Ad
appena sei anni Vanth poteva già vedere i morti.
Il
primo spettro gli apparve un pomeriggio autunnale.
Queen
Marleen aveva accolto in casa un noto cliente piuttosto facoltoso che
aveva ottenuto denaro sufficiente a mantenere due mogli e svariati
figli: i soldi li aveva ottenuti grazie alla magia nera operata dalla
donna.
La
strega era una donna senza alcuna morale: fin tanto che i suoi
clienti le offrivano quanto lei chiedeva, era disposta a servirsi dei
propri poteri per qualsiasi fine.
Era
rea di svariati omicidi, di arricchimento, di malocchio, di malattie,
così come di matrimoni e gravidanze.
Il
piccolo Vanth era stato mandato a raccogliere erbe intorno alla
torbida palude e, prestando attenzione ai movimenti degli alligatori,
il bambino aveva raggiunto un punto dove i piedini toccavano il fondo
melmoso ed incontravano con le dita animali che non si potevano
intravedere dallo strato superficiale di acqua verdastra. L'odore era
pungente ma Vanth vi era cresciuto dentro tanto a lungo da
considerarlo assolutamente normale. I mortali insetti che gli
ronzavano vicino erano tenuti a bada dal repellente unguento che si
era spalmato addosso, sul corpo nudo.
Non
indossava mai troppi abiti. L'afa e l'umidità del luogo
contribuivano a rendere calda e pesante l'aria. Solo i capelli lunghi
fin le spalle erano stati legati in treccine avvolte in strisce di
tessuto colorato.
Attraversata
la palude sopra quella che sembrava una cassa da morto, Vanth era
avanzato fra canne ed elofite e aveva raggiunto infine una porzione
precisa dell'umida spiaggia adiacente, dove sapeva crescevano le erbe
di cui Queen Merleen avrebbe avuto bisogno la notte stessa.
Nel
raccogliere le lunghe, sottili foglie di una pianta paludosa, cadde
in trance e raggiunse un grado di concentrazione a cui non era mai
arrivato prima.
Il
corpo scivolò a terra, privo di forza. Le iridi si
schiarirono
progressivamente, mutando da verdi in bianche. Un processo
inquietante di cui non era consapevole, mentre la sua pupilla da
rettile si allargava e diventava l'unica nota di colore nel suo
sguardo vacuo ed assente.
Davanti
ai suoi occhi si materializzò una ragazza avvolta in una
vestaglia
da notte lercia di sangue rappreso lungo il petto. Le mani strette
intorno al cuore, i rossi capelli ispidi e sporchi lasciati sciolti
sul viso spettrale.
“Chi
sei?” domandò flebilmente Vanth, rivolgendosi alla
figura
femminile che avanzava verso di lui senza che i piedi affondassero
nel terreno divenuto lattiginoso.
“Riesci
già a vedermi” replicò lei, sorridendo:
ma aveva una guancia
sfregiata in putrefazione, così riuscì solo ad
inclinare gli angoli
delle labbra in un ghigno spaventoso.
“Sono
morta” aggiunse con la voce femminile, metallica
“hai paura?”.
No,
Vanth non provava paura. Era stato cresciuto nella simile prospettiva
che un giorno anche lui avrebbe visto e parlato ai morti.
Così
scosse la testa.
“Sono
felice di non averti spaventato” concluse lei, dissolvendosi
lentamente insieme alla fredda nebbia che si era levata dal terreno
fangoso.
Tornato
in sé, con gli occhi che riprendevano colore e le gambe che
tornavano nuovamente salde, Vanth si era alzato in piedi. Il cuore
gli batteva forte, il respiro era irregolare, ma non corse da sua
madre a riportarle la notizia: sapeva che non poteva disturbarla, non
in quel momento. La sentiva urlare, invocare e pregare,
laggiù,
nella palafitta che intravedeva all'orizzonte in quell'aranciato
tardo pomeriggio; e poi doveva finire di raccogliere le erbe.
Più
tardi Vanth tornò da Queen.
La
madre era stanca e spossata. Aveva borse bluastre sotto gli occhi ed
i capelli più unti del solito.
“Hai
trovato le mie erbe?” gli chiese nervosa, ottenendo da lui un
silenzioso cenno d'assenso.
La
donna allora soffermò più attentamente lo sguardo
sul suo bambino
sporco da capo a piedi di fango essiccato. Fra i capelli chiari aveva
bava di ragno, fili traslucidi di una ragnatela attraversata.
Percepiva
qualcosa di diverso in lui. Un'aura nuova. Ed ebbe una rivelazione.
Sgranò
gli occhi, inclinò le labbra in un ghigno mostrando i denti
cariati.
Sollevato il figlio a sé, lo avvolse in un abbraccio stretto
ed
urlò: “mio figlio, mio figlio ha visto un morto
oggi!”.
Era
orgogliosa di lui. Aveva atteso quel giorno da che lui era nato, la
prova che il suo bambino era davvero sangue del suo sangue: uno
stregone come lei.
Tuttavia
un'ombra di angoscia le attraversò gli occhi, l'istante
dopo. Venne
colta da frenesia: doveva impartirgli una lezione, la più
importante
di tutte; e lo doveva fare subito.
Lo
appoggiò a terra ma non gli diede il tempo di fare altro che
seguirla, poiché gli aveva preso il polso e lo trascinava
dietro sé
di alcuni passi verso la stanza della divinazione, un rudimentale
ambiente arredato da una libreria ricolma di manuali, una rozza
poltrona intagliata in un tronco circondata da candele sempre accese,
bambole voodoo ricoperte di spilli gettate per terra o al contrario,
disposte con cura sopra il lettino di Vanth, rilegato ad un angolo.
Recuperato
un lungo coltello, Queen Merleen costrinse il figlio ad appoggiare la
mano su un tavolino; sopra vi appoggiò la propria sinistra.
Con un
gesto rapido lacerò la carne di entrambi, la lama del
coltello che
inchiodava entrambi oltrepassando pelle, tendini, ossa fino a
sfiorare il legno sotto la manina di Vanth. Urlarono entrambi, di
dolore il primo, di eccitazione la seconda. Lui cercò di
divincolarsi, ma la lama affondava meglio ed aumentava la sofferenza.
“Non
muoverti o peggiora!” esclamò la donna, ridendogli
in faccia.
Le
lacrime scendevano copiose lungo le guance del bambino.
“Non
frignare!” lo rimproverò lei con un tono severo
“senti il mio
sangue che sgorga sulla tua ferita?” gli chiese “lo
senti?!” lo
incalzò più forte.
Lui
annuì con la testa, mentre la fitta della carne lacerata
superava la
soglia della sua sopportazione: sentiva la testa girare e i sensi
abbandonarlo.
“Non
lasciarti sopraffare dal dolore, figlio mio! Da adesso in poi dovrai
farci i conti ogni giorno! Se permetti a loro
di approfittarne, non sopravviverai!” spiegava sua madre, ma
Vanth
percepiva la sua voce lontana, flebile.
“Stai
con me, Vanth Janas! Stai con me!”.
Con la
mano libera, Queen Merleen afferrò il mento del bambino; gli
alzò
il viso, perché la potesse guardare con lo sguardo vacuo. Il
sangue
usciva copioso da entrambe le mani.
“Guardami
Vanth” gli urlò contro e lui recuperò
parziale coscienza.
“Mamma..”
piagnucolò sconsolato, mentre il dolore era tanto acuto da
annullarsi. Sentiva solo quello, ma la mente era tanto sconvolta da
una simile sensazione da non riuscire a percepirlo neppure
più. Come
se la lama non avesse troncato solo la mano, ma anche i nervi fino al
cervello.
“Ecco..
sì, così tesoro mio.. così, lo senti?
Sta passando. Io e te ora
siamo insieme. E non sentiamo il dolore. Lo stiamo superando insieme.
Sei uno stregone Vanth Janas! E ora sai cos'è il dolore e
sai che
non puoi permettergli di comandarti”.
Disse
questo e finalmente estrasse la lama da entrambi i palmi. A quel
punto Vanth perse i sensi.
Al suo
risveglio si ritrovò nel suo lettino, la mano medicata e
fasciata e
sua madre seduta alla poltrona di legno, con gli occhi spalancati e
la bocca aperta, come se si fosse addormentata in quella posizione.
In realtà, non era più in sé. Uno
spirito era entrato in lei, ma
Vanth percepiva che sua madre aveva il controllo della situazione.
Qualche
decina di minuti dopo, le candele accese si spensero ad una folata di
vento impercepibile. E si riaccesero l'attimo dopo. Sua madre era di
nuovo Queen Merleen.
Spostò
lo sguardo scuro fino ad incontrare il suo. Gli sorrise.
“Stai
bene Vanth?”.
Lui
annuì ma sopportava a fatica il dolore.
“Vieni
qui” lo spronò Queen, battendosi le mani sulle
proprie ginocchia.
Vanth notò che sua madre non si era fasciata il palmo
ferito, ma il
suo sangue aveva smesso da solo di fluire. Un miracolo o piuttosto
opera della magia nera.
Vanth
la raggiunse. Si sedette in braccio a lei.
“Descrivimi
lo spettro che hai visto” lo esortò la madre con
sguardo
inquisitorio.
“Era
una ragazza.. piccola.. bianca, con del sangue sul petto”
rispose
lui “e mi sorrideva”.
“Mh”
mugugnò criptica Queen “e ti ha detto
qualcosa?”.
“Che
era felice di non avermi spaventato”.
Queen
Merleen annuì e socchiuse gli occhi “sembra uno
spirito gentile”
rifletté “ma stai in guardia” aggiunse
mentre gli passava le
mani fra le treccine. Aveva paura per suo figlio.
“Lei
ti apparirà ancora” spiegò “e
sarà la tua guida nel mondo dei
morti”.
Il
bambino parve perplesso. Sua madre non gli aveva mai parlato di cose
simili. Cos'era una guida? La osservò curioso, con gli
occhietti
lucidi per il bruciore della ferita. Aveva le gote rosse, i capillari
evidenti sulla carnagione chiara.
Nonostante
ciò Vanth si sforzò di prestare attenzione alle
parole della madre
che gli spiegavano il nuovo mistero.
Ogni
veggente possedeva una
guida nel limbo:
null'altro che uno spirito tormentato quanto gli altri ma per qualche
ragione più consapevole e potente.
Per
tante ragioni ad un veggente era richiesto di addentrarsi nel limbo
dei morti: per riuscire a parlare con un defunto, per cercare
un'anima da sacrificare in un rito, per richiamare un parente
trapassato al cospetto di un famigliare vivo.
Raggiungere
il triste limbo dei lamenti non era cosa semplice: attraverso uno
stato di divinazione l'anima del veggente era costretta a scindersi
dal corpo.
Da
quel momento, la vita era a rischio. L'anima, collegata al corpo
attraverso un “filo rosso”, aveva un tempo limitato
oltre il
quale il legame si sarebbe dissolto per sempre, impedendo
così al
veggente di percorrere il tragitto a ritroso.
La
guida
aveva il compito di preservare il legame fra l'anima e il corpo del
veggente, muovendosi come una sorta di suo intermediario
nel limbo.
Gli
spiriti del limbo erano infatti rancorosi ed invidiosi. Anime
affamate e crudeli con l'unico obbiettivo di vendicarsi dei torti
sofferti in vita.
Uno
spettro consumava la propria vendetta se riusciva ad approfittare dei
poteri del veggente oppure lo privava della vita; la guida impediva
che ciò accadesse.
“Ora
ti racconterò una storia” disse allora Queen ed
iniziò a narrare
la vicenda di un'altra veggente, vissuta secoli prima.
La
donna, tale Lane Eusten, era dotata di impressionanti
abilità, ma
peccava di curiosità e narcisismo.
Un
giorno le apparve la sua guida personale, ma lei incominciò
a
rifiutare costantemente i servigi dello spettro poiché era
certa di
non aver bisogno della sua protezione.
Incominciò
ad avventurarsi da sola nel limbo. Distaccava l'anima dal corpo e
percorreva la spiaggia lattiginosa della terra dei morti dove le onde
di un oceano bianco le lambivano i piedi.
Ed
ecco il giorno fatale: nella coltre nebbiosa si delineò
ancora una
volta la sagoma dello spettro, la sua guida.
“Chi
cerchi, veggente?” le domandò lo spettro che
avrebbe potuto
avventurarsi nel limbo al suo posto per convocare il defunto che lei
cercava, salvandola così dal destino che l'attendeva.
Lei
avrebbe potuto accettare il suo aiuto e tornare salva nel proprio
corpo; ma come detto in precedenza, lei era certa di sapersela cavare
in ogni situazione. Anche nella terra dei morti da cui era
ossessionata.
Così
continuò a camminare. Ignorò la domanda della sua
guida che si fece
da parte ancora una volta. Lei si spinse oltre; intorno a lei apparve
un'altra sagoma. Un'altra. Ed un'altra ancora. Ben presto fu avvolta
da spiriti nutrenti livore.
Lei
perse la rotta. Si ricordava un nome, colui che stava cercando, ma
non riuscì a proseguire; le voci degli spettri intorno a lei
erano
insistenti e soffocanti. Lamenti e preghiere, invocazioni e minacce.
Il
vociare straziante distrusse la sua coscienza e lei perse memoria di
sé stessa; non fu più in grado di tornare
indietro.
Il
tempo a sua disposizione finì e il corpo di Lane Eusten
perse il
soffio vitale che lo animava. Il filo rosso si spezzò e la
carne
morì, le membra poi marcirono. La donna rimase intrappolata
per
l'eternità fra le anime angosciate, completamente dimentica
della
sua identità.
“Vedi
Vanth” proseguì Queen Merleen dopo aver concluso
il triste
racconto “sopravvivere nel limbo senza guida non è
certo
consigliabile! Verresti presto circondato da spettri, come accaduto a
Lane Eusten e la loro tristezza ti soffocherebbe l'anima”.
In
un'ampolla, su uno scaffale, c'era un fiore mantenuto florido dalla
magia. La veggente allungò la mano e lentamente
ruotò le dita in
senso antiorario. Vanth vide i petali del fiore blu sfiorire,
ingiallire, infine marcire mentre il gambo si ripiegava su
sé
stesso.
“Mi
accadrebbe quello?” domandò timidamente il bambino
in direzione
della madre e lei annuì con cenno greve.
“La
tua guida è forte abbastanza da impedire ad altri spettri di
avvicinarsi a te e potente a sufficienza da cercare un defunto nel
limbo al tuo posto. Non devi far altro che servirti di lei”.
“Lei
allora mi aiuterà?”.
Gli
occhi scuri della donna erano imperscrutabili, come pozzi scuri senza
uscita. Era impossibile decifrare il suo sguardo.
“Lo
farà.. ma in cambio vorrà qualcosa da te. Ti
farà una sola, unica
richiesta in tutta la tua vita. Qualcosa di preciso che scoprirai
presto e ascoltami bene Vanth Janas! Dovrai accontentarla
qualsiasi
cosa ti chieda, andasse anche oltre la tua volontà. Non
rischiare di deludere la tua guida nella terra dei defunti,
perché
potresti finirci tu stesso dentro e non trovare pace per
l'eternità”.
Vanth
Janas ebbe un tremito e si strinse alla madre, cercando
rassicurazioni. Era uno stregone, un futuro veggente, ma per il
momento era un bambino qualsiasi, puro ed innocente.
La
donna sapeva quanta preoccupazione gli scuoteva l'animo; lei stessa
ne aveva provata in seguito alla sua prima divinazione, quando le era
apparsa la sua guida personale, lo spirito dell'uomo che da anni le
stava affianco. Uno spettro tuttavia crudele con cui aveva dovuto
imparare presto a fare i conti.
Vanth
nascose il viso contro il suo seno e piagnucolò un poco.
Queen lo
strinse e lo cullò per qualche minuto, cantilenando la
vecchia
filastrocca di sempre, quella che narrava la triste storia di un uomo
consumato da un amore non corrisposto, costretto a vagare nella terra
dei morti alla ricerca del suo cuore spezzato e putrefatto.
Andava
Jack Jack
nel
limbo dei morti|
vagava
affranto
sommesso
era il pianto|
cercava
il suo cuore
putrefatto
d'amore|
eterno
era il viaggio
in
quel freddo paesaggio
Quando
le rime finirono, Vanth era già più calmo: si
scostò dal petto
della madre, sospirò. Il suo sguardo si concentrò
nuovamente sulla
mano ferita di Queen. La prese fra le sue più piccole, le
baciò il
dorso insanguinato.
“E
a te mamma.. fa male?” le domandò tirando su col
naso.
“No”
replicò lei.
Rimasero
abbracciati ancora qualche istante; poi sua madre lo strinse e,
inaspettatamente, pianse anche lei lacrime amare. Gocce chiare e
salate le scivolarono sugli zigomi, sulle guance, infine morirono fra
i capelli di Vanth.
Il
bambino credette fosse per il dolore alla ferita che la madre
provava, nonostante l'avesse negato; ma non era quella la ragione.
Queen
Merleen guardò il suo bambino negli occhi. E improvvisamente
esclamò: “promettimi, promettimi che sopravviverai
bambino mio! Lo
farai vero? Perché la vita è quanto di
più importante abbiamo noi
tutti”.
Spaventato,
Vanth rimase in silenzio e la donna sospirò desolata.
Gli
permise allora di scendere dalle sue ginocchia e lo esortò a
completare una bambola voodoo che il bambino aveva iniziato il giorno
precedente.
Creare
fantocci ad immagine delle persone su cui si sarebbe scatenato il
malocchio era il passatempo preferito di suo figlio.
Vanth
si sedette a terra. Incrociò le gambe e fissò il
suo lavoro
incompleto: a quella bambola mancavano ancora i capelli e la faccia
che avrebbe dipinto con qualche difficoltà ora che aveva una
mano
tagliata.
La
concentrazione sul suo “gioco” gli permise di
distrarsi e
dimenticarsi, per il momento, delle parole materne.
Dall'altra
parte della stanza Queen Merleen lo osservava, fiera.
E poi
percepì un alito caldo. La sensazione nota di avere qualcuno
accanto.
Metallica
una voce le sussurrò all'orecchio “tuo figlio
diventerà potente”.
Lei
chiuse gli occhi.
“Spero
abbastanza” aggiunse laconica.