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Autore: Francine    29/10/2013    5 recensioni
Frammenti di vita quotidiana, sparsi nello spazio e nel tempo, all'ombra del Grande Tempio di Athena.
(Personaggi serie classica e Lost Canvas)
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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#6 – Quella carezza della sera
 


Prompt: Bagno
Titolo: Quella carezza della sera  
Autore: Francine
Fandom: Saint Seiya – Serie Classica
Personaggi: Cancer Death Mask
Genere: Commedia
Rating: Giallo
Avvertimenti: probabile OOC. Ai lettori l’ardua sentenza.
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine) 2912/5
Eventuali note dell’autore (o alla fine se contengono spoiler): Death Mask ha un lessico parecchio sboccato, sappiatelo. Gliela lavate voi la lingua col sapone?
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Per fare un bagno ad un gatto occorrono una buona dose di perseveranza, coraggio, convinzione e un gatto. L'ultimo ingrediente di solito è il più difficile da reperire.
Stephen Barker
 



Ci sono due cose che non si devono mai fare al Santuario di Athena: scommettere con la dea –Athena bara. In maniera vergognosa. E se non ci credete, andate a scambiare quattro chiacchiere con Kanon dei Gemelli – e giocare a poker con Aphrodite dei Pesci.

Perché voi poveri stolti penserete che Aphrodite sia solo un fotomodello mancato, e che, come tale, sia tanto meraviglioso quanto stupido, giusto?

Illusi.

Aphrodite possiede le seguenti qualità, tenetele bene a mente: è bellissimo, al punto che le donne cadono ai suoi piedi – anche se a sentir lui nessuna è degna della sua avvenenza, e perciò si arrangia da solo.

Aphrodite è intelligentissimo, anche se i suoi discorsi sono inclini ad involarsi sulle ali della retorica per dei percorsi che farebbero impazzire lo stesso Pindaro.

Aphrodite ha un metabolismo accelerato che gli permette di restare sempre in forma, nonostante mangi quanto un esercito dopo quaranta giorni nel deserto; e non ha mai avuto carie in vita sua, lui.

Aphrodite ha un pollice verde strepitoso, capace di far resuscitare anche quelle piante oramai spacciate – sì, anche quelle che avete innaffiato con candeggina pura perché regalo sgradito di vostra suocera.

Ma soprattutto Aphrodite ha più culo che anima.

Chi pescherà il biglietto per la crociera tra i fiordi, gratis, tutto spesato?
Aphrodite.

Chi troverà sempre parcheggio, proprio davanti all’ingresso del posto dove deve recarsi?
Aphrodite.

Chi ti spennerà a poker con una scala reale servita?
Aphrodite.

E allora vi starete chiedendo perché lui si sia seduto al tavolo verde sapendo che c’era anche Aphrodite, giusto?

Perché alla divina Athena serviva il quarto per la partita di poker del venerdì, e lui ha estratto il fiammifero più corto. Un fiammifero svedese, per giunta.
Così, mentre Mu se ne tornava alla Prima Casa a riparare le armature, Shaka riprendeva a meditare e gli altri se ne andavano allo stadio con trombette e bandierone, lui ha dovuto recarsi alle stanze di Athena assieme a Shura. Che ha avuto il buonsenso di chiamarsi sempre fuori ad ogni mano, lasciandolo ad affrontare  la dea. E Aphrodite. Che l’ha spennato. In senso metaforico, perché Athena non vuole che si giochi con dei soldi veri. Sarebbe poco… com’è che ha detto? Ah, sì. Poco probo. Poco adatto a dei Santi, ai suoi sacri guerrieri, appartenenti alla casta più alta per giunta. Eppure lui avrebbe preferito ritrovarsi con il conto in banca in rosso – e se vi state chiedendo a quale conto alluda, lasciate perdere, ché è una mera sperequazione filosofica – piuttosto che dovere un favore ad Aphrodite.

Perché il caro Aphrodite non ti dice subito cosa vorrebbe tu facessi in cambio, no. Ma scherziamo? Ti guarda, con quel sorriso che chiama i pugni come i fiori le api, piega la testa da un lato, squadrandoti e pensando in quel malvagio cervellino che cosa chiederti, e poi ti dice: «Cielo, così su due piedi… non saprei cosa dirti. Facciamo che ci penso su e poi te lo faccio sapere, ok?».

E il tempo passa. Scorre. E quando oramai la consapevolezza di dover onorare un debito è dimenticata nelle pieghe della memoria e della vita di tutti i giorni, e tu non ci stai pensando più, perché nel frattempo ti sei dato malato un paio di volte e qualcun altro - Milo, Aiolia, Kanon, Aldebaran, Vattelappesca – ha estratto lo svedese più corto, lui arriva. Puntuale come le tasse, o la febbre dei bambini il sabato pomeriggio. E ti rammenta che devi ancora onorare il tuo debito con quel sorriso al Viakal. E i debiti di gioco si pagano, giusto? Giusto. Anche perché, quando Athena li ha riportati in vita è stata molto esplicita con loro due. «Rigate dritto. Intesi?»

Ecco perché Death Mask sta smoccolando il nome di ogni santo esistente, esistito e che probabilmente esisterà mentre pulisce una lettiera piena zeppa di bentonite agglomerata. Perché Aphrodite, poco prima di partirsene in vacanza per la crociera tra i fiordi di cui sopra, s’è presentato alla Quarta Casa con la valigia sul punto di scoppiare, delle sporte stracariche ed un involto molto, molto voluminoso.

«Parti?», gli ha detto indicando con lo sguardo preoccupato la valigia verde acqua formato famiglia del santo dei Pesci. Raccattare la biancheria di Aphrodite per le scale del Santuario, no. Non è cosa. «Vuoi che ti aiuti coi bagagli?», gli ha detto, pregando di risolvere la questione, perché quando Aphrodite parte, si porta dietro mezza casa. Letteralmente.

«Uno non sa mai cosa possa servirgli, lontano da casa», ama ripetere il fotomodello mancato, ed il fatto di trovarsi su una nave da crociera con tutti i comfort e non in mezzo agli zulù, non fa alcuna differenza, per lui.

«Saresti molto gentile ad aiutarmi», ha risposto l’infame, sorridendo e regalandogli un brivido di terrore lungo la schiena, prima di aggiungere: «Se non ti dispiace, vorrei che tu saldassi il debito di gioco che hai contratto due mesi fa», quando Mask aveva già le dita strette attorno alla maniglia della valigia. E no, Aphrodite non si stava riferendo al trasporto eccezionale dei suoi bagagli fino allo spiazzo antistante la Prima Casa.

«Certo», gli ha risposto. Ha provato a mettere mano al portafogli – vuoto – prima che uno zut zut di Aphrodite lo fermasse a mezza via.

«Sai che non possiamo giocare soldi veri. Sarebbe giocare d’azzardo», gli ha ricordato, con quell’aria da primo della classe che lo fa sembrare simpatico come la sabbia nelle mutande.

«Quindi?»

«Volevo proporti un pagamento in natura.»

E il colorito sempre abbronzato del Cancro è diventato bianco come le rose di Pisces. «Non… non credo di aver capito bene…»

«In natura», ha ripetuto lo svedese, con quella finta pazienza che si riserva agli allievi ottusi. «Significa che mi pagherai facendo qualcosa per me.»

«Il greco non è la mia lingua madre, ma posso assicurarti che quell’espressione ha un preciso significato. In tutte le lingue del mondo», ha ribattuto lasciando andare la valigia come se la maniglia fosse diventata incandescente.

«Non sei il mio tipo», ha soffiato fuori Aphrodite. Come un crotalo molto, molto incazzato. E lui non ha voluto sapere chi mai potrebbe essere il suo tipo. Certi sentimenti è bene che rimangano segreti, segreti e taciuti, per la propria sanità mentale. «Devi badare al mio gattino mentre sono via. Una settimana, non di più. Voi del Cancro ci andate a nozze coi gatti, giusto? Qui ci sono le istruzioni, qui le medicine, qui il cibo e, qui sotto, il gatto», ha detto raccogliendo la propria valigia come se pesasse quanto un francobollo. Poi ha inforcato gli occhiali da sole – occhialli da sole a specchio, prego – e se n’è andato in una scia di petali di rose rosse, lasciandogli tre sporte stracariche di medicine, balocchi per felini, crocchette, paté al cervo, due buste di lettiera e l’involto più grande. Un trasportino, taglia extralarge, con all’interno due occhi verdi che lo fissavano con malignità.

Vi ho forse detto che Aphrodite è anche molto, molto, molto sadico?

Così, eccolo qui il prode Cancer, con le braccia piene di graffi e una paletta tra le mani a raccogliere gli accumuli di bentonite rossa dalla lettiera. Perché Sua Maestà, la lince travestita da gatto che Aphrodite gli ha scodellato in casa prima di andarsene a morire ammazzato chissà dove, non ne vuole sapere di farla sui cristalli celesti al silicio gentilmente forniti dal suo padrone. Nossignore. Gliel’ha fatta sui vestiti, piuttosto, appestandogli la casa di un olezzo acre e pungente che gli è entrato nelle narici.

Francesca ha pulito la Quarta Casa e i suoi alloggi da cima a fondo con dosi generose di candeggina che smorzassero il tanfo di orina, ma lui sente ancora quella puzza nell’aria. Se la sente addosso. Così, sapendo che la divina Athena non l’avrebbe presa bene se avesse un torto anche un solo baffo a Sua Maestà – pur se per giusta causa –, ha spedito la sua inserviente all’emporio di Agathê a comperare una vaschetta con coperchio e dieci chili di lettiera agglomerante per gatti. Lettiera che lui, adesso, sta pulendo. Perché Francesca riusciva a spolverare canticchiando i volti che adornavano la Quarta Casa prima che Athena gli imponesse di rimuoverli tutti, ma non riesce a sopportare certi lavori. È più forte di lei, e rischierebbe di rimettere sulla lettiera, e poi di rimettere ancora per pulire il proprio pranzo, e poi…

Maledettissima bestia, pensa Death Mask guardando il gatto troppo cresciuto che si sta facendo la toilette leccandosi il pelo. Dalle istruzioni lasciate da Aphrodite ha scoperto che quella razza si chiama Norsk Skogkatt, Gatto Norvegese delle Foreste. Lui insiste a considerare una lince sotto mentite spoglie quell’animale bianco come la neve, checché ne dicano Aphrodite e anche Francesca.

I gatti veri non pesano dieci chili.
I gatti veri non hanno nomi assurdi come Non Plus Ultra.
I gatti veri non costano quanto uno stipendio.
I gatti veri non muggiscono nel cuore della notte.
I gatti veri non cercano di soffocarti nel sonno acciambellandosi sulla tua trachea.
I gatti veri non ti miagolano nell’orecchio fino a quando non ti alzi, nel cuore della notte, solo perché non sanno con chi giocare.
I gatti veri non ti depositano rane, topi morti, mosche, scorpioni e lucertole sul cuscino.
I gatti veri non ti si accoccolano sul petto, ringhiando basso se solo tenti di cambiare posizione.
I gatti veri non hanno il fiato che puzza di cadavere.

Ma per Aphrodite, come per Francesca, quello è un gatto.
Con questo principio un leone sarebbe un micio troppo cresciuto?, si chiede abbassando il coperchio della lettiera e chiudendo la busta con la bentonite sporca. La getta nella pattumiera, si strofina le mani tra loro e poi pensa che quel momento tanto temuto è arrivato. È ora.

Fosse per lui, non ci sarebbero problemi, tanto i gatti veri si lavano da soli, giusto? Si leccano con una pazienza ed una perizia da far invidia ad un certosino – il monaco, non il gatto – quindi che bisogno c’è che lui riempia la vasca ed affoghi… ehm, lavi Non Plus Ultra con il suo detergente profumato alla clorofilla?
Nessuno.

Ma Aphrodite è un tipo pignolo, più del notaio dei quiz di Mike Bongiorno buonanima, e sarebbe capace di dire che no, il suo debito non è estinto nemmeno per sogno. E lui rischierebbe non solum di aver faticato come un dannato per sette giorni per nulla, sed etiam di vivere sapendo di avere una spada di Damocle sulla testa. Una spada di nome Aphrodite. Che può essere ben più pericolosa di quella di cui va tanto fiero Shura.

«Avanti», dice a se stesso rimboccandosi le maniche. Perché il difficile non è tanto lavare la bestia – la schiaffi in acqua e ce la tieni fino a quando non l’hai lavata e insaponata per bene, possibilmente senza affogarla – quanto acciuffarla. Perché il bastardo va da lui solo di notte. Quando dorme. Gli si infila sotto al lenzuolo. O gli si piazza con quel suo culone bianco proprio davanti al naso. O respira il suo fiato, come farebbe una Lamia. O si sistema sul suo fianco, come un salame, e guai a lui se si sposta.

Di giorno, invece, lo evita cordialmente. Solo Francesca riesce ad avvicinarglisi. Ma Francesca non c’è, perché è il suo giorno di libertà ed ha ben pensato di partirsene ieri sera per andare da sua sorella. Quindi, è una questione tra loro due. Una questione da risolversi da maschio a maschio.

«Qui, micio micio micio…», dice. Agitandogli sotto al naso quella piuma di pavone sintetica con un campanellino in cima. Il giocattolo preferito del mostro. Quello che riesce sempre a scovare, ogni notte nell’ora più silenziosa, quando tutto il Santuario dorme ed anche lo spillo più piccolo cade a terra come se pesasse una tonnellata. Quella che adesso ignora bellamente. La guarda, lo guarda – con quell’espressione che sembra chiedere «Ma che sei scemo?» – sbadiglia, mostrando la sua dentatura da carnivoro, e se ne va. Lasciandolo come un deficiente ad agitare una piuma sintetica.

Figlio di una gatta spagnola, pensa abbandonando il giocattolo. Ok, non ha tutto il giorno davanti a sé. Deve prendere quella bestia, lavarla, asciugarla e poi lavare se stesso prima che quel rompicoglioni di uno svedese torni indietro. Perché sperare che la nave di Aphrodite sia rimasta incagliata in qualche fiordo oppure sia colata a picco nelle gelide acque del Mare del Nord è una pia illusione.

Se Non Plus Ultra vuole la guerra, che guerra sia. E così, Death Mask chiude tutte le porte, lasciando aperta solo quella del bagno. Bagno dove ha già preparato una vasca piena di acqua tiepida – ha controllato la temperatura col gomito, come si fa coi neonati –, il sapone e gli asciugamani per Sua Maestà. Adesso inizia la caccia.

Non Plus Ultra deve aver capito l’andazzo perché trotterella lungo il corridoio per sfuggirgli. Ma lui è più veloce. Lui lo incalza e lo insegue, ridendo come un pazzo, come quand’era piccolo ed era lui che correva per non farsi prendere dalle inservienti dell’orfanotrofio che volevano solo fargli il bagnetto serale.

A Non Plus Ultra importa poco della sua infanzia. La bestia immonda scatta verso la porta del bagno, correndo all’impazzata, con le zampe posteriori che arrivano all’altezza delle orecchie, e proprio mentre lui pensa che è fatta, che adesso non deve far altro che chiudersi anche quella porta alle spalle e procedere al lavaggio, il gatto compie un balzo prodigioso – uno di quelli che solo un vero felino può fare – e scavalca la vasca piena d’acqua atterrando sul davanzale della finestra.

Aperta.

E quanto volete che ci metta un gatto a sgattaiolare, appunto, verso la libertà?

Trenta secondi netti.
L’ultima cosa che Death Mask vede prima di inciampare sul tappetino del bagno e scivolare in acqua, è la coda a pennacchio di Non Plus Ultra svettare orgogliosa fuori dalla finestra.

«Stramaledettissima creatura!», inveisce prendendo a pugni l’acqua e innaffiando il soffitto della stanza con schizzi corposi. Al diavolo il gatto. Aphrodite gli ha chiesto di tenerglielo in custodia per una settimana. E la settimana scadrà alle sette di stasera. E lui dubita fortemente che Aphrodite torni in tempo. E anche se fosse, al diavolo lui e il suo gatto.
Si passa le mani sulla faccia, la camicia appesantita dall’acqua, i pantaloni fradici e le scarpe in cui i piedi sguazzano come due pesci rossi.

«Sai che c’è? Che il bagno me lo faccio io, e festa finita», dice all’aria, come se sapesse che Non Plus Ultra si è appostato dietro la finestra e lo sta ascoltando, l’infame. Si alza, cercando di non scivolare – sarebbe davvero comico schiattare battendo la testa nella vasca da bagno, giusto? – si disfa dei vestiti zuppi, e prende il detergente per il gatto, pardon, la lince sotto mentite spoglie. Detergente neutro alla clorofilla, c’è scritto.

«Male non farà», dice versandosene una dose generosa nel palmo della mano. E il suo cervello escogita un piano B. Perché gli dirà che il bagno al gattino, come lo chiama Aphrodite, lui l’ha fatto, eccome. La sera prima del suo rientro alla base. Solo che il giorno dopo il gatto se n’è andato a fare una passeggiata e s’è lordato tutto daccapo. E nelle istruzioni Aphrodite ha parlato di un bagnetto a settimana.

«Non dih piùh, altri-menti si risckia di rOhfinareh  il pelo kantito tel micioh», dice scimmiottando l’accento marcato del Santo dei Pesci. E anche se Aphrodite dovesse mangiare la foglia – o anche un’intera piantagione di lattuga, per quel che lo riguarda – gli mostrerà la confezione del detergente. Non penserà mai che lui si sia ridotto a lavarsi con il bagnoschiuma del micio, no? No?

E anche se fosse, chissenefotte, pensa. Gli servirà da lezione.

«Scommettiamo che Athena non mi chiederà più di partecipare alle serate di poker del venerdì?», dice ad alta voce scivolando nella vasca e godendosi l’abbraccio rilassante dell’acqua. Incrocia le braccia a cuscino dietro la nuca e chiude gli occhi.

Ci voleva proprio, dopo una settimana passata ad occuparsi di quella belva pelosa.
E dagli da mangiare. E puliscigli la lettiera. E spazzolagli il pelo. E dagli il remover per eliminare i boli di pelo. E spazzola il divano, il letto, le tende, i tappeti ed i vestiti per eliminare quello stramaledetto pelo. E…

SPLASH.

Dieci chili di gatto gli piombano addosso. Saltando dalla finestra del bagno – che lui ha lasciato aperta così com’era – ed atterrandogli sul plesso solare. Perché a molti Norvegesi delle Foreste piace fare il bagnetto. Piace sguazzare nell’acqua. Piace agitare quella stramaledetta coda a pennacchio schizzando da tutte le parti. Quando lui riesce a respirare lancia un’occhiata carica d’odio puro al gatto. Che adesso assomiglia più ad un grosso gremlin bianco. Un grosso gremlin bianco e fradicio. Che gli si avvicina e gli struscia la testa bagnata contro la mascella. Ronfando.

Infame di un gatto bastardo, pensa, mentre le sue mani agiscono da sole ed accarezzano la testa del felino. Per insaponarlo, certo; mica per dargli quella carezza della sera che anche lui riceveva da piccolo, quando era Marianna a fargli il bagno.

«Ok, amico. Ok. Un po’ di coccole serali non hanno mai ucciso nessuno. Ma che rimanga un segreto tra di noi, intesi?»

Non Plus Ultra socchiude gli occhi e gli avvicina il muso al mento. E il suo alito pesante non è poi così puzzolente com’era all’inizio. E anche se Death Mask non l’ammetterà mai, nemmeno con una pistola alla tempia, gli mancherà quel casinista extralarge. Speriamo che la nave di Aphrodite sia davvero colata a picco, pensa godendosi il bagnetto serale assieme al gattino bianco.
 
   
 
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