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Autore: meiousetsuna    25/10/2013    10 recensioni
Prima classificata nel contest: Voglia di sognare di Giulia___
Terza nel contest di Red Wind: Gli opposti si attraggono
Ron, Harry ed Hermione sono nascosti nella foresta di Dean, con poche speranze di recuperare in tempo tutti gli Horcruxes e trovare il modo di distruggerli.
Sfortunatamente Ron ha litigato con gli amici diminuendo il potenziale del gruppo; ma qualcuno vigila su di loro…
Dal testo: La donnola spostò in avanti i corti baffi bianchi, inclinando il collo snello di lato, in una posa pensosa, imitata come il riflesso di uno specchio dal cane, che poco dopo abbandonò l’atteggiamento di minaccia, muovendo lievemente la coda un paio di volte. ‘Purtroppo non posso ricambiare – pensò l’altra – non siamo fatti nello stesso modo; ma perché per questo non potremmo essere amici?’
Prudentemente, passo dopo passo si avvicinò, scartando diagonalmente ogni tanto per lasciarsi una via di fuga, ma quando giunse a pochi centimetri dal Terrier, dovette prendere una decisione: avanti o indietro.
Un grammo di coraggio è tutto quello che serve a volte, ma non è facile come sembra: per quanto sia poco, se non si possiede nel proprio cuore, nessuno può farvelo nascere.

baci, Setsuna
Genere: Avventura, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Documento senza titolo Questa storia ha vinto il contest di Giulia__: Voglia di sognare, e si è classificata terza nel contest di Red Wind: Gli opposti si attragono
Rating: Verde
Personaggi : Hermione Granger, Ron Weasley, Harry Potter, il Jack Russell, la donnola, la cerva
Genere: Sentimentale, Character study, Avventura
Avvertimenti: Fluff,  what if?, Het
Ambientazione: Harry Potter and the Deathly Hallows

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L’animaletto dal pelo color cioccolato e il ventre bianco zampettò velocemente, producendo con le unghie il caratteristico rumore dello scricchiolio sulle foglie secche, spostandosi con destrezza in cerca di piccole prede.
Gli occhi di ghiaietto brillavano riflettendo gli ultimi riflessi di luce vespertina mentre intercettavano ogni minimo cambiamento nel territorio circostante.
Improvvisamente, un odore forte e foriero di pericolo aggredì l’olfatto del mustelide: un nemico, un intruso che andava subito eliminato, o nel peggiore dei casi fuggito senza perdere tempo in tentennamenti.
Anche il piccolo Jack Russell era concentrato su sensazioni simili; probabilmente non poteva dare un nome a quello che sentiva, ma distingueva senz’altro un essere di un’altra specie.
Il suo istinto di cacciatore si allertò, spingendolo ad assumere una posizione di punta, schioccando la mascella in un riflesso condizionato; il suo carattere era selezionato per quello, aiutare gli umani ad uccidere, rendendoli fieri del loro potere con un’arma tra le mani.
Proprio in quel momento, come se volesse partecipare a scrivere una storia, il vento dispettoso cambiò, sottraendo i protagonisti alla sua protezione; il messaggio di paura e sfida li avvolse in una nuvola di emozioni primitive.
Rimasero in stallo per lunghissimi secondi, osservandosi da una distanza breve eppure enorme, forse incolmabile; ma chi aveva deciso che tutto fosse già scritto?
Scegliere è sempre possibile.
La donnola spostò in avanti i corti baffi bianchi, inclinando il collo snello di lato, in una posa pensosa, imitata come il riflesso di uno specchio dal cane, che poco dopo abbandonò l’atteggiamento di minaccia, muovendo lievemente la coda un paio di volte.
‘Purtroppo non posso ricambiare – pensò l’altra – non siamo fatti nello stesso modo; ma perché per questo non potremmo essere amici?’
Prudentemente, passo dopo passo si avvicinò, scartando diagonalmente ogni tanto per lasciarsi una via di fuga, ma quando giunse a pochi centimetri dal Terrier, dovette prendere una decisione: avanti o indietro.
Un grammo di coraggio è tutto quello che serve a volte, ma non è facile come sembra: per quanto sia poco, se non si possiede nel proprio cuore, nessuno può farvelo nascere.
Senza respirare socchiuse gli occhi, incontrando a metà strada il musetto del cane, scambiandosi un contatto che si poteva solo definire un bacio.


Hermione si svegliò di soprassalto, come sempre nelle lunghe settimane passate in fuga dai Death Eaters che li avevano quasi catturati nel rifugio di Grimmauld Place.
Quello che aveva fatto era un bel sogno, specialmente paragonato agli incubi terribili che tormentavano le sue notti; a volte vedeva i suoi genitori scoperti da Voldemort, torturati e infine uccisi, altre le sembrava che qualcuno avesse violato i suoi incantesimi di protezione, riuscendo a distinguere la tenda, entrando prima che loro potessero reagire.
Eppure neanche la visione che aveva avuto le faceva piacere, considerato che non poteva fingere di non comprendere il messaggio dispettoso del suo inconscio.
Quell’idiota di Ron era scappato, non c’era altra definizione.
Che la causa principale fosse stata la fatica della ricerca, o la paura dell’effetto che l'Horcrux aveva sulla sua personalità, o esattamente il confronto con lei, non cambiava molto; avevano bisogno di lui e non c’era.
Quello che le dispiaceva ammettere era che più probabilmente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata la gelosia; Harry era il prescelto, il ragazzo sopravvissuto, assegnato ad un destino di grandezza, che lo desiderasse o no.
Era molto difficile non tenere conto dell’aura che lo circondava e lei stessa, in qualche momento, doveva riconoscere di essere stata attraversata da un leggero dubbio sulla natura dei suoi sentimenti.
Non era una ragazzina troppo istintiva, sarebbe stato difficile rimproverarle il lato del suo carattere meno piacevole, a dirla tutta.
Quello che le piaceva di più era studiare, usare la sua intelligenza in modo costruttivo, facendo qualcosa di buono per i suoi amici, la sua adorata Hogwarts e per tutto il mondo della magia, perché un dono sprecato è peggiore di uno non ricevuto.
Certo, nei momenti di crisi si rivolgeva spontaneamente ad Harry, che condivideva con lei una certa freddezza di fronte alla valutazione di un pericolo e aveva sviluppato alcune capacità prima di tutti gli altri studenti del loro anno, come, appunto, quella dell’evocazione del Patronus.
Ricordava perfettamente la meraviglia di quel momento, le creature che racchiudevano il potere di condurre con sé i ricordi più felici che si liberavano dalle bacchette, difese forti e sicure contro il male devastante che l’incontro con un Dementor scatenava nel corpo e soprattutto nell’anima.
L’intera stanza era popolata di bellissime figure, incantevoli da osservare librarsi nell’aria, giocare, eseguire una danza per il proprio mago di riferimento, finché si era fermata un attimo a riflettere, era qualcosa di più forte di lei.
Possibile che di tutti gli animali che esistevano al mondo, il suo dovesse essere proprio una donnola?* (vedi N.d.A)
Un leggero rossore le aveva acceso il viso mentre tentava di farle dei cenni di sottecchi, invitandola a nascondersi in qualche angolino, o almeno a restarle vicina, tentativo malriuscito visto che il grazioso mustelide si era esibito in alcune giravolte acrobatiche proprio sulla testa di capelli rossi di colui che non avrebbe dovuto notarla.
Preoccupazione inutile – realizzò la giovane con sollievo – non era da Ron formulare dei pensieri maliziosi o contorti in qualsiasi modo, a meno di sapere apertamente di avere a che fare con un opponente.


Un pub nel pieno centro di Londra non è certo il miglior posto per sperare di trascorrere una notte tranquilla, ma in confronto a dormire per terra nel tunnel della metropolitana per lo meno si sta al calduccio e abbastanza protetti dalla possibilità di essere perseguitati da una pattuglia di ricognizione.
Il barista rivolse uno sguardo compassionevole al ragazzino dall’aspetto del perfetto perdente che si era accasciato con la testa ciondoloni sul tavolino dopo aver bevuto mezza pinta di birra; d’altra parte il documento che aveva esibito lo indicava come maggiorenne e poi non gli era mai capitato di avere un cliente così inadatto a reggere l’alcol.
Ron si trovava in quella terra di nessuno che ha uno dei suoi confini nella veglia e l’altro nel sonno, stanco, troppo stanco per preoccuparsi di salvare le apparenze.
Finché non lo avessero cacciato avrebbe rubato qualche ora di riposo, sperando che un sogno premonitore gli indicasse una soluzione al loro problema: suo, di Harry e di Hermione.
Chissà cosa stavano facendo in quel momento, se erano almeno minimamente preoccupati per lui, o se – finalmente liberi dalla sua inutile presenza – avevano finalmente scoperto di essere segretamente innamorati uno dell’altra e questa felicità inattesa li aveva travolti, rendendoli totalmente dimentichi della sua esistenza.
Con un ultimo sospiro lasciò andare le sue difese scivolando in un dormiveglia disturbato dal flusso dei pensieri coscienti che si impastava con la consapevolezza che quello fosse solo un sogno.


Dapprima le immagini oniriche gli mostrarono un ricordo, il più forte che si fosse impresso nella sua mente negli ultimi giorni; l’istante in cui Hermione aveva sollevato le mani sporche di sangue ma che non tradivano alcun tremito, pronunciando gli incantesimi che avrebbero nascosto il loro accampamento nella foresta di Dean agli  occhi dei possibili escursionisti di passaggio;  ‘Salvio hexia... Protego totalum... Repello Muggletum... Muffliato...’

Ad ogni evocazione un’ondata di forza bianca si sollevava intorno a loro come una barriera, forte e sicura; non avrebbe mai dubitato delle capacità della sua amica, almeno nella bravura nel congiurare incantesimi.
Oppure nello studio, anche se diventava saccente in modo inopportuno: questo dettaglio non gli impediva certo di avere la faccia tosta di chiederle di copiare: la tipica risposta era una frase tagliente sulla sua svogliatezza e l’invito a passare meno tempo a dormire, ingozzarsi di cioccorane e muffin alla zucca fino a scoppiare, invitandolo ad assumersi le sue responsabilità.
Ogni compito non consegnato rischiava di trasformarsi in una sottrazione di cinquanta punti per il Gryffindor, per la barba di Merlino!
Ron annuiva, pervaso da un vero senso di colpa, ma soprattutto di inadeguatezza, gesto che portava la ragazza a scostare leggermente, in modo casuale, la mano dalla pagina del suo quaderno, quello senza l’ombra di una sbavatura d’inchiostro sulla pergamena, con tutti gli esercizi e le formule degli incantesimi elaborati senza esitazione.
“Oh, grazie Hermione, non solo sei la più intelligente del gruppo, la strega più brillante che conosca, ma sei anche generosa! Sono in debito con te… ouch!”
Una gomitata da parte di Harry gli faceva capire che la stava imbarazzando, perché lei avrebbe voluto sostenere di non averlo fatto apposta; qualche volta, serviva anche l’ausilio di un bel calcio sotto il banco.


Nel suo sogno, Yaxley riusciva a seguirli nel momento del teletrasporto e approfittando del suo malaccorto atterraggio che gli era costato l’esposizione dell’osso di una spalla, aveva ghermito Hermione ed Harry trascinandoli verso morte certa, se non peggio.
Mentre i suoi amici gridavano disperati, avendo una sola bacchetta in due che avevano esitato ad utilizzare permettendo ai Death Eaters di disarmarli, un aiuto inatteso si era manifestato improvvisamente.
Dal folto degli alberi, dove prima c’era solo il buio della disperazione, una delicata luce azzurrina aveva fatto capolino tra i rami più bassi, diventando sempre più grande e delineata man mano che si avvicinava.
Gli zoccoli leggeri di una snella ed elegante cerva si posavano senza far rumore sull’erba, che sembrava piegarsi sotto quel peso gentile, non perché venisse effettivamente schiacciata, ma per assecondare una presenza talmente positiva.
Tra le zampe dell’animale, un piccolo Terrier procedeva effettuando una gincana**, la lingua penzoloni che gli conferiva l’espressione di un sorriso; qualche passo più in là, una sinuosa donnola avanzava con fare più prudente.
Il bagliore dei tre Patronus – perché di loro si trattava – era talmente splendido da catturare l’attenzione dei nemici, seppure non poteva metterli in fuga, essendo loro di carne ed ossa.
In compenso potevano essere morsi e calpestati, scoprì Ron con gioia, assistendo all’assalto degli animali; la cerva era precisa e concentrata sul suo bersaglio mentre il Terrier attaccava andando allo sbaraglio.
Difatti poco dopo un uggiolio di dolore sottolineò il brutto colpo che aveva raggiunto il fianco del cane, sbalzandolo via e facendolo atterrare malamente; un solo attimo e i dentini aguzzi della donnola si erano piantati nella caviglia del mago, arrivando fino all’osso, provocando una ferita dolorosa seppur piccola, dalla quale continuò ad uscire del sangue anche dopo che il furbo mustelide si era prontamente tirato indietro.
“Miseriaccia!” Fu la parola impastata che uscì dalle labbra del ragazzo, dischiuse in un sorriso felice.



Harry sembrava riposare tranquillamente, probabilmente perché quel giorno aveva indossato l’Horcrux durante le ore di luce, mentre dal tardo pomeriggio era scattato il suo turno e la sensazione di nervosismo e malessere si era subito diffusa in lei.
Il medaglione era troppo prezioso perché non lo avessero sempre con loro in caso di fuga precipitosa ma l’effetto era sempre più violento e più veloce nel manifestarsi; tutti e due sapevano che il portatore avrebbe trascorso una pessima notte, ma non ne parlavano prima di mettersi a letto nelle brandine.
Il mattino successivo avrebbero scherzato chiamandosi reciprocamente Frodo e Sam e l’oggetto maledetto sarebbe stato consegnato con sollievo misto ad una specie di malinconia.
Erano ancora le tre di notte, verificò Hermione sulla clessidra da viaggio, davvero troppo presto per alzarsi e preparare un tè, doveva riuscire a riprendere sonno, era tutta una questione di volontà.
Tirò su le coperte, cercando la posizione più comoda, chiudendo gli occhi e respirando piano per cullarsi da sola, benedicendo la stanchezza che riuscì a vincere sulla tensione ancora per un po’.


Il medaglione di Regulus emetteva una luce sinistra, malgrado il suo colore solare, mentre i più disparati incantesimi si infrangevano sulla sua superficie: incendio, reducto, diffindo erano totalmente impotenti, anzi, rischiavano di rimbalzare contro di loro, se lanciati con troppa foga.
Quando stavano per arrendersi tutti e tre, qualcosa di molto più pericoloso apparve a distogliere la loro attenzione.
Il basilisco degli Slytherin si erse dal nulla alle loro spalle, pronto a sferrare un attacco mortale, ma contemporaneamente un cavaliere dall’ armatura bianca si frappose tra loro, brandendo un’arma argentea decorata di rubini che non avrebbe confuso con nessun’altra al mondo: era senza ombra di dubbio la spada di Godric Gryffindor!
L’elmo copriva il viso del paladino, lasciando fuoriuscire soltanto qualche piccola ciocca di capelli, che all’inizio le sembrarono chiaramente neri, per poi schiarirsi fino ad un color nocciola, diventando infine decisamente rossi.
Un colpo portato con agilità e maestria e la spada affondò fino all’elsa nel cuore del mostro che emise un ultimo terribile sibilo assassino prima di accasciarsi a terra, esanime.
Il suo sangue scuro brillò accarezzando la lama, ma invece di sgocciolare via, venne bevuto dal metallo come acqua dalla terra riarsa; la spada assorbe ciò che la fortifica…
Il giovane si avvicinò all’Horcrux sollevando nuovamente l’arma per abbatterla sull’oggetto malefico, mandandolo in mille pezzi.

Hermione si tirò su di scatto; questa volta non si sarebbe più addormentata, né lo desiderava.
Non era il tipo da credere ciecamente in una sensazione, o in una specie di profezia arrivata dal mondo onirico; anche a scuola si era sempre rifiutata di dedicarsi a quella materia, però stavolta una vocina interiore le suggeriva di ascoltare, di aprire la mente anche a qualcosa che non fosse scritto nero su bianco sui libri.
Appena spuntata l’alba avrebbe svegliato Harry mettendolo al corrente della sua idea, anche se la possibilità di reperire il manufatto di Gryffindor era pressoché nulla, neanche il suo amico avrebbe potuto fare miracoli, la magia non consisteva in quello.
La strega si avvolse in una coperta scozzese dai riquadri beige e marrone scuro, uscendo dalla tenda con circospezione: tutto era tranquillo, intorno, mentre accendeva un fornello da campo, scaldando l’acqua per il tè. Tranquillo, vuoto, triste.

Ron non avrebbe mai definito se stesso ‘coraggioso’, quindi si sentì particolarmente esaltato quando nella successiva fase di sonno profondo nella quale era riuscito ad inabissarsi si vide nei panni dell’eroe di turno.

La superficie gelata del laghetto era semplicemente perfetta come una lastra di diamante puro e limpido, in contrasto con il cielo nero.
Il ragazzo si avvicinò, spinto dalla consapevolezza che avrebbe trovato la risposta alle sue preghiere proprio guardando nel profondo delle acque cristallizzate che si offersero a lui come uno specchio; prima di scorgere cosa giaceva sul fondo, avrebbe visto la Verità.
Quello che si offrì al suo sguardo fu un giovane uomo combattivo, spaventato dalla grandezza degli avvenimenti ma non per questo meno  deciso a fare la sua parte, a difendere coloro che avrebbero fatto lo stesso per lui.
Un vero Gryffindor.
Solo in quel momento la vista riuscì a perforare completamente il ghiaccio azzurrino, scorgendo il prezioso tesoro adagiato sul fondale: la spada di Godric.
Era già sicuro che non sarebbe servito assolutamente, ma provare non gli costava nulla.
“Accio spada!”
Ron sorrise mestamente, rassegnato all’unica soluzione possibile; abbandonò con rimpianto il giubbotto e il caldo maglione sferruzzato con affetto da sua madre, con l’improbabile fantasia di righe giallo arancio sul fondo amaranto, un chiaro omaggio allo stemma della Casa che aveva accolto per generazioni tutti i membri della loro famiglia.
Seguirono gli scarponcini, i pantaloni, i calzini con un buco sull’alluce e poi una bella boccata d’aria ed un tuffo deciso; *** l’acqua freddissima pungeva come se centinaia di spilli  gli penetrassero nella pelle, nei muscoli,  fino a spezzargli il respiro perché tutta l’energia del suo corpo correva a cercare di spingere il sangue verso il cuore.
Arrivato sul fondo non riusciva più a vedere quello che stava facendo, ma la fortuna gli venne in aiuto e nell’unico movimento possibile la sua mano afferrò qualcosa di metallico, appena in tempo per dirigersi nuovamente verso la superficie.
L’acqua sembrava sempre più pesante, densa, fangosa… impossibile da attraversare.
Eppure poco dopo un calore vitale iniziò a diffondersi piano piano dalla punta delle dita in tutte le membra; era ancora vivo, anche se forse non del tutto cosciente, infatti avrebbe detto di sentire qualcosa di tiepido e rasposo passargli sul viso, come la lingua di un gattino che gli facesse le coccole, anche se la sagoma sottile e allungata che si allontanò di corsa non era precisamente quella del piccolo felino.
Era ancora vivo e ce l’aveva fatta.

Hermione passava la tazza da una mano all’altra, un po’ perché la bevanda profumata e di un bel color miele scottava ancora troppo, un po’ scaldandosi le dita non protette dai guanti.
Di solito non soffriva il freddo alle estremità, ma in quel momento le pareva che stessero addirittura gelando, come succedeva sempre a quello stupido di Ronald Weasley appena non si copriva per bene di lana dalla testa ai piedi.
Forse stava male in quel preciso istante e gli sarebbe convenuto rispetto alla sfuriata che gli avrebbe riservato quando fosse tornato sano e salvo con qualche scusa patetica.
Perché doveva tornare.
Hermione era così assorta nelle sue riflessioni da trovarsi quasi ipnotizzata a fissare il fondo della tazza; alcune foglioline di tè più piccole erano sfuggite dal colino e ora ondeggiavano morbidamente formando un disegno che somigliava vagamente a un animaletto dalla lunga coda, che si girava nella sua direzione.
“Expecto mustella” disse a voce bassissima.

Girandosi sul piano scomodo del tavolino con una specie di grugnito, Ron posò la testa su di un braccio, gli occhi socchiusi e le labbra sporgenti in quello che si poteva solo definire un bacio.


Fine

* Donnola, quindi weasel, che ho sempre notato come somigli al cognome Weasley nell’etimologia
N.d.A= In questa storia sono presenti varie “licenze poetiche”, di cui la principale è stata la trasformazione della lontra in donnola. Il gioco su cui si basa la storia è questo, per cui spero si comprenda il what if? negli avvertimenti.
La lontra e la donnola, entrambe mustelidi, sono estremamente simili, a parte la capacità di predare organismi acquatici, ma solo il nome della seconda consentiva il gioco di parole che trovo molto appropriato; inoltre i Patronus non vengono comunque mai evocati per nome della specie, quindi se Hermione avesse voluto formulare una specie di “incantesimo morale” solo per se stessa avrebbe liberamente potuto usare mustella proprio perché in realtà stava sperando di chiamare Ron.
Lo specchietto seguente è quello di Wiki- Harry Potter


Otter

Species information

Sentience

Sentient

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Varies by breed

Hair colour

Brown

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Weasel

Native range

Worldwide

Height of average adult

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Ministry of Magic Classification

Non-magical


Le altre segnalazioni che potrebbero essere doverose, visto che reputo offensivo spiegarvi una per una le differenze dal film e romanzo, dovute ovviamente al mio racconto sviluppato attraverso i sogni, nei quali ho volutamente ‘estromesso’ Harry dal ruolo di protagonista assoluto, sono le seguenti:
1) La ‘citazione’ de Il Signore degli anelli credo sia voluta anche dall’autrice, talmente è calzante!
2) La possibilità dei Patronus di avere una manifestazione ‘fisica’
3) Il ‘Cavaliere’: vuole evocare la figura di San Giorgio ed i diversi colori dei capelli portano il ‘protettore’ di Hermione da Harry a James  a Ron.

** Più esattamente, gimkana, che mi sembra pretenzioso: la seconda voce del dizionario è comunque gincana
*** Ma Ron era sul Titanic? 0__0

  
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