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Autore: Aching heart    22/10/2013    2 recensioni
(JanexJacob)
Jane Volturi è famosa per essere una sadica senza cuore, un'aguzzina spietata nel corpo di un'angelica ragazzina, ma è davvero così? E se ci fosse stato qualcosa nel suo passato a farla diventare tale, qualcosa che lei stessa a stento ricorda? Se l'adorazione che prova per Aro non fosse altro che un'illusione creata dalla manipolatrice Chelsea e all'improvviso lei ricordasse la verità, cosa succederebbe? E se nella ricerca della vera sé incontrasse Jacob, un Jacob sempre più confuso a causa dell'imprinting con Renesmee che va indebolendosi? Potrebbe esserci spazio per qualcosa di diverso dalla crudeltà nella non-vita della vampira? Qualcosa come... l'amore?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Jacob Black, Jane, Un po' tutti, Volturi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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4. Salem, the Witches City (part II)
Fare parte del corpo di guardia dei Volturi non voleva dire essere prigionieri. Tutti i membri, quando non erano in servizio, potevano fare quel che volevano e andare dove volevano, purché rispettasse le poche regole imposte dai tre anziani. Questo voleva dire rispettare la legge della segretezza, non stare via troppo a lungo, salvo casi eccezionali, ritornare immediatamente a Volterra in caso di pericolo per i Volturi e chiedere il permesso ad Aro per assentarsi proprio come un dipendente chiede un permesso al datore di lavoro. Tuttavia era questo permesso a costituire il problema, per Jane: dal momento che era fuori discussione rivelare il vero motivo del suo viaggio al capo degli anziani e mentire ad Aro era pressoché impossibile a causa del suo talento, l’unica soluzione praticabile era quella di uscire di notte, durante la quale il corpo di guardia godeva di una certa privacy, proprio come gli umani, anche se di certo non dormivano. Ma andare fino in America a nuoto, cercare Salem e vedere cosa ci fosse lì di tanto importante e poi tornare a Volterra non era roba da farsi in una sola notte… a meno che non partisse il sabato sera per poi ritornare il lunedì mattina. In tempi pacifici come quelli, infatti, le guardie potevano usufruire di alcuni weekend liberi, e molti ne approfittavano per uscire dalle mura di Volterra e viaggiare un po’. 
Jane non aveva mai sentito il bisogno di farlo – partecipando a tutte quelle guerre aveva visto fin troppo, del mondo, senza contare che lasciare Aro per quasi tre giorni senza essere in missione le sembrava un’idea terribile – ma stavolta avrebbe sfruttato quell’opportunità. La parte più difficile sarebbe stata lasciare da solo Alec, non tanto per il timore che il fratello non si sarebbe lasciato convincere, ma per paura di ferirlo. Quel pensiero aveva dell’incredibile e anche del ridicolo per un vampiro, ma Alec era il suo gemello, e anche prima della loro rinascita erano sempre stati due parti di una unica entità. Lasciarlo indietro adesso avrebbe significato rompere quel legame, tenere l’altro all’oscuro di qualcosa avrebbe voluto dire ritenerlo indegno della propria fiducia, e sebbene non fosse quello il motivo che spingeva Jane a partire da sola si sentiva ugualmente in colpa.
Ma quella era una cosa che sentiva di dover fare da sola: lei aveva avuto le visioni, lei era tormentata dal rimorso, e ancora lei era quella che portava guai, sempre. 
Perciò decise che il sabato successivo sarebbe andata nel Massachusetts, New England.
***
L’alba era vicina, e Jane si godeva lo spettacolo del sole nascente dalla finestra della camera che aveva affittato in un Bed and Breakfast in una zona periferica, vicino al porto di Salem.
Era arrivata quella notte, zuppa d’acqua dopo aver attraversato a nuoto l’oceano, ma aveva salvato i soldi – che poi avrebbe provveduto a cambiare – , i vestiti di ricambio e i documenti (che, per evitare guai, la davano per maggiorenne) in uno zaino impermeabile. Niente cellulare: non voleva essere rintracciata, anche se questo contravveniva ad una delle regole. 
Prima di addentrarsi nel porto aveva atteso, al riparo fra gli scogli della costiera, di asciugarsi quasi del tutto, in modo da non attirare troppo l’attenzione. Per lo stesso motivo aveva tenuto il più possibile lo sguardo basso mentre parlava con la ragazza della reception, nel B&B, più tardi, ma forse la ragazzina aveva notato lo stesso i suoi occhi rossi, perché la guardava comunque con aria inquieta.
Una volta in camera si era fatta una doccia calda, si era data una sistemata e aveva indossato gli abiti di ricambio, per poi andare a sedersi sul divanetto incassato nella parete sotto la finestra e guardare attraverso il vetro il mondo che cambiava, ora dopo ora.
Si era appuntata mentalmente le cose che avrebbe dovuto fare l’indomani, prima di tutto cambiare gli euro in dollari e poi procurarsi un paio di lenti a contatto, e aveva stilato accuratamente tutto il programma della giornata, ma presto le cose con cui occupare la sua mente erano finite, e lei si era ritrovata a riflettere malinconica sulla sua solitudine, su ciò che non andava nella sua non-vita. 
Finalmente il sole sorse, timido e coperto dalle nubi. Era gennaio, e le previsioni meteo annunciavano una nevicata, perciò i raggi solari non sarebbero stati un problema; in ogni caso aveva con sé l’armamentario completo: pantaloni grigio scuro, stivali neri, maglioncino grigio a collo alto, guanti e giubbotto di pelle neri, e un ampio cappuccio. Con un ombrello e una sciarpa, sarebbe stata completamente al sicuro. Diede un’ultima occhiata allo specchio, arrendendosi all’evidenza che non avrebbe potuto mascherare i alcun modo i suoi occhi rossi finché non avesse messo le mani sulle lenti a contato, e scese al pian terreno.
Lì la ragazzina, che non aveva ancora concluso il suo turno, la guardò con una certa sorpresa. Jane si maledisse per non averci pensato, ma d’altra parte le serviva tutto il tempo a sua disposizione. In fin dei conti se un’ospite aveva abitudini molto mattinieri non era affare della receptionist, no?
Si avvicinò al bancone, con l’intento di consegnare le chiavi, ma la ragazzina la anticipò chiedendole cosa volesse per colazione che lei le avrebbe servito al più presto, rigorosamente in camera.
Jane non aveva pensato neanche a questo, presa dalla frenesia sei suoi programmi, e l’ultima cosa che voleva era perdere del tempo prezioso per ingerire quella che per lei era spazzatura, ma se non avesse mangiato avrebbe insospettito ancora di più la receptionist, perciò ordinò un toast e del bacon e ritornò in camera ad aspettare, impaziente. Una decina di minuti più tardi la ragazza si presentò col vassoio, augurandole buon appetito, e quando la porta di fu richiusa Jane buttò tutto nella spazzatura, ma dovette attendere ugualmente almeno altri quindici minuti, per dare almeno l’impressione che avesse mangiato. In quel modo aveva già perso venticinque preziosi minuti del suo tempo, e non aveva fatto ancora nulla di ciò che si era prefissata.
 Passando davanti al bancone per consegnare – finalmente! –  le chiavi, vide delle brossure sul percorso turistico di Salem, e ne prese una. In fin dei conti non sapeva dove andare né cosa fare, e magari nei luoghi turistici della città avrebbe trovato qualcosa. La prima tappa segnata dal percorso era il Witches Museum. Chissà perché, il nome non le piaceva.
In realtà era solo un settore del Museo cittadino, ma era molto più visitato del resto dell’intero edificio. Nel 1692 a Salem c’era stata una celebre caccia alle streghe, di cui qualche informazione effettivamente Jane ricordava, e con il passare del tempo il sanguinoso evento aveva reso la cittadina nel Massachusetts un'ambita meta turistica. 
Così s’incamminò verso il Museo, a passo d’uomo. Odiava misurare così la sua velocità, ma non poteva certo dare nell’occhio, e poi quando finalmente riuscì a raggiungere la sua meta erano già le sette e c’erano anche altri turisti.
Senza guardare niente di ciò che era esposto, si diresse direttamente verso il settore dedicato alla caccia alle streghe.
Era di sicuro ben fornito: c’erano statue di cera e ritratti dei più celebri cacciatori, riproduzioni delle armi e degli strumenti di tortura che erano stati usati, informazioni sui giudici e sul tribunale istituito apposta per i casi di stregoneria, abiti semidistrutti di quel periodo, registri storici, documenti, tomi sulle streghe, testimonianze scritte, miniature della caccia e oggetti vari. Alcuni erano appartenuti ai cacciatori, altri alle donne impiccate con l’accusa di essere streghe. Povere donne innocenti che avevano visto i propri amici rivoltarsi contro di loro, persone con cui avevano lavorato, mangiato, scherzato, vissuto, che chiedevano la loro morte con forconi e torce levate al cielo.
Ecco perché Jane detestava gli esseri umani: sprofondavano nella loro stupidità e ignoranza. Erano dominati dalla paura o dall'avidità, o a volte da entrambi, e queste due cose li spingevano a compiere azioni orribili contro i propri simili. Ne erano una prova tutti i monumenti ai caduti in guerra, ne erano una prova tutti quegli oggetti esposti che erano appartenuti a presunte streghe. Oggetti di donne comuni: sacchetti di tela grezza, pietre portafortuna, ciocche di capelli, bambole di pezza… solo un monile risaltava nell'insieme, perché era la cosa più preziosa che fosse stata esposta nel mucchio. Era una collanina d’argento, sul cui ciondolo circolare e minuto era stata realizzata una rosa dei venti blu e rossa smaltata. Il gioiello era di deliziosa fattura, ma non solo per quello Jane era rimasta affascinata: era sicura di averlo già visto, ma era altrettanto sicura di non riuscire a ricordare quando o a che proposito. Si avvicinò alla teca e lesse il biglietto che accompagnava il gioiello, che recava la scritta:
“Collana in argento e smalto realizzata nel 1617 a Salem, tramandata di generazione in generazione nella famiglia Welsh. La sua ultima proprietaria è stata la strega sedicenne morta sul rogo Jane Welsh”.
Jane trasalì. Jane Welsh. Il suo nome.
***
Era ormai lontana da Salem. Era arrivata a Boston da più o meno un’ora e stava gironzolando per il parco. Aveva le mani in tasca e con la destra giocherellava segretamente con la collana che custodiva al sicuro nel giubbotto nero. L’aveva rubata al Museo di Salem, sì, ma loro l’avevano rubata a lei.
Dopo aver letto il biglietto accanto al gioiello aveva consultato i registri: Jane Welsh, cioè lei, era stata l’unica accusata di stregoneria ad essere giustiziata sul rogo come le streghe medievali, il 26 novembre del 1691. Ed insieme a lei avevano bruciato anche suo fratello Alec; o meglio, credevano di averli bruciati, perché era evidente che le cose non fossero andate proprio così.
Aveva quindi rubato la collana, sempre attenta a non lasciare traccia alcuna né destare sospetti, ed era ritornata al suo alloggio così veloce che nessuno l’aveva vista; aveva pagato, preso le poche cose che erano rimaste in stanza e poi aveva lasciato Salem correndo al massimo della sua velocità, senza una meta, godendosi solo l'ebbrezza della velocità e la sensazione del vento fra i capelli. Si era fermata a Boston perché ancora non aveva voglia di tornare a Volterra, e sapeva di non poterlo fare prima di aver chiarito tutta la situazione, che era abbastanza oscura. Non era sicura di come si sentiva al riguardo. Al momento ogni emozione sembrava sopita, come sempre, ma sapeva che dopo lo iniziale shock causato da quella nuova consapevolezza avrebbe dovto fare i conti con i suoi sentimenti, anche se proprio non immaginava come avrebbe potuto. E quel ciondolo non poteva darle delle risposte, ma significava tanto per lei.
Si sedette su una panchina, lo tirò fuori dalla tasca e fissò lo sguardo su di esso. Percepì chiaramente al tatto ogni fibra del metallo, mentre gli occhi colsero ogni imperfezione, ogni singolo dettaglio del gioiello; poi abbassò le palpebre, concentando tutta se stessa nello sforzo di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa la potesse aiutare a capire il caos che si stava insinuando nella sua vita. Le sembrò di lottare contro una bruma che le intorpidiva la volontà e la immobilizzava; ogni suo sforzo sembrava essere reso vano, ma stavolta sapeva qualcosa di più ripetto a prima: sapeva qual era il suo nome da umana, sapeva dove aveva vissuto i primi sedici anni della sua vita, e per cosa era morta. Ma serntiva che era soprattutto la collana che stringeva nel pugno a fare a differenza, perché lei ci era affezionata.
Fece un ultimo, grande sforzo per imporsi sulla bruma che le oscurava la memoria e la volontà.
E alla fine ricordò.
***
Chelsea fu colta da un terribile mal di testa e, priva di forze, cadde carponi a terra, piegata su stessa. Era come se una lama affilata si fosse fatta strada nel suo cervello e qualcuno la stesse rigirando in una lenta agonia, tanto da farle perdere ogni cognizione spazio-temporale. La pressione sembrava schiacciarle la testa e le orecchie fischiavano, mentre lei soffriva in silenzio. 
La ribellione di Jane al suo controllo la stava distruggendo dall’interno.


*Angolo Autrice*
Scusate il ritardo nel pubblicare, ma i professori si stanno proprio divertendo a caricarci di compiti...
Ad ogni modo, lo so che vorrete strozzarmi per non avervi detto qualcosa in più in questo capitolo, ma vi prometto che nel prossimo si saprà di più del passato di Jane. Questo era solo un capitolo di transizione.
Vi prego di segnalarmi gli errori che sicuramente avrò commesso per la fretta, ma proprio non ho avuto il tempo di rileggere.
Ringrazio quelli che hanno isnerito fra le ricordate/seguite/preferite questa storia, i lettorisilenziosi e Sylphs per aver recensito.
A presto!
   
 
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