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Autore: Mary Black    26/10/2013    9 recensioni
Sirius era sempre stato libero.
L'essere cresciuto in una famiglia ch'era più un cappio attorno alla gola non l'aveva fermato; i pregiudizi, le regole fissamente imposte, la ricchezza, non l'avevano dissuaso.
Non si sarebbe mai lasciato ingabbiare da niente, e non certo dall'amore.
Sirius era un traditore di ideali. [...]
Gli occhi castani di Remus si sgranarono quando si rese conto che Sirius non sentiva niente.
Sirius era troppo bello, troppo indolente.
Sirius non aveva barriere di alcun tipo, non lo si poteva mettere in catene, non gli si potevano imporre dei freni.
Sirius era di ghiaccio, se di mezzo c'era l'amore. Ma il ghiaccio ferisce, brucia, scotta come fuoco sulla pelle nuda.
Sirius non poteva fare a meno di sgualcire ogni cosa bella che incrociava sul suo cammino.
[Questa storia si è classificata terza al contest "Rowling, mi chiedevo solamente..." di Moonspell, giudicato da RoseDust.]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: I Malandrini, Lily Evans, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Sirius/Lily
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Questa storia si è classificata terza al contest "Rowling, mi chiedevo solamente..." di Moonspell, giudicato da RoseDust.

 

Traditore di ideali

 

Quando Harry ti chiese perché, tremasti, Remus.
Non volevi mentire, ma ti sembrava sbagliato anche dire la verità. Lui non avrebbe capito, proprio come non l’avrebbe fatto James, se solo avesse saputo.
E non volevi insudiciare il ricordo di Sirius, nonostante tutto.
Ti pentisti di essere tornato alla Tana per le feste, in una delle rare visite che ti eri potuto permettere, lontano dagli altri Lupi, da quell’odio cocente che ti rendeva ferino, graffiante, una belva affamata.
Ti pentisti perché, in agguato, c’era ancora quella sudicia verità, che avresti coperto col tuo stesso sangue, pur di non doverla svelare mai.
“Senti, Remus, è tanto che me lo domando... Perché credevi che fosse stato Sirius a tradire i miei genitori?”.
Eppure il giovane Potter era lì, seduto vicino a te, lo sguardo fermo, inconsapevolmente implorante, e aveva bisogno di sapere. Tu non potevi negargli una risposta, non ne avresti mai avuto le forze, e di nuovo odiasti Sirius e quello che aveva fatto a tutti voi.
Fosti sul punto di aprire le tue fauci e sputare fuori il veleno che ti logorava, che ti ribolliva acido sulla lingua, ma non potevi.
Non davanti a Harry: uguale a suo padre, ma con gli occhi di sua madre, il sorriso un po’ beffardo del suo padrino.
Non volevi.
In fondo, Felpato era ancora il tuo migliore amico, con quei capelli ondulati e quelle iridi d’argento, fredde come monete antiche, che ti capivano e non giudicavano, non giudicavano mai.
In fondo, era morto, e non si getta fango sui defunti.
In fondo, l’avevi già perdonato una volta.

***

 

19 anni prima


“Ramoso, le dai troppa importanza.”
La voce calda di Sirius risuonò blanda nella Sala Comune quasi deserta, provocando uno scoppio di sbuffi e lamentazioni da parte del ragazzo a cui l’affermazione era rivolta.
“Ah, io le darei troppa importanza? Ma se...”.
Il giovane Black rovesciò gli occhi grigi al soffitto, lasciandosi sommergere dai commenti frustrati del suo migliore amico.
Aveva stima di James, questo sì. Anzi, per onor del vero, gli voleva tutto il bene che non riusciva ad indirizzare verso il suo stesso fratello, ma, nonostante quello, era esasperato. Era ben una settimana che lo stava tirando matto.
E per cosa, poi? Per un bel faccino e una lingua biforcuta?
D’accordo, la Evans non era da buttare: aveva gli occhi di una gatta e delle gambe lunghe che persino Sirius non poteva fare a meno di apprezzare. Aveva anche un certo carattere, una grinta invidiabile... ma, andiamo, valeva la pena dannarsi tanto, per una che, negli anni passati, aveva frequentato nientemeno che la peggior feccia della scuola?
Tutto questo affaccendarsi attorno a una donna era incomprensibile, per Sirius Black. Tuttavia, c’era da far presente che non aveva mai dovuto faticare con nessuna, lui.
“Le corri troppo dietro, non la lasci stare un attimo. È un miracolo che non ti abbia schiantato... e sto pietosamente ignorando il tentativo di venerdì scorso.”
Peter ridacchiò, un suono più simile a uno squittio, puntando gli occhietti acquosi su Sirius, che, nella sua eleganza e indifferenza da purosangue, gli suscitava un’illimitata ammirazione.
Persino Remus, intento a leggere con cura un libro di Incantesimi, si lasciò sfuggire un sorriso appena accennato.
“Ah, Felpato, a volte vorrei essere proprio come te” borbottò James.
In effetti, Black non si era mai interessato davvero a una donna.
Oh, le spasimanti certo non gli mancavano, anche se non erano tante quante forse si sarebbe potuto credere: una buona parte della fauna femminile di Hogwarts lo trovava bello, se non addirittura irresistibile. Quello che nessuno, però, immaginava, eccetto i suoi amici più intimi, era che spesso le ragazze erano intimidite dal suo atteggiamento freddo, tiepido nel migliore dei casi, per cui finivano inevitabilmente per comportarsi con una timidezza tale da cancellare la flebile attrattiva che rappresentavano per lui.
Sirius era sempre stato libero.
L’essere cresciuto in una famiglia ch’era più un cappio attorno alla gola non l’aveva fermato; i pregiudizi, le regole fissamente imposte, la ricchezza, non l’avevano dissuaso.
Non si sarebbe mai lasciato ingabbiare da niente, e non certo dall’amore.
Sirius era un traditore di ideali.
“Beh, per essere un po’ più come me dovresti smettere di farle la posta come un marito geloso, James!”.
Il tono del giovane Black era ironico, ma non troppo. Non voleva essere offensivo, ma nemmeno approvare quel comportamento.
“Ma abbiamo litigato...” si lagnò Potter, allungandosi sulla poltrona con smorfie esagerate.
“E lei non vorrà vederti” gli fece presente tranquillamente, “Dai, Ramoso, le parlo io.”
Tre paia di occhi sgranati si posarono sul viso pallido di Sirius, che crollò il capo ridendo e spargendo quella matassa di onde corvine da tutte le parti.
In effetti, era inusuale che s’offrisse per fare da paciere, soprattutto perché, dal suo punto di vista, quella con Lily era una causa persa in partenza. Inoltre, lei non aveva più stima di lui di quanta ne nutrisse per James e non faceva mistero di detestare certi suoi atteggiamenti, come passare da una ragazza all’altra lasciandosi dietro soltanto l’ombra d’un orgasmo amaro.
“Non fraintendermi, amico, apprezzo, ma non so se sia una grande idea...”.
La voce di Potter era giustamente dubbiosa, ma l’altro scrollò le spalle e si tirò in piedi. Afferrò la Mappa incantata e, con un ultimo sorriso che voleva indubbiamente essere rassicurante, si dileguò fuori dalla Sala Comune, alla ricerca della Evans.
La fanciulla in questione stava tornando giusto in quei momenti al suo dormitorio, lo sguardo d’un verde cristallino perso nelle trame del soffitto, e non si accorse di Black fin quando non se lo trovò davanti.
Un velo di sorpresa le adombrò il viso per un attimo, ma era più che altro seccata.
Cercò di aggirare l’ostacolo della sua persona, eppure, pur non essendosi lui mosso di un millimetro per impedirle di passare, Lily si rese conto che non gliel’avrebbe permesso.
Sbuffò vistosamente, ma, prima che potesse pronunciare anche una sola sillaba, venne anticipata.
“Evans, ti posso parlare?”.
“Lo stai già facendo.”
Non si premurò neanche di sembrare educata, era troppo arrabbiata.
Arrabbiata con Severus, che si comportava come se lei non fosse mai esistita, salvo poi consumarla da lontano con occhiate talmente disperate da mandarla in frantumi.
Arrabbiata con Potter, che la tormentava e la assillava e semplicemente non capiva – e lei sapeva, lo sapeva, che sarebbe sempre stato così.
Arrabbiata con Black e con quei suoi imperscrutabili occhi grigi, fradici di pioggia, lucenti come coltelli, irridenti ed irrisori, e mai del tutto sinceri.
“Sei avvelenata, stasera” commentò affabile il Grifondoro, “Non ti ruberò più di cinque minuti, andiamo...”.
“Arrogante!” gli sputò contro lei, assottigliando lo sguardo in un misto di furia ed esasperazione, “Bene, parliamo! Tanto a te non si può dire no e basta!”.
Non voleva certo essere un complimento, ma le labbra del giovane s’incurvarono in un sorriso divertito, vagamente compiaciuto.
Le aprì la porta di un’aula in disuso con fare galante, ch’ebbe il potere di indispettirla ancora di più, e la seguì dentro la stanzetta fiocamente illuminata.
“Cosa vuoi?”.
Dritta al punto: imperiosa come una regina, feroce come una fiera ferita.
Tanto carattere in una creaturina così... piccola.
“Parlarti di James, è molto...”.
“No! Non mi dirai niente che possa interessarmi, nemmeno lontanamente.”
“Ti facevo più portata ad ascoltare, Evans.”
La critica era leggera, ma c’era, e lei se ne risentì subito. Lo fissò per qualche attimo che parve eterno, prima di volteggiare su se stessa e dirigersi verso un banco, i capelli rossi ch’ondeggiavano oltre le sue spalle come una stola di fuoco.
Si sedette sul legno, incrociando le braccia al petto in una posa poco paziente.
“Prego, Black” soffiò, nel suo tono più sprezzante, suscitandogli una leggera risata.
E com’era bello alla luce della luna, bello e crudele, bianco e nero, con quegli occhi che parevano argento fuso, troppo ardenti e troppo gelidi per appartenere ad un comune mortale.
Sirius sembrava una statua a cui era stata infusa la vita.
Da spezzare il respiro, ma senza un sentimento che riscaldasse quei suoi arti di marmo. Perfetto, eppure, allo stesso tempo, talmente imperfetto.
Lily era affascinata dalle sue contraddizioni, da quel chiaroscuro che gli velava l’anima, e persino dalla scossa d’avvertimento che il suo corpo le rimandava ogni volta che si trovavano accidentalmente troppo vicini.
Come si poteva non rimanere incantati da uno come lui?
Un nobile decaduto, un ribelle. Qualcuno ch’aveva scelto le moto da corsa e le ragazze in bikini, piuttosto che diventare Lord Black, ciò ch’avrebbe inevitabilmente odiato.
“Lo stai facendo impazzire, Evans. Perché non la fate finita e non provate ad uscire insieme? È un bel tipo, James.”
Una fitta di dolore le s’irradiò nel petto.
Quella sera aveva pensato, aveva sperato, che lui volesse qualcos’altro da lei. S’era illusa, incrociando quel suo sguardo soffuso, che il momento fosse finalmente giunto, che lui avesse capito perché continuava a rifiutare James – anche dopo che quest’ultimo aveva fatto di tutto per meritarsi il suo rispetto, persino cambiare se stesso -, e che la cosa gli fosse piaciuta. S’era convinta che lui fosse davvero venuto a riscuotere il suo premio.
Ci aveva quasi creduto, per un momento soltanto, nella luce spaccata di quel corridoio vuoto.
Ci aveva quasi creduto...
Scattò giù dal banco, cercando di reprimere quell’insopportabile tremore, quella sensazione di starsi per sfaldare – la stessa che l’aveva assalita quand’aveva lasciato Severus fuori dalla Sala Comune per tutta la notte, ad aspettare un perdono che non sarebbe mai arrivato.
“Sai cosa ti dico, Black?” calcò sul suo cognome non per dare fastidio, ma per fare male, “Escici tu, con quell’idiota di Potter!”.
Oltrepassò la sua slanciata figura, ma lui l’afferrò per un polso e le impose di girarsi.
“Lo so che è per colpa mia, Evans.”
Quelle otto parole disintegrarono il respiro della strega, e quel poco di controllo che ancora aveva di se stessa.
Si ritrasse di scatto, come se la sua presa scottasse, cercando qualcosa da dire, qualcosa con cui smentire, ma la voce le era rimasta intrappolata in gola e lei non riusciva a spingerla fuori, oltre i denti serrati fino allo spasmo. Non ci riusciva o forse non voleva, di sicuro non poteva.
Balbettò qualche sillaba, ma quell’accenno di delirio scomparve nell’istante esatto in cui lui decise di avvicinarsi.
Lily arretrò precipitosamente, mandando a cozzare il retro delle cosce contro un banco. Pensò di arrampicarcisi sopra, ma sarebbe stato troppo, e troppo umiliante, così rimase immobile, a guardarlo avanzare nella sua direzione con la calma e l’eleganza di una sfinge.
Si bloccò a pochi centimetri dal suo viso.
“Lo so da molto tempo” mormorò, abbassando il capo e strofinando le labbra contro il suo orecchio, mentre il cuore della strega impazziva e il suo respiro si spezzava.
Fu un attimo, e i suoi denti intrappolarono la bocca di lei.
Voleva respingerlo, voleva dire no, no e ancora no. Voleva urlargli contro che lei l’aveva capito, che tipo era. Voleva ringhiare che non l’avrebbe usata come aveva fatto con Dorcas e Mary, e tutte le altre.
Voleva, Lily lo voleva davvero, eppure le sue dita si chiusero con violenza attorno alla stoffa della camicia di Sirius, e lei si trovò a ricambiarlo con ansia febbrile.
Aveva perso troppo di recente, per non abbandonarsi al suo segreto proibito.
Fu tutto brusco, istintivo.
La sollevò e la posò sul banco, una delle sue mani fredde che scorreva sulla pelle delle sue gambe, l’altra inchiodata dietro la sua nuca.
Le sgualcì la divisa, lei gli graffiò una guancia. Le conficcò i denti nel collo, lei gli fece saltare i bottoni della camicia. Le impresse l’impronta dei polpastrelli ghiacciati nel ventre, lei gli s’aggrappò rabbiosamente ai capelli.
Voleva ferirlo, voleva lacerare, ma ogni volta ch’incrociava quel suo sguardo ardente i morsi sfumavano in baci, la tensione esplodeva in desiderio e persino le unghie smettevano di scavare la sua carne contaminata.
Si lasciò sfuggire un ringhio sordo quando la mano di lui finì sotto la sua biancheria. Avrebbe voluto, ancora una volta, gridare di no, ma la sua bocca s’esibì soltanto in versi e gemiti spezzati.
Non riusciva a capire se faceva più male che le piacesse così tanto o quel suo sorriso appena accennato.
Eppure il piacere aumentava e lei non poteva smettere, perché avrebbe voluto dire tornare al prima, e a Sirius che spesso neanche la guardava – mentre adesso bruciava tanto quanto lei.
Si riscosse soltanto quando lui si scostò per slacciarsi la cintura, le iridi d’argento ironicamente puntate sul suo viso.
Sei all’altezza, piccola?
Si sentiva andare a fuoco, Lily. Un po’ di rabbia, un po’ di passione, ed era così strano che fosse veramente lei quella ragazza con la gonna che ricadeva ad onde sul suo bassoventre scoperto, la camicetta e il reggiseno tutti in disordine, le ginocchia puntate strette contro le anche di Sirius Black.
Era tutto sbagliato, tutto a rovescio, andava contro la sua morale, eppure non poteva smettere. Forse non ragionava più da un pezzo, ma nemmeno la porta lasciata schiusa la frenò, mentre faceva leva sulle braccia e scivolava coi fianchi più vicina a lui, ch’afferrò la sua coscia nuda come se n’andasse della vita di entrambi.
Le loro labbra cozzarono nel momento esatto in cui lui forzava il suo corpo, scivolando dentro di lei con disarmante lentezza. Ci fu uno scoppio di dolore, il lampo d’un sorriso velato.
Sirius la strinse tra le braccia, avvicinandola al proprio petto, una mano ancora affondata nella sua gamba, e prese a muoversi.
Piano, a fondo, e sembrava così tanto una danza, ma senza tutte quelle formalità. Lily poteva aggrapparsi al suo collo e baciarlo quanto voleva, e ansimare e persino spingere contro di lui, e nessuno avrebbe mai saputo che non era mai stata in grado di ballare senza crollare sgraziatamente a terra. Lui sorrideva e basta, il respiro solo un po’ increspato.
E, con la testa rovesciata all’indietro e la sua bocca sul collo, e quel ritmo che cresceva, cresceva, cresceva e palpitava, Lily le capiva, Mary e Emmeline e tutte le altre – le capiva proprio.
Sembrava davvero che mi amasse, e invece era solo il suo modo di fare l’amore. –
Più di tutte capiva Dorcas, ma scacciò quel ricordo amaro dalla propria testa, smise di pensare e si limitò soltanto a sentire, lui e tutto quel piacere che sapeva offrire.
Non fu difficile lasciarsi andare all’estasi, soverchiante e invadente e inebriante, e lui la seguì dopo qualche altra spinta.
Il freddo fu terribile, dopo.
Lui aspettò soltanto di calmare il proprio cuore impazzito, poi si scostò e prese a sistemarsi, senza guardarla, senza condividere quel terribile gelo.
“Evans, dà una possibilità a James.”
Ma quello fu persino peggio e a Lily sembrò di nuovo di sfaldarsi, di precipitare – e dovette trattenersi per non piangere davanti a lui.
Si rivestì rapidamente, ma la furia ardeva così forte, così vendicativa, e lei non sapeva cosa fare, cosa voleva.
“Per me James non è niente, se non un corteggiatore asfissiante... Ma è il tuo migliore amico!” una pausa dolente, “Che razza di persona sei?”.
“Sono senza cuore, Evans, fattene una ragione. Sono un traditore di ideali.”
Non si voltò a guardarla mentre scappava fuori dall’aula, ma non poté ignorare il soffio rauco, tranciato, di quella voce così conosciuta.

“Non guardarmi così, Lunastorta. Adesso sceglierà lui.”
“Ma lo farà per i motivi sbagliati, Sirius! Lo farà perché non può avere te, perché tu le hai spezzato il cuore! Come hai potuto pensare che sarebbe stato abbastanza?”.
“Dovrà bastare.”
Gli occhi castani di Remus si sgranarono quando si rese conto che Sirius non sentiva niente.
Sirius era troppo bello, troppo indolente.
Sirius non aveva barriere di alcun tipo, non lo si poteva mettere in catene, non gli si potevano imporre dei freni.
Sirius era di ghiaccio, se di mezzo c’era l’amore. Ma il ghiaccio ferisce, brucia, scotta come fuoco sulla pelle nuda.
Sirius non poteva fare a meno di sgualcire ogni cosa bella che incrociava sul suo cammino.
“Traditore di ideali...” ripeté Lupin, con un fremito della voce solitamente ferma.
“Un complimento da parte del mio adorato fratello.”
Remus iniziava a sentire freddo.
Tutte quelle parole così vuote, così prive di inflessioni... Dov’era il suo migliore amico? Quello che rideva e scherzava e aveva quella luce giusta – giusta per se stesso, giusta per loro – negli occhi?
Chi era quell’estraneo che s’allacciava la camicia e che lo fissava con uno sguardo inumano, reso luminoso soltanto dalla luna?
Chi era l’uomo che s’era calato nel corpo dell’eterno amore del suo amico, senza un briciolo di pietà?
Lupin gli rivolse un’ultima occhiata spezzata, prima di voltarsi e dirigersi verso la soglia spalancata.
Non riusciva neanche a guardarlo.
“Non lo dire a Ramoso, Remus. L’ho fatto soltanto per lui.”
“No, Sirius, no” la rabbia oscurò la sua voce per un attimo, “Tu l’hai fatto perché detesti le imposizioni, le catene. L’hai fatto perché per te l’amore non vale niente. L’hai fatto perché sei così schiavo di te stesso da non riuscire a controllarti.”
Felpato si accorse di avere le mani velate di sudore freddo, le strinse in pugni doloranti.
“Io non lo dirò a James, perché non lo merita. Non avrebbe mai meritato questo, Sirius, non da te. Morirò per questo segreto, se vuoi, ma almeno non fare finta di essere stato altruista, è troppo oltraggioso persino per i tuoi standard.”
E, se non aveva fatto male il sangue della Evans, la porta che sbatteva fu un’agonia.


***


Avevi guardato gli occhi verdi di Harry – verdi come la speranza che non avevi più, come quella che Sirius non aveva mai neanche assaggiato – e ti eri dipinto un sorriso sottile in viso.
Un sorriso che faceva male, che tirava e sfilacciava tutti i tuoi muscoli, ma abbastanza verosimile da ingannare quel ragazzo buono, che non meritava altro dolore.
“Erano tempi difficili, Harry. Si riusciva a dubitare del proprio migliore amico, immaginati...”.
Avevi mentito e avevi riso, certo che quella bugia ti si sarebbe riverberata nelle orecchie fino al giorno della tua morte.
Ma questo ed altro, per Sirius... no, non per Sirius.
Per Harry, per James.

 

  
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