Anime & Manga > Shaman King
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Autore: Layla    28/10/2013    1 recensioni
“Vattene via, Hao!
Non voglio più avere a che fare con te!”
Per tutta risposta mi bacia con passione.
“Vuoi che me ne vada?”
“S-sì!”
Mi ribacia di nuovo e questa volta è quasi certo che cederò.
“Vuoi che me ne vada?”
“No.”
Lui sorride, ha vinto anche questa volta.
Anche questa volta la preda è sua, inizia di nuovo a baciarmi e presto i nostri vestiti sono sul tatami.
Mi porta in camera mia e mi adagia sul futon e poi ci sono i nostri respiri, ansiti e gemiti mischiati.

{MathildaxHao. MathildaxNuovo personaggio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hao Asakura, Nuovo personaggio, Trio Hanagumi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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2) Passato e presente.

 

La prima sensazione che provo tornando a Londra è di sentirmi a casa ed è veramente strano.
Tutti i ricordi che ho dell’Inghilterra sono negativi, ma in questa grande città non sono la più strana delle creature e mi sento abbastanza protetta.
Con i soldi della liquidazione che mi ha dato Anna mi  pago il primo mese di affitto in un appartamentino. Anna si è dimostrata davvero comprensiva, mi ha detto che andarmene era una mossa saggia, che Hao era una persona da evitare, soprattutto adesso che Tamao è incinta.
Quando le ho chiesto cosa avrei potuto fare se lui si fosse presentato alla porta del mio appartamento londinese lei ha sorriso enigmatica e mi ha battuto una mano sulla spalla.
“Ci penserà Yoh, non di devi preoccupare. Adesso cerca solo di rifarti una vita.”
Le ho dato retta.
Per i primi tre mesi sono stata cameriera in un bar, quando ha chiuso sono stata assunta a tempo indeterminata in un multisala e solo dopo sei mesi ho trovato un lavoro più adatto a me: mi ha assunta una casa editrice. Il mio compito è tradurre i manga  di cui viene decisa la pubblicazione.
È un lavoro che mi piace e vengo pagata molto di più che come cameriera o tutto fare al cinema.
È perfetto.
Stasera – per la prima volta dopo sei mesi di vita solitaria – decidi di concedermi una birra e una serata fuori. Non molto lontano da dove vivo si esibisce una band punk e quale occasione migliore per fare quattro salti?
Indosso un paio di jeans pieni di strappi e spille, una maglia dei Rancid, una felpa con le maniche tagliate e il mio chiodo di pelle.
Esco di casa canticchiando e mi sento di buon umore.
Stasera non può succedermi nulla di male, Hao è a migliaia di chilometri e questo mi tranquillizza parecchio.
Quando arrivo il locale è già pieno, spero che la band valga la pena di sopportare questa calca, non mi piace molto stare in mezzo alla gente.
Alle dieci iniziano a suonare e ci regalano due ore di sano punk, pop-punk su cui possiamo pogare e fare surf –crowd: molto bello.
Erano anni che non mi divertivo così, adesso so perché a Kanna mancano così tanto i concerti punk, sono una figata assurda! Lei in Germania ci andava spesso e lo ha raccontato spesso a me e a Mari.
A proposito di loro, quando arrivo in casa devo scrivere loro come sta andando, non mi sono certo dimenticata di loro!
A mezzanotte e mezza me ne vado dal locale, mi accorgo immediatamente di essere seguita: quattro tizi grandi e grossi aspettano solo di trovarsi in un angolo buio per farmi chissà cosa.
Poveri sciocchi! Che ci provino, saranno cadaveri in me che non si dica!
Finalmente arriva l’agognato angolo buio e io mi preparo  a dare loro una lezione con Jack, ma qualcuno mi precede.
“Andatevene!”
Sibila una voce maschile, tagliente e minacciosa.
Io mi volto verso questo ragazzo e vedo un’ombra magra, alta e che emana un’aura di minaccia, i quattro se ne vanno via spaventati.
“Grazie per avermi aiutato, posso vederti in faccia?”
Ci spostiamo sotto un lampione e vedo una faccia magra con un leggero velo di barba, dei capelli blu spettinati, un piercing che luccica sul labbro e diversi tatuaggi che gli coprono le braccia nude.
“Figurati, ci si aiuta tra colleghi, no?”
“Prego?”
Chiedo io, un po’ confusa.
“Sei una sciamana anche tu, vero?”
“Sì, mi chiamo Mathilda Matisse.”
“Mi chiamano tutti Pain, tu puoi chiamarmi Benji.”
Io annuisco.
“Va bene, Benji. Posso rimediare in qualche modo al fatto che tu mi abbia dato una mano?”
Lui si gratta la testa.
“Potresti ospitarmi a casa tua? È da un mese che vivo in strada visto che mi hanno sbattuto fuori da casa.”
Io ci penso un attimo, poi annuisco.
“Va bene, seguimi.”
Devo essere matta per portarmi a casa un barbone, ma lui non può essere peggio di Hao, niente può essere peggio di lui.
Arriviamo a casa mia, io butto le chiavi nel pattino vicino all’entrata e mi tolgo la giacca di pelle, lui si guarda attorno.
“Bello qui, posso farmi una doccia e magari avere qualcosa da mangiare.”
“Va bene.
Sparisce in bagno, io intanto gli preparo tre panini molto sostanziosi che lui apprezza una volta lavato.
“Grazie, possiamo parlare un po’, se vuoi.”
Gli dico curiosa, lui annuisce.
“Cosa ci fai per strada?”
“L’orfanotrofio in cui vivevo mi ha sbattuto fuori appena ho compiuto diciotto anni e con questa faccia non riesco a trovare lavoro. Ho un brutto carattere, diciamo. Tu cosa fai nella vita?”
“Traduco manga per una casa editrice, sono stata a lungo in Giappone.”
Lui mi guarda e poi spalanca gli occhi come fulminato.
“Io mi ricordo di te! Eri una del team Hao Asakura.”
“Sì e non mi piace ricordare questo fatto.”
“Ok.”
“Cosa usi come contenitore?”
Lui tira fuori un lungo stiletto dalla tasca dei pantaloni, sul filo della lama c’è scritto qualcosa in italiano che io non capisco.
“C’è scritto “Non ti fidare di me”, l’ha preso mio nonno a un fascista italiano durante la seconda guerra mondiale.”
“Capisco e il tuo spirito chi è?”
Qualcosa inizia a prendere forma e vedo un giovane uomo in divisa militare, probabilmente della prima guerra mondiale.
“Lui è Joshua, in vita era un cecchino infallibile ed era molto bravo con la spada. Per ora vive dentro lo stiletto, spero di procurarmi un pistola presto.”
“Non deve essere facile.”
Lui scuote la testa.
“Serve una pistola d’epoca per far sì che lui sia in grado di dare il meglio, ma per  ora non ho fretta, il nuovo shaman king non ama i conflitti.
Tu lo conosci, vero?”
“Sì, lo conosco.”
“Beata te, avrei voluto partecipare allo shaman fight, ma non sono abbastanza forte e così ho dovuto rinunciare.”
“Hai fatto una buona scelta!”
Sbadiglio.
“Senti, domani è domenica, cosa ne dici se chiacchieriamo un po’ domani?”
Lui annuisce, io gli preparo il divano per la notte e poi vado a letto, non prima di aver scritto alle mie amiche, entrambe mi raccomandano di stare attenta a Benji.
Lo farò sicuramente, anche se per ora non ha ancora fatto scattare i miei allarmi interiori.

 

La mattina lo trovo davanti al frigorifero alla ricerca di qualcosa.
“Buongiorno.”
“Buongiorno, stavo cercando di preparare la colazione.”
“Fai pure. Sono pigra.”
“Capito.”
Fa bollire del latte e lo versa in due tazze, poi ci aggiunge del caffè e trova i biscotti, alla fine serve tutto nel minuscolo tavolino del locale.
Facciamo colazione in silenzio, finito buttiamo le cose nel lavandino della cucina e usciamo a fumarci una sigaretta.
Lui sembra contento.
“Bella Londra vista da qui, non sembra poi così pericolosa.”
“O forse la pancia piena mette di buon umore, io non vivevo a Londra.”
“Lo so che vieni dal Giappone.”
Io scuoto la testa, come al solito mi sono espressa male.
“Prima di andare in Giappone ed entrare bel gruppo di Hao Asakura vivevo in un villaggio sperduto nella campagna.”
“Capisco. Bel salto, vero?”
Io alzo le spalle.
“Beh, un po’. In fondo anche Tokyo è una metropoli ed è bella, anche se i ricordi legati ad essa non molto.”
Lui annuisce.
“Tu come ti sei accorto che eri uno sciamano?”
“All’istituto riuscivo a far sollevare le foglie secondo i miei comandi e ne avevo un po’paura e poi vedevo cose che gli altri ragazzi non vedevano.
Non puoi credere quanti ragazzi e ragazze decidano di uccidersi in un istituto come quello in cui sono cresciuto io.”
“Ne ho una vaga idea, invece. Sono orfana anche io e l’unico motivo in cui non sono finita in un orfanotrofio è stato il fatto che Asakura mi ha trovato prima dei servizi sociali.”
“Come sono morti i tuoi?”
“Ufficialmente per l’esplosione accidentale di una bombola di gas, in realtà la brava gente del paese ha dato fuoco alla casa.
E i tuoi?”
Lui si siede su una delle sedie.
“Incidente d’auto, mio padre aveva il vizio di bere e una sera ce l’ha quasi fatta a far fuori lui e la sua famiglia. Lui è morto sul colpo, mia madre è stata cinque giorni in coma prima di morire.
Torniamo all’essere sciamani?”
“Torniamo.”
“Beh, praticamente a un certo punto mi è stato consegnato lo stiletto come eredità di mio nonno morto, nonostante il parere contrario della direttrice dell’orfanotrofio.
Non dovrebbero girare armi, ma io sono riuscita a girarla sul lato affettivo, del tipo che mi ricordava mio nonno.
La sera stessa è uscito Joshua dallo stiletto e mi ha raccontato cosa ero e mi ha spiegato come controllare i miei poteri.”
“Capisco. Beh, è una storia interessante.
La mia non più di tanto, dopo che sono morti i miei per un po’ mi ha cresciuto una vecchia strega che viveva nella foresta. Mi ha insegnato gli usi delle erbe e un po’ di magia, poi è morta e Hao è arrivato a prendermi.
Mi ha procurato Jack – la zucca intagliata che vedi nell’angolo – e mi ha insegnato a usare i miei poteri, poi mi ha messa in un team con due ragazze che più o meno hanno vissuto le mie stesse esperienze.
C’è stato lo shaman fight, abbiamo combattuto e poi a un certo punto a Spirito of Fire serviva più Furyoku e Hao si è preso le nostre vite. È stata Anna Kyoyama a riportarci indietro e io, insieme alle mie compagne di team, lavoravo per lei.
Poi Hao si è fatto vivo per scopare, mi ha scopato e poi ho scoperto che sua moglie Tamao è incinta e ho levato le tende.”
“Che brutta storia.”
Io scuoto le spalle.
“Così va la vita. Ti va se entriamo?
Inizio ad avere freddo.”
Lui annuisce e ci sediamo sul divano.
“Sei l’unica sciamana della tua famiglia.”
“No. Lo era anche mio nonno e tu, in un certo senso, gli somigli.”
Lui alza un sopracciglio.
“Quando sono venuta a Londra il primo weekend l’ho sprecato andando a rovistare nelle macerie della mia vecchia casa nella campagna e ho trovato il suo diario.
In paese nessuno diceva nulla contro di lui o lo importunava perché ne avevano paura, emanava un’aura indefinita di minaccia, per te è lo stesso.”
“Capisco.
Forse hai ragione, nonostante non sia un armadio pochi vogliono fare rissa con me.”
“Vedi? Anche i non sciamani a volte percepiscono qualcosa, io conosco un non sciamano che vede i fantasmi. È Manta, un amico di Yoh.”
“Capisco, davvero curioso.
Matisse non è un comune inglese, è francese.”
Mio nonno è francese, è arrivato qui durante la seconda guerra mondiale.”
“Era ebreo?”
Scuoto la testa.
“No, non lo era, ma aveva lo stesso attirato l’attenzione dei tedeschi.”
“Come mai?”
“Conosci la famiglia Tao?”
Lui si gratta pensoso il mento.
“Tao.. Quelli dei Kionshi?
Quelli che usano i cadaveri per combattere?”
“Loro. Beh, mio nonno aveva un potere simile ed era stato dai Tao per un po’, come apprendista o qualcosa del genere.
Era un potere interessante agli occhi dei nazisti, almeno anche i morti sarebbero serviti a qualcosa, peccato che mio nonno non avesse intenzione di collaborare.
È riuscito a scappare da Parigi, dove viveva, per unirsi a un gruppo di profughi ebrei diretti verso il Regno Unito. Hanno attraversato di nascosto la Manica con l’aiuto di alcuni pescatori e sono arrivati a Londra, mio nonno si è procurato una stella gialla e ha finto di essere ebreo.
Dopo la guerra è andato a vivere in un villaggio nella campagna, ha incontrato mia nonna e si è sposato. Non ha mai rivelato a nessuno le sue tecniche di combattimento, ha mantenuto la promessa che aveva fatto ai Tao.”
“Capisco.
Credo di capire perché tuo nonno emanasse autorità, serve per controllare i cadaveri, credo.”
“Può darsi!”
Mi stiracchio.
“Usciamo a fare un giro, Benji?”
“Sì, Mathilda.”
Io sorrido.
“Chiamami Match.”
“Va bene Match.”
Mi cambio e facciamo un giretto per Londra, la maggior parte dei negozi sono chiusi e c’è in giro poca gente, ma vale sempre la pena dare un’occhiata al Big Ben.
“Ti piace Londra, eh?”
“Sì, molto. Mi sento così libera.
In una grande città non vengo notata per la mia stranezza, c’è sempre qualcuno più strano di me, e poi posso parlare la mia lingua natale. È stranissimo, perché per anni non mi è mancato parlare inglese, ora invece scopro che mi era mancato.”
Lui non dice nulla.
“Forse perché a volte nella vita un cambio è necessario.”
“Forse sì. Forse per me era arrivato il momento di lasciare il Giappone e non l’avevo capito.”
“Può darsi.”
Lui guarda l’orologio.
“Andiamo a Buckingham Palace, stanno per fare il cambio della guardia!”
“Andiamo!”
Ci prendiamo – un gesto spontaneo – per mano e corriamo verso il palazzo. Io sono incantata dalle uniformi e dalla precisione con cui viene eseguito il rito.
Che bello se mio nonno fosse rimasto a Londra! Forse avrei ancora i miei genitori e magari non avrei mai incontrato Hao.
Mi intristisco.
“Cosa succede?”
“Niente, pensavo che sarebbe stato meglio per tutta la mia famiglia se mio nonno sarebbe rimasto a Londra, ma purtroppo non si può cambiare il passato.”
“Esatto. Vorrei cambiare un sacco di cose, ad esempio impedire a mio padre di bere come una spugna. Negli ultimi tempi ero diventato abbastanza forte da contrastarlo, ma avevo paura.”
“È comprensibile se hai passato la tua infanzia come un punchiball per la rabbia altrui.”
Lui annuisce.
Riprendiamo il nostro giro e ci fermiamo in un parco in cui ci sono parecchie famiglie con prole al seguito. Io e lui puntiamo verso le altalene.
“Benji, mi spingi?”
“Non sei un po’ vecchia per le altalene, Match?”
Mi chiede divertito.
“Eddai!”
“Va bene!”
Inizia a spingermi piano poi aumenta e a me sembra di toccare il cielo con i piedi, mentre il vento muove i miei capelli e mi accarezza il volto. È freddo, ma è piacevole lo stesso.
Vicino a me sento Benji ridere.
“Dai, salta su anche tu!”
“Non so se mi regge!”
“Prova!”
Lui mi dà retta e presto siamo in due sulle altalene per i bambini, sotto lo sguardo stupito della gente presente. Probabilmente qualcuno da un momento all’altro verrà a dirci che le altalene non sono fatte per due della nostra età, ma per i mocciosi, ma per ora ci godiamo il momento.
Finito – grazie alle proteste di un padre agguerrito – ci sediamo su una panchina a guardare le papere, le anatre e i cigni che ci sono nel laghetto.
I cigni sono belli, così eleganti, mi ricordano Hao, io invece sono un’umile papera.
Il brontolio sordo della pancia di Benji mi fa capire che è ora di smettere di contemplare il laghetto e di tornare a casa.
Ci alziamo un po’ a malincuore e torniamo a casa, io mi metto subito ai fornelli, lui invece prepara la tavola in silenzio.
Servo il pranzo e lo mangiamo in un silenzio complice che mi stupisce, come è possibile che io sia così in sintonia con una persona che ho conosciuto solo ieri e che farebbe paura alla maggior parte delle persone?
Forse perché io sono diversa o forse perché le persone sono superficiali.
“Devo trovarmi un lavoro.”
“Come te la cavi con il disegno?”
“Bene.”
“Hai un portfolio?”
Lui annuisce.
“Bene, stasera preparalo e dammelo, credo di avere una mezza idea su cosa farne.”
Lui mi guarda curioso.
“Tipo?”
“Cercano un apprendista tatuatore in un tattoo store vicino alla casa editrice, potrei sempre lasciargli il tuo portfolio e vedere cosa succede.”
“Va bene, sarebbe fighissimo se mi prendessero!”
“Io ci provo.”
Il pomeriggio lo trascorriamo a fare le pulizie al mio appartamento, alla sera siamo stanchissimi e filiamo subito tutti e due a letto. Io prima di mettermi sotto le coperte scrivo a Kanna e Mari, domani leggerò la loro risposta.
Chissà cosa penseranno di questa situazione, forse che sono impazzita del tutto o forse mi diranno che è ok.
Non ne ho idea, ma va bene così, questo non mi impedisce di prendere sonno e per la prima volta da secoli il mio è un sonno tranquillo.
Non ci sono gli incubi in cui rivivo la mia morte e la mia resurrezione, non c’è Hao, c’è solo un grande prato verde in cui cammino scalza e felice.
Finalmente un po’ di pace, mi ci voleva proprio.
 

 

   
 
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