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Autore: Aleena    26/10/2013    1 recensioni
Shasta, un drow dalle grandi ambizioni, intesse una relazione proibita con Kania che lo porterà davanti al giudizio della sua Dea. La sua condanna all'eterno dolore, però, si trasforma nell'occasione di potere e di libertà che per tutta la vita aveva, inconsapevolmente, atteso.
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1a Classificata al contest "Imprisonment: because there isn't only happiness in our life" indetto da Visbs e Tallu_chan sul forum di EFP.
Genere: Angst, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I fantasmi di Che'el Phish'
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XI – RIVOLTE
 
 
  Nella locanda erano radunati almeno settanta contadini, quasi tutti umani, stipati in quello spazio come bestie.
«… nessuno di noi è più al sicuro! Pensate a quella bambina, a quel pover’elfo del padre! Un uomo che si è battuto per noi…» urlava una donna dall’altra parte della sala, stringendosi al petto un neonato urlante.
« e chi ci dice che non verranno anche in casa nostra, eh? Chi ci dice che il prossimo figlio cui svuoteranno le vene non sarà tuo figlio? O il tuo? Come possiamo vivere così?» urlò un vecchio dalla voce gracchiante, vestito elegantemente; aveva allungato un dito minaccioso verso l’infante urlante che, quasi come se capisse le parole dell’uomo, aveva smesso di piangere e si era rannicchiato contro il seno della madre.
«Ci hanno relegati nei bassifondi e se ne fottono di noi.» sbraitava un ragazzetto di stalla, gli abiti sporchi di paglia.
«Chiusi nei loro bei palazzi, non possono fare a meno di spremerci il lavoro e la vita, senza lasciare nulla!» una ragazzina non più alta di Shasta lo aveva spintonato, cercando di avvicinarsi al bancone. Fra le mani teneva un boccale vuoto grande quanto la sua faccia.
«Come possiamo lasciarglielo fare, eh?»
«Trecento anni solo sono passati, e si che quelli dovrebbero avere la memoria lunga, come…» un uomo ne strattonava un altro, cercando di convincerlo della sua tesi. Fu quello che disse a Shasta che il momento era arrivato.
Lo jaluk si era seduto vicino al grande camino, in una posizione ottimale per potersi arrampicare sulla lunga tavola che correva tutt’intorno alla parete di destra. Così fece, atteggiando la faccia ad una smorfia di dolore accentuata dal rossore agli occhi – per avere il quale aveva spasmodicamente fissato le fiamme nell’ora precedente.
«Mia sorella è morta in quel tempio. Aveva solo sedici anni e era bella come la luna, perfetta. Né la mia malattia né loro non l’avevano toccata…» attaccò, la voce roca e bassa, apparentemente indifferente a chi potesse o meno sentirlo. Sembrava un uomo in preda ad un dolore troppo grande per essere espresso, che l’avesse lasciato privo di energie e senza fiato, alla mercé della vita. «Una bambina tanto buona, tanto dolce… ogni settimana veniva da me e mi raccontava degli inni e delle preghiere che recitava perché guarissi dal male che ha ucciso la nostra famiglia. Diceva che non vedeva l’ora di divenire vestale e poter scendere fra le persone, dargli il conforto che io avevo dato a lei quando era piccola e non c’era nessuno con noi.» riflettendoci, aveva deciso di accentuare la sua storia fino ai limiti dell’assurdo. Come si poteva credere ad una cosa del genere? Ma quelli erano uomini e l’unica cosa che li avrebbe convinti era un nome, un’ideale romantico sotto il quale marciare.  «Vicino al suo letto aveva questa, la stava facendo per me…» alzò una mano, mostrando una pezzuola di stoffa ricamata con un motivo di angeli e cuori. L’aveva trovata davvero sul comodino di una giovane sacerdotessa, la terza ragazzina cui aveva spillato il sangue «e ora è solo un corpo sotto la terra! Non realizzerà mai i suoi sogni, come non lo farà nessuna delle loro vittime! Io dico che non possiamo tollerarlo! Dico che è ora di invadere quelle strade e far vedere loro sulle spalle di chi poggia Soham.» la sua voce adesso era forte, tonante. Nessuno nella stanza parlava più. Quasi tutti gli occhi erano fissi sulla piccola figura dai capelli ingrigiti e la schiena ingobbita nella quale Shasta si era trasformato per loro: un ragazzo dalle orecchie tonde, con occhi azzurri come il mare. Lo stereotipo dell’innocenza.
«Come si chiamava tua sorella?» domandò una donna corpulenta, che stringeva con una mano la stoffa della veste all’altezza del cuore.
«Sheera» disse Shasta senza pensarci. E poi, come per una folgorazione «Amava ricamare. Diceva che era l’unico dono che nostra madre le avesse lasciato, e che cucire era il modo per faci sentire entrambi vicini a lei.»
Era troppo. Shasta scivolò giù dall’asse e si sedette a terra, chinando il capo come per nascondere le lacrime quando, realmente, aveva solo una gran voglia di ridere. Due donne gli si avvicinarono e tentarono di consolarlo, un’altra gli porse una ciotola di stufato freddo senza aggiungere altro. Nella sala rimbombava il nome delle due bambine, sempre più febbrile, sempre più idealizzato.
Pronti, partenza…
 
  Via!
La folla eruppe nella città come una marea in piena, ingrossandosi ad ogni angolo, ad ogni curva: una fiumana di persone di ogni razza o etnia insorsero, spinte dalla fiammella di una bugia che era solo un pretesto. Nelle case nobiliari, i prigionieri trovarono il coraggio di rompere le catene e aprire le porte, lasciando che la folla si nutrisse del loro algidi, antichi padroni. Alcuni vennero trascinati i nstrada e lasciati divorare dal sole, altri ancora bruciati o trafitti da paletti; Celydo fu trovata morta nel suo letto, senza una goccia di sangue nelle vene e con un’espressione serena di pace e soddisfazione, come se la sua fine fosse stata dolce. Solo nel grande palazzo di marmo e ambra le porte rimasero serrate: i servi, l’uno accanto all’altro, scesero nel grande cortile e difesero Gabriel, descrivendolo come un angelo misericordioso.
Lui, il vampiro, non era in casa: aveva ritenuto prudente far visita al suo caro amico Valandil, rimasto da poco l’unico abitante della sua casa. Così, quando tutto fu all’apice, poté affacciarsi dal palazzo del governo e placare il popolo assetato di sangue con un discorso pieno di amarezza e di nuove speranze.
Aveva vinto, Soham era sua, e Shasta era di nuovo la pedina di una rivolta. 
  
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