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Autore: ale_chan19    24/10/2013    0 recensioni
Melanie Glow, Claire Andrews e tutte le compagne di Julie sapevano ormai da lungo tempo che quando le giungeva una lettera dal fronte significava sorbirsi una o due intere giornate di fastidiosa felicità, di nauseabonda allegria e di insostenibili comportamenti tipici di una ragazza innamorata, ma quando le videro scomparire il sorriso dalla faccia mentre leggeva, capirono facilmente che qualcosa era capitato al famoso William di cui tanto avevano sentito parlare. La videro ripiegare con mani tremanti la lettera ed infilarla in una tasca del grembiule, per poi correre fuori dalla stanza così velocemente che fu impossibile fermarla.
L’infermiera Julie Spike fu ritrovata una decina di minuti dopo, mentre piangeva inginocchiata a terra non troppo lontano dall’ospedale. La faccia sconvolta, la divisa zuppa di pioggia, i ricci neri appiccicati addosso, liberati dal cappellino che il vento aveva fatto volare via.
-----3° classificata al terzo turno del Pop VS Metal contest indetto da visbs88-----
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TitoloHoping - Sperando
Autoreale_chan19
SquadraPop
Canzone sceltaSomething Stupid, Robbie Williams-Nicole Kidman
FandomOriginale
RatingGiallo
GeneriDrammatico, malinconico, romantico, triste
Avvertimenti: One-shot, songfiction




 


Hoping
Sperando

 
 
 
 
Guardò per un istante il pacchetto appoggiato sul comodino. Era piccolo, sulla carta da regalo color panna c’era una macchiolina di inchiostro, leggermente nascosta da un fiocchetto rosa chiaro, non c’era nessun biglietto; chissà, forse si era staccato ed era andato perduto, forse non era stato scritto di proposito. Perché c’era un regalo sul suo comodino? Guardò distrattamente il calendario e si rese conto che quel giorno era il suo compleanno.
Lo scartò lentamente per non rovinarne la carta. Era stupita: non aveva mai pensato che qualcuno potesse ricordarsi di un avvenimento futile come il suo compleanno, né riusciva a comprendere perché qualcuno avrebbe dovuto darsi tanta pena per farle un regalo. Il denaro era sempre troppo poco in quel periodo. Cercò di ricordarsi l’ultimo regalo che aveva ricevuto: a Natale, una ventina di biscotti al cioccolato fatti da sua sorella.
Dentro il fantomatico pacchetto c’erano tre nastri per capelli, uno bianco, uno cremisi e uno verde salvia. “Un pensiero gentile, puerile forse, e un po’ frivolo, ma gentile ed utile” constatò. Li nascose nel suo cassetto, non voleva che le sue compagne li vedessero.
Si cambiò in fretta e uscendo dalla stanza guardò il suo riflesso nella finestra: i capelli raccolti sotto il cappellino, la divisa del VAD appena disinfettata. Si sentiva orgogliosa di sé.
Scese velocemente le scale, e su un pianerottolo vide Melanie Glow, una sua compagna, che fumava vicino alla finestra aperta; gli occhi stanchi sulla faccia stravolta.
La salutò con un cenno del capo, l’altra ricambiò con un gesto della mano e un sorriso malinconico.
Passò oltre ed entrò nell’ospedale. Da quando era stata trasferita come interna al General Hospital si potevano contare sulle dita di una mano le giornate di reale tranquillità. Erano arrivate nuove navi dal continente, cariche di feriti che erano stati trasportati là.
Pensò a Will, ogni volta immaginava, desiderava, di trovarselo davanti. Ferito, ma vivo, a casa, al sicuro. Lontano dalla guerra, ma vicino a lei.
Nei primi tempi i suoi compiti erano stati ben più semplici, anche se decisamente faticosi: sfregare, bollire, cucinare, lavare, disinfettare e piegare, ma Julie aveva sempre avuto sotto gli occhi anche la realtà del sangue, della carne, delle ossa, del vomito, delle cure. Non era affatto sicura che sarebbe riuscita a rimanere nell’ospedale, così, per darsi un buon motivo per impegnarsi davvero e per contrastare la sua schizzinosa paura delle ferite o delle malattie, iniziò a immaginare che ogni ragazzo fosse Will, ogni gamba a pezzi la sua gamba, ogni braccio scomposto il suo braccio, ogni fronte pallida di sudore la sua fronte; ogni ferita, ogni pallottola, ogni taglio erano sul suo corpo, insanguinato. Tuttavia quello che era cominciato come uno stimolo, si trasformò ben presto in una fantasia morbosa e quasi incessante delle cose terribili che sarebbero potute succedergli.
Claire, la più anziana del suo gruppo, un giorno le disse: «Se continui in questo modo gli porterai sfortuna. Smettila subito, ragazzina, Dio non ti ha dato un’immaginazione perché tu ti ostini a preoccuparti per niente».
Ma Julie non poteva smettere del tutto di pensare a Will e di notte, mentre cercava di addormentarsi, si tormentava il cuore, senza far caso al lieve russare di Melanie al suo fianco. Spesso in quei suoi sogni terribili c’era una ragazza, un’altra infermiera o volontaria che si occupava di lui, con le sue cure amorevoli, di cui Will si innamorava perdutamente, dimenticando Julie per sempre.
C’erano giorni in cui l’animo le si consumava dalla sensazione di viltà, perché lui era là mentre lei era qua; lui rischiava la morte mentre lei era al sicuro. Julie sapeva come le ragazze lavoravano al fronte, le aveva temute, invidiate tal volta e per un brevissimo periodo aveva condiviso con loro le lunghe notti gelate, le cene a base di brodino in scatola che non sempre era sufficiente per tutte, la confusione all’arrivo delle autoambulanze ricoperte sangue, la vista di uomini menomati. Era andata là per sentirsi più vicina a Will, ma quando si era ammalata, qualche mesi dopo il suo arrivo, era tornata a casa piena di pulci e pidocchi per riprendersi e per lavorare più tranquillamente da questa parte della Manica.
 
William Isaac Bailey era appena sceso dal suo treno diretto a Londra. Mancava dalla sua città da quasi due anni e questa gli sembrò molto strana: non c’erano esplosioni, non c’era nessuno che sparava, che gridava. Non sveva del fango limaccioso sotto i piedi. Niente cadaveri, feriti, sottoposti infreddoliti o accaldati, affamati, annoiati, agitati, lamentosi, attaccati alla loro sigaretta come un’ancora di salvezza.
Tutto era semplicemente tranquillo.
In giro c’erano ancora donne, bambini, cagnolini al guinzaglio che lentamente tornavano a casa; dalle finestre aperte usciva l’odore della cena in fase di cottura, alcuni vasi si sporgevano dai davanzali, un gatto si era acquattato dietro l’angolo. Lui si era lavato e si sentiva così pulito nella sua uniforme senza strappi, senza buchi e senza pulci, che aveva fatto stirare nell’albergo in cui aveva alloggiato sulla via del ritorno. Non poteva dire quanto apprezzasse i vantaggi di essere un ufficiale, ma segretamente li apprezzava eccome! Valeva la pena di vivere a stretto contatto con quei ragazzini schizzinosi e smidollati con l’acne e i cui soldi e la vita privilegiata non bastavano a renderli bravi comandanti, anche solo soldati. O veri uomini, in generale. Si sentì un po’ ipocrita, d’altronde anche lui era ricco e aveva frequentato una scuola privata, ma era sinceramente consapevole di differire dalla maggior parte dei suoi compari.
Avanzava senza quasi rendersene conto tra la gente intorno a lui, seguendo strade note che da molto tempo non percorreva e a guidarlo era una forza misteriosa, un lunghissimo filo di cui un’estremità era saldamente annodata da qualche parte nella sinistra del suo petto e l’altra era legata al cuore di un’altra persona, l’unica che volesse davvero rivedere.
Julie, la sua Julie, era lì e lo stava aspettando.
Ricordava ancora la prima volta in cui le aveva realmente parlato, al ballo che i suoi genitori avevano dato per il solstizio d’estate di quattro anni prima. L’aveva vista sola, mentre osservava il paesaggio da una finestra del salone. Il lungo vestito bianco e la sua pelle pallida la facevano sembrare una vaga, effimera ed eterea creatura notturna, forse una fata, forse la splendente figlia della luna e delle stelle. Alcuni riccioli neri sfuggivano dall’elaborata acconciatura e incorniciavano quel viso magro, la cui bocca schiusa come un bocciolo era dolce e delicata come un fiore di ciliegio e i cui occhi azzurri e luminosi osservavano il sole tramontare ai confini del giardino della tenuta.
Certamente, secondo lui, Julie non poteva essere una semplice mortale, ma certamente questo è il ritratto di una donna vista con gli occhi di un ragazzo innamorato.
 
Guardò da una parte e dall’altra della strada; infine lei comparve sul marciapiede opposto. Lui la notò tra la gente perché aveva notato come, mentre si sistemava la sciarpa, si era bloccata di scatto vedendolo, pensando che era lui, ma che non poteva essere lui. Si fissarono per un periodo che sembrava lunghissimo, anche se non era durato che qualche secondo. Un autobus passò in mezzo a loro e quando si allontanò i loro occhi erano ancora incollati. Era esattamente quel momento perfetto che aveva bramato decine di volte, quello in cui il tempo si fermava, le persone, le case, le strade scomparivano. Rimanevano solo loro due, in quel mondo silenzioso, con le prime stelle che comparivano nel cielo.
 
The time is right
Your perfume fills my head
The stars get red
And oh the night's so blue
 
Finalmente attraversò la strada di corsa e non riuscì a trattenersi dallo stringerla forte in un abbraccio. Era davvero lì, viveva, esisteva sul serio, pallida e  bellissima come era sempre stata; ed era tra le sue braccia. C’erano davvero i suoi ricci neri che gli solleticavano il collo e la faccia, c’erano davvero le sue mani piccole e calde aggrappate alla sua schiena, non era uno stupido sogno, non era dolorosa immaginazione, era pura realtà. I suoi occhi erano ancora grandi e azzurri come il cielo nelle giornate di sole in estate, quando la andava a trovare, in un tempo passato in cui i ricchi passavano le estati a non far nulla.
 
Quel mattino il cielo era alto, bianco. Le nuvole compatte erano decise a nascondere il sole ad ogni costo, l’aria era fredda.
Il capitano Bailey stava pregando quando sentì il fischio. Smise di pregare, per un istante si chiese perché continuasse a farlo, dato che ormai non era più certo della sua esistenza. Forse per scaramanzia?
Si preparò ad uscire dalla trincea per andare in quella maledetta terra di nessuno. Guardò i suoi uomini: chi gridava, chi sputava, chi chiamava la mamma, chi tremava, chi piangeva, chi, stoico, era immobile come lui, pronto a combattere.
 
La notte era cupa, le nuvole nascondevano la luce delle selle e della luna, dalla finestra non si poteva vedere altro che il cielo nero, tetro e sentire il profumo della pioggia mischiato all’odore dell’ospedale.
Julie era seduta accanto a quel letto, a quell’uomo, al fallimento della giornata, il fallimento del dottor Jennings, nonostante avesse provato di tutto quel pomeriggio. Si ritrovava spesso a rimanere vicina ai pazienti moribondi, nessuna delle altre infermiere sue conoscenti sembravano apprezzarne molto la compagnia, così lei si accollava alcuni dei loro doveri, stando insieme a quei poveri disgraziati. Le piaceva essere gentile con loro, perché presto, molto presto, avrebbero lasciato questo mondo infame; tuttavia non sopportava vederli morire, sentire i rantoli, il respiro che si mozzava, il cuore che smetteva di pulsare. Preferiva vederli morti. La pace, questo era ciò che tutti agognavano, lei, quei soldati, la gente dell’ospedale, la gente della città, la gente della nazione, la gente del mondo. Era felice quando finalmente quelle persone smettevano di vivere, perché i loro volti non erano più sofferenti e sapeva che almeno loro stavano andando in un qualche posto migliore, dove restare beati per sempre.
Ma quella notte era lì, seduta accanto al soldato Ferguson, che già stava pagando il biglietto di quel viaggio senza ritorno, era lì, seduta sulla sedia in cui sarebbe dovuto esserci Melanie, dietro quel paravento dove avrebbe dovuto esserci Melanie, perché lei in quel momento proprio non riusciva a comportarsi come sempre: sentiva una strana pressione dentro di sé, un particolare malessere all’altezza del suo cuore. Povero Ferguson, si sentiva in colpa perché pensava che proprio lui, sfortunato tra gli sfortunati, non poteva avere il giusto sostegno, solo perché la propria testa era altrove, quella notte.
Il soldato Ferguson le disse qualcosa di incomprensibile.
«Come?» Gli chiese dolcemente.
«Sei proprio tu?» Ripeté con voce flebile, confusa come era confuso lui dal delirio della sua mente e del suo corpo.
«Sì, sono io.» Rispose lei.
«Mi sei mancata tanto. »
«Anche tu mi sei mancato. »
«Quando uscirò di qui potremmo andare a bere un the come ai vecchi tempi, in quel posto vicino al parco, ti ricordi? »
«Certo, non vedo l’ora. »
«Non mi sento molto bene, mi daresti dell’acqua? »
«Con piacere. » Lo aiutò a bere un sorso dal bicchiere.
«Mi piacerebbe comprare del pane in quella panetteria in xxx Road, mi piace quel pane, te lo portavo sempre quando passavo dalle parti di casa tua e lo mangiavamo insieme sulla panchina del tuo giardino. »
«Presto sarà primavera, sarà bello stare in giardino con te. »
«Sarà molto bello… Eleonor? »
«Dimmi. »
«Non è molto virile, ma mi terresti per mano?» Gli prese la mano.
«Grazie… sai? Ho un po’ paura. »
«Non temere, ci sono io qui con te. »
Julie rimase turbata da quella notte, ancora più turbata di quanto non fosse prima. Pensò a quella Eleonor, la immaginava vestita di nero, sotto un albero spoglio, seduta su quella panca fredda del giardino, mentre piangeva per il suo amico, parente, fidanzato, che la guerra le aveva portato via.
 
“Che fine ha fatto il fango? Il cielo? Il freddo? Dove mi trovo?” pensò il capitano Bailey guardandosi intorno, spaesato. Fino a pochi istanti prima era convinto di essere caduto a terra, con un dolore lancinante al petto, alle braccia, alle gambe. Qualcuno gli era passato sopra, come se fosse uno qualsiasi del tappeto di cadaveri intorno a lui. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma aveva capito di non avere abbastanza forza per aprir bocca. “Tu, uomo, parlo con te! Rispondi a un tuo superiore! O sei un nemico? Lo capisci l’inglese? Voltati, voltati ora!” Pensava, sperando che l’altro potesse sentire dentro la sua testa. La sua vista era offuscata, non riusciva a distinguere quasi più nulla; la sua speranza si teneva aggrappata a quella figura, quella sagoma nera. “Soldato!” urlava imperioso mentalmente “Se sei un mio compagno, Cristo, salvami! Se invece sei un nemico, abbi almeno la pietà di finirmi”. Il dolore era insostenibile. “Mi va bene, prendi la tua maledetta pistola o il tuo maledetto fucile e sparami, per l’amor di Dio! Sparami come se fossi uno stupido cavallo ferito, malato, inutile. Per me va bene, ma non lasciarmi soffrire così”. La figura nera si stava allontanando, riuscì a mugugnare qualcosa, ma ormai era troppo tardi. “Ti prego, ti imploro, prendi almeno la lettera che ho dentro la giubba. Probabilmente sarà infangata o insanguinata, illeggibile, ma prendila! Spediscila a Julie”. Ma nessuno aveva ascoltato le sue preghiere silenziose.
Adesso era altrove, in piedi, indossando degli abiti borghesi di prima della guerra. Poi comprese di essere nel giardino di sua madre, al tramonto. Involontariamente si girò verso la casa; Julie era lì, affacciata alla finestra del salone, proprio come quel primo giorno d’estate. Lo stava osservando, ma improvvisamente si allontanò dal vetro.
Poco più tardi sentì dei passi dietro di lui, li aveva riconosciuti, erano inconfondibili.
«Paesaggio incantevole» gli disse, ripetendo quelle prime parole che le aveva rivolto.
Osservavano vicini, in silenzio, il sole tramontare tra le cime frondose degli alberi alla loro destra; le aiuole ben curate erano traboccanti di fiori, le cui corolle si stavano chiudendo pian piano. Le siepi erano lucide, brillavano delle gocce di pioggia che era caduta durante il pomeriggio. Poi le nuvole nere se n’erano andate, lasciandone indietro solo alcune di chiare, ora tinte dei rosa e degli arancioni più caldi. In fondo al giardino il piccolo lago, uno dei vanti di sua madre, sembrava accecante, tanto il riverbero del sole lo illuminava. Si potevano chiaramente vedere le sagome  di due cigni che nuotavano placidamente.
All’improvviso Julie lo superò e girandosi verso di lui disse:«Prova a prendermi.»
Iniziò a correre, con il tessuto svolazzante del vestito che volteggiava nell’aria. La seguì, il suo unico punto di riferimento era proprio quella gonna bianca e vaporosa che scompariva dietro le siepi.
«Will! » Lo chiamava, ridendo.
Superarono fiori, alberi, statue, diretti verso il lago e più gli si avvicinavano, più questo diventava luminoso.
A William sembrò di correre verso il sole.
 
Melanie Glow, Claire Andrews e tutte le compagne di Julie sapevano ormai da lungo tempo che quando le giungeva una lettera dal fronte significava sorbirsi una o due intere giornate di fastidiosa felicità, di nauseabonda allegria e di insostenibili comportamenti tipici di una ragazza innamorata, ma quando le videro scomparire il sorriso dalla faccia mentre leggeva, capirono facilmente che qualcosa era capitato al famoso William di cui tanto avevano sentito parlare. La videro ripiegare con mani tremanti la lettera ed infilarla in una tasca del grembiule, per poi correre fuori dalla stanza così velocemente che fu impossibile fermarla.
L’infermiera Julie Spike fu ritrovata una decina di minuti dopo, mentre piangeva inginocchiata a terra non troppo lontano dall’ospedale. La faccia sconvolta, la divisa zuppa di pioggia, i ricci neri appiccicati addosso, liberati dal cappellino che il vento aveva fatto volare via.
 
Nessuno si era accorto che era uscita dall’ospedale, aveva aspettato che fosse notte fonda ed era sgattaiolata fuori dall’edificio, con una meta ben precisa.
In quel momento era lì, appoggiata al parapetto del ponte, non riusciva a vedere l’acqua, ne sentiva solo il rumore. Si sporse un altro po’, cadere sembrava così semplice.
«Signorina, non mi sporgerei così tanto se fossi in lei. »
Si girò, spaventata, dietro di lei c’era un ometto pingue, palesemente ubriaco. Le si avvicinò, aveva una lunga barba grigia, un vecchio cappotto, un alito insostenibile.
«Il fiume è parecchio turbinoso dopo il tempaccio di questi giorni, non mi ci butterei nemmeno se fossi particolarmente disperato. » Continuò con uno sguardo eloquente.
«Vuole un po’? » disse porgendole la bottiglia che aveva in mano.
«No, grazie. » Con la guerra non era diventata una bevitrice di birra, non aveva nemmeno iniziato a fumare. L’opposto di Claire Andrews, praticamente.
«Vuole sapere una cosa, signorina? Ad un certo punto delle nostre vite noi perdiamo noi stessi dicendo addio a qualcuno di speciale. È normale. Noi prepariamo noi stessi ad avere un bel futuro e lo aspettiamo per tutta la nostra vita. Siamo vergognosamente pieni di sogni, speranze, opinioni, idee, storie e passioni, ma abbiamo più o meno tutti gli stessi obbiettivi. Forse siamo alla ricerca dell’amore, della vera amicizia, del desiderio di avere una famiglia o del successo, del denaro, del potere, però disgraziatamente il tempo passa e quando siamo costretti a crescere capiamo che il momento perfetto del nostro passato potrà essere un doloroso ricordo nel nostro futuro. Un solo singolo istante può rovinare le nostre vite per sempre, anche l’amicizia più profonda un giorno potrà finire. Trovare l’amore non è facile come in certi romanzetti e a volte anche se si fa del proprio meglio semplicemente il meglio non è abbastanza. Ma c’è una cosa, la più importante, che forse non impareremo mai:  le nostra vite sono molto di più. Noi creiamo, distruggiamo, amiamo, odiamo. Esiste un Dio? Perché sono vivo? Perché non sono morto? È stato fato o coincidenza? Perché c’è la guerra? Chi non si è fatto una domanda del genere in questi tempi? Fortunatamente ad un punto delle nostre vite, signorina, noi poveri mortali troviamo qualcosa per cui lottare, impariamo ad apprezzare tutte le piccole cose e spero che forse un giorno troveremo quella cosa che unisce tutti noi e in quel momento, quando avremo accettato entrambe i lati della medaglia, noi, signorina, smetteremo di scappare dalle nostre vite. Non si butti, quindi, le si rovinerebbe il cappotto. Abbia fede.»
Il vecchio ubriaco se ne andò così come era comparso, Julie si sedette a terra, confusa, guardava verso l’alto; la luna era così luminosa quella sera.
Forse un giorno sarebbero tornati tempi migliori, lei li ricordava. Ricordava di prima della guerra, delle signore con i cappellini bianchi, i bambini, i cagnolini, i dolcetti caldi. Ricordava i balli, con le ragazze svampite e civettuole da un lato, i giovani anelanti dall’altro e signorine innamorate nascoste da qualche parte in compagnia dei loro amanti. Non che non ci fossero signore coi cappellini bianchi anche in quelle occasioni, o uomini in vestito elegante col fiore all’occhiello. Le vecchie comari pettegole riempivano gli angoli e i divanetti, parlottando di Lady Questa o Mr. Quell’altro con i bicchieri sempre pieni e il naso sempre più rosso. Le feste non le interessavano particolarmente, al contrario di sua sorella maggiore, che in quelle occasioni si deliziava nel vantarsi del suo fresco fidanzamento. Le persone della compagnia si aspettavano che anche lei trovasse un buon partito, dopotutto aveva solo un anno in meno della sorella, la cosiddetta età da marito l’aveva ben compiuta. Avrebbe voluto aspettare che il mondo si evolvesse il prima possibile quel tanto che bastava affinché si potesse lasciare una giovane di buona famiglia sprovvista di marito. All’inizio di quel ballo per il solstizio d’estate (ah, le idee frivole dei ricchi!) non aveva trovato altra buona compagnia che un piccolo bicchiere di vino bianco e lo splendido tramonto che stava osservando.
«Paesaggio incantevole. » Al suo fianco era comparso il figlio dei padroni di casa, aveva pressappoco la sua età.
«Mr. Bailey, quale piacere. »
«Il piacere è mio, Miss Spike. »
Per una ragione o per l’altra si era trovata, un po’ di tempo dopo, a far parti di quel gruppo di ragazze inclini ad appartarsi con il loro innamorato molto, molto lontano dagli occhi dei genitori e di tutti. Eppure le cose belle non sembrano destinate a durare molto a lungo; “Presto signori, arruolatevi! Abbiamo bisogno di voi” gridavano i manifesti. Ogni tanto per le strade si vedevano i giovani appena arruolati che sorridevano imbarazzati mentre piccoli capannelli di donnicciole applaudivano. Così suo fratello era partito, suo cognato era partito, i suoi cugini erano partiti, tutti alla volta del continente, compreso William. Non tutti erano tornati.
Inizialmente anche lei, come volontaria del VAD, si era offerta di andarci, pur di seguire William, ma era tornata indietro come una vigliacca.
Poi quel giorno, era a Londra dopo due anni, finalmente un licenza.
 
Then afterwards we drop into a quiet little place
And have a drink or two
And then I go and spoil it all
By saying something stupid
Like I love you


Erano seduti ad un tavolo di quel posticino che avevano sempre considerato “il loro”, dalla vetrina si poteva scorgere il cancello di casa sua, in fondo alla strada. Davanti a loro c’erano due belle tazze di the e due panini caldi.
“Non siamo più gli stessi, Julie. Cosa siamo diventati?”
Non aveva risposto, non lo sapeva neppure lei.
Ma di un’unica cosa era sicura: la felicità sarebbe tornata. L’aveva inteso dopo quel suo tentato suicidio sventato da un ubriacone che vaneggiando le aveva detto di aver fede. L’aveva capito ricordando quel pomeriggio quando, dopo il the, erano arrivato fino al parco. Non avevano mai avuto la possibilità di sentirsi così vicini, di essere così vicini.
Dio, per tutti quei mesi erano rimasti fedeli a cosa? A quelle passeggiate con le loro dita che s’intrecciavano? Ma l’aveva baciata e con quel bacio aveva sentito che tempi migliori sarebbero tornati, perché aveva sentito ancora quell’aria rosa, gialla, arancione di quel tramonto del solstizio d’estate, quella stessa aria colorata e gioiosa di quando era bambina e correva con la sua bambola in mano e i ricci neri costretti nelle trecce che sua sorella si divertiva a farle. Quell’aria in cui sussurrare “Ti amo” nell’orecchio di William era così stupidamente semplice.
Sarebbero tornati.
Bastava solo aspettare.




NDA
Partecipa al Pop VS Metal contest indetto da visbs88 :)
La storia sarebbe teoricamente ambientata durante la Prima Guerra Mondiale, ma poi tutto è un po' relativo, lo ammetto :P.
Con VAD si intende (cito dall’articolo di Wikipedia): "The Voluntary Aid Detachment (VAD) was a voluntary organisation providing field nursing services, mainly in hospitals, in the United Kingdom and various other countries in the British Empire. The organisation's most important periods of operation were during World War I and World War II.” Si tratta quindi di un’organizzazione di volontariato femminile, dove le donne aiutavano come infermiere, cameriere, cuoche, ecc…
Sono in ritardo terribile, mi dispiace visbs çwç e penso che verrò penalizzata l’uso canzone (ups), infatti, anche se alla fine ho optato per l’aggiungere alcune parti del testo, la canzone l’ho usata principalmente per l’atmosfera. Sono dell’idea che quella canzone crei un’atmosfera molto “gioiosa”, a prescindere dal testo, anche se viene pincipalemente ricordata alla fine della one shot.
(Bisogna dirlo, sono terribilmente delusa di me D: Odio letteralmente questa roba che ho scritto e mi pento di averla usata per il contest =w='''')
Non odiatemi troppo,
ale_chan

 
  
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