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Autore: AlessiaDettaAlex    28/10/2013    3 recensioni
Storia interamente revisionata (8/11/2017)
È la storia di una diciottenne. Una giovane che si scopre innamorata della sua migliore amica e non riesce ad accettarlo. Quindi se vi aspettate farfalle, rose e fiori è il racconto sbagliato. Questa che sto scrivendo è piuttosto la storia di dolore e tragedia di una ragazza che ne amava un'altra.
Trecento metri è la distanza che separa le loro case. Ma la verità è che alla fine di questo racconto Alex ne avverte molta di più.
"Lo conoscevo a memoria il profumo di Lyn. Era profumo di casa, un odore che mi faceva sciogliere il cuore. Se chiudo gli occhi e mi concentro riesco a sentirlo anche adesso, a più di un anno di distanza."
[Capitolo 5]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9 o Maggiore età

Sono sempre stata troppo pigra per vestire i panni dell’eroina di un libro. O forse il problema è che molto spesso non ho fatto altro che seguire a testa bassa il copione del personaggio sconfitto: da bambina ero la pezza da piedi di tutti i miei compagni di classe, maschi e femmine. Le mie stesse poche amiche si toglievano e rimettevano le loro maschere cariche di menzogne: a un tempo si divertivano insieme a me e l’attimo dopo si divertivano alle mie spalle, unendosi a una schiera di aguzzini che, per una bambina di otto anni, avevano atteggiamenti fin troppo crudeli.
Io ero sola. Eppure c’è stato il giorno in cui anche io ho potuto vedere la luce: quel giorno una ragazza bionda con due occhi smeraldo tese la mano verso di me e mi rialzò. E insieme a lei un gruppo di ragazzi e ragazze per cui io, per la prima volta, ero davvero importante. Per cui ero una vera amica.
E adesso questo. Mi ero appena innamorata di Lyn: non riuscivo a togliermelo dalla testa. La stessa ragazza che cinque anni prima mi aveva offerto la sua amicizia, tendendomi la mano. Un sorriso perenne solcava il mio viso, i miei occhi brillavano ogni giorno di contentezza. Persino l’arrivo del mio diciottesimo compleanno, quell’ottobre, mi faceva gioire solo nella misura in cui c’era Lyn con me a festeggiarlo. Tutta quella dipendenza non avrebbe portato a nulla di buono, me lo sentivo. Ma l’uomo è fatto così: anche intuendo che c’è qualcosa di tremendamente sbagliato in quello che fa, è così inebriato dalle sensazioni che lo pervadono sul momento che finché non scivola e sbatte la faccia per terra non dà retta davvero a quello che gli dice il cuore. E ormai il danno era compiuto: mi sentivo come l’eroina di una storia, nel suo massimo climax, coperta di gloria e promesse fantastiche ma poi – e dovetti accorgermene – menzognere per il futuro.
Il giorno del mio compleanno fui sul punto di saltarle davvero addosso. Lyn si presentò quel pomeriggio a casa mia sbattendomi sul muso un rotolo di carta legato con un nastrino rosso lucido. Stavo per replicare qualcosa quando lei mi anticipò:
«Aprilo e leggilo ad alta voce. Tutto»
Come per uno spiacevole sospetto, rabbrividii al sentire quel “tutto” così calcato. Quando era secca e lapidaria nelle sue esclamazioni la fregatura era all’angolo: e solitamente quella che ci rimetteva ero io, la sua cara migliore amica.
Inspirai a fondo, sciolsi il fiocco vermiglio – non senza difficoltà – e mi ritrovai davanti a uno spettacolo che mi fece venir voglia di piangere: un lunghissimo papiro di lettere colorate che aspettavano solo di essere lette.
«Devo leggerlo tutto?» deglutii.
«Tutto» riaffermò sorridendo malignamente.
Sospirai. Beh, il giorno del mio diciottesimo compleanno me lo sarei dovuta aspettare un tiro del genere. Soprattutto da Lyn. Le sorrisi rassegnata, per quanto potesse irritarmi il fatto che avesse tirato fuori anche una videocamera digitale e me la stesse puntando addosso.
La lettera, a dirla tutta, era davvero commovente. La cosa mi stupì non tanto perché ritenessi Lyn incapace di esprimere quanto ci tenesse a me, ma piuttosto perché lei solitamente non si sarebbe mai arrischiata a scrivere una lettera così lunga, considerato il rapporto problematico che ha con l’italiano. Basti pensare che non c’era volta in cui lei non mancasse di chiedere consiglio a me quando aveva da fare qualche saggio breve per casa, quasi fino a implorarmi di scriverlo io stessa – cosa che comunque rifiutavo di fare. Notevole, dunque, che lei si fosse piantata di fronte a un collage di fogli attaccati in verticale con un pennarello colorato in mano pronta a riempirli tutti della lettera d’auguri che stavo leggendo.
«Qui hai lasciato un’acca» annotai io, secca.
«Alex, non rompere e continua a leggere…» replicò lei, piccata.
Risi di gusto, ma poi arrossii, vedendomi puntata contro ancora la videocamera. O forse perché puntato contro di me c’era prima di tutto lo sguardo di Lyn.
Quando arrivai alla fine della lettera, quasi piansi. Dico quasi perché non sono il tipo di persona che riesce a commuoversi tanto facilmente, soprattutto se osservata – o peggio, registrata. Fatto sta che non sapevo cosa dire e volsi con affetto lo sguardo a lei, che subito spense quel maledetto arnese e mi sorrise a sua volta. Non trovai le parole per ringraziare e risolsi così semplicemente di abbracciarla.
«Tanti auguri Alex! Ora che hai raggiunto la maggiore età sei ufficialmente un pericolo pubblico. Ti manca solo la patente per essere davvero un ordigno vagante!».

Scuola guida, ore sette e mezza del pomeriggio. Per l’appunto mi trovavo quella sera lì ad apprendere il minimo necessario affinché lo Stato mi concedesse la sopra citata e tanto agognata patente.
Il nostro istruttore era un invasato nullafacente di quarant’anni con una giovane fidanzata di venticinque. Sulla sua testa era in atto la lunga e solenne avanzata della fronte a causa della calvizie, che a breve l’avrebbe portato sicuramente a mettersi parrucche stravaganti per poter continuare ad andare ai concerti di qualche rock band fingendosi un ragazzino di quindici anni. Ma se c’è una cosa che davvero mi è rimasta impressa di lui – oltre la chitarra elettrica che ostentava sempre nell’aula dove facevamo lezione e che mi interessava dal momento che io suonavo la classica – è il sottile, fastidioso, pungente sarcasmo che il più delle volte mi faceva venir voglia di alzarmi dalla sedia e andarmene prima della fine della lezione. Ma, avendo mia madre pagato fior di quattrini per farmi seguire quel maledetto corso, mi guardai sempre bene dall’andarmene. Così sbuffavo e incassavo.
Nella maggior parte dei casi alla fine della scuola guida finivo col chiamare Daniele per farmi consolare. Lo stesso feci la sera del mio compleanno. Non a caso, tra l’altro, poiché il fato volle che lui compisse gli anni esattamente il giorno dopo il mio.
Parlammo del più e del meno, raccontandoci di patenti, università e professori; a volte, tra un argomento e l’altro, trionfavano dei vuoti di silenzio piuttosto imbarazzanti, con il respiro mozzo di lui che cercava di tirar fuori qualche parola, probabilmente troppo compromettente per essere detta con tranquillità. Spesso, nei nostri discorsi, capitava che facesse tentativi di dichiararmi il suo amore e io lo lasciavo fare. Avevo cominciato a considerarlo come la mia unica ancora di salvezza. Salvezza da cosa? Da Lyn, ovviamente.
«Vorrei essere lì con te oggi che compi diciotto anni» sussurrò ad un certo punto.
Io mi sentii terribilmente mortificata: ad essere sincera a me non interessava che venisse, ma per lo stretto rapporto che ormai si era instaurato tra di noi mentii:
«Anch’io…»
La verità è che avevo semplicemente paura di quello che avevo scoperto di provare per Lyn. In realtà avevo paura anche di quello che provava Daniele; cominciavo a sentire, pian piano, che quel ragazzo faceva sul serio. E io? Io lo degradavo al livello di “alternativa obbligata” alla mia migliore amica. Mi chiesi molte volte, quel giorno, se fosse giusto trattarlo in quel modo; ma spesso mi ritrovavo a pensare che non avevo altra scelta se volevo liberarmi dell’ossessione per Lyn. Lei era il mio paradiso e il mio inferno, avevo il terrore di starci insieme ma nello stesso tempo non c’era cosa che desiderassi di più, o più ardentemente, nella mia vita. Tutto ciò mi destabilizzava enormemente, e sapevo che chi ne stava facendo le spese era proprio lui. Eppure non riuscivo a farci niente.
Alla fine della serata, scoccata la mezzanotte, gli feci a mia volta gli auguri.
«Tanti auguri, Dani!» gridai nel ricevitore.
«È appena finito l’unico giorno dell’anno in cui io e te abbiamo la stessa età… ora sono di nuovo più grande io» puntualizzò in risposta.
Io mi finsi scocciata per riuscire a intavolare l’ultima finta litigata della serata e lui colse al volo il guanto della sfida. Alla fine concludemmo non prima dell’una di notte, salutandoci con un reciproco “ti voglio bene”. Poco dopo aver messo in carica il mio telefono avevo già dimenticato l’intera conversazione e stavo piuttosto progettando la bellissima festa di compleanno che avevo fissato per il sabato: mi sorprendo tutt’ora di quanto qualsiasi stupidaggine mi distraesse velocemente dal pensiero di Daniele. Probabilmente questa è la dimostrazione che la nostra è una storia che non è mai davvero esistita.
Dopo essermi infilata sotto le coperte del mio letto ripensai a Lyn, ai suoi occhi smeraldo e al pomeriggio insieme che mi doveva per il mio compleanno e che non c’era ancora stato. E mi addormentai – ahimè – con un sorriso ebete stampato sul volto.




 
NdA
E dopo molto tempo rieccomi qui a pubblicare il nono capitolo di questa storia infinita... non pensavo di riuscire davvero a pubblicare ancora qualcosa xD
Recensite, cari!
Alex
 
   
 
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