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Autore: Acinorev    01/11/2013    18 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Different plans

Capitolo 23

Vicki.
 
Era ora di pranzo e il mio stomaco non poteva essere più impaziente, con tutti i brontolii che da circa un’ora mi tormentavano.
La mattinata a lavoro era trascorsa tra bicchieroni di caffè, ordini di antipasti e quant’altro: fuori il cielo era cupo e minacciava di bagnare l’intera Londra con una pioggia abbondante, ma stare chiusa in ufficio non mi allettava lo stesso.
Sospirai sonoramente, alzandomi dalla sedia e sistemandomi il maglioncino in lana blu: spostai i capelli più crespi del solito sulla spalla sinistra e riordinai le ultime scartoffie sulla scrivania. Dovevo allontanarmi da quei pochi metri quadri, o sarei impazzita.
Avevo voglia di chiamare Louis.
E volevo anche ridere, perché quella situazione era a dir poco strana per me: sentivo già la sua mancanza – sì, proprio come una povera ragazzina – e non erano passate nemmeno ventiquattro ore dalla nostra… Riappacificazione? E poi, qualsiasi cosa fosse stata, era ancora impossibile da credere, come se fosse frutto di un sogno sbiadito: forse perché l’avevo attesa per così tanto che avevo in un certo senso iniziato a credere che non l’avrei mai ottenuta, o forse perché Louis stesso era impossibile da credere.
Sentivo solo il bisogno di intervallare i miei impegni di lavoro con la sua voce, anche solo attraverso un telefono. Anche se, a dirla tutta, sembrava quasi che fosse proprio il lavoro ad intervallare i miei pensieri su di lui.
Sorrisi tra me e me e abbassai la maniglia della porta per uscire finalmente dall’ufficio e fiondarmi a mangiare qualcosa, ma dovetti arrestarmi quando mi trovai davanti a Samantha. Era poco più giovane di me ed aveva appena superato un periodo di prova, qui alla “Christian&Catering”: i capelli rossicci e mossi le scivolavano sempre davanti al viso sottile e gli occhi di un nero troppo intenso sembravano non lasciarsi sfuggire mai un dettaglio.
Abbassò la mano ferma a mezz’aria, che probabilmente aveva avuto intenzione di usare per bussare, e chiuse la bocca per poi rivolgermi un sorriso senza mostrare i denti. «Nella sala d’aspetto c’è qualcuno per te – esordì, indicando con un cenno del capo un punto alla sua destra, mentre arricciava il naso leggermente adunco. – Ha detto di fare in fretta, e no, non posso rivelarti la sua identità» aggiunse senza lasciarmi parlare, incapace di nascondere una certa euforia per quelle ultime parole.
Alzai un sopracciglio e la ringraziai balbettando qualcosa, chiedendomi di chi potesse trattarsi mentre lei si allontanava lungo il corridoio: Stephanie aveva il giorno libero, ma avevamo deciso di vederci nel pomeriggio e comunque non avrebbe avuto un motivo per essere così misteriosa. Che fosse tornato Brian? Aveva detto che avrebbe insistito per avere un paio di giorni di congedo, quindi magari era riuscito ad ottenerli.
Con quella speranza a scaldarmi il cuore mi precipitai verso la sala d’aspetto, ma, appena ne aprii la porta, mi congelai sul posto con il nome di mio fratello che usciva dalle mie labbra involontariamente: Brian non c’era, è vero, ma la delusione per quell’aspettativa bruciata fu sostituita nell’arco di un secondo da qualcosa di nettamente diverso e di nettamente più piacevole.
Anche di spalle, infatti, potevo riconoscere i capelli castani e disordinati, la schiena magra e il profilo dai lineamenti duri. I jeans chiari glieli avevo visti addosso un paio di volte e le Vans nere e rovinate erano ormai parte di lui.
Mi rilassai immediatamente, e strinsi il legno della porta nella mano sinistra per cercare di scaricare a terra il brivido che mi percorse.
Louis si voltò verso di me e mi regalò un sorriso che avrebbe dovuto essere considerato illegale per quell’ora. Gli occhi azzurri resi più scuri dalla luce che arrivava dalla grande finestra dietro di lui e le braccia incrociate al petto.
Mi sembrava di vivere un deja-vù: ricordavo ancora come fossi stata sorpresa di trovarlo seduto sul divano ora a pochi passi da lui dopo l’evento al quale ci eravamo conosciuti. Se pensavo a quanto tempo era passato e a ciò  che avevamo dovuto attraversare, lo stomaco si stringeva in una morsa. Non più dovuta alla fame.
«Aspettavi qualcun altro?» chiese, avvicinandosi a me e portando le braccia lungo i fianchi.
Io sorrisi e scossi la testa, chiudendo la porta dietro di me e cercando di non lasciare al mio cuore libero sfogo: dovevo ancora accettare l’idea di me e Louis insieme, e non sapevo quanto ci sarebbe voluto.
«Avevo pensato a Brian – ammisi, stringendomi nelle spalle mentre attendevo che arrivasse ancora più vicino a me. – Non mi aspettavo che fossi tu». Avrei voluto andargli incontro, ma ero come paralizzata: dal suo sguardo, dalla sua semplice presenza, dal pensiero di cosa sarebbe potuto succedere da lì a poco.
Lui abbozzò una risata e le sue labbra rimasero inclinate verso l’alto, mentre rispondeva. «Tuo fratello è nella Marina, a chilometri e chilometri di distanza, eppure hai comunque pensato che fosse più probabile trovare lui qui, anziché me – esclamò, ormai a meno di un metro da me. Le parole ben scandite dalla sua voce acuta e lo sguardo inesorabilmente su di me, a farmi tremare. – Non trovi che sia divertente?» domandò, riferendosi a quel dato di fatto. Effettivamente era una situazione alquanto paradossale.
Sorrisi di nuovo, leggermente in imbarazzo e forse anche un po’ preoccupata dal suo tono, e mi morsi il labbro inferiore. «È che devo ancora farci l’abitudine, sai…»
Lasciai la frase in sospeso, sperando che lui capisse il mio stato d’animo: in fondo fino ad allora il nostro rapporto si era basato su litigi e baci rubati, qualcosa di estremamente instabile e – perché no? - anche nocivo. Non era facile relazionarsi con lui in quel nuovo modo, soprattutto se decideva di farmi una sorpresa e presentarsi senza avvisare sul mio posto di lavoro: era semplicemente assurdo.
E questo era il pensiero – l’aggettivo, anzi - che mi aveva impedito di prendere sonno quella stessa notte: assurdo. Tra le lenzuola in flanella avevo continuato a rimuginare su quanto lo fosse ciò che era successo nel pomeriggio. Il tempo passato nella stanza degli ospiti a casa di Zayn, le mani ruvide di Louis e il mio cuore finalmente in via di recupero. Le sue promesse mormorate sul mio collo e quelle che io gli avevo rivolto in silenzio.
«Anche io» rispose, quasi a bassa voce. I suoi occhi ormai fissi sulla mia bocca, mentre si avvicinava tanto da farmi sentire il suo profumo, lo stesso che mi aveva sempre reso più difficile del previsto stare senza di lui.
Trattenni il fiato e strinsi i pugni quando i nostri visi si sfiorarono, poi anche il mio cuore riprese a battere e tutto accadde in un secondo: Louis si mosse verso di me per posare le sue labbra sulle mie e io reagii rabbrividendo e alzando le braccia per circondargli il busto, aggrappandomi alla sua felpa di un verdone troppo scuro. Sentii la sue mani sfiorarmi i fianchi e poi stringerli per avvicinarmi al suo corpo.
Il suo respiro caldo mi confondeva e il mio era tanto irregolare da risultarmi quasi ridicolo: non potevo avere questa reazione ogni volta che Louis si avvicinava a me, dovevo imparare a controllarmi e soprattutto a non avere paura di lasciarmi andare. Il fatto che fino ad allora tutti i baci che io e lui ci eravamo scambiati fossero stati il preludio di un disastro mi costringeva a temere che la situazione potesse non essere cambiata, ma ormai dovevo aspettarmi che accadesse il contrario.
Indietreggiai di un passo e mugugnai qualcosa sulla sua bocca, quando lui mi spinse lentamente verso la porta: aderii con la schiena al legno freddo e la inarcai verso di lui, non tanto per i brividi quanto per piacere personale, perché non c’era sensazione equiparabile a quella di sentire il suo petto contro di me.
Strinsi i suoi capelli tra le dita e sorrisi involontariamente, mentre lui bramava il mio corpo con le sue mani, che alla fine si spostarono sulla mia schiena: era ancora il mio punto debole, nonostante tutto quello che era successo, o forse proprio a causa di quello.
«Louis… - mormorai, quando mi morse il labbro inferiore. – Non respiro» scherzai, riferendomi alla foga con la quale le sue labbra non mi lasciavano scampo e alla sua presa su di me. Non che mi dispiacesse percepire le sue mani stringermi in quel modo, ma sentivo che da un momento all’altro sarei potuta stramazzare a terra per l’eccesso di emozioni.
Ne ero sempre più convinta: dovevo abituarmi a Louis, o mi avrebbe sopraffatta definitivamente, più di quanto avesse già fatto.
Lui appoggiò la fronte alla mia e respirò sul mio viso, sorridendo. «Fino ad ora mi sono perso tutto… Tutto questo» sussurrò, scuotendo la testa. Io non sapevo cosa rispondere e mi limitavo ad ascoltare il mio battito cardiaco che si sbizzarriva, irrequieto a causa delle sue parole.
«Ma credo comunque che si possa recuperare – aggiunse, portando una mano sul mio collo. – No?»
E l’attimo dopo io non avevo più bisogno di trovare una risposta adatta, perché le mie labbra erano di nuovo vittime indifese delle sue ed il respiro con il quale avrei dovuto pronunciarla era di nuovo andato perso. Mozzato nella mia gola.
Quando il mio stomaco brontolò per l’ennesima volta, però, sprofondai in un certo imbarazzo. Louis rise, continuando a baciarmi l’angolo della bocca, e io gli tirai un po’ di più i capelli.
«Qualcuno ha fame» commentò, rimanendo a qualche centimetro dal mio viso e senza smettere di rivolgermi quel sorriso beffardo che ormai conoscevo alla perfezione.
«Sarebbe più corretto dire che sto morendo di fame» precisai, inclinando leggermente la testa di lato. Mi sentivo le guance in fiamme e gli occhi incapaci di reggere il viso di Louis ad una distanza così sadica.
«E va bene, va bene – esclamò lui, lasciando la presa su di me e facendomi sentire vuota, per un attimo. – Se volevi che ti stessi lontano bastava dirlo» mi prese in giro, allargando le braccia con fare rassegnato e aspettando una mia risata, che non tardò ad arrivare.
«In effetti avrei fatto prima, sì» ammisi, allontanandomi dalla porta.
Louis alzò un sopracciglio e mi scrutò per un paio di secondi, poi mi puntò un dito contro come per rimproverarmi. «Ed io che ti ho portato il pranzo – sbuffò, fingendosi offeso. – Anzi, te l’ho anche pagato».
Corrugai la fronte con ancora un sorriso sulle labbra e mi guardai intorno per capire di cosa stesse parlando: sul tavolino tra il divano e le due poltrone, giacevano due buste bianche e anche parecchio piene.
«Oh… Grazie» mormorai, completamente sopraffatta dalla sorpresa per quel gesto.
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di conferire loro un minimo di ordine, e deglutii a vuoto avvicinandomi a lui. Louis Tomlinson aveva pensato di portarmi il pranzo a lavoro: ero impazzita o qualcuno si stava prendendo gioco di me?
Dentro di me in realtà esultavo, al pensiero che tutto ciò fosse più che reale.
«Ma per fortuna sono buono, quindi credo che non ti lascerò morire di fame» sospirò, facendo schioccare la lingua sul palato. Aveva le labbra arrossate ed io non riuscivo a non pensare a quanto gli donassero.
«Che onore - scherzai, andandomi a sedere sul divanetto. – Non credo comunque che potresti davvero fermarmi dal divorare tutto, in questo momento».
«In realtà non so nemmeno se ti piacerà – esclamò, raggiungendomi e iniziando a tirare qualcosa fuori dalle buste. – Ho azzardato con il cinese» spiegò, sventolandomi davanti una confezione di chissà cosa.
«Non l’ho mai assaggiato, se proprio vuoi saperlo» confessai, stringendomi nelle spalle. Le nostre ginocchia si sfioravano e io avevo voglia di accarezzargli la mascella.
«Cosa mi tocca sentire…» borbottò, scuotendo la testa e allestendo un vero e proprio banchetto su quel piccolo tavolino. Per un attimo mi chiesi se fosse opportuno mangiare lì, ma subito dopo mi accorsi che non me ne importava un accidenti.
E poi non volevo interrompere quel momento, distrarre Louis dai suoi gesti e perdere l’occasione di osservarlo in ogni più piccolo particolare: in quell’istante mi sembrava indispensabile concentrarmi sulla linea delle sue labbra sottili e sulle pieghe intorno ai suoi occhi, quelle che si formavano ad ogni suo cambio di espressione, quelle che mi avevano sempre indicato quando rilassarmi o quando tremare per la paura di un imminente litigio.
«Anche oggi hai il giorno libero?» chiesi, incuriosita. Era soprattutto una strategia per impedirmi di rimanere imbambolata a guardarlo: avevo notato le sue iridi spostarsi velocemente su di me per un attimo, quindi sapevo che si era accorto della mia insistenza nel perdermi nei suoi dettagli.
Louis alzò le spalle, inspirando profondamente e accartocciando una busta di plastica tra le sue mani. «Lo avrei, se non dovessi accompagnare Harry a farsi l’ennesimo tatuaggio» spiegò, voltandosi per guardarmi in faccia. Il gomito destro appoggiato sul ginocchio, con la mano a penzoloni, e il busto leggermente girato verso di me.
Annuii e sorrisi al pensiero della pelle di Harry, ormai diventata un foglio di carta pieno di scarabocchi: anche Louis aveva molti tatuaggi e più volte mi aveva sfiorato l’idea di chiedergli il significato di ognuno di loro. Magari un giorno sarei riuscita a comprenderli a pieno, come se fossero i miei, e a conoscere ogni loro sfumatura a forza di passarci le dita sopra e di studiarli.
«Stasera invece non ho niente da fare – aggiunse, distraendomi da quelle fantasticherie. – Magari potremmo vederci» propose, assottigliando lo sguardo, in attesa.
Non scherzava quando parlava di recuperare il tempo perso, e di certo io non mi sarei opposta a quella sua volontà, che alla fine corrispondeva alla mia.
L’idea di passare una serata intera con lui mi provocò una stretta allo stomaco e una dose di impazienza dritta nelle vene: da quanto non accadeva? Da quanto non avevo l’occasione di passare del tempo con lui come agli inizi? Come quella sera al Luna Park?
Il solo pensiero mi elettrizzava e allo stesso tempo mi rendeva più che nervosa, e forse lasciai trasparire ognuna di queste emozioni, perché Louis parlò di nuovo, quasi mi avesse letto nella mente. «Vicki, è strano anche per me» disse seriamente, catturando il mio sguardo con il suo.
Sembravamo due bambini alle prese con i propri sentimenti, entrambi determinati a non far trasparire quella blanda tensione che invece ci avvolgeva, nonostante le nostre mani tremassero di nascosto.
«È strano, ma è piacevole» ammisi, provocando in lui un sorriso a labbra chiuse.
 
Ben presto scoprii che il cinese poteva quasi essere considerato la mia nuova cucina preferita: ogni singola cosa comprata da Louis mi aveva completamente stregata, tanto da invogliarmi a rintracciare il primo ristorante cinese nei paraggi solo per poter mangiare tutte quelle delizie quando più ne avevo bisogno.
Io e Louis avevamo consolidato un certo equilibrio minuto dopo minuto, quasi trovando un modo per abituarci alla presenza l’uno dell’altra, ai baci rubati di sfuggita e alle risate che tanto erano mancate tra di noi.
Stargli vicino in quel modo era… Be’, non avrei nemmeno saputo descriverlo: semplicemente fino a poco prima avevo creduto che non sarei mai più riuscita a scorgere il Louis scherzoso e apparentemente spensierato che avevo conosciuto in primo luogo, mentre ora eccolo lì, seduto accanto a me, come se non se non fosse mai scomparso.
Sapevo che avrebbe dovuto andarsene da lì a poco, e anche la mia pausa stava per finire, ma prima che uno di noi potesse dire qualcosa, il suo telefono prese a squillare nella sua tasca.
Non era mia intenzione spiare, né essere invadente, ma la vicinanza alla quale ci trovavamo mi rese impossibile non leggere il nome che lampeggiava sullo schermo: Eleanor.
Mi sentii improvvisamente a disagio, anche mentre Louis rifiutava la chiamata e riponeva velocemente il cellulare al suo posto, quasi avesse voluto nascondermelo. A quel punto, però, non riuscii a trattenermi.
«Le hai detto di… Di noi?» gli chiesi senza pensarci, lasciando le redini in mano alla parte più impulsiva di me. In fondo avevo il diritto di sapere una cosa del genere: non sapevo se avessero parlato dopo quello che era successo, e sinceramente ero smaniosa di saperlo.
Louis serrò la mascella e prese a raccogliere gli avanzi dal tavolino. Gli occhi rigorosamente lontani dal mio viso. «Non ancora» rispose semplicemente, alzandosi per buttare ciò che teneva in mano.
In un attimo aveva di nuovo indossato quella maschera cupa e ostile con la quale più volte mi aveva allontanata, e in un attimo l’atmosfera che fino ad allora ci aveva fatto compagnia si era dissolta.
Continuai a guardarlo cercando di capire come mi sentissi a riguardo e cosa avrei potuto dirgli, le labbra tese e il cuore leggermente agitato. Cercavo di non giungere a conclusioni affrettate, di non fasciarmi la testa prima di essermela rotta e di essere oggettiva: magari non ne aveva semplicemente avuto il tempo, dato che non era passato nemmeno un giorno dall’accaduto. Magari le avrebbe parlato presto.
O magari no.
Il fatto era che, per come ero fatta io, se mi fossi trovata al suo posto avrei messo subito le cose in chiaro, senza aspettare un minuto in più: Louis era però diametralmente opposto a me, quindi potevo aspettarmi mille cose diverse e decisioni altrettanto distanti da quelle che avrei preso io. L’unico dubbio era se sarei riuscita ad accettarle nel caso fossero state sbagliate, oltre che diverse.
«Ora devo andare – esclamò, rimanendo in piedi a qualche passo da me. – Harry mi starà già aspettando».
Io annuii, ancora pensierosa, e mi avvicinai a lui per salutarlo: quando lui abbozzò un sorriso, cercando di raggiungere le mie labbra, però, io mi ritrassi impercettibilmente.
Il mio inconscio non voleva proprio saperne di stare al suo posto.
La sua mano sinistra era sul mio fianco e i suoi occhi mi scrutarono in un modo che io interpretai come spaventato. Era certamente confuso da quel mio gesto e dalla mia serietà: io stessa lo ero, perché ogni minuto con lui era una novità e perché c’era una parte di me che voleva – pretendeva – che Louis fosse già mio, solo mio. Nessuna Eleanor, nessun altro.
«Non diventeremo una di quelle coppie in cui tu continui a ripetermi che lascerai la tua ragazza anche se poi non lo fai mai, vero?» domandai in un sussurro. La gola secca e il suo respiro sul mio viso.
Ci avevo appena definiti come una coppia, e poco importava se fosse o meno una descrizione adatta  a noi, nonostante sperassi che per lui lo fosse. Ciò che mi premeva sapere era come si sarebbe evoluta tutta quella situazione: ero consapevole del fatto che le paure di Louis non fossero affatto scomparse, nonostante lui avesse deciso di sfidarle pur di stare con me, e che probabilmente gli sarebbe voluto del tempo per distaccarsi definitivamente da quel porto sicuro che Eleanor era per lui, eppure avrei semplicemente desiderato che le cose fossero diverse. Non ero sicura che sarei riuscita a sopportare di saperlo ancora con lei.
Notai l’espressione di Louis farsi più dura e mi sentii vacillare sotto la sfumatura più seria dei suoi occhi: qualcosa in loro non era in grado di rassicurarmi.
«Glielo dirò» mi assicurò, portando l’altra mano sulla mia guancia destra e facendomi rabbrividire.
Lasciai che mi baciasse di nuovo, lentamente, godendomi quel contatto come se non avessi potuto percepirlo di nuovo per chissà quanto tempo ancora, e cercai di trattenere il suo profumo nella mia memoria mentre si allontanava da me per uscire dalla stanza.
«A stasera» lo salutai, accennando un sorriso che lui ricambiò annuendo.
Ancora una volta il suo cellulare suonò nella tasca dei suoi jeans, ed io lo osservai prenderlo velocemente per controllare il mittente della chiamata: non potevo sapere se fosse ancora Eleanor – nonostante ne fossi quasi certa -, quindi non dissi niente mentre lui rispondeva con un “hey” appena mormorato.
E mentre scompariva dietro la porta in legno, io ero divisa tra i miei sentimenti per lui e il timore che la sua, di paura, fosse ben più radicata e caparbia di quanto pensassi, tanto da impedirgli di fare ciò che doveva.
 
 
Niall.
 
Avevo sempre sentito dire che le ragazze, per segnare l’inizio di un cambiamento nelle loro vita, spesso fanno tappa dal parrucchiere di fiducia: certo, non avevo mai capito a pieno quella logica – logica? – femminile, anche perché non vedevo come un taglio di capelli potesse essere così importante, ma avevo iniziato a pensare che un qualcosa di simile avrebbe potuto aiutare anche me.
Insomma, ero quasi sicuro che tutto si basasse sull’innovazione, su un qualcosa di diverso dal solito e dalla routine: ovvio, io non avevo intenzione di tingermi i capelli, attaccarmi delle extensions o chissà cos’altro, ma avrei potuto applicare lo stesso assurdo concetto a qualcos’altro. La mia scarsa fantasia, infatti, mi aveva fatto scegliere l’ambito sportivo, in cui praticamente ero abbastanza ferrato: ero sempre stato un tipo relativamente atletico – pigrizia a parte -, e avevo sperimentato il calcio, il basket, il baseball e persino il golf, all’inizio da me tanto odiato.
Così, giusto per distrarmi dai miei pensieri su Abbie e dalla tensione che mi torturava i nervi del collo, decisi di fiondarmi nel nuoto: no, non non avrei saputo spiegarne il perché, ma era la prima cosa che mi era venuta in mente pensando a qualcosa di diverso in cui cimentarmi. Certo, sarebbe stato più appropriato un qualche sport estremo o un lancio dal paracadute, ma insomma, ero pur sempre Niall Horan!, e il mio spirito sportivo non era poi così esuberante come sembrava.
Avevo trovato una piscina privata alla periferia di Londra, nascosta da un piccolo parco pieno zeppo di alberi forse centenari e preceduta da un parcheggio mezzo vuoto: cercarne una pubblica sarebbe stato alquanto masochista e avrebbe segnato la mia fine, oltre che il fallimento del mio piano “non pensare a nient’altro se non a non respirare sott’acqua”.
Paul aveva comunque insistito per accompagnarmi, nonostante io avessi cercato di dissuaderlo ricordandogli quanto si sarebbe annoiato, nel tenermi d’occhio mentre sguazzavo in una piscina come un bambino di cinque anni. Così, ora potevo vederlo seduto a bordo vasca, su una panchina bagnata per metà e in legno chiaro: era al telefono con sua moglie, perché quel sorriso non lo interessava in altre occasioni, e intanto io mi godevo l’acqua tiepida che mi faceva sentire tanto leggero.
Ero lì da tre quarti d’ora, forse, e c’erano davvero poche persone a farmi compagnia in quella piscina di una quindicina di metri di lunghezza, ad occhio e croce: solo due persone mi avevano riconosciuto, ed io ne ero sollevato. Non stavo seguendo una vera e propria lezione, nonostante un istruttore di mezza età mi avesse proposto di tenerne una sebbene la sua fosse finita alle cinque e mezza, quindi poco prima: mi limitavo a nuotare avanti e indietro, proprio come un bambino.
Era più rilassante di quanto pensassi, sebbene Abbie non fosse andata via dai miei pensieri come avevo sperato: ad ogni bracciata, ad ogni respiro trattenuto, il suo viso mi si ripresentava davanti ed io mi sentivo annegare al ricordo di quello che non avevamo più. Il dolore più grande l’avevo già affrontato tempo addietro, certo, ma continuavo a vivere con un sottofondo di malinconia che spesso risaliva a galla. Soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti con Harry.
Avevo preso la stupida decisione di fare nuoto  solo per distrarmi, ma alla fine era successo esattamente il contrario: il bello era che non mi dispiaceva quanto avrebbe dovuto e non sapevo neanche il perché. Forse avevo raggiunto un livello tutto nuovo di masochismo.
Mi appoggiai con gli avambracci al bordo piscina, per riprendere fiato: avevo i capelli appiccicati alla fronte e i piedi che si muovevano avanti e indietro nell’acqua alta. All’improvviso, però, una voce femminile iniziò ad agitarsi non a troppa distanza da me. Mi guardai intorno e, proprio ad un paio di metri, una ragazza nuotava a fatica, mostrando un’espressione di dolore e continuando a ripetere parole come «cazzo, un crampo». Per un attimo mi limitai a guardarla con la fronte corrugata – non l’avevo nemmeno notata fino ad allora -, poi mi accorsi di quanto fosse difficile per lei rimanere a galla, quindi mi mossi velocemente e la raggiunsi.
«Ti faccio uscire – le dissi, mettendole una mano intorno al busto magro e cercando di reggerla. ‘Fanculo, era più difficile del previsto, tenere a galla due persone. – Reggiti a me».
Ma i bagnini non c’erano, in piscine del genere?
Lei mugugnò qualcosa, probabilmente più per il dolore che per la mia proposta di aiuto, ma mi diede ascolto: i suo capelli scuri mi solleticavano la schiena per quanto erano lunghi, e non mi ero reso conto di quanto i suoi occhi verdi brillassero, a causa della luce che entrava dall’enorme finestra su un lato della piscina. Un’altra rapida occhiata, mentre mi muovevo verso il bordo, e osservai le sue labbra sottili torturate dai denti, probabilmente per non esclamare qualcosa, e le lentiggini sul naso dritto.
Nonostante il mio inconscio si fosse già accorto di quanto fosse bella, non ebbi il tempo di formulare quella sensazione in un pensiero vero e proprio, perché ero troppo impegnato ad aiutarla a salire la scaletta in metallo.
Cercai di evitare di soffermarmi sul suo fondoschiena, mentre zoppicava su una gamba, e la seguii fuori, gocciolando acqua sulle mattonelle azzurre e scivolose. La ragazza indossava un costume intero di un blu scuro, molto simile a quello delle nuotatrici a livello agonistico, ma era comunque impossibile non notare il suo corpo e le sue curve non troppo accentuate. Che lei potesse essere il vero cambiamento che io stavo cercando, anziché il nuoto?
Sospirai e mi diedi dello stupido: ero proprio disperato, se immaginavo cose del genere dopo averla appena aiutata e senza nemmeno conoscerla. Insomma, un po’ di contegno non mi avrebbe fatto male.
«Tutto bene?» le chiesi, a pochi passi da lei, passandomi una mano tra i capelli per evitare che mi gocciolassero sul viso. Lei strizzò i suoi, che le arrivavano a metà schiena, dandomi ancora le spalle: avevano già assunto una certa ondulazione, tanto da farmi chiedere come fossero da asciutti e se il loro colore fosse alterato dall’acqua.
Non mi rispose. Anzi, appoggiò meglio la gamba destra a terra e iniziò a camminare lontana da me, senza dare segni di dolore o quant’altro: era una presa in giro?
«Hey!» la chiamai dopo qualche secondo, accelerando il passo per seguirla. Ovviamente non si voltò a guardarmi, né si fermò.
«Scusa, ma non capisco – aggiunsi, con le sopracciglia aggrottate, camminandole affianco. – Un minuto fa sembrava che stessi patendo le pene dell’inferno per un crampo alla gamba e ora stai meglio di me? E un grazie non mi dispiacerebbe» continuai, sorridendo per alleggerire quel mio sottile rimprovero e la mia confusione.
Solo allora lei si fermò, puntandomi i suoi occhi addosso: non erano solo verdi, erano screziati di un marrone scuro verso la pupilla, e santo cielo!, erano…
«Ero solo curiosa di sapere cosa si prova ad essere salvata da Niall Horan» esclamò, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mimando le virgolette alla parola “salvata”.
Sbattei le palpebre e alzai un sopracciglio, passandomi la lingua sulle labbra che sapevano leggermente di cloro: mi aveva riconosciuto e aveva messo su quel teatrino solo per provocare una mia reazione? Non sapevo se esserne lusingato, in un certo senso, o offeso: ma, sicuramente, ne ero divertito.
«Fammi capire, non hai affatto avuto un crampo?» chiesi per sicurezza, spostando il peso sull’altro piede.
«No – rispose, mantenendo un’espressione relativamente seria. In realtà avevo l’impressione che stesse per sorridere. – E dal momento che non ero davvero in pericolo, non vedo perché ringraziarti».
Una stronza, insomma.
«Però io questo non lo sapevo» la corressi.
«Ora lo sai» ribatté. E a quelle parole sì, che sorrise: inclinò le labbra all’insù, scoprendo i denti bianchi, e una piccola fossetta apparve sulla guancia destra. Non c’era provocazione in quel gesto, ma solo divertimento.
«E, di grazia, qual è stato il verdetto? – domandai, sempre più attratto da quella ragazza. – Com’è, essere salvate da Niall Horan?»
«Hm… Ad un certo punto mi hai stretta talmente forte che pensavo volessi farmi morire soffocata…»
«Stavo cercando di non annegare insieme a te» mi difesi, interrompendola e facendola sorridere.
«Ma tutto sommato devo dire che hai superato la prova» continuò, come se io non avessi parlato. Subito dopo si voltò e camminò di nuovo via da me.
Inutile dire che per la seconda volta io la seguii.
«La prova? – ripetei. – È così che passi il tuo tempo?» la presi in giro.
Ero sempre stato un tipo molto socievole, ma con lei questa mia caratteristica era come amplificata: mi trovavo a mio agio e scherzare in quel modo era quasi naturale. Lei, d’altra parte, non ne sembrava affatto disturbata.
«Credo che ci sia un solo Niall Horan, no?» rispose, spostandosi i capelli sulla spalla destra.
«Vuol dire che io ho un trattamento speciale? – domandai, punzecchiandola. – Perché se è così, non so se esserne lusingato o spaventato: la prossima volta farai finta di soffocare a bordo vasca o qualcosa del genere?» risi.
«La prossima volta?» ripeté lei, con tranquillità. Il fatto che mi conoscesse mi faceva presupporre che non gli fossi del tutto indifferente, ed era assolutamente strano per me relazionarmi con lei in un modo tanto rilassato: la maggior parte delle volte le ragazze urlavano o piangevano o ridevano istericamente o Dio santo sa cos’altro.
«Sì – annuii, come se fosse una cosa all’ordine del giorno. – Tra due giorni» aggiunsi. Le avevo appena dato una specie di appuntamento?
«Chi lo sa» rispose, rivolgendomi un altro sorriso e allontanandosi di nuovo. Non sapevo se la sua risposta si riferisse alla mia proposta di rivederci o al mio dubbio su quale sarebbe stata la prova successiva, ma speravo nella seconda opzione.
Mi divertiva e mi intrigava il fatto che non avesse fatto domande, che non avesse mostrato una particolare emozione alla mia allusione, e mi incuriosivano ancora di più i suoi modi di fare.
L’istante dopo, mi resi conto di averle proposto di rivederci ma di non sapere nemmeno il suo nome. Deficiente.
«Aspetta!» la richiamai, senza però muovermi da lì.
Lei non si fermò, ma rispose comunque. «Mi chiamo Rosie.»
 
 
Vicki.
 
Erano le sette e mezza: avevo appena finito la doccia più veloce della mia vita, perché Stephanie era rimasta a casa mia più del previsto ed io dovevo ancora cucinare qualcosa e poi prepararmi per uscire con Louis, che mi sarebbe passato a prendere alle nove.
Mi strinsi nell’accappatoio e nascosi un sorriso a me stessa, a quel pensiero: se non avessi voluto riservare un po’ di salute mentale, probabilmente mi sarei concessa di saltellare come una bambina nel piccolo bagno. Al diavolo le raccomandazioni nemmeno troppo insistenti di Stephanie, che non vedeva ancora di buon occhio Louis: ero dannatamente felice.
In alternativa, iniziai a canticchiare un motivetto che mi aveva messo in testa proprio la mia amica, e mi avvicinai al lavandino per guardarmi allo specchio, un po’ appannato dal vapore: allungai una mano per passarla su di esso in modo da scorgere il mio riflesso, ma mi bloccai quando sentii il cellulare squillare.
Era appoggiato sul ripiano al mio fianco, quindi lo presi tra le mani e mi incuriosii nel leggere che il messaggio proveniva da Zayn.
 
Un nuovo messaggio: ore 19.32
Da: Zayn.
“Vicki, per favore, vieni qui.”
 
Corrugai la fronte e trattenni il respiro per qualche secondo. Provai immediatamente a chiamarlo, ma lui non rispose, così decisi di rispondergli via sms.
 
Messaggio inviato: ore 19.34
A: Zayn.
“Zayn, che succede? Dove sei?”
 
Tamburellavo il piede a terra, in attesa: non sapevo perché fossi così preoccupata, ma quel messaggio non mi rassicurava per niente. La risposta ci mise un po’ ad arrivare.
 
Un nuovo messaggio: ore 19.41
Da: Zayn.
“Sotto casa di Abbie, ma non so dove cazzo sia. Ho bisogno di parlare con qualcuno, vieni qui.”
 
Qualcosa dentro di me si mosse a quelle parole: aveva bisogno di me, era evidente, ed io non potevo lasciarlo in quelle condizioni, qualsiasi esse fossero. Digitai velocemente un “Arrivo” e mi sbrigai nel finire di prepararmi: avrei mangiato qualcosa più tardi.
Solo dopo qualche minuti mi ricordai di Louis: arrestai i miei movimenti, sospirai e mi morsi il labbro inferiore.
 
Messaggio inviato: ore 19.59
A: Louis.
“Louis, mi dispiace ma per stasera c’è stato un imprevisto: devo raggiungere Zayn. Non credo di farcela per le nove, ma possiamo vederci più tardi, se per te va bene. Ti spiego tutto appena ci vediamo x”
 
Il tutto che gli avrei spiegato era ovviamente una piccola bugia: se Zayn per tutto quel tempo aveva evitato di parlare dei propri sentimenti con i suoi migliori amici e se aveva deciso di scrivere un messaggio a me, un motivo c’era, quindi io non avrei potuto né dovuto riferire ad uno di loro tutto ciò che c’era tra di noi. A Louis, probabilmente, avrei solo accennato il motivo per cui mi aveva chiesto di raggiungerlo, qualsiasi esso fosse.
 
Un nuovo messaggio: ore 20.15
Da: Louis.
“Ok. Stavo per scriverti anche io, perché avevo intenzione di vedermi con Eleanor. Ci sentiamo più tardi.”
 
Strinsi il telefono tra le mani e borbottai qualche imprecazione a denti stretti: io avevo cambiato i nostri programmi per una necessità, per un mio ed un suo amico, e gli avevo comunque proposto di vederci più tardi. Invece lui aveva già intenzione di darmi buca per vedersi con Eleanor: ed io sapevo – speravo – che le avrebbe parlato, ma l’idea che dovesse farlo proprio la sera in cui io e lui avevamo sperato di passare del tempo insieme mi infastidiva, e non poco. Era stato proprio lui a chiedermi di uscire, quindi da quando aveva cambiato intenzione?
Senza contare il fatto che non avevo alcuna sicurezza su di lui, per quanto volessi convincermi del contrario: non potevo sapere se avesse davvero intenzione di vederla per dirle di me e lui, non potevo sapere se invece avrebbero fatto altro, non potevo sapere niente.
Mi sentivo una stupida per essere così paranoica, eppure una parte di me mi giustificava.


 

 
ANGOLO AUTRICE aka UCCIDETEMI SE VOLETE
 
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!
Sono in un terribile ritardo, lo so, e mi sento in colpa, come sempre!
Il fatto è che, oltre ad avere avuto poco tempo, Louis e Vicki mi hanno fatta dannare!
E la parte di Niall non ci sarebbe dovuta essere, perché avevo pensato ad un altro POV,
così come non avevo immaginato l’ultima parte, ma alla fine il capitolo è venuto così!
Dico “così” perché non solo è totalmente diverso da ciò che avrei voluto, ma è anche
orrendo santo cielo ahhaha Io spero davvero di non avervi deluse, perché temo di sì!
Nella prima parte, Louis e Vicki sono molto particolari perché comunque non sono abituati
a relazionarsi in quel modo: Vicki è stranita/sopresa/cotta e stracotta e altri mille aggettivi,
quindi è un po’ tesa. E Louis invece sta provando a recuperare il tempo perso,
anche se le sue paure non sono affatto scomparse: e lo si vede quando Vicki gli parla
di Eleanor! Mi piacerebbero le vostre impressioni su loro due e su quello che li aspetta, please!
POV Niall: mi sono divertita a scriverlo, nonostante non sia nulla di che :)
Rosie è un po’ particolare e diciamo che il loro incontro è sicuramente fuori dalla norma!
Che ne pensate? :)
Ultima parte: Zayn è un po’ criptico, ma si capisce quanto abbia bisogno di Vicki vicino a sé,
e lei decide di rivedere i suoi programmi con Louis per aiutarlo (se non l’avesse fatto sarebbe
stata un po’ una stronza, insomma). Louis però aveva già intenzione di darle buca
per Eleanor! Zan Zan Zaaaaaaaan! Non mi esprimo su questo hahah Aspetto i vostri pareri :)

Scusate se questo spazio autrice è così sbrigativo ma ho un altro capitolo da revisionare,
quindi sono un po’ di corsa! Vi ringrazio come sempre di tutto e spero che questo vi sia piaciuto <3
 
Un bacione,
Vero.
  
  
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