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Autore: cantlovecanthurtcantlive    22/10/2013    2 recensioni
Pochi notano gli sguardi cosi' sfuggenti ma cosi' pieni di amore.
E pochi hanno intuito cosa accade veramente dietro le porte chiuse. Perché' non tutti sono pronti per ascoltare,e fino ad allora,noi sussurreremo.
Una long Larry,scritta dal punto di vista di Louis, che racconta della sua vita reale (almeno secondo noi Larry Shippers) da quando è stato costretto a imbrogliare il mondo,ingoiando il suo amore, e soffocando il suo coraggio.
E immediatamente, ripenso al momento in cui strinsi le mie mani di Harry per la prima volta.
L'avevo fatto senza accorgermi;avevo spostato distrattamente la mano sulla sua, e non appena la toccai il cuore incominciò a minacciarmi di uscire dal petto da quanto batteva forte.
Ero incredulo e terrorizzato, per questo la ritrassi immediatamente, tanto velocemente che pensai che lui non avesse nemmeno percepito il mio tocco distratto.
Avevo ancora la pelle d'oca quando lui improvvisamente cercò la mia mano. Incastrò le dita nelle mie così perfettamente,che tutto il terrore che avevo in corpo svanì del tutto, e prese il suo posto una sensazione che non avevo mai provato in modo così estremo; gioia. Assoluta pura, e fottutissima gioia.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BEHIND THE CLOSED DOORS

CAPITOLO DUE .


Always in my mind,always in my heart.


Succedeva sempre così,
potevo scappare e riempirmi la vita di sogni,
ma quando lui non c'era,
quando lui smetteva di sfiorarmi,
cazzo,quando lui non mi sfiorava più,io sfiorivo.
-Charles Bokowsky.

La prima cosa che ho pensato non appena ho poggiato gli occhi sopra quel dipinto, è stata: 'inferno'.
Forse per quelle lingue di fuoco che tentano di uscire dal battiscopa della porta chiusa,dipinte con colori così caldi che sembrano veramente roventi. O forse per quella sensazione di malinconia e angoscia che ti lascia la porta,colorata di un nero pece. Non appena l'ho notata, il fiato nei polmoni mi si è dimezzato;come se,dietro a quella porta ci fossi bloccato io. Come se fossi senza via d'uscita, senza nessuna altra scelta.
«Dovresti muovere la bocca,almeno così sembrerà che stiamo conversando» mi fa notare Eleanor, puntando la cannuccia verso il mio viso.
Distolgo li occhi dal quadro appeso alla parete,e in quel momento mi accorgo di non aver ascoltato nemmeno una parola di quello che ha detto.
Siamo seduti a un tavolo di uno dei bar più conosciuti di Londra da almeno dieci minuti;e lei non fa altro che parlare. Vorrei dirle che non siamo costretti ad essere amici,che possiamo fare questa cosa da totali conoscenti,ma il suo ininterrotto parlare mi da tempo per pensare. Così taccio, e inizio a riflettere. E una delle prime cose che mi salta in mente,dopo che l'immagine della porta chiusa mi è svanita dalla testa, è fottutamente patetica: questo odore di brioche che mi sfiora le narici non mi sta facendo nessuno effetto. Mentre è il suo odore ,ancora impregnato nella mia maglietta a righe, che mi riesce a scompigliare lo stomaco.
Affondo la testa nelle braccia incrociate sul tavolo, apro le narici e cerco il più possibile di percepirlo.
«Quando ho lasciato l'università, Brian mi ha proposto questa cosa,pensa, non sapeva a chi chiedere,buffo no? Poi si è ricordato di me,sua nipote e io mi sono detta, perché no? Avevo anche bisogno di soldi...» mi racconta Eleanor la cui voce mi giunge ovattata alle orecchie;sento solo i singhiozzi di Harry che si è lasciato sfuggire questa notte farmi eco nella testa.
E non so cosa gli abbia fatti rinfilare di nuovo nelle mie orecchie. Prima di entrare nel bar, erano spariti, insieme a quel lacerante senso di colpa. Ma ora, eccoli di nuovo,profondi e acuti, e ho la netta sensazione che non se ne andranno più.
«Tu a scuola facevi teatro,no?»
Deve essere la prima domanda che Eleanor mi rivolge. Ed è pure una domanda semplice, ma in questo momento tutto mi risulta più difficile, per fino realizzare che di fronte a me non c'è la mia camera. Con quelle finestre enormi affiancate da qualche pianta di cui ci siamo dimenticati di annaffiare, con quel comodino in legno su cui giace una sola sveglia elettronica,e quell'armadio posto di fronte a un enorme letto su cui,aggrovigliato nelle lenzuola, c'è lui. Il viso bagnato dalle lacrime, gli occhi chiusi, e il petto che gli si alza e gli si abbassa violentemente come se stesse avendo un incubo,come se piangesse nel sonno.
E' l'ultimo ricordo che ho di lui. E sapere che è un ricordo triste, addirittura straziante, mi lascia l'amaro in bocca.
Annuisco,cercando di far sparire questa immagine dalla testa.
«E allora perché non ti risulta facile?» mi domanda con aria perplessa dopo aver risucchiato dalla cannuccia il cappuccino che tiene tra le mani.
«Non mi risulta facile cosa?» chiedo,mentre nella mia mente faccio affiorare l'immagine del suo volto sorridente.
Non ricordarlo triste, Louis. Non farlo.
«Mentire.» sussurra,come se il chiasso delle persone che prendono le ordinazioni non coprissero già abbastanza le nostre voci.
Come diavolo lo ha capito? Come ha capito che non ce la sto facendo anche se ci sto mettendo tutto me stesso? Come diavolo ha capito che da lui io non posso stare lontano,nemmeno un secondo, senza che il suo ricordo mi ritorni a sfiorare la mente?
«Mentire è diverso dal recitare.» le spiego con innaturale calma,tirando le maniche della maglietta fino ai palmi delle mani. Come se coprendomi, mi sentissi meno scoperto, meno nudo,meno letto.
E prima che mi soffermi troppo a pensare a me, mi ritrovo di nuovo in mezzo a quel vortice di senso di colpa in cui prima ero avvolto quando avevo sentito i singhiozzi di Harry riecheggiarmi nella testa. Un vortice di senso di colpa,così incasinato e forte, che quasi inizio a convincermi che sia tutta colpa mia,che è per colpa mia che lui sta soffrendo.
«Non è colpa tua.» mi ricordo mentalmente,ma lo penso a voce così flebile che non riesco a convincermene.
«Usciamo?» mi chiede,con gli occhi fissi sulla vetrina affacciata alla strada. Mi scorgo anch'io a guardarla, e quando noto i marciapiedi brulicanti di persone,capisco che dobbiamo dare inizio alla recita.
Mi alzo in piedi,e quando infilo le braccia nella giacca che lui mi ha prestato, il mio senso di colpa si fa ancora più pesante, perché sento,ancora una volta, il suo profumo inondarmi.
«Così non sentirai la mia mancanza» mi dice porgendomela,mentre mi lego le scarpe. E' del colore di un jeans scolorito, e attorno al colletto c'è del morbido pelo bianco.
«Mi spiace» sussurra poi, quando gliela sfilo dalle mani.
«Non è colpa tua,Haz» gli ricordo. E indossandola, mi sporgo in punta di piedi a scoccargli un bacio sulla fronte. E quando le mie labbra si staccano, aggiungo:
«Non è colpa di nessuno»

«Forse dovresti chiuderla.» mi fa notare quando la porta del bar le si chiude alle spalle.
La guardo;ha il bavero della giacca nera abbottonato fino all'ultimo, e nel suo viso c'è uno spruzzo di rossore sulle guance. E mentre inizio a rendermi conto della presenza dell'aria pungente mi domanda:
«E' sua?»
Apro la bocca per risponderle, ma la vibrazione del cellulare mi blocca.
E' un messaggio, e anche se non leggo il numero da cui proviene, intuisco all'istante il mittente.
Andate verso il centro, e stringile la mano.
Rimango a fissare quelle due parole. Stringile la mano. E immediatamente, ripenso al momento in cui strinsi le mie mani di Harry per la prima volta.
L'avevo fatto senza accorgermi;avevo spostato distrattamente la mano sulla sua, e non appena la toccai il cuore incominciò a minacciarmi di uscire dal petto da quanto batteva forte.
Ero incredulo e terrorizzato, per questo la ritrassi immediatamente, tanto velocemente che pensai che lui non avesse nemmeno percepito il mio tocco distratto. Avevo ancora la pelle d'oca quando lui improvvisamente cercò la mia mano. Incastrò le dita nelle mie così perfettamente,che tutto il terrore che avevo in corpo svanì del tutto, e prese il suo posto una sensazione che non avevo mai provato in modo così estremo; gioia. Assoluta pura, e fottutissima gioia.
E senza poter impedire che accada, ripenso a tutte quelle volte che ce le siamo strette prima delle nostre esibizioni,ripenso a come la presenza della sua mano stretta delicatamente nella mia mi infondesse una sicurezza fuori dal comune, ripenso a quando non dovevamo stringercele, ma poi non riuscivano a trattenerci, e così loro si univano, nascoste sotto i massicci tavoli durante un'intervista. E proprio in quel momento il suo tocco si mischiava a quella sensazione d'adrenalina,a quella gioia estrema e a quell'amore logorante, che c'è sempre, e non scompare mai. Così fremevo, e intanto pensavo:
'Si può amare così tanto? Così tanto da sentirsi male?' E la risposta la trovavo sempre,costantemente. Ogni volta che stringevo quelle sue mani; grandi,affusolate,e morbide.
E con le dita incrociate nelle sue capivo che nessuno aveva mai amato così tanto.
Rinfilo il cellulare nella tasca, e le afferro la mano con delicatezza.
E il senso di colpa scompare, non appena noto che la sua mano incastrata nella mia non mi suscita assolutamente nulla.
«Te l'hanno chiesto loro?» mi domanda, e quando rafforza la presa sulla mia mano,capisco a cosa lei si stia riferendo.
Annuisco, e non appena lo faccio, lei si lascia sfuggire con un tono di ammirazione:
«Non so davvero dove tu la trovi».
«Cosa?»domando perplesso.
«La forza per andare avanti, io non ce la farei.» mi risponde.
Le mie labbra tentennano quando le confido:
«E' solo...coraggio»


«Sono a casa» urlo,sorpassando la soglia. E non appena mi tolgo le scarpe,con lo stomaco che freme d'impazienza incomincio a perlustrare con lo sguardo le prime stanze che incontro.
«Haz?» domando spostando gli occhi dalla cucina al salotto.
E quando le mie orecchie finalmente percepiscono un rumore, mi accorgo che è solamente il televisore rimasto acceso. Sfilo tra i cuscini del divano il telecomando rimasto incastrato e poi spengo la tv.
«Non mi ha aspettato» realizzo mentalmente,e non appena lo faccio sento il mio stomaco che prima fremeva stringersi.
Mi distendo sul divano,e quando la mia testa si scontra con il morbido bracciolo, mi accorgo di sentirmi inevitabilmente stanco. Non ho chiuso occhio questa notte,nemmeno quando i suoi singhiozzi si sono spenti del tutto.
Potrei dormire ora,potrei chiudere gli occhi e lasciarmi andare,e per quelle poche ore tutto mi scivolerebbe di dosso. Nessun problema, nessuna preoccupazione e soprattutto nessun dolore.
Tutto sarebbe perfetto.
Ma non appena le mie palpebre stanno per cedere, sento lo schiocco della chiave che gira dentro la serratura aprire la porta,e so per certo che è Harry,lui è l'unico fra tutti e cinque a riuscire ad aprirla con un colpo secco.
Dopo che la porta si è richiusa sento il portachiavi schiantarsi sul tavolo della cucina,e non posso fare a meno di emettere un risolino soffocato da uno sbuffo;prima o poi le scheggerà quelle chiavi se continua a lanciarle. E anche se ho lo schienale del divano che mi copre la visuale,capisco che si è tolto il cappotto perché sento l'attaccapanni oscillare, e capisco che si sta avvicinando dai suoi passi che scricchiolano sul parquet.
E quando me lo trovo in piedi di fronte al divano, la sua faccia è perplessa.
«Com'era?» mi chiede,avvicinandosi.
«Com'era cosa?» domando, mentre lui si distende su di me, facendo sprofondare le sue ginocchia al fianco delle mie nei cuscini del divano.
«Lei» mi sussurra. E nel momento in cui si piega su di me, i brividi incominciano a scorrermi sulla schiena.
«Sopportabile» gli rispondo, mentre le sue labbra mi sfiorano il collo. E questa cosa, che in qualunque altro momento mi avrebbe fatto piacere, ora mi infastidisce.
Scosto il collo,cercando di sfuggire dalle sue labbra, e i miei occhi si imbattono a fissare la libreria accanto alla tv. Ho ancora gli occhi fissì lì, quando lui sbuffa e si ritrae dal mio viso.
«Preferisci la compagnia di qualcun'altro?»mi chiede ironico, e so per certo che si sta riferendo a Eleanor.
«E tu? Cosa preferisci fare invece che aspettare il tuo ragazzo?»
Sto fissando ancora la libreria, quando questa cosa mi esce dalle labbra.
Ho la pelle che mi ribolle, mentre due sue dita affondano nella mia mascella,spostandomi il viso, e costringendomi a farmi incrociare i suoi occhi.
«Ti ho pensato in continuazione.» mi sussurra.
«Dov'eri?»gli domando,cercando di cacciare dalla mente ciò che mi ha appena detto.
«Con Ed.» mi risponde, staccando le dita dal mio viso.
Non ho voglia di litigare,per niente. L'unica cosa che voglio è sentire le sue labbra premere sulle mie, eppure non riesco a non pensare al fatto che non mi abbia aspettato.
«Potevi pensarmi anche qui,da solo.»
«Queste scenate di gelosia, le dovrei fare io, non tu.» mi fa notare, alzandosi.
Mi alzo pure io, e cercando il più possibile di non alzare la voce gli faccio notare:
«Non sono geloso, ma tu dovresti esserlo.»
«Magari non sono così infantile.» mi dice mentre lo seguo in cucina, dove dalla credenza tira fuori una tazza.
Cerco di notare il più possibile nel suo volto qualche accenno di fastidio, ma sembra così impassibile e la cosa mi fa ribollire ancora di più:
«Da quando amare è infantile?»gli chiedo, e nella mia voce scorgo incredulità.
Le sue mani,che maneggiavano la scatola di cereali, si bloccano:
«Da mai,creare un litigio per nulla dopo che ti ho detto che non ho fatto altro che pensarti lo è.»
Rimango zitto,mentre sento tutta la mia rabbia spegnersi.
«Sono stanco, hai ragione, forse ho solo bisogno di dormire.»
Lui annuisce, mentre versa il latte nella tazza. E così mentre mi volto, mentre lascio sprofondare la testa sul cuscino ,dopo essere arrivato in camera da letto, penso ancora a come questa situazione mi stia uccidendo, e se poi devo morire per qualcuno che mi lascia solo?
Ho ancora questa preoccupazione che mi vaneggia in testa quando Harry entra nella stanza. In mano ha un vassoio, dove sopra vi sono due tazze piene fino all'orlo di latte e cereali. E nel vedere la sua espressione mentre cerca di non rovesciare nulla,non riesco a non soffocare una risata.
«Sei l'unica persona che conosco, che fa colazione al posto della cena.»
«Pare che da oggi ne conoscerai un'altra allora, perché questa è per te» mi dice, poggiandomi,dopo essersi seduto sul letto di fianco a me,sulle mani una delle due tazze.
Non riesco a non sorridere,come ho potuto pensare che mi avrebbe lasciato solo?E come ho potuto pensare che sarei stato male così tanto da morire? Non avevo ancora capito che con lui è impossibile?
«Sembra quasi che tu abbia paura di non essere importante per me, ma lo sei. E il fatto che tu non te lo ricordi, mi fa incazzare.» mi dice mentre con il telecomando accende la tv.
Gli sfilo dalle mani la tazza,e insieme alla mia, le appoggio sul vassoio ai piedi del letto, poi mi getto a capofitto su di lui:
«Alcune cose vanno ricordate.» gli spiego, mentre faccio scontrare la mia fronte sulla sua.
Il suo viso si apre in un sorriso, uno di quelli belli, enormi, uno di quelli suoi .
«Sei sempre nella mia mente.» mi ricorda.
«Sempre nel mio cuore» aggiungo.
Ma non sono sicuro che lui me l'abbia sentito dire, la prossima volta glielo dirò senza soffocare la mia voce sulla sue labbra,glielo dirò senza baciarlo nel frattempo, ma sempre se riuscirò a trattenermi dal farlo.


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