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Autore: Manny_chan    25/10/2013    1 recensioni
Amastra, città oscura colma di magia e di creature misteriose.
Ci sono persone che sognano di abitarci, persone che desiderano scappare da essa e persone che vorrebbero solamente poterla visitare per una volta.
Raven è uno di loro. Quando l'occasione di coronare il suo sogno è a portata di mano la coglie al volo.
Ciò che non sa però è che non tutte le creature che popolano Amastra sono degne di fiducia e quello che sembra un sogno potrebbe presto assumere tinte ben più cupe...
Tra fate, naga e un grosso inganno, l'avventura di Raven rischia di trasformarsi in un incubo... o forse no?
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era decisamente uno spettacolo che non si vedeva tutti i giorni.
Raven si mordicchiò il labbro inferiore, mentre  scendeva con un balzo dal convoglio che lo aveva portato fino al limitare di una vallata, oltre la quale si innalzava una città dalle alte torri scure.
“Che noia!”, sbottò Gareth, balzando giù accanto a lui. Si passò una mano tra i capelli, sbuffando. “Che razza di gente anormale, perché diavolo far finire la ferrovia qui e non a ridosso della città?”
“Ga-aareth”, cantilenò Aramis, mentre allungava una mano per farsi tirare giù a sua volta dal carrozzone. “Non mi dire che ti spaventa fare quattro passi.”
Raven si affrettò ad aiutarlo a scendere, fragile com’era Aramis non era da escludere che si accoppasse nel tentativo di saltare giù.
“Non è quello!”, brontolò Gareth, scrollando le spalle. “Dico solo che è da anormali vietare una cosa del genere, avrebbero dovuto imporglielo, perché mai…?”
“Semplicemente non amiamo la tecnologia, giovanotto, se questa invade le nostre città.”
Una voce aspra e roca li fece sobbalzare tutti e tre; nel voltarsi si trovarono di fronte un uomo alto, allampanato, vestito elegantemente che teneva per mano una giovane donna, anche lei vestita di pizzi e velluto viola, nonostante la temperatura estiva. Era pallida, emaciata, come se stesse poco bene. Vene bluastre le solcavano le tempie ed il collo.
Dovevano essere scesi dal convoglio dopo di loro.
Gareth borbottò qualcosa, impappinato. Raven capì di dover prendere lui in mano la situazione e fece un leggero inchino. “Non intendevamo mancarvi di rispetto”, sospirò, lanciando all’amico un’occhiataccia.
L’uomo scrollò le spalle, sostenendo la sua compagna per la vita. “Risponderò comunque alla curiosità del tuo amico dalla lingua lunga. Tra le creature che coesistono nelle terre ovest, ce ne sono alcune che mal sopportano la tecnologia. I metalli pesanti, i miasmi del carbone, per alcuni di noi sono deleteri, se non tossici. Tenetelo a mente, stranieri, quando varcate le porte della città.”
Detto quello prese tra le braccia la giovane, che sembrava stare decisamente meglio rispetto a poco prima, e si incamminò, senza più degnarli di attenzione.
Raven diede una gomitata a Gareth. “Tieni a freno la lingua, ci manca solo di fare arrabbiare qualche stregone!”, sibilò.
Il giovane si massaggiò le costole, sbuffando. “Va bene, d’accordo. Chiedo scusa…”, disse. Poi guardò la figura allampanata da lontano. “Dici che è un vampiro con la sua bella e cagionevole amante?”
Aramis gli diede una pacca sulla nuca. “E’ giorno, animale, collega il cervello”, lo sgridò, scuotendo la testa. “Secondo me appartengono al popolo fatato. Non hai visto come lei ha ripreso colore non appena si è allontanata dal convoglio?”
Raven non poté che dargli ragione. Aramis, da topo di biblioteca qual’era, raramente era in torto. “Su, in marcia”, disse infine, spronando i due. Prese la sacca che si era portato dietro, mettendosela in spalla ed incamminandosi nell’erba. Non vedeva l’ora di arrivare ad Amastra.
“Attento a non fartela nei pantaloni, mi raccomando”, sghignazzò Gareth, raggiungendolo. Raven per tutta risposta gli tirò un calcio alla rotula. “Smettila, come se tu non fossi eccitato al pensiero di vedere finalmente la capitale della magia.”
“Oh, sono eccitato eccome. Talmente eccitato che qualcuno ne farà le spese, stanotte”, ribatté divertito, lanciando un’occhiata ad Aramis che  avvampò, diventando dello stesso colore dei ricci color borgogna che gli incorniciavano il viso. “Scemo!”, sibilò, allungandogli un calcio sull’altra rotula.
Gareth ululò, fermandosi per massaggiarsi le ginocchia. “La volete finire?! Mi azzopperete prima o poi!”, brontolò.
Aramis lo oltrepassò sdegnosamente, camminando qualche passo avanti a loro.
Raven sorrise, divertito. “L’hai fatto arrabbiare”, disse.
“Ah, capita spesso, ma so farmi perdonare…”, il tono dell’amico aveva un che di malizioso che gli fece scuotere la testa, rassegnato. Non avrebbe mai capito cosa fosse scattato tra quei due. Aramis era grazioso, certo,  il viso a forma di cuore spruzzato di lentiggini, le labbra carnose e gli occhi di uno sconcertante blu oltremare. Ma era anche esile, quasi spigoloso, e sembrava potersi rompere da un momento all’altro. Inoltre il suo passatempo preferito era seppellirsi nella biblioteca di Marestre a divorare tomi su tomi; tutto il contrario di Gareth, alto, muscoloso e dedito alle osterie, alla birra e alle donne formose di cui era sempre circondato.  Ed Aramis non era certo una donna formosa. Eppure tra i due era sbocciato qualcosa di inaspettato che Raven non comprendeva, ma che accettava così com’era. Forse un giorno avrebbe indagato.
Mano a mano che si avvicinavano le torri si facevano via via più nitide.
Amastra, la capitale della magia. Era da quando aveva sei anni, quando aveva sentito i racconti dei ragazzi che l'avevano vista anche solo da lontano, che moriva dalla voglia di visitarla.
Da vicino ci si rendeva conto che le torri non erano semplicemente di pietra nera, come poteva sembrare, ma erano ricoperte i una miriade di cristalli color ebano che, alla luce morente del tramonto, si erano come accesi, emanando una tenue fluorescenza violacea. Già da fuori Amastra toglieva il fiato; era sempre più impaziente di vederne l’interno…
 
                                                                        *   *   *

Non ci misero molto ad arrivare alle porte della città. Le due guardie all’ingresso controllarono che non avessero con loro niente di potenzialmente pericoloso per la salute degli abitanti. Niente metalli pesanti, niente diabolica tecnologia, niente armi d’argento. Fecero giusto qualche osservazione sugli anellini argentati che ornavano l’orecchio ed il labbro inferiore di Raven, ma era semplice routine; di certo non credevano realmente che ci potessero torturare un vampiro con quegli affarini. Perquisirono i borsoni per controllare che non avessero armi nascoste, eccetto un pugnale a lama corta a testa, per autodifesa, unica eccezione consentita dai trattati tra i due reami, poi li lasciarono passare raccomandando loro di non fare casino. Guardando in particolar modo Gareth. L’avevano inquadrato subito a quanto sembrava.
Raven trattenne il fiato mentre varcavano i cancelli di cristallo scintillante, per poi espirare bruscamente con un sibilo strozzato. Il primo impatto con la città era stato decisamente deludente. Oltre i cancelli infatti le strade erano semi-deserte, poco illuminate e i radi passanti non sembravano avere nulla di particolare.
“Beh?”, esclamò Gareth. “Tutto qui?”
“Se ti fossi degnato di leggere il libro che ti ho raccomandato non faresti queste domande”, sospirò Aramis. “Amastra è una città prevalentemente notturna, la vita comincia dopo il tramonto.”
Gareth gli mise un braccio attorno alla vita tirandolo a sé e schioccandogli un bacio sulla fronte. “Perché sprecare tempo a leggere un libro quando a fianco ho un enciclopedia vivente?”
Aramis arrossì, cercando di scollare senza successo la mano che il biondo aveva attaccato a ventosa al suo didietro. Alla fine si arrese, lasciandolo fare. “Andiamo a cercare un albergo dove alloggiare, così possiamo cambiarci e riposare un po’, prima di uscire di nuovo.”
“Vaaaa bene, forza, andiamo a prepararci a fare strage di cuori!”, esclamò Garet, dando di gomito a  Raven che annuì. Era una buona idea. Il viaggio in treno era stato pesante, il caldo delle carrozze era opprimente e a metà viaggio, quando si era alzato per sgranchirsi le gambe, si era reso conto di essere talmente sudato che la sua maglia gocciolava.
Non fu difficile trovare un alloggio. Scoprirono che gli albergatori erano più che contenti di avere degli ospiti umani. Raven non poteva biasimarli. L’idea iniziale era stata di prendere una camera sola in tre, ma visto il modo in cui Gareth stava guardando Aramis, decise che era meglio se lasciava loro un po’ di privacy.
Gareth gli lanciò un’occhiata riconoscente mentre, ignorando gli strilli di protesta del fulvo, se lo caricava sulla spalla a mo’ di bagaglio, sparendo su per le scale.
Raven scosse la testa, soffocando una risatina e prendendo il suo borsone. Con più calma raggiunse la sua camera e vi entrò, tirando un sospiro di sollievo.
Spogliarsi fu come togliersi una seconda pelle, gli abiti gli si erano praticamente appiccicati addosso. Fortuna che lì ad Amastra la calura estiva sembrava dare un po’ di tregua.
Individuò una brocca ed un bacile, posati su un tavolo. L’acqua era gelida.
Raven non poté fare a meno di sentire la mancanza delle pompe idrauliche e delle caldaie dei reami illuminati. Passare dal caldo torrido a lavarsi con l’acqua gelata era una sofferenza terrificante. Il rimpianto tuttavia sparì  quando individuò quello che doveva essere il sapone. Un affare tondeggiante, dal colore lilla. Raven decise all’istante che i saponi di Amastra sarebbero stati tra i suoi acquisti. Assolutamente. Se ne sarebbe fregato delle probabili prese in giro di Gareth. Quel sapone non aveva niente a che vedere con quei blocchi giallastri dall’odore pungente con cui si lavava fin da quando era piccolo e che facevano pizzicare la pelle per ore dopo il bagno. Quell’affarino profumava i mandorle e fragole ed aveva una consistenza cremosa che avrebbe mandato in brodo di giuggiole anche il marinaio più rude dei reami. Ne consumò più i metà, fregandosene dell’acqua gelata.
Alla fine sfilò dei vestiti puliti dal borsone,  Una canotta bianca,  un paio di pantaloni di cuoio nero e, vista la brezza notturna che entrava dalle finestre, anche una giacca, anch’essa di cuoio nero, mettendo al sicuro il denaro in una tasca interna, ben nascosta.
Lasciò sciolti i folti capelli castani che gli sfioravano le spalle, ad eccezione di un paio di ciuffi più lunghi ai lati del viso, e li fermò con una bandana nera.
Beh, come aveva detto Gareth, poco prima, era pronto a fare strage di cuori. Sperando di non attrarre qualche strega piena di verruche. Pregò la dea di lasciarlo solo come un cane, piuttosto.
Nell’uscire dalla stanza incrociò Aramis che indicò con un cenno del capo ed un sospiro, Gareth, in fondo alle scale che ridacchiava malizioso con una cameriera.
Raven sentì l’impulso di schiaffarsi una mano in faccia, era sempre il solito. Con due balzi lo raggiunse, prendendolo per un orecchio e tirandolo verso l’esterno. “Andiamo Gareth, non perdiamo tempo”, lo spronò, uscendo.
Le strade si erano riempite come per magia, le botteghe erano aperte, c’erano bancarelle lungo la strada che vendevano cose strane e a volte inquietanti. L’aria era densa di profumi speziati e da alcuni locali usciva una musica quasi ipnotica. Dea, era da quando aveva quindici anni che metteva a parte tutto il denaro che poteva per riuscire un giorno ad arrivare fino a lì e fare compere come uno di quei nobili che vedeva ogni tanto sostare nel suo villaggio, per rinfrancarsi dopo un viaggio in treno. Quanto aveva invidiato a quei tempi i loro bagagli ricolmi di gioielli elfici, di leccornie provenienti dalle corti dei Fey e di profumi esotici.
Adesso toccava a lui. Dopo dieci anni a sgobbare come un mulo, a rosicchiare ogni corona che non fosse necessaria al sostentamento suo o di sua madre. Dieci anni a sputare sangue nelle miniere di carbone di Lera, la capitale dei reami illuminati. Dieci anni.
Amastra li valeva tutti.
Si impose di non spendere nulla, quella sera. Voleva vedere tutto, prima di decidere cosa e quanto comprare. Si immerse in quel marasma di gente e bancarelle seguito dai suoi amici e, per la prima volta, si sentì davvero libero…
   
 
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