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Autore: ValeryJackson    29/10/2013    3 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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<< No!>> urlo, gli occhi offuscati e la voce strozzata dalle imminenti lacrime. << No, non voglio!>>
<< Valeri, devi >> insiste lei.
<< Vieni con noi!>>
Scuote la testa. << Non posso.>>
<< Perché?!>> La disperazione si sta lentamente facendo largo nel mio cuore. << Perché, no? Tu devi venire!>>
<< Valeri, mi dispiace >> mormora. Qualcosa di affilato mi punge il braccio, ma il dolore è affievolito dalle lacrime che mi solcano il volto.
<< Dimmi almeno perché?>> grido. << Perché me ne devo andare?! Perché non puoi venire?!>>
Mary mi accarezza i capelli con entrambe le mani, poi mi bacia la fronte, tremando e soffocando i singhiozzi. << Presto sarà tutto più chiaro. Presto capirai tutto >> mormora. Alza lo sguardo. << Ma per ora devi cavartela senza di me.>>
<< No >> mormoro, scuotendo con forza la testa. Gli occhi che bruciano. << No, io… come farò senza di te? Io non posso. Non ne sono capace!>>
<< Oh, Valeri >> mormora, con dolcezza, mentre mi accarezza una guancia e cerca di farsi forza. Mi guarda intensamente negli occhi. << Tu non hai idea di che cosa sei capace.>>
 
Mi sveglio di soprassalto, drizzandomi a sedere con uno scatto.
Sono fradicia di sudore, che mi bagna tutti i vestiti, incollandomeli addosso. Il cuore mi batte a mille.
Intorno a me è tutto buio. O sono io a non vedere? Sono diventata forse cieca?
Sbatto più volte le palpebre, ma la situazione non cambia. Sto tremando dalla testa ai piedi, e ho una forte sensazione di nausea e vertigini. Una sensazione di formicolio mi risale dalle gambe, alle braccia, al collo. Il mio respiro è più che superficiale, e sono sicura che sto andando in iperventilazione.
Non ho più padronanza del mio corpo, che è scosso da degli spasmi inquietanti e irregolari.
Stringo forte sia denti che occhi. Mi sento soffocare, come se fossi spinta da qualcuno sott’acqua e mi mancasse lentamente il respiro.
Chiudo con forza il lenzuolo nei pugni, forse troppo forte, perché sento le unghie conficcarsi nei palmi.
Respira, Valeri. Respira.
Tento di fare dei respiri profondi ma non funziona. Il formicolio aumenta.
Respira, cazzo!
Comincio ad ansimare. Ma che cosa mi sta succedendo?
Mi concentro sul battito irregolare del mio cuore, e irrigidisco i muscoli sperando di fermare i brividi.
Non so quanto tempo passi. Due minuti. Forse dieci.
Fatto sta che dopo un po’ il mio cuore inizia a rallentare, e il mio respiro si fa un po’ più regolare. Faccio dei grandi respiri, mentre la sensazione di formicolio svanisce e i brividi mi abbandonano.
Quando, finalmente, riesco a calmarmi, sento il sudore imperlarmi la fronte e colarmi lungo la colonna vertebrale.
È finita, mi ripeto. È finita.
Lo sento, è finita davvero, anche se continuo ad avere un po’ di nausea.
Lentamente, apro gli occhi. Anche la momentanea cecità se né andata, e ora sono libera di vedere chiaramente ciò che ho davanti.
Ma… dove sono?
Mi guardo intorno, disperata. Sono in una stanza. Una camera da letto.
Intorno a me, alcuni mobili in mogano la decorano, regalandole una certa tetralità. Qualche poster vecchio e strappato tappezza i muri rigorosamente bianchi, e l’unico spiraglio di luce che illumina la stanza è offerto dalla finestra accanto al letto coperta da una logora tendina verde smorto.
Il letto su cui sono seduta, poi, è molto piccolo e abbastanza scomodo.
Questa non è casa mia, penso, nel panico. Dove mi trovo?
All’improvviso, la porta si apre con un cigolio.
Mi volto di scatto, e il mio cuore perde un battito quando il volto di Harry fa capolino nella stanza.
In questo momento, tutti gli avvenimenti della sera prima mi travolgono come un muro di mattoni. Sgrano gli occhi.
Lui fa un passo verso di me, ma io cerco di indietreggiare, con il solo risultato di allontanare da me le coperte con i talloni.
<< Valeri >> mormora.
<< Che cosa vuoi?>> esclamo, spaventata.
Lui alza le mani in segno di resa. << Tranquilla, non voglio farti del male.>> Si siede sul bordo del letto, abbastanza lontano da poterlo toccare ma abbastanza vicino da vedere i suoi occhi scuri scrutarmi con attenzione. Cerco di reprimere l’impulso di scappare.
<< Come stai?>> mi chiede, con tono apprensivo.
<< Dov’è mia madre?>> domando invece io, maledicendomi per il tremolio della mia voce.
Harry fa un grosso sospiro, prima di distogliere lo sguardo. << Se n’è andata.>>
Una mano invisibile mi attraversa il petto, facendosi largo fra i miei polmoni e stringendomi il cuore in una morsa d’acciaio. << Stai mentendo >> dico.
Harry non alza lo sguardo. << No, non lo sto facendo.>> Il suo tono è molto più pacato di quanto riuscissi a immaginare. << Se n’è andata, Valeri. E l’ha fatto per il tuo bene.>>
<< No!>> esclamo, la vista appannata. << No, lei non può essersene andata. Non mi avrebbe mai lasciato sola!>> dico, forse più per convincere me che Harry.
Quando lui apre la bocca per parlare, ho paura di ciò che sta per dire. << Mi dispiace >> mormora. Alza lo sguardo e mi guarda. << Te l’ho detto, l’ha fatto per il tuo bene.>>
<< Ma perché?!>> Delle lacrime calde mi solcano il viso. << Perché dovrebbe averlo fatto? Perché poi mi ha lasciato proprio con voi?!>>
Harry apre la bocca per parlare, ma sembra esitare. Lo fa di nuovo, ma la richiude ancora, stringendo le labbra in una linea sottile. << È complicato da spiegare.>>
Lo guardo, con gli occhi sgranati. << Complicato?>> ripeto, scioccata. << Complicato?>> Ora sono davvero furiosa. << Mi portate con la forza via da mia madre e mi rinchiudete in una stanza per non so quanto tempo. Che cosa c’è di complicato?>>
<< È stata tua madre ad affidarti a noi >> ribadisce.
Lo fisso, sconvolta. << Voi siete pazzi >> mormoro, allontanandomi un po’ di più da lui. << Tutto questo non è normale!>>
<< Senti, so che può sembrarti strano e che molto probabilmente non ci credi, ma devi fidarti di noi.>>
<< Perché dovrei farlo?>>
<< Perché ti stiamo salvando la vita.>>
<< E perché dovreste farlo?>> Quasi lo urlo. Lui mi scruta un attimo con i suoi occhi scuri. Poi li incatena ai miei.
<< Perché tu sei speciale.>>
Il silenzio cala nella stanza. Mi impongo di sostenere il suo sguardo, ma è molto più arduo di quanto pensassi.
Restiamo a fissarci per alcuni minuti, ed è la prima volta, credo, che non so davvero cosa dire. Ne cosa pensare.
Sembra sincero. Estremamente sincero. Ma mi ha pur sempre portato via da casa mia. E ancora non riesco a capire una cosa.
<< Dove sono?>> chiedo, senza distogliere lo sguardo.
Un angolo della sua bocca si alza in un sorriso storto. << In casa mia.>>
Sento la gola secca, ma formulo lo stesso un’altra domanda. << Dov’è andata mia madre?>>
Harry sospira, scuotendo leggermente la testa. << Non lo so >> sussurra. Sembra davvero triste.
Irrigidisco la mascella. Mi gira la testa. << Non voglio restare qui.>>
Harry mi guarda, con un sopracciglio inarcato. Quando si accorge che non sto mentendo, le inarca entrambe. << Stai scherzando?>> Noto un certo divertimento nella sua voce. << Non sei tu che decidi, qui.>>
Spalanco la bocca, indignata. << Ma certo che si! Io non sono di tua proprietà.>>
<< Oh, si che lo sei >> esclama, alzandosi dal letto. << Tua madre mi ha dato il compito di proteggerti ed io lo farò.>>
Mi alzo anch’io e gli vado incontro. << Mi prendi in giro? Io non prendo ordini da nessuno.>>
<< Da oggi si.>> C’è serietà, nella sua voce, e dai sui occhi capisco che non sta affatto scherzando. << So che per te tutto questo è inconcepibile. E che vuoi andartene. E che non ci capisci niente. E che speri che tutto questo sia un sogno. Ma non è così.>> Fa un passo verso di me, ed io mi sforzo di non indietreggiare. << Tu devi restare. Sai che devi farlo.>> fa una breve pausa. << Se non vuoi farlo per te almeno fallo per Mary. >>
Mary. Mary…
Questo è un colpo basso. Basta quel nome per farmi vacillare. Davvero lei voleva questo? Davvero ha preferito mettermi nelle mani di un perfetto sconosciuto invece che portarmi con se? Davvero? Forse si. Ma perché? Perché?
Faccio un respiro tremante. << Dimmi solo perché sono qui.>>
<< È una storia un po’ lunga >> afferma, con un sorriso dolce. << Ma ti prometto che non appena sarà il momento non tralascerò nessun particolare.>>
Lo guardo negli occhi, e gli credo. Certo, mi rode il fatto di non poter sapere tutto il resto. Perché mi trovo qui. Che cosa sta succedendo. Ma so che, se lo ha deciso mia madre, forse dovrei provare a vedere come vanno le cose. Male che va posso sempre scappare.
Annuisco, leggermente, abbassando lo sguardo.
Dopo un po’, lui si sfrega le mani. << Bene!>> esclama, come se non fosse successo niente. << Prendi il tuo borsone, ti mostro la casa.>>
Mi volto, e noto che il mio borsone è accanto ai piedi del letto. Lo raccolgo e, con riluttanza, seguo Harry fuori dalla porta.
Potrò anche aver accettato il fatto di dover restare qui per un tempo indeterminato, ma se pensano che la convivenza sarà facile, allora si sbagliano di grosso. Non mi fido di loro. Pensavo di conoscerli, e invece si sono rivelati tutto il contrario di ciò che immaginavo. Penso di non conoscere neanche mia madre. In questo momento, non mi fido di nessuno.
È per questo che, mentre lui mi mostra il salotto, la cucina e il bagno, io osservo tutto con freddezza, con distacco. E credo anche con una certa smorfia di disgusto.
Saliamo al piano di sopra, salendo per delle strette scale alquanto soffocanti.
Harry apre una porta all’inizio del corridoio. << E questa è camera mia >> esclama, permettendomi di guardarci dentro. << Questo qui è un bagno, e questo una sorta di stanzino.>> Mi indica un’altra serie di porte, ma io non lo ascolto. Quando arriviamo alla fine del corridoio ci fermiamo di fronte a due camere opposte.
<< Questa è la camera di John >> dice, indicando quella alla nostra destra. Una sensazione di nausea mi attanaglia lo stomaco. John. Avevo dimenticato che c’era anche lui.
<< E questa… >> Apre la porta alla nostra sinistra e mi invita con un cenno ad entrare. << Questa sarà la tua camera.>>
Entro, senza lasciar trapelare alcuna emozione. Mi guardo intorno. La camera è spenta, e vuota, e tutto ciò che c’è è un logoro letto e qualche mobile scuro. Osservo le pareti, sfiorandole con il palmo della mano, e mi viene un attacco di nostalgia ripensando a quelle della mia vera camera, piene di poster e fotografie. Qui c’è qualche poster, ma sono tutti vecchi e stracciati.
Quando guardo la parete accanto la porta noto un buco enorme, grande quanto un pallone da basket.
Harry mi guarda con un sorrisetto da quel buco. << Carina, eh?>>
Faccio una faccia disgustata, e copro quel buco con uno scatto, utilizzando il poster mezzo staccato che prima occupava quella parte di muro.
È un poster di Buck Buchanan, il giocatore di football. Deve avere circa quarant’anni, perché lui è morto negli anni novanta e, qui, era ancora un ragazzino. Osservo la foto con il capo leggermente inclinato.
Sembrava stanco, ma felice. Molto probabilmente stava esultando dopo una qualche vittoria. Perché non è così facile essere felici come lui?
Sono così immersa nei miei pensieri che non mi accorgo neanche di Harry al mio fianco. << Possiamo toglierli, se vuoi >> dice, alludendo ai poster.
Irrigidisco leggermente la mascella. << No >> dico, con tono freddo. << Questo qui voglio lasciarlo. Tutti gli altri portali via.>>
Harry annuisce e stacca un poster di Anastacia dal muro.
Sospiro, lancio un’ultima occhiata a Buck Buchanan e poi butto il mio borsone sul letto. Lo apro, e inizio a svuotarlo di tutte le mie cose. Vestiti, matite, trucchi. Tutto. Quando sfioro il mio libro di foto mi viene una fitta di dolore, così lo lascio lì.
Mi accorgo che all’appello manca qualcosa. Aggrottò la fronte.
<< Dov’è il mio scrigno?>> chiedo. Harry non mi risponde, così cerco meglio. << E la lettera?>>
Sento il rumore di un foglio che si strappa, così mi volto a guardarlo. << La cena sarà pronta fra venti minuti. Questi poster sono davvero orribili. Dovrebbero censurarli.>> Li strappa ancora e cerca di cambiare discorso.
<< Harry, ti ho fatto una domanda >> insisto. << Dove. È. Il. Mio. Scrigno.>> Scandisco lentamente ogni parola.
Harry mi guarda, e accenna un sorriso falso. << Io… ti lascio sola >> dice. E si precipita fuori dalla porta.
Lo seguo, allibita. << Hai rubato le mie cose?>> esclamo. O peggio. << Hai frugato fra le mie cose?!>>
<< Beh, io non direi proprio “frugato” >> si giustifica, mimando con le virgolette l’ultima parola. << Hai dormito per un pomeriggio intero, non sapevo cosa fare.>>
Dalla mia faccia credo si capisca che sono assolutamente indignata. << Cosa?>> esclamo. E poi ancora. << Un pomeriggio? Come ho fatto a dormire un pomeriggio?>>
<< Beh, ieri sera non facevi altro che agitarti e gridare, così abbiamo dovuto sedarti.>>
<< Mi avete drogata?>> Non posso credere alle mie orecchie.
Lui fa spallucce. << Non era niente di che, non ti preoccupare.>> La sua noncuranza mi fa imbestialire. Prima che riesca ad urlargli in faccia i peggiori insulti lui si precipita giù per le scale.
<< Preparati. Ti chiamo per la cena!>> dice.
Lo osservo, le guance rosse per la rabbia, finché non sparisce dalla mia visuale.
Pesto un piede a terra, con un grido di frustrazione e mi precipito in camera mia. Sbatto con così tanta forza la porta che il poster di Buck Buchanan si stacca di nuovo dal muro, lasciando libero quell’enorme buco.
Non ce la posso fare. Mi butto sul letto e affondo la testa nel cuscino.
È terribile. È un incubo. Tutto questo non può essere reale.
Mia madre non se n’è andata.
Io non vivrò in una casa che non è la mia.
Questo non sarà il letto dove dormirò.
Io non sono stata ingannata.
No, non lo sono.
E allora perché mi sembra tutto così reale?
Perché sento questo lacerante vuoto nel petto?
 
Non mi rendo neanche conto di essermi addormentata finché non sento dei pugni battere con forza contro la porta.
<< Valeri! Sbrigati. La cena è pronta!>> grida Harry, la voce ovattata dal legno.
Schiudo leggermente gli occhi e, dopo essermi stiracchiata, cerco di ritrovare la salivazione mangiucchiandomi la lingua impastata.
Con un sospiro, mi alzo. Ho gli occhi gonfi. Non ricordo di aver pianto. Forse l’ho fatto senza pensarci, o forse mi sono sfogata nel sonno. Fatto sta che devo avere un aspetto orribile. Non che mi interessi più di tanto.
Prendo la spazzola che prima di crollare avevo accuratamente poggiato sul comodino e mi pettino alla meno peggio. Sento le gambe pesanti, e la testa mi fa un male cane, ma mi impongo comunque di aprire la porta e scendere le scale.
Solo quando salto l’ultimo gradino mi rendo conto di avere davvero una gran fame. Entro in cucina con gli occhi bassi, poi mi blocco di colpo non appena li alzo.
John è seduto su uno sgabello accanto alla penisola, mentre Harry sta finendo di cucinare.
John mi guarda. Avevo quasi dimenticato che c’era anche lui, e ora che l’ho visto mi sto pentendo di essere scesa.
Non può essere vero. Davvero dovrò trascorrere il resto dei miei giorni con il ragazzo che odio e che mi ha fatto soffrire? Si, certo.
Se prima non scappo.
Non faccio in tempo a voltarmi e ad andarmene che Harry si gira verso di me e mi sorride.
<< Finalmente!>> esclama, entusiasta. Toglie la padella dal fuoco e versa in un piatto un po’ di uova strapazzate.
Lo fisso, con sguardo neutro. Lui mi indica con un cenno una sedia. << Coraggio, siediti.>>
Sono tentata di rifiutare, ma poi sento il mio stomaco brontolare e non ce la faccio. Lancio un ultima occhiataccia a John, e lui abbassa lo sguardo sul suo piatto. Decido di non guardarlo mai più per il resto della serata.
Mi avvicino riluttante a uno dei tanti sgabelli e mi siedo il più lontano possibile da lui. Beh, in realtà, il più lontano possibile da entrambi.
Guardo il mio piatto di uova strapazzante e sento l’acquolina salirmi in bocca. Eppure non riesco a mangiare.
<< Queste uova sono davvero squisite >> si vanta Harry, sornione.
<< Perché sono qui?>> domando, all’improvviso. Harry sospira e chiude un attimo gli occhi, come se se l’aspettasse già e la cosa gli dia molto fastidio. << Voglio sapere perché sono qui >> ripeto.
<< Già, vorrei saperlo anch’io >> borbotta John, sottovoce.
Cerco di reprimere l’impulso di alzarmi e menargli uno schiaffo stringendo i pugni mentre fisso Harry.
Quest’ultimo mi guarda. << Te l’ho già detto, Valeri. Ti spiegherò tutto a tempo debito.>>
<< Ma non è giusto!>> sbotto, adirata. << Come pretendi che in questo modo io possa fidarmi di te? Dici che è stata mia madre a volere che venissi qui, ma chi mi dice che non mi hai rapita e che hai intenzione di uccidermi?>>
Non ci giurerei, ma vedo Harry soffocare una risata. << Sei molto diffidente, vero?>> chiede.
Esito un attimo. << Solo delle persone che mi nascondono le cose.>>
Accanto a me, sento John irrigidirsi, e afferrare un pezzo di uovo dal piatto con un po’ troppa forza.
Harry sospira, coprendosi la bocca con una carezza. Mi guarda. << Credo che dovrai abbassare un po’ l’armatura, signorina. Altrimenti così non andiamo da nessuna parte.>>  È forse un rimprovero? Non ci credo. Prima mi nasconde la verità e poi mi rimprovera. Roba da pazzi.
Sento la rabbia infiammarmi le guance, e allontano il piatto con uno scatto. << Non ho fame >> dico, a denti stretti.
Harry mi guarda con un sopracciglio inarcato, poi fa finta di niente e continua a mangiare. Sembra che non gli interessi quello che voglio veramente. Sembra quasi che i miei siano i capricci di una bambina viziata. Ma non è affatto così.
Continuo a fissarlo, con la mascella contratta.
<< Se non hai fame vai a dormire >> dice, dopo un po’. << Devi essere stanca.>>
Alzo un angolo della bocca in un sorriso storto, amaro. << Ho dormito tutto il pomeriggio >> gli ricordo. << Non credo di aver bisogno di dormire.>> Ci penso un po’. << Anche se domani devo andare a scuola.>>
<< Oh, no >> esclama lui, scuotendo divertito la testa. << Tu non vai a scuola.>>
Sento gli occhi sgranarsi così tanto che temo escano fuori dalle orbite. << Scusami?>> Mi sporgo sul tavolo. Non ho sentito bene?
<< Hai capito benissimo >> afferma lui. << Non torni a scuola. Ne domani, ne mai.>>
Spalanco la bocca, scioccata.  << Non puoi impedirmi di andare a scuola!>>
<< Oh, si invece >> dice. << L’ho appena fatto.>>
Sento John soffocare una risata, mentre sulla mia faccia si forma un’espressione indignata. << Non puoi dirmi quello che devo fare.>>
<< Si che posso.>> Indica il soffitto sopra di noi con la forchetta, inarcando le sopracciglia. << Mia la casa, mie le regole.>>
Boccheggio un attimo in cerca della cosa giusta da dire, ma non ho parole. <<  Tu non… tu non puoi togliermi l’istruzione.>> Calco l’ultima parola come se fosse quella il motivo principale per cui voglio tornarci.
Lui sembra pensarci un attimo, poi annuisce. << Hai ragione.>> Si caccia in bocca un altro po’ di uova. << Domani chiamerò un’insegnante privato.>>
<< Davvero?>> chiedo, scioccata.
<< Davvero?>> fa John. Sembra più scioccato di me.
<< Davvero >> ripete Harry.
Sento montare la rabbia. << Ma perché non posso andare a scuola?>> chiedo, furiosa.
<< Perché è troppo p… >> comincia, poi si blocca. Sembra esitare un attimo. Apre la bocca per dire qualcosa, poi la richiude e irrigidisce la mascella. << Non ci andrai, punto e basta.>>
Apro la bocca per controbattere, ma lui mi precede. << Da questo momento in poi non andrai più a scuola e non uscirai di casa. Scordati il computer e il telefonino. Non voglio che tu abbia contatti con l’esterno. Almeno fino a nuovo avviso.>>
Mi prende in giro? Cos’è, un carcere?
Rido, di una risata nervosa. Starà sicuramente scherzando. Perché sta scherzando, vero? Quando mi accorgo che non sta ridendo con me, torno seria e sento montare il panico. Oh, cavolo. Non sta scherzando.
<< Ma… ma… >> balbetto. Sono scioccata. Sono sconvolta. Sono adirata. Non può impedirmi di uscire. Non può controllare la mia vita come se fossi una marionetta del suo stupido gioco. Non può. Non può. Non può!
E invece si, certo che può.
Perché dalla sua espressione seria capisco che ne ha le piene capacità, e perché immagino che non sia così facile ingannarlo.
Finisce di mangiare le sue uova, poi si alza, sciacqua il piatto nel lavandino e lo mette ad asciugare. Si volta a guardarmi, le mani poggiate contro i bordi del lavandino, lo sguardo serio. Stringe un attimo i denti.
<< Mi dispiace, Valeri >> mormora. Sembra davvero dispiaciuto, eppure non riesco a sciogliermi. << Ma tutto quello che faccio lo faccio solo per il tuo bene.>>
Per il mio bene? Per il mio bene? Quante volte ho già sentito questa frase quando poi non era vera? Come fa tutto questo ad essere fatto per il mio bene?
Harry sospira, poi ci saluta con un cenno e si avvia per le scale, diretto in camera sua.
Restiamo io e John, in un silenzio che mi sembra assordante. Le mie uova strapazzate sono ancora davanti a me, raffreddate, e pure non riesco a mangiarle. John, invece, finisce le sue, e quando lo fa si alza e imita Harry in quello che dovrebbe essere un lavaggio alla meno peggio.
Dopo di che, si gira a guardarmi. << Sai, non va neanche a me il fatto che tu stia qui >> esclama, stizzito. Mi limito a fulminarlo con lo sguardo. << Non ne capisco il senso! Ma so che se Harry sta facendo tutto questo, lo sta facendo per un motivo preciso. Mi fido di lui.>> Mi guarda intensamente negli occhi, e dopo un po’ devo trattenere l’impulso di abbassare lo sguardo. Quelle sfere blu sono più che penetranti. << E dovresti farlo anche tu >> conclude. Ci guardiamo, poi lui esce dalla cucina e va verso le scale, lasciandomi sola.
La stanza viene avvolta di nuovo dal silenzio.
Non riesco ancora a credere che tutto questo stia capitando proprio a me. Perché? La mia vita non era forse abbastanza incasinata?
Forse John ha ragione, forse dovrei davvero provare a fidarmi di lui. Eppure non ci riesco! Perché? Perché mi sta nascondendo qualcosa. Perché sono lontana kilometri da casa e perché non vuole dirmi il motivo. Perché vuole segregarmi in casa ma non mi dice il perché. Perché… perché… Già, davvero. Perché?
In altre circostanze mi sarei fidata ciecamente di Harry, proprio come faceva mia madre. Proprio come ha fatto mia madre. Ho sempre provato simpatia per lui, e lui è sempre stato gentile con me, anche oggi, quando mi sono svegliata.
E allora perché? Forse è un atteggiamento di ripicca. Forse la cosa che mi da più fastidio non è la lontananza da mia madre o il suo silenzio. Forse la cosa che più mi da fastidio è John. La sua presenza. La sua casa. I suoi occhi sulla mia schiena.
Forse è solo che non riesco ad immaginare di dover convivere con la persona che mi ha fatto soffrire, piangere, crollare. Non riesco a credere di dover vivere nella stessa casa della persona che mi ha spezzato il cuore. Che mi ha rovinato la vita, che mi ha sfruttata senza il minimo ritegno. Che mi ha tradita nel peggiore dei modi, e che mi ha fatto perdere tutta la fiducia in me stessa. Che mi ha fatto costruire una corazza che ora non riescono a scalfire neanche gli altri.
Eh, già. Quella persona. Forse è questo il vero problema.
E ci rimugino sopra, mentre entro in camera, mi butto sul letto e provo invano di prendere sonno senza neanche togliermi i vestiti.
 
Angolo Scrittrice.
Ciaoo! :D
Prima di dire qualunque cosa, voglio scusarmi. So che sono in forte ritardo, ma, come credo ben capite, la scuola mi sta uccidendo, e fra compiti, piscina e palestra, il tempo per pubblicare è davvero poco. In realtà questo capitolo era già pronto da un po', ma non ho avuto tempo di postarlo.
Detto questo, devo ammettere che è stato un parto. Per due motivi: il primo è che è un capitolo abbastanza complicato, perch Valeri si ritrova catapultata in una nuova situazione del tutto assurda per lei, e non ne capisce neanche il motivo. Ho cercato in tutti i modi di descrivere al meglio il suo stato d'animo, che passa dalla paura, allo shock, alla frustrazione alla non completa rassegnazione. Anche la parte iniziale era molto importante, quando Valeri si risveglia e prova quelle strane sensazioni, ma non vi dico nè che cos'ha e nè perchè è importante, perchè lo scoprirete da soli. ;D Il secondo motivo è che mentre lo scrivevo avevo paura di deludere le vostre aspettative, e che questo non fosse esattamente il capitolo che aspettavate, e che quindi non vi sarebbe piaciuto.
La domanda è: vi è piaciuto? Che ne pensate? Fatemi sapere, perchè ci tengo molto alla vostra opinione.
By the way, ora mi sembra giusto ringraziarvi tutti quanti, tutti voi che avete messo la storia fra preferite, ricordate e seguite, a tutti voi lettori silenziosi, a tutti voi che avete commentato. Ma un grazie speciale va a
WingsFly, che commentando il capitolo precedente è riuscita a scaldarmi il cuore *w*
Grazie di cuore!
Bene, ora credo sia il momento di andare. Spero di aggiornare il prima possibile. :D
Un bacione enorme, alla prossima
La vostra
ValeryJackson
  
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