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Autore: GirlWithTheGun    26/10/2013    2 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 5

In The Androgynous Dark

 

 

 

La verità era che non esisteva nessun posto dove nascondersi. Avrebbe potuto vagare all’infinito, senza trovarlo. I posti dove nascondersi si riconoscevano subito, erano luoghi sospesi a metà tra buio e luce, dove potevi vedere senza essere visto e dove ti avrebbe trovato solo chi ti amava. Hogwarts aveva luoghi segreti in ogni dove; Sirius era riuscito a trovarne uno perfino in Grimmauld Place: era sempre stato l’angolo disabitato del terrazzo del vicino. Lì, nessuno era mai venuto a cercarlo. Neppure sua madre. Curioso, forse. O magari semplicemente triste.

Chissà dove si nascondeva Andromeda. In quei giorni l’aveva incontrata solo a notte fonda, quando lei poteva fingere di morire dal sonno e di non avere la forza di parlare. Era probabile che realmente la forza le mancasse; anche se, in effetti, doveva mancarle anche il sonno. Per delle ore l’aveva ascoltata respirare a singhiozzo, senza avere il coraggio di smascherarla. Era questo, che stavano diventando, dei codardi?

Sirius rinunciò alla sua ricerca controvoglia, abbandonando il calore insopportabile delle serre con una ciotola di porridge semivuota in mano. Rientrò attraverso l’accesso secondario per i giardini e, mentre affrontava l’ennesima rampa di scale, decise di avere ancora fame. Dirigendosi verso la sala da pranzo principale incrociò Narcissa, vestita di tutto punto, intenta a specchiarsi con aria preoccupata nella superficie di un’armatura esanime. Quando lo vide arrivare abbassò istantaneamente lo sguardo e scosse i lunghi capelli argentei, allontanandosi senza proferire saluto.

“Buongiorno” le grugnì dietro Sirius, improvvisamente fiero del suo pigiama a righe.

In sala da pranzo trovò Regulus vistosamente occupato a stringere il nodo di un cravattino minuscolo.

“È qui la festa?” gli chiese, abbandonando la ciotola sul tavolo.

“Non riesco a stringerlo” bofonchiò in risposta Regulus, bisticciando con le sue stesse dita.

Sirius allungò una mano e afferrò l’ultimo croissant rimasto sul vassoio d’argento, lasciandosi cadere su una sedia per godersi lo spettacolo in tranquillità.

“Ti voglio bene”.

Suo fratello era talmente agitato da quel combattimento che non diede segno di aver sentito.

Quando anche Bella entrò nella stanza, con un gigantesco barbagianni appollaiato sul braccio, Sirius smise di addentare la sua seconda colazione. Era bianchissima e fasciata in quell’abito di pizzo nero pareva sul punto di svenire. Sapeva che non avrebbe dovuto ma si ritrovò all’istante a pensare al sangue che aveva visto, per terra, nel lavabo, addosso a lei, al suo viso pieno di dolore, quando ancora non sapeva della sua presenza. Quel momento, quella frazione infinitesimale di tempo in cui Sirius aveva intravisto il vero volto di Bella, era stato sufficiente a togliergli quel poco di sonno che gli era rimasto dopo il tracollo di Dromeda.

Lei ignorò entrambi, raggiungendo in pochi passi la grande finestra in fondo alla sala. Quando la spalancò del tutto, la luce le irradiò la chioma bruna risvegliandone i riflessi.

“Potresti aiutarmi?” supplicò Regulus, lanciando a Sirius uno sguardo implorante.

“No. È più divertente così” replicò lui, sorseggiando del succo di zucca fresco.

Il barbagianni spiccò il volo e Bella si voltò con la bacchetta tesa. Il cravattino di Regulus andò al suo posto, stringendosi attorno al suo collo in una morsa salda.

“Grazie. Sono pronto. Dovresti prepararti anche tu” disse Reg, alzandosi in piedi con le guance imporporate.

“Pronto per cosa, di grazia?” disse Sirius, squadrandolo da capo a piedi.

Aveva indossato uno degli abiti più ridicoli che gli avesse mai visto addosso e il suo sesto senso gli comunicò che quello non era affatto un buon segno.

“Stanno arrivando” Regulus aggirò il tavolo “Come sto?”.

“Terribilmente” lo liquidò Sirius, colto da un atroce presentimento “Chi sta arrivando?”.

“Nostra madre, nostro padre e gli zii”.

“Cosa?!”.

L’esclamazione si duplicò, variando dal tono gelido e perentorio di Bella a quello piatto e irrisorio di Sirius.

Lui le lanciò un’occhiata stupita, scoprendola immobile come una statua.

“È-è arrivato un gufo questa mattina… presto. Saranno qui a momenti. Credo”.

Regulus rispose con voce tremolante, intimidito da entrambi e incerto se guardare l’uno o l’altra.

“Perché?” la voce di Bella fu un sussurro minaccioso.

“Non lo so”.

Se avesse potuto, probabilmente Regulus sarebbe scoppiato a piangere come un bambino.

Il suono assordante di una campana fece sussultare tutti e tre prima che potessero aggiungere altro a quella surreale conversazione a triangolo.

“Cosa intendevi, di preciso, con ‘saranno qui a momenti’?” domandò Sirius, dopo un interminabile secondo di silenzio.

 

“Dove diamine sono i Domestici?”.

La voce di Walburga Black era appena un tono sotto allo stridore delle unghie sulla lavagna.

Sirius sorrise mestamente tra se e se, finendo con un morso particolarmente violento la sua brioche.

Non sapeva precisamente quando ma, proprio come era successo con Bellatrix, tra lui e sua madre, in un punto preciso delle loro esistenze, era finito tutto. Aveva ricordi vaghi e confusi della sua infanzia, un paio di momenti di risate, quando ancora non era in grado di capire davvero tutte le pericolose sciocchezze che Walburga tentava di inculcargli a suon di storielle. Quello che ricordava bene, invece, era il terrore: lei gli aveva sempre fatto paura, con quei suoi occhi scuri e penetranti, capaci di soffocare ogni moto di ribellione. Lo erano stati, fino a quando Sirius non aveva capito che esisteva anche dell’altro, qualcosa al di fuori di quelle mura e delle parole dei suoi genitori. Forse una parte di lui aveva sempre saputo, come una parte di Walburga certamente aveva sempre temuto di ritrovarsi per le mani un figlio pericoloso.

Quando raggiunse il resto della famiglia nel gigantesco androne, tutti si voltarono nella sua direzione. Suo padre Orion si limitò a squadrarlo senza proferire parola, sommerso dal fumo della sua stessa pipa. Il più delle volte fingeva semplicemente che lui non esistesse, trincerandosi dietro mormorii sibillini o puri silenzi di tomba: del resto, le sue speranze per il futuro risiedevano completamente nelle mani impacciate di Regulus. Walburga, invece, faticava ancora ad arrendersi.

Le labbra della donna si arricciarono visibilmente alla vista del suo pigiama.

“Avresti almeno potuto degnarti di indossare qualcosa di pulito” sibilò, lasciando che un Elfo tremante le sfilasse i guanti leggeri dalle mani rigide come artigli.

C’erano stati giorni in cui parole così, sguardi così, l’avevano colpito a morte. Sirius faticava ancora ad ammetterlo a se stesso e non l’avrebbe mai raccontato a nessuno. Non aveva dimenticato il dolore. Il rifiuto gli aveva scavato nell’anima una ferita profonda e ora la cicatrice era così spessa da averlo reso quasi insensibile.

“Buongiorno, madre. Il viaggio è stato di vostro gradimento?” replicò, scuotendo via le briciole dal colletto di flanella.

“Meravigliosamente” intervenne zia Druella, sfoderando un sorriso gelido “Le vostre vacanze come procedono, ragazzi?”.

Chiaramente non stava parlando con lui, perché gli voltò quasi immediatamente le spalle, rivolgendosi al resto della progenie.

Solo allora, Sirius notò la presenza di Andromeda: era vestita esattamente come Bella e Narcissa, con un lungo abito blu di foggia magica.

Il cuore gli sprofondò nel petto. Cercò i suoi occhi ma lei non si voltò mai, per tutta la durata dei convenevoli. Quando lo zio Cygnus le posò un bacio di saluto sulla fronte, proprio come aveva fatto con le altre due figlie, lei gli sorrise quieta.

Sirius avvertì una forte sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. Restò ancora un istante a guardare la cerchia di sconosciuti alla quale sarebbe dovuto appartenere, se tutto fosse andato come previsto. Si sentì solo, differente, e muovendosi ai margini di quel fosco quadro familiare, ricordò a se stesso dove e come avrebbe potuto trovare la sua vera famiglia: lontano, lontanissimo da lì.

 

L’incubo era iniziato.

“Presto, le sarte saranno qui a momenti” aveva detto sua madre, imbrigliandole i lunghi capelli in un nastro “Togliti questo vestito, per Salazar, sembri sull’orlo della tomba”.

Quando aveva preso a slegarle i lacci del corsetto, Bella si era ritratta ed era sfuggita alle sue mani rifugiandosi dietro al paravento della camera, con la scusa di essere abbastanza grande per farcela da sola.

“Benvenute!” cinguettò sua madre ad un certo punto, oltre la barriera.

“Oh signora Black, che meravigliosa tenuta, che fantastici giardini!”.

“E che belle figlie!”.

Anche Dromeda e Cissy salutarono garbatamente, mentre qualcosa di grosso e pesante atterrava sul pavimento con un tonfo.

Le mani di Bella si soffermarono a lungo sulle bende, verificandone la tenuta.

“E la futura sposa? Dove si nasconde?”.

“Ha già iniziato a spogliarsi. Con quale modello potremmo iniziare?” rispose, agitata, sua madre.

“Pensavamo a un pizzo chantilly veramente sublime, qualcosa che esalti la sua carnagione. Come questo”.

Bella sentì Cissy trattenere il respiro e sua madre squittire.

“Le starebbe così bene! Iniziamo, iniziamo!”.

I passi oltre il paravento si fecero sempre più vicini e lei sentì la forza mancarle. Una parte della sua mente continuava a ripeterle che avrebbe dovuto fuggire, che non doveva succedere per forza, non doveva succedere davvero.

La donnina minuscola che le si parò davanti la colse in un momento di puro terrore.

“Salve, cara” la salutò, seguita a ruota da un monumentale abito sospeso a un metro da terra “Sei pronta?”.

Bella annuì tentando di stendere le labbra in un sorriso.

“Non temere, sarà molto più facile di quanto credi” rise, e i boccoli biondi che le circondavano il viso avvizzito presero a dondolare come campanellini.

“Alza le braccia”.

Seguì le istruzioni scrupolosamente, senza emettere un fiato, mentre la donna prendeva possesso pian piano del suo corpo, foderandola in metri di pizzo candido senza che potesse opporsi in alcun modo. Mentre la gabbia le si stringeva intorno, gli occhi di Bella fissavano il vuoto.

“Ed ecco qui, cara” disse poi la donna, dopo aver sbuffato un po’ per rassettarle la gonna ed essere indietreggiata per contemplarla “Una visione!”.

“Forza, Bellatrix, esci da lì” le intimò perentoria sua madre.

Bella fece un passo e la pesantezza dell’abito la fece barcollare.

“Oh! Attenzione! Bisogna farci un po’ l’abitudine, non è vero, cara?” blaterò la sarta, prendendole una mano.

Lei si scostò bruscamente e avanzò abbandonando la protezione del grande paravento.

Non appena la vide, sua madre portò le mani al viso in un gesto plateale e Cissy la guardò con un sorriso invidioso sul viso.

Tra tutti gli sguardi sognanti della stanza, Bella cercò istintivamente l’unico che spiccava per seriosità.

Dromeda la guardava. Non guardava l’abito, né il pizzo o chissà che altro. Dromeda guardava lei, dentro lei. Non era uno sguardo gioioso: era uno sguardo consapevolmente preoccupato che scivolò lentamente sulle bende e poi di nuovo nel profondo di Bella, dove erano sepolti i pensieri e le paure che nessun altro avrebbe potuto intuire.

Fu la prima ad abbassare lo sguardo, mentre un’altra sarta la avvicinava, tendendo le mani sconosciute verso le sue spalle nude, lasciate scoperte dal corsetto. Era così stretto, così stretto che le pareva di non respirare quasi più.

“Vede, le cade così bene, signora Black!”.

“Ed è così simile al suo abito, se lo ricorda? Una delle nostre spose più belle”.

Sua madre sorrise vezzosamente, scuotendo i capelli biondi come era solita fare Cissy per pavoneggiarsi.

“Fai un giro, Bella, da brava” disse, con un gesto.

Bella obbedì, mentre i contorni della stanza si facevano via via più sfocati, come in un sogno.

“Anche dietro è comunque una meraviglia. In effetti pensavo a qualcosa di più tradizionale, qualcosa con delle maniche, capite?”.

“Madre, sarà ancora piena estate” replicò Andromeda.

“Non essere sciocca, Andromeda. Ci si sposa una sola volta nella vita”.

“Appunto. Sarebbe meglio non svenire all’altare per un colpo di calore”.

“Infatti non accadrà” disse con tono glaciale sua madre, segnando una linea di demarcazione oltre la quale la figlia non avrebbe dovuto spingersi “Vorrei che provasse un abito più classico”.

Provò l’abito classico. Un tripudio di veli e pizzi pesantissimi, con un corpetto sottile che le si chiuse sotto la gola.

“Ecco. Ci siamo” fu il verdetto della madre “Guardati nello specchio, figlia mia”.

Bella avrebbe voluto poter dire che no, non lo avrebbe fatto. Che non voleva vedere cosa ne sarebbe stato di lei, una volta indossato quel vestito e il nome che non le sarebbe mai appartenuto.

Lo specchio le spinse contro la sua stessa immagine, l’immagine di lei che si osservava come una bestiola braccata, stringendo forte i pugni in un ultima, inutile difesa.

Non riusciva a vedere nient’altro, né l’abito, né le persone che la circondavano. Sua madre e Cissy le furono subito accanto, mentre la prima lacrima le solcava una guancia.

“È un’emozione unica, vero?” mormorò sua madre, stringendole il braccio proprio dove la ferita pulsava più forte “Farai commuovere anche me”.

Narcissa accarezzava la gonna gonfia, sovrappensiero, seguendo la linea dei ricami.

Quando anche Andromeda la raggiunse, asciugandole il volto con un gesto colmo di pietà, Bella cercò la sua mano.

“Sarai bellissima. La signora Lestrange… ancora fatico a crederci” disse sua madre.

Bella strinse forte e a lungo le dita di sua sorella, unico appiglio in un mare di disperazione.

 

Rimasero a definire i dettagli della cerimonia fino a tardi, fino a quando Bella si sentì svenire nel boudoir e sua madre ebbe la prontezza di farla mangiare in fretta e furia, prima di spedirla nella sua stanza a riposarsi.

Dopo cena, Andromeda si era accomiatata dalla famiglia accusando un forte mal di testa. Bella barcollò inconsciamente fino alla sua stanza, con l’intenzione di raggiungerla. Quando bussò, dall’interno non giunse nessuna risposta. Entrò comunque, esausta e incapace di tornare nella sua camera affrontando una notte in solitudine. Dromeda aveva l’abitudine di passeggiare nei giardini, prima di dormire. Non voleva parlarle né sentirla parlare: aveva solo bisogno di avere qualcuno vicino, accanto a sé. Qualcuno che non si aspettasse di vederla felice.

Ubriaca di stanchezza e dolore, avanzò nell’oscurità spessa fino al letto e vi si lasciò cadere, vestita solo per metà.

Ogni cosa sarebbe finita e lei avrebbe abbandonato per sempre la sua casa. Per sempre.

 

Sirius aveva trovato qualche residuo delle strane sostanze fornite da Tonks nella tasca dei jeans che aveva usato il giorno della festa notturna. Esiliato da pranzi e cene di famiglia per sua precisa volontà – aveva sentito Walburga strillare il suo nome a più riprese in lungo e in largo per Englefield House – si era trastullato con pipa e dolcetti per gran parte della giornata. Il risultato della combinazione tra eccesso di zuccheri e fumo era stato una sorta di pace meditativa.

Quando l’oscurità era scesa, inondando la tenuta, si era rassegnato a strisciare lento nell’orrorifica dimora, ben attento a non farsi notare.

Oramai aveva preso stanza nel letto di Dromeda e fu proprio lì che trovò la sua meta.

Si sentì in pace solo quando richiuse la porta dietro di sé, sprofondando nel buio.

“Sono tornato” biascicò, cercando di mantenere viva quel poco di lucidità superstite “Oggi mi hai spezzato il cuore”.

Urtò con il ginocchio il baldacchino, lanciò un gemito e poi atterrò con le mani sul materasso, interrompendo la rovinosa caduta.

“Sono a pezzi” ridacchiò, senza chiedersi perché “Merlino… sono davvero a pezzi”.

Tutt’un tratto si sentì immensamente triste.

Posò goffamente la testa sui cuscini, allungando un braccio alla ricerca della cugina. Trovò il suo corpo caldo a poca distanza da lui, disteso.

“Non vuoi nemmeno parlarmi?” mormorò.

Dromeda non rispose.

Sirius decise che non gli importava: scivolò al suo fianco e le circondò la vita in un abbraccio saldo.

Rimase così, immobile, per quello che gli parve un tempo infinito.

“Ho paura, Dromeda” sussurrò poi, mentre sentiva il sonno corrompere quel poco di forze che gli era rimasto “Ho paura che ci facciano del male. Ho paura per me, per te… ho paura per Bella. Ho paura per Bella. Aiutala…”.

Prima che tutto divenisse un sogno, Sirius sentì la mano di Andromeda chiudersi sulla sua. Era fredda.

   
 
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