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Autore: Patosangel32    29/10/2013    5 recensioni
E se Clary avesse sempre saputo di essere una Shadowhunter? Se Valentine l'avesse addestrata insieme a suo fratello Jonathan, il quale è solo un pupazzo tra le mani del padre? Avete mai provato ad immaginare cosa sarebbe successo se la rivolta non fosse mai scoppiata? Come avrebbero fatto Magnus e Alec ad incontrarsi? Ed Izzy e Simon? E possibile che due anime che siano fatte per stare insieme, si ritrovino sempre in qualunque circostanza?
Dal capitolo 15:
-“Potresti avere di meglio, Jace. Sono solo una ragazzina con problemi familiari che…” ha paura di amare.
-“Voglio te, e questo dovrebbe bastarti” mormorò Jace con voce soave. Riprese a baciarla ma poco dopo Clary si fermò. Di nuovo.
-“Hai aperto tu la finestra prima?” chiese Clary che aveva sentito un brivido di freddo accarezzarle la pelle laddove il corpo di Jace non la copriva.
-“No, sono stato io.” disse ad alta voce qualcun altro nella stanza.
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Author's Corner:
Sono tornata! Ammetto che questo capitolo è più corto rispetto a quello che mi ero proposta di scrivere. Solo che non riuscivo a farli più lunghi.. Non voglio rendere la storia troppo 'pastosa', cambiare interamente il libro più bello della storia è da stupidi, quindi mi accontento di scrivere piccoli episodi.
Ad ogni modo, il personaggio di Will è puramente inventato. Però non potevo non proporre un William Herondale ** Ha dodici anni, e forse è un po' tardi per ricevere la prima runa, ma è tutto calcolato nel senso che ci saranno dei risvolti (che per il momento sono solo nella mia testa >.<) che mi hanno condotto a questa scelta.
L'ambientazione sulla seconda parte è casuale. Il covo dei Morgernstern,ammetto di aver preso un po' spunto dal Batman di Nolan, sarà molto frequentato durante la storia.
E niente, spero solo di non deludervi. Vi ricordo di passare da questa pagina, se vi va :) Cherik Italia È una ship moooolto interessante !

With Love.
-A
No one else can break my heart like you
I nostri dubbi sono traditori,
e ci fanno perdere il bene che potremmo ottenere
perché abbiamo paura di tentare.
William Shakespeare
 
-“Jace.”
Il ragazzo pensava che se avesse ancora finto di dormire, chiunque lo stesse chiamando se ne sarebbe andato. Ma quando Jace sentì la porta aprirsi per intero, sollevò metà faccia dal cuscino.
Sulla porta, il suo fratellino stringeva tra le mani un pupazzo a forma di drago verde con una coda che strisciava per terra e delle zampe decisamente troppo lunghe, che per pochissimo non era più grande di lui. Jace aprì con fatica gli occhi color ambra.
-“Brutti sogni, Will?” gli chiese scostando un po’ le coperte bianche. L’aria fredda della stanza, lo fece rabbrividire.
-“Posso dormire insieme a te?” chiese il bambino strofinandosi una mano sull’occhio. Jace gli fece spazio ad un lato del letto e poi gli fece cenno con la mano di avvicinarsi.
Will era scalzo con un pigiama decisamente più largo della sua taglia, le maniche erano troppo lunghe e i pantaloni gli finivano sotto i piedi. Jace si chiedeva perché Amatis o suo padre non gli dicessero di indossare vestiti della sua taglia. La risposta era ovvia: perché quel pigiama era appartenuto a Jace anni prima.
-“Anche quell’orribile pupazzo deve dormire sotto le mie lenzuola?” Chiese rimboccando le coperte al suo fratellino. Will non aveva gli occhi color oro e i capelli biondi, ma piuttosto aveva grandi occhi blu, non come gli Herondale che generalmente avevano un colore simile al mare in tempesta, ma blu come un grande lago calmo, senza pericoli, rassicurante. I capelli erano castani come quelli della madre. Inoltre, quella di Will non era un’indole insolente e furiosa, non cercava di essere antipatico per la gente, ma piuttosto cercava di non dare fastidio a nessuno.
 In questo aveva preso molto dai Graymark e poco dagli Herondale.
Will rise consapevole che la domanda del fratello fosse retorica. La sua intelligenza, a Jace piaceva ammettere che fosse tipica degli Herondale, lo rendeva un bambino prodigio. Calmo, ma pur sempre molto intelligente.
-“Allora, Will, cosa succede? Non mi risulta che questa sia la prima notte insonne..” Jace gli accarezzava i capelli e parlava piano, con la paura che se si fosse addormentato la sua voce lo avrebbe disturbato. Will tacque per un qualche minuto. Nella stanza si sentivano solo i loro respiri e la mano di Jace che spazzolava i capelli di Will lentamente.
-“Jace?”
-“Mmh?”
-“Tu hai mai paura?” gli chiese a voce bassissima, quasi stesse parlando al suo pupazzo e non volesse che nessuno lo sentisse.
Come faceva a spiegargli che non aveva paura, ma era terrorizzato che potesse succedere qualcosa alle persone a cui voleva bene? Anche lui aveva avuto paura del buio. E poi c’erano le anatre…
E innamorarsi. Per l’Angelo aveva davvero paura che qualcuna gli spezzasse il cuore? Suo padre aveva voluto bene a Cèline, sua madre, ma d’altra parte se l’avesse amata davvero non si sarebbe risposato con Amatis, giusto? Jace non aveva niente in contrario con il nuovo matrimonio del padre, oramai stavano insieme da quasi tredici anni, e Jace aveva accettato Amatis come membro della famiglia Herondale, anche perché non aveva mai avuto l’opportunità di fare un confronto tra la sua madre biologica e Amatis, che era invece la mamma del suo fratellino.
Amatis e Stephen si amavano e sembravano sostenersi a vicenda, quindi Jace non avrebbe rovinato, da cinico qual era, la forte relazione che c’era tra i due.
-“Tutti abbiamo paura, William.”
-“Io voglio essere come te, Jace. Voglio essere coraggioso come te, e voglio avere tante ragazze come te” Will parlava sottovoce fissando lo sguardo sul soffitto. Anche Jace assunse la stessa posizione passandosi la mano dietro la testa.
-“ Io sono bellissimo e simpatico, ed è anche vero che ho successo con le ragazze, ma tu devi essere uguale a te stesso, Will.”
Will sbadigliò e Jace capì che forse non era giusto tenerlo sveglio, quando ad un certo punto la maniglia della porta della stanza si abbassò lentamente. Jace girò la testa di scatto e anche Will guardò verso la luce che entrava dal corridoio.
-“I miei ragazzi sono ancora svegli” constatò Stephen Herondale sulla soglia della stanza. Indossava ancora la divisa nera da cacciatore nonostante fosse notte fonda. Jace non li aveva sentiti rientrare, segno che la stanchezza di una giornata passata ad allenarsi con il suo parabatai, lo aveva stremato.
-“Ciao papà” dissero in coro. Will frenò l’impulso di saltargli addosso, solamente perché l’uomo in nero si avvicinò sedendosi sul bordo del letto. Passò una mano sui ciuffi ribelli di Will, che gli si arricciavano sulla fronte, e sorrise a Jace, che lo guardò di ricambio.
Sotto la luce della stregaluce, Jace riusciva a distinguere completamente le rune appena fatte del papà. Scorse un’iratze sulla spalla, ma per evitare di spaventare Will, non lo disse ad alta voce. Come se avesse capito i pensieri di Jace, Stephen scosse le spalle.
-“Come mai non sei nella tua stanza, William?” chiese Stephen con la voce arrochita.
Will guardò Jace, e poi abbassò lo sguardo sul suo pupazzo, a Jace sfuggiva sempre il nome. Il ragazzo aveva notato che quando Will non riusciva a dire la verità, fissava il pupazzo. Altro carattere che non era proprio tipico degli Herondale, che generalmente amano dire la verità, per quanto cattiva, direttamente in faccia.
-“Sei preoccupato per la cerimonia delle prime rune?” chiese Jace, poggiando la testa su una mano. Stephen fissava il bambino come se attraverso i suoi occhi azzurri potesse infondergli tutte le risposte del mondo.
Il bambino annuì in modo impercettibile e allora Stephen si tese e lo circondò con entrambe le braccia nerborute, molto simili a quelle di Jace.
-“Sei un cacciatore, Will. Come me, come Jace, come la mamma. Il sangue dell’Angelo scorre nelle tue vene. Non c’è nessun motivo di preoccuparsi” disse Stephen disegnando con la mano dei cerchi sulla schiena del bambino. A Jace vennero in mente le notti che il papà aveva passato al suo fianco leggendo favole che adesso trovava ridicole.
-“A scuola ho sentito dire che i fratelli silenti fanno molta paura” disse con la faccia schiacciata contro la maglietta nera del papà.
-“Ah, questo è vero” disse Jace senza potersi trattenere. Stephen allungò una mano e gli tirò uno scappellotto sulla nuca, facendo ondeggiare le ciocche bionde. Jace rise in silenzio.
Ma era vero. L’ultima volte che era stato vicino ad un fratello silente, si era sentito come svuotato delle sue conoscenze, che non erano minime, e poi si era sentito stordito per qualche minuto. Era stata una brutta sensazione.
-“Prometti che dormirai tranquillamente?” chiese Stephen afferrando il figlio per le spalle. Gli sorrise caldamente e poi lo adagiò sul cuscino, non senza dargli un bacio sulla fronte.
-“Bene, ora a dormire” esclamò Jace, riportandosi le lenzuola candide sotto il mento. Will sorrise e poté immaginare anche Stephen sorridere, chiudendosi la porta dietro le spalle.
Jace sentì il fratellino rannicchiarsi contro di lui.
-“Mr Donut dice buona notte” sussurrò Will prima di addormentarsi.
Jace sorrise e chiuse gli occhi.
 
 
Jonathan era seduto sulla sedia girevole nello studio che suo padre aveva allestito nella spelonca dietro una cascata. Triberg era una cittadina carina con poco più di cinquemila abitanti, lontani abbastanza dal primo istituto di Shadowhunters e non molto vicini ad Idris. Il che rendeva la loro missione molto più semplice di quello che si potrebbe pensare.
L’unica cosa che poteva complicare le cose era il clima rigido, ma di quei tempi Jonathan non si sarebbe lamentato. Se non altro perchè il paesaggio suggestivo della Foresta Nera lo metteva di buon umore. E le cose che lo mettevano di buon umore erano poche, generalmente.
Lo facevano sentire bene la camicia bianca che indossava, con le mani arrotolate fino ai gomiti, e i pantaloni chiari che portava posati sui fianchi. Per non parlare delle bellissime scarpe nere di pelle firmate Diesel. C’era da riconoscere ai mondani un bel gusto nella moda.
Stava leggendo per la milionesima volta King Lear di Shakespeare, libro tra l’altro che lo faceva incazzare. Il protagonista secondo lui, doveva rimanere cattivo. Per lo meno è quello che avrebbe scelto Jonathan, d’altra parte se Cordelia lo aveva appena preso in giro, Jonathan avrebbe ricorso ad altri rimedi. Per esempio le avrebbe trapassato il petto con un chakram. Forse un tagliacarte sarebbe bastato.
Con i piedi posati sulla scrivania, sfogliava con scarso interesse le pagine che sapeva a memoria. Dopotutto la runa mnemosine serviva a qualcosa.
La stregaluce illuminava il linoleum del locale in cui per il momento Jonathan era solo.
Si alzò, aprì il frigobar dall’altra parte della stanza e ne estrasse una Red Bull. Essere in Germania e non bere birra era un paradosso, ma quella bibita mondana lo caricava e poi gli piaceva.
Iniziò a trangugiare senza sosta, fino a quando non gli sembrò di dover prendere aria. Si passò una mano sulle labbra per togliere il succo che gli era rimasto appiccicato e posò la lattina sul tavolo.
Riprese la posizione di prima e riaprì il libro.
Poco tempo più tardi, sentì il rumore metallico di una porta che si apre. Suo padre raggiunse la stanza qualche secondo più tardi. Vestito ancora come un cacciatore, Jonathan si chiedeva se ci fosse un momento nella giornata in cui non indossasse quella patetica tuta nera, Valentine entrò di gran carriera nella stanza.
-“Sei pronto?” chiese con la solita voce altezzosa. Jonathan non alzò neanche lo sguardo dal libro.
Ogni tanto le buone maniere sarebbero state utili.
-“Allora?” chiese Valentine girandosi e fulminandolo con gli occhi di ghiaccio. Jonathan lo guardò inclinando la testa.
-“Per andare dove?”
-“A caccia, stupido idiota”
No, quello non lo faceva stare bene per niente. Davvero suo padre l’aveva chiamato stupido idiota? Questo era grave. Grosso errore.
Afferrò la lattina di Red Bull nelle mani e la strinse fino a ridurla ad una pallina di alluminio. Le mani gli sanguinavano un pochino. Sangue nero.
Sollevò lo sguardo sul padre e con un gesto fulmineo lanciò prima la lattina e poi subito dopo un coltellino, che passò sibilando a lato dell’orecchio sinistro di Valentine e impigliò la lattina alle spalle dell’uomo, sul muro.
Jonathan si alzò, lentamente passò a fianco del padre immobile e poi si fermò alle sue spalle.
-“La prossima volta la mia mira potrebbe essere migliore” affermò.
Uscì dalla stanza sogghignando con la consapevolezza che Valentine non poteva fare a meno di lui.
 
 
Continua…
   
 
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