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Autore: Carlos Olivera    24/10/2013    1 recensioni
Una nave coloniale.
Un milione di persone.
Un viaggio di cento anni.
L'universo è un oceano di stelle dove regna il silenzio. Dove tutto sembra essere inerte, e ogni cosa emerge in tutta la sua infinitesimale insignificanza. Anche a bordo dell'Aurora, questo piccolo microcosmo che naviga solitario verso la sua destinazione, tutto è silenzio. Di tanto in tanto, però, parte del suo equipaggio si ridesta, perdendosi in pensieri, azioni e parole che come foglie al vento scivolano nell'infinità del cosmo.
"Aspettiamo solo di vederlo comparire. Laggiù, all'orizzonte. Bellissimo. Una gemma scintillante. Una speranza. La nostra speranza in questo infinito oceano di stelle"
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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Giorno 136

37094 Giorni All’Arrivo

Cabina del Ponte Di Comando

Cella Di Contenimento n.2

Ten. Col. Nicholas Stravros

 

Nicholas non avrebbe mai pensato che sarebbe finita così.

Si immaginava di concludere la sua vita lì dove l’aveva iniziata, nella sua bella isola circondata dal mare, con le sua terra brulla che emergeva violentemente dalle acque, le sue case bianchissime illuminate dal sole, e al centro della baia quel fumaiolo maestoso che di tanto in tanto tornava a sbuffare, gettando verso l’alto fiotti di acqua incandescente.

Quando era bambino amava correre come un pazzo per le stradine strette della sua Santorini, assieme ai suoi amici, o verso il basso, in direzione della più vicina scogliera, da cui tuffarsi tutti insieme nell’azzurro cristallino dell’Egeo, o verso l’alto, in direzione del duomo, arrampicandosi fin sulla sommità del campanile per godere del più bello dei panorami; da lassù ogni cosa sembrava così piccola, e allo stesso tempo così irraggiungibile, dando nello stesso momento l’impressione di essere dèi e formiche, signori di quel piccolo mondo ma allo stesso tempo insignificanti formiche di quel vasto, infinito oceano che era il cosmo senza confini.

La sera, quando calava il sole, e le case diventavano rosse, era solito sdraiarsi sul tetto blu della sua casa, talvolta assieme alla sua sorellina, e fantasticare assieme a lei sulle innumerevoli stelle che come tante lucciole vedevano accendersi una dopo l’altra sulla volta celeste.

Lei gli chiedeva di indicargli i nomi delle stelle, delle costellazioni e dei pianeti, e lui, quando poteva, le rispondeva, rimanendo ogni volta colpito da quanto poco ne sapesse.

Da lì era nata la sua passione per lo spazio, e la volontà di saperne quanto più possibile.

In pochi della sua famiglia avevano mai lasciato Santorini, quella specie di macchina del tempo in cui tutto restava uguale a stesso mentre fuori, oltre il mare, il mondo progrediva, preda di una sfrenata corsa al progresso che la magia aveva solo contribuito a velocizzare.

Suo padre faceva la guida turistica, e affittava i muli per i turisti che volevano provare l’ebbrezza di una cavalcata, o  qualcosa del genere, sua madre invece aveva sempre fatto solo la casalinga, dividendosi tra la cura dei figli, quella della casa, e l’arte del ricamo in cui era maestra.

Entrambi si erano detti un po’ stupiti quando lui aveva chiesto di poter partire, ma lo avevano assecondato, così lui, raccolti armi e bagagli, un bel giorno di settembre era salito a bordo di uno dei tanti traghetti che facevano la spola con la terraferma, dicendo addio per chissà quanto tempo ai luoghi in cui era cresciuto.

La vista di Atene lo aveva lasciato sgomento.

Aveva visto in televisione le meraviglie del mondo moderno, ma vedersele comparire davanti era stata tutta un’altra cosa.

Il mondo era cambiato.

Se il ventesimo secolo era stato il trampolino di lancio per l’M-Technology*, il ventunesimo aveva letteralmente ridisegnato ogni cosa. Dove prima c’erano il petrolio e il carbone, ora c’erano il sole e, soprattutto, la magia.

Tutto esisteva e funzionava grazie ad essa, e nuovi, infiniti modi per riuscire a sfruttarla venivano scoperti ogni giorni.

La magia aveva restituito lustro ai monumenti, riparato le statue, e ricondotto Atene, o almeno il suo centro storico, alle medesime glorie del suo periodo d’oro, scintillante di maestosità e bellezza.

E poi la natura.

Gli alberi, le pinete, il mare e tutto il resto venivano trattati come figli, strumenti di vita da preservare, perché solo se il mondo e la natura prosperavano la magia prosperava a sua volta, e con essa la società che gli Uomini vi avevano costruito intorno.

Ad Atene, Nicholas non era rimasto a lungo.

Conseguito il diploma di scuola superiore si era nuovamente spostato, a Venezia questa volta, la superba città volante, innalzatasi nel cielo per sfuggire alla minaccia delle acque che ogni anno ne sommergevano una parte, e diventata in pochi anni la più bella città volante che il mondo avesse visto.

L’università di Venezia era una delle più apprezzate nel campo dell’astronomia e delle scienze spaziali, e qui Nicholas aveva potuto ottenere quello che aveva sempre sognato: diventare un cosmonauta.

Tuttavia, sapeva che in quanto civile la sua possibilità di viaggiare nello spazio sarebbe stata molto limitata, così prima ancora di conseguire la laurea in ingegneria aerospaziale si era arruolato nell’ESPEA, l’European SPace Exploration Agency.

C’erano anche i suoi genitori il giorno della consegna dei diplomi di laurea, a quella festa organizzata a bordo della Foscari, l’aeronave da addestramento personale dell’università. Il giorno più bello della sua vita. Nel momento in cui, sotto un piacevole sole primaverile, aveva alzato al cielo il suo diploma, rimirando dall’alto le onde spumeggianti del Mar Adriatico, si era sentito davvero per un istante il re del mondo.

Ma poi, era giunto il momento di tornare sulla Terra, e l’impatto era stato così violento da fargli molto male.

Il seguito non era stato per niente facile. Appena entrato nel programma spaziale, era stato immediatamente trasferito in Scozia, in una delle tante basi disseminate per tutta Europa. E sarebbe sicuramente rimasto a marcire laggiù, lontano da quei luoghi che gli avrebbero potuto aprire le porte del suo sogno, se non si fosse battuto con le unghie e con i denti, accettando ogni proposta, cogliendo ogni occasione, tutto il nome di quel cielo che voleva assolutamente raggiungere.

Finlandia, Norvegia, Turchia, Kazakistan, Spagna.

Aveva viaggiato più lui di qualsiasi altro abitante della sua isola presente e passato, e ogni viaggio lo aveva portato un po’ più vicino alla sua meta.

Più vicino a Le Havre. Più vicino alla sede centrale dell’ESPEA.

Gli mancava la sua isola, e più il tempo passava più rari si facevano i momenti in cui gli era possibile ritornare, anche solo per pochi giorni, ai luoghi della sua infanzia. Poi i suoi genitori erano morti, sua sorella si era sposata e a sua volta trasferita, e così lui non era più tornato.

Ogni viaggio era accompagnato da lodi, ogni lode da una promozione. Di passo in passo, di promozione in promozione, era infine arrivato lì dove voleva.

Fino al giorno in cui, finalmente, era riuscito a trovare ciò che aveva sempre inseguito.

Il cuore gli era quasi scoppiato per la gioia quando, per la prima volta, venne scelto per far parte di una nuova missione spaziale.

Nel momento in cui si era seduto alla propria poltrona, per un attimo gli era sembrato di tornare bambino, al giorno in cui era salito sul traghetto per lasciare Santorini. E ancora una volta, la realtà si era rivelata capace di fare stracci delle sue più sfrenate fantasie.

Il suo primo viaggio fu quanto di più bello avesse mai sperimentato.

Non c’era paragone.

La meraviglia del cosmo superava di gran lunga qualsiasi cosa umanamente concepibile. Non c’era niente di più bello. Niente.

Nicholas ne era stato a tal punto sconvolto da non volersene più allontanare.

Non concepiva più la sua vita lontano dalle stelle.

Dopo quella missione ne seguì un’altra, e un’altra, e un’altra ancora.

Intanto, gli anni passavano, e prima che potesse rendersene conto i capelli si erano fatti grigi, la pelle più sterile, e quelle ossa che un tempo lo avevano sostenuto sulle impervie scogliere di Santorini si erano ormai indebolite.

Era invecchiato.

Il tempo era passato, e lui non se ne era reso conto.

Poi, quando il peso degli anni aveva iniziato a prevalere sul suo vigore di avventuriero, lo stesso che lo aveva guidato da bambino, in quel momento gli era venuto per la prima volta da tirare le somme della sua vita.

E fu allora che capì quanto fosse stato ingenuo.

Aveva inseguito il suo sogno, lo aveva ottenuto, se ne era nutrito fino a saziarsi. Ma per farlo, aveva sacrificato tanto altro, a cominciare dalla possibilità di avere una famiglia tutta sua.

Niente moglie. Niente figli.

Solo una sorella, della quale quasi non ricordava più il  volto.

Era solo.

E così, quando un giorno era stato convocato nell’ufficio del capo dell’ESPEA in persona, per ricevere la più grandiosa e gloriosa delle proposte, lui aveva detto di no. L’ESPEA voleva mettere nelle sue mani la sua nave, la Sympan, che lui stesso aveva personalmente contribuito a creare e collaudare, perché come un nuovo Giasone conducesse un nuovo equipaggio di argonauti alla conquista di un nuovo mondo.

Ma Nicholas ormai era stanco, troppo stanco.

Non gli importava di vedere un nuovo mondo.

Anzi, gli mancava il vecchio.

Voleva tornare alla sua casa, alla sua Santorini, per trascorrervi serenamente la vecchiaia, rimirando ancora quel sole che al tramonto dipingeva le case di rosso, e quella volta stellata che come la luce del paradiso brillava sopra la sua testa.

Per questo, rifiutato il più grande degli onori, era tornato laggiù, nel luogo da cui era partito, e dopo tanti anni fu sorpreso nel vedere che, almeno lì, tutto era rimasto come lo ricordava.

Le stesse case bianchissime, le stesse scogliere nere come il carbone, lo stesso fumaiolo al centro della baia, la stessa gente cordiale ed onesta. I suoi compagni di giochi erano invecchiati, proprio come lui, ma nell’animo erano rimasti anche loro quelli che ricordava, e anche se le facce erano ormai cambiate l’aspetto interiore era rimasto immutato.

Tutto era rimasto uguale.

Solo una cosa era cambiata.

Lui.

Lui era cambiato. Non era più la persona che se n’era andata. Tutto era rimasto uguale, eppure, proprio per questo, non gli riusciva quasi di concepirlo. Ciò che un tempo gli era parso normale ora, ai suoi occhi, era diverso, oscuro.

Le case, gli scogli, il cielo, il sole, il mare. Tutto era diverso.

Anzi, no. Era lui che era diverso.

Nel momento in cui si era staccato dal quel mondo, aveva smesso di farne parte. La normalità, quell’eremo che un tempo era stato la sua casa, gli sembrava aliena, come alieni erano stati tutti i luoghi in cui si era venuto a trovare dal giorno in cui se n’era andato.

Solo allora realizzò.

Quella non era più la sua casa.

Era cambiato.

Era diventato un estraneo per quel mondo. Come quei turisti goffi e opulenti dei quali aveva riso da bambino, guardandoli sudare come fontane per pochi raggi di sole o arrampicarsi tremolanti in sella agli asini di suo padre per una foto ricordo.

Quel mondo non aveva più niente da dargli, neppure un luogo che potesse chiamare casa.

E allora, si era domandato: “Che senso ha rimanere?”.

Così era tornato sui suoi passi, ancora, per accettare quell’offerta.

Ma ormai era troppo tardi. Il suo posto era già stato dato ad un altro.

Il progresso e lo spazio non aspettano i ritardatari o gli indecisi. Se l’era sempre detto. Era stato il suo dogma.

Per fortuna, la sorte non aveva voluto essergli del tutto avversa, e pur perdendo la Sympan aveva guadagnato l’Aurora.

Non la poltrona di comando gli era stata offerta, ma a lui poco importava.

Quello che voleva davvero era una nuova casa.

Se una casa non ce l’aveva sulla Terra, allora Celestis era l’unico altro luogo in cui poterla cercare.

Prima di partire, e ancora prima di immergersi nel sonno criogenico, aveva ripensato alla sua infanzia, alle stradine strette, alle corse con gli altri bambini, e a quella casa che ormai casa non lo era più.

E aveva pregato.

Aveva pregato di trovare qualcosa che assomigliasse anche solo lontanamente a ciò che aveva lasciato.

Ma nutriva molte speranze.

Visto era grande Celestis, doveva esserci per forza un luogo che assomigliasse a Santorini.

Una nuova casa in cui poter ricordare quella vecchia, immerso nella quiete del nulla, solo con le sue memorie.

Nell’attesa che venisse il suo momento.

 

* M-Technology: Tecnologia della Magia, sviluppata a seguito della scoperta della stregoneria nel 1979, sfrutta la magia come fonte di energia. A partire dal XXI secolo, è diventata la principale fonte di progresso e sviluppo scientifico della specie umana.

  
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