva solo riportarle i ricordi alla ragione,
ma lei si era innamorata perdutamente.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harry Styles, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 - Trenta giorni, trenta sogni
 

‹‹Fermata numero tredici››, urla un autista di media statura, aprendo gli sportelli dell’autobus e facendo segno di avvicinarci. Io lancio un’ultima occhiata al ragazzo situato a pochi metri da me, poi mi dirigo in direzione dell’autoveicolo e, indietreggiando lo strano tipo, estraggo dalla tasca anteriore dei jeans un biglietto a dir poco stropicciato e sbiadito, che mostro al conducente del mezzo.
Inciampo erroneamente, facendo così precipitare per terra i miei auricolari bianchi; pertanto, mi piego al fine di raccoglierli, mi rialzo e strofino le nocche delle mani sui jeans. In seguito, strabuzzo gli occhi e, voltandomi a destra e a manca, scorgo nessun sedile libero, se non uno impolverato e malconcio situato alla fine dell'autobus. Quindi, aggrappandomi allo zaino e barcollando, arrivo a destinazione, ma mi maledico immediatamente, poiché adagiato accanto al finestrino, mediante uno sguardo cupo e quasi assente, risiede il ragazzo dai ricci imbruniti. 
‹‹Posso sedermi?››, gli chiedo imbarazzata, indicando il sedile accanto al suo.
Lui, dal canto suo, alza lo sguardo evidentemente sorpreso dalla mia presenza. 
E penso che mi sarei evitata tutto questo, se solo avessi aspettato l'autobus delle sette e trenta. 
Comunque, il tipo socchiude le labbra carnose e annuisce senza dire una parola. Perciò io mi lascio cadere al suo fianco e appoggio lo zaino sulle cosce, al contempo, sento partire alla radio ‘Are you lonesome tonight?’ di Elvis Presley, e sorrido tra me e me perché ogni cosa, in questo momento, ha il sapore dei nostalgici anni '50. 
Riprendo coscienza inesorabilmente quando il ragazzo accanto a me tossisce, muovendosi. Egli, dopo aver assunto un’espressione tranquilla - pressappoco indifferente -, batte le palpebre con l'intenzione di osservare le colline ingiallite di una Wells autunnale mostrarsi, attraverso il vetro di un finestrino insudiciato da graffiti a pennarello nero, con la stessa intensità mediante la quale lui studiava me prima. Gli aceri, che contornano i viali, esalano via frammenti di foglie gialle e, anche se non riesco a vederlo, so per certo che la rugiada scivola via da esse, battendo sui prati d’infinita bellezza.
Tuttavia, d’improvviso, la mia attenzione viene richiamata dai tratti predominanti del ragazzo, che al mio sguardo sorge in modo parecchio attraente: il suo volto è ovale, leggermente pronunciato e pulito tanto da farlo sembrare quasi un bravo ragazzo. Esso è, inoltre, decorato da due meravigliosi occhi fastosi dalle iridi verdi acquose che a tratti sembrano riportarmi a Parigi. 
Anche il naso è abbastanza prominente e diritto, mentre le labbra hanno sposato un colorito rosastro, sono a forma di cuore - proprio come le mie - e sembrano talmente morbide che mi adagerei sulla superficie platinata senza alcun tipo di problema.
Sposto poi lo sguardo verso il basso e, come ammaliata dalla circostanza, vengo distratta dallo spazio che la sua mano sinistra occupa; la nocca è secca e ossuta e le dita sono affusolate e tanto lunghe da far sembrare le mie esageratamente piccine.
Alzo gli occhi ancora una volta e, sbadatamente, dalla camicia - aperta sul petto -, intravedo qualche tatuaggio che non faccio in tempo a decifrare, poiché il tipo becca in flagrante i miei sguardi curiosi e adesso mi osserva con fare divertito e noncurante.
Io, cercando di ricompormi fingendo nonchalance, faccio scivolare le dita della mano destra sullo schermo del cellulare, alla ricerca di una qualsiasi canzone che possa distogliermi dalla situazione imbarazzante venutasi a creare. Pigio, perciò, su un brano scelto a caso: ‘Remind Me’ di Carrie Underwood e Brad Paisley, quando, tutto ad un tratto, vedo le labbra del ragazzo muoversi verso la mia direzione. Tolgo un auricolare e corruccio lo sguardo in un cipiglio confuso, ma agitato.
‹‹Scusami?››, sussurro appena, togliendo un auricolare dall'orecchio destro e provocando una risata al volto del ragazzo, che è adornato da un paio di deliziose fossette profonde, molto simili alle mie.
‹‹Dicevo››, replica, passandosi una mano tra i capelli. «Ti piace la musica country?». 
Deglutisco a causa dell'effetto che il tono della sua voce, calda e roca, mi ha provocato. «Sì. E a te piace spiare le persone?», domando a mia volta, insinuando curiosità. 
«Perdonami, prima mi è caduto l'occhio sul tuo cellulare», si giustifica, continuando. «Ma, a quanto pare, a te gli occhi erano caduti sul mio petto e sulle mie mani».
Avvampo in volto come non mi era mai capitato, dunque mi rimetto gli auricolari, cercando di evitare pesanti commenti. ‹‹Anche a me piace tanto››, dice ancora, sfilandomi la cuffia di destra e causandomi, al contempo, una strana sensazione al ventre e alla pelle. «La musica country, per intenderci». 
Mordo spontaneamente il labbro inferiore, in cerca d’aiuto, ma peggiorando la situazione, dacché lui sembra irrigidirsi.
«Sei un ragazzo scortese a cui piace della buona musica, complimenti», aggiungo sfacciatamente. «E, no! Se te lo chiedi, non mi sono offesa per prima». 
Lui sorride e si sofferma al fine di sfiorare il labbro inferiore con il pollice,  mentre io vengo sedotta dalla sua azione. «Okay, se non vuoi, non me lo chiederò», continua, boccheggiando. «Hai mai ascoltato ‘Resolution’ di Matt Corby?››.
Da parte mia scuoto la testa perché non conosco quel cantante né tantomeno quella canzone. Perciò il tipo si spoglia delle sue cuffie, le appoggia alle mie orecchie con delicatezza e mi scosta i capelli dietro. 
Percepisco una melodia nuova e tranquilla, tuttavia, essendo parecchio nervosa, tolgo quasi subito gli arnesi da dosso. «No, sono sicura di non averla mai ascoltata››, osservo pragmaticamente, mentre lui continua a scrutarmi e io gli restituisco gli auricolari. ‹‹È una bella canzone››, commento, per poi intravedere il mio liceo - che si trova a Cromer, una città costiera che affianca Wells -  attraverso il finestrino. 
L’autobus arresta il passo di colpo, e io - finalmente - mi alzo dal sedile; dunque, metto lo zaino sulle spalle, mi volto all'indietro e scuoto la mano in segno di saluto verso il ragazzo dagli occhi verde Parigi. Sgranchisco poi le gambe e scendo giù dal veicolo, che riparte prontamente con quello strano tipo all'interno.

‹‹Nell'epoca che possiamo chiamare prescientifica, gli uomini non avevano difficoltà nel trovare una spiegazione ai sogni. Quando al risveglio ricordavano un sogno, lo consideravano una manifestazione favorevole ed ostile di potenze superiori, demoniache e divine. Allorché cominciarono a diffondersi le dottrine naturalistiche, tutta questa ingegnosa mitologia si mutò in psicologia, ed oggi solo un'esigua minoranza delle persone istruite dubita che i sogni siano un prodotto della mente del sognatore…››.
La mia professoressa di scienze umane spiega il concetto di ‘sogni’ nell’epoca prescientifica, simultaneamente io scarabocchio qualche frase di ‘Chasing Cars’ sul quaderno, ma vengo scossa da Birdy, la mia migliore amica nonché compagna di banco. ‹‹Sogni come potenze divine, superiori››, continua lei sussurrando a voce bassa. ‹‹Potrebbe essere una potenza divina, il tuo cervello vuol dirti qualcosa!››.
Roteo gli occhi all'insù, poi scuoto il capo . ‹‹Non voglio parlarne, B!››, dico, guardandola bene.
Birdy non potrebbe essere più carina di come già è; se incrocio il suo sguardo, trovo due grandi occhi color cioccolato, un paio di guance gonfie e prorompenti, e delle labbra piene. I capelli castani le arrivano appena sulle spalle e le donano un tocco alquanto delizioso, che la rende speciale.
‹‹Devi parlarne, Maria››, mi intima lei, interrompendo i miei pensieri.
‹‹Non oggi, B. Non voglio rovinarmi la giornata››, mordo il labbro con disinvoltura ed improvvisamente la mia professoressa mi rimprovera, richiamandomi. ‹‹Scusi››, mi limito a dire tornando sul mio quaderno, mentre la campanella suona e segna la ricreazione delle undici.
Mi alzo dalla sedia per recarmi al bagno, quando vengo bloccata per il polso sinistro da Birdy. ‹‹No, signorina, tu non vai da nessuna parte!››, replica, incurvando le labbra. ‹‹Non prima di avermi raccontato tutto››.
Impreco mentalmente e, cercando di mordermi la lingua per impedirmi di parlare, bisbiglio qualcosa a denti serrati. ‹‹E va bene, se vuoi proprio saperlo... è capitato ancora››.
B indietreggia, spalancando gli occhi già grandi. ‹‹Maria, devi parlarne con qualcuno. Un sogno ripetuto per trenta giorni di fila non è più normale››, mi urla, attirando l’attenzione di Cher, la nostra compagna di banco.
‹‹Birdy ha ragione. Parlane con tua madre almeno, potrebbe aiutarti››, dice l’altra spalleggiandola.
Io mi allontano dalle mie amiche, voltandomi verso l'unica finestra presente in classe. ‹‹Ragazze, ora basta! Mi state mandando in tilt››, riprendo, mettendo il broncio. ‹‹Non avrei dovuto parlarvene››.

Abbastanza intontita, dopo aver preso l'autobus di ritorno, ridispongo i piegi sul suolo levigato di Wells e, incamminandomi nella strada verso casa, osservo il litorale principale in tutte le sue imperfezioni: esso è spoglio come un albero privo di foglie, ed è bagnato a destra dalla spiaggia dorata. 
L’autunno qua è come un vortice di emozioni, sapori e profumi intrecciati in un incastro perfettamente combinato. Dai comignoli delle panetterie fuoriesce una deliziosa fragranza di pane appena sfornato che, tuttavia, viene coperta dall’odore massiccio della pioggia in arrivo.
Stamani il sole splendeva alto nella volta celeste che ora è ricoperta da nuvoloni opprimenti, quindi accelero il passo e arrivo a casa esattamente qualche minuto prima della pioggia che adesso bagna le strade della città.
In ogni caso, mi spoglio della giacca che ho indossato per tutto il giorno. Dunque, evito il pranzo, e mi reco in camera da letto, ove sfilo le scarpe e i jeans.
Infine mi riverso sul letto, esausta e, percependo le palpebre cedere, mi addormento con il pensiero di quello strano ragazzo che stamani mi ha rivolto la parola per la prima volta, dopo trenta giorni di sguardi rubati.

‹‹Maria, Maria››.
Un paio d’occhi verdi e penetranti mi fissano nel buio della notte. ‹‹Maria, vai via da lì!››.
Delle mani affusolate pendono verso me. ‹‹Maria››.
Mi risveglio di colpo, rendendomi conto d'aver fatto lo stesso sogno, ancora.
Mi sento soffocare, invoco Dio.
 

 


Angolo autrice
Salve, care lettrici! Come va? Spero bene.
Allora, questo è il primo vero capitolo della mia storia, e spero vi abbia incuriosito e/o fatto capire qualcosa.
Grazie dell'attenzione, un bacio, Sleepingalone.
   
 
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