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Autore: NarniaWardrobe    22/10/2013    2 recensioni
Si sono conosciuti in un modo strano, se si può definire tale. Non si sarebbero aspettati, poi, di essere così simili, ma così diversi allo stesso tempo.
Jade è la metà chiara di Louis, quella buona, gentile e timida.
Louis è la metà scura di Jade, quella misteriosa, pericolosa, ma dolce allo stesso tempo.
Sono le persone che stavano cercando, le persone che possono sostenersi a vicenda.
Perfetti l'uno per l'altra.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fissai la porta di casa mia, bianca, candida. Sembrava appartenere ad una famiglia perfetta; magari lo fossimo stati. Presi un respiro profondo e mi concentrai per sentire qualche rumore all'interno: ero più che sicura che mia madre fosse ad aspettarmi sulla porta, pronta a farmi la ramanzina. Chiusi gli occhi e contai fino a dieci, lentamente, per poi appoggiare la mano sulla fredda maniglia, inserire le chiavi ed aprire la porta.
La richiusi dietro di me, per poi guardarmi intorno. Riposi le chiavi su un mobiletto, anch'esso bianco, nel corridoio d'entrata.
Mi decisi e cominciai a fare due passi, poi mi bloccai. Ero ancora in tempo per fuggire, per mettere fine a tutta questa paura. 
"Mamma?" chiamai con voce tremolante. Deglutii la saliva velocemente e rumorosamente per il nervosismo.
Se non era lì in corridoioera sicuramente in bagno a vomitare per la sbronza. 
Sentii un colpo di tosse proveniente dal piano superiore, quindi avevo ragione. 
Per non dover subire la sua ubriacatura, corsi in camera mia e mi chiusi a chiave, come facevo sempre.
Sfortunatamente, a volte, riprendeva leggermente coscienza e si ricordava del paio di chiavi per aprire anche la mia porta, nascoste in salotto, sotto il tappeto. 
Forse questa volta poteva andarmi bene. Potevo sperare che fosse tanto ubriaca da dimenticarsi della mia esistenzae che andasse a dormire, come faceva molte volte.
In altri casi apriva la mia porta e sfogava tutta la sua rabbia e non so cos'altro su di me, chiamandomi con nomi orribili e picchiandomi a sangue. 
Fin ora non sentivo rumori, era un buon segno.
Mi sedetti sul letto, sul cuscino, dalla parte più vicina alla finestra e più lontana dalla porta. Misi le ginocchia vicino al mento, piegando le gambe, e le mani tra i capelli, disperata, stanca di questa situazione, di questa paura che andava avanti da troppi anni.
Era assurdo. Un genitore dovrebbe proteggere i figli dai pericoli, dare la vita per loro. Mia madre, invece, li creava, i problemi.
Sospirai, ripensando al ragazzo che avevo conosciuto poco prima. Sembrava simpatico. Magari avrebbe potuto aiutarmi. 
Sentii dei passi, segno che qualcuno stava per scendere e venire al piano di sotto. 
Questo era uno di quei momenti in cui speravo che qualcuno, chiunque, venisse a salvarmi, che mia madre aprisse la porta di camera mia, corresse verso di me a braccia aperte, pronta ad abbracciarmi... ma finiva sempre nello stesso modo: io ricoperta di lividi.
I passi si avvicinavano pian piano alla mia porta, mentre il panico saliva.
Sentii il mio cuore accelerare, quasi scoppiare per la troppa velocità. 
Strinsi le braccia intorno alle gambe e vi immersi il viso dentro, chiudenso gli occhi, per avere un po' di privacy, per evitare di piangere subito, farmi vedere da mia madre debole e per fingere che tutto quello non fosse reale, ma solo un altro incubo.
"Tu!" urlò. Non si ricordava neanche come mi chiamavo. 
Il mio respiro accelerava, stava per ricominciare tutto. 
Bussò violentemente alla porta, quasi spaccandola.
Mi allontanai dalla porta e mi rannicchiai in un angolino sotto la finestra, con solo la testa a fare capolino dalla spalliera del letto. Speravo che non potesse vedermi. 
Non smetteva di bussare, di muovere la maniglia, voleva entrare a tutti costi.
Un giorno aveva minacciato di uccidermi... speravo che scherzasse, ma le sue urla erano troppo forti ed i suoi occhi troppo arrabbiati, per essere uno scherzo.
"Apri questa cazzo di porta!" la sentii indietreggiare per prendere la rincorsa, infine tirò un calcio sulla superficie legnosa, inarcandola.
Le lacrime, intanto, inondavano il mio viso, che bruciava per tutte le botte e i graffi che quella donna mi creava.
Una volta aveva detto, aggressivamente: Lo sai perchè ti picchio. Tu sei la figlia peggiore del mondo. Non ti fidanzi mai, sei sempre zitta, non mi dimostri mai il tuo affetto nei miei confronti. E poi lo sai che ti odio a prescindere. 
Sentirsi dire quelle cose dalla propria madre era qualcosa di terribile. Lei non capiva come mi sentivo, non capiva che, così, peggiorava solo la situazione.
"Appena entro ti massacro." ridacchiò. Per lei era tutto un gioco, a volte.
Cercai di asciugarmi il volto dalle lacrime, ma altre, più fredde e cariche di terrore, ricorrevano sulle mie guance.
Vidi la chiave rigirarsi nell serratura: il momento era arrivato.
La porta si aprì lentamente, con uno scricchiolio.
Conficcai le unghie nelle caviglie, per cercare di alzarmi, reagire... magari anche scappare, ma, come ogni volta, il mio corpo si bloccava.
Lei, con passi lenti e un sorriso compiaciuto, si avvicinò a me. Prese i miei capelli e li tirò violentemente, facendomi alzare.
Nascosi il mio viso e le mie lacrime usando le mie mani, mentre le mie gambe, tremolanti, stavano per cedere.
"Non fare la femminuccia." mi tirò uno schiaffo. "Fai schifo. Guardati." mi tirò un pugno nello stomaco.
Io mi piegai in due dal dolore, serrando gli occhi e la mascella, pregando di morire presto per far finire quello strazio.

Continuò così per un'ora o più e, alla fine, mi trovai con dei nuovi graffi sulle gambe e dei lividi su schiena e stomaco.
Lei, soddisfatta del suo operato, era andata a dormire, mentre io ero rimasta in camera, rannicchiata nello stesso angolino dove mi nascondevo sempre.
Con le lacrime sul volto e i capelli appiccicati ad esse, decisi che dovevo andarmene, una volta per tutte.
Piano, aprii la mia porta e mi diressi nel bagno, salendo le scale e facendo attenzione a non svegliare quella stronza.
Aprii il rubinetto e l'acqua che vi sgorgava era gelida, perfetta. 
Mi lavai la faccia, portando le mani sul viso e massaggiandolo leggermente. Mi spogiai e feci una doccia veloce, dolorante.

Vestita con una T-shirt bianca e degli shorts di jeans, mi diressi nello stesso posto in cui avevo incontrato Louis poche ore prima. 
Presi con me il mio zaino con dentro un po' di soldi, alcuni miei vestiti e un po' di cose che mi sarebbero servite in caso fossi scappata persempre.
Non le avevo lasciato nessun biglietto, nessun messaggio. Volevo che mi dimenticasse.
Mi sedetti sulla panchina dove avevo avuto la conversazione con Louis. 
Il mare era mosso, il rumore delle onde, il loro scrosciare, mi calmava molto.
Era buio. Il viale contornato da alberi di ciliegio e qualche cespuglio ogni tanto era illuminato solo da dei lampioni a luce gialla, fioca, che donava a tutto un'aria tranquilla, proprio quello di cui avevo bisogno.
Mi sdraiai sulla panchina, fredda per via del venticello notturno, che accarezzava la mia pelle delicata, come a volermi tranquillizzare, sussurrandomi che, di lì a poco, sarebbe andato tutto meglio.
Appoggiai lo zainetto sulla mia pancia e vi misi le mani sopra, incrociate.
"Andrà tutto bene." mi rassicurai. Doveva essere così.
Sopra la mia testa, le foglioline di un albero, muovendosi, creavano un delizioso fruscio.
Il cielo, scuro, lasciava intravedere le sue stelle, con sfumature gialle, libere e delicate.
Chiusi gli occhi, sforzandomi di dormire. Dovevo riprendere le forze. Quella sarebbe stata la mia prima notte da libera, la prima notte della mia nuova vita.


READ ME.  


E' da un casino di tempo che non aggiorno nulla, lo so.
Mi era mancato tantissimo scrivere aww.
Comunque, che dire su questo capitolo... niente(?)
Questa ff sarà più seria delle altre, più non lo so.
Ho fame.
Lasciate una recensione? Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate c:
Per qualsiasi cosa,
Twitter: @oneds0ngs
Tumblr: la-ragazza-dalla-pelle-bianca.tumblr.com 


 
  
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