Cap
7
-
Quanto hai detto di voler rimanere a
Monaco? – domandò Mark, non appena ebbero
recuperato i loro bagagli dal nastro
trasportatore.
-
Non l’ho detto, comunque penso una
settimana, ma se vuoi ti prenoto un volo prima. –
Scosse
la testa, non aveva alcuna voglia
di andare a fare la riserva a Torino. Un po’ di vacanza gli
avrebbe fatto bene.
-
Questa ragazza da cui hai detto che
staremo, è… sì, insomma, hai capito,
no? –
Rico
scoppiò a ridere. Mark aveva ancora
molto da imparare sulla vita del calciatore europeo, a cominciare dalla
timidezza che aveva nell’affrontare argomenti come le ragazze.
-
No, Lena è un’amica di mia sorella, è
carina ma non è il mio tipo. Troppo magra, troppo piatta e
troppo bionda. –
Mark
si unì alle sue risate. Quel ragazzo
gli era simpatico, aveva una spontaneità e un modo di vivere
che gli invidiava.
Si vedeva che non aveva chissà quali preoccupazioni e
responsabilità sulle
spalle.
-
Ti ho portato perché mi era sembrato che
Fiamma avesse catturato il tuo interesse, o sbaglio? –
commentò malizioso.
Arrossì
di botto, puntando lo sguardo sul
taxi che si era appena fermato davanti a loro.
-
Non capisco a cosa ti riferisci. –
mormorò.
-
Sì, certo, immagino. –
Salirono
sulla vettura, diedero
l’indirizzo al conducente e rimasero in silenzio per gran
parte del tragitto.
Di tanto in tanto Rico gli indicava qualche edificio storico o qualche
locale,
improvvisandosi guida turistica.
-
Quello è lo stadio, Lena abita a cinque
minuti da qui. – annunciò, catturando davvero
l’attenzione del giapponese. Sorrise
vedendolo sgranare gli occhi davanti all’imponente
costruzione.
-
È gigantesco. –
-
E non hai ancora visto il Camp Nou,
quello sì che è uno spettacolo. –
Il
taxi abbandonò la strada principale per
infilarsi su una stradina sterrata. Percorse una decina di chilometri e
si
fermò davanti a un cancello con tanto di telecamere di
sorveglianza. I Lotzen
economicamente erano messi addirittura meglio dei Price e
l’immensa villa
davanti ai loro occhi lo confermava.
Scesero
dal taxi e attesero che il
cancello si aprisse. Una ragazza bionda, alta ed esile come un giunco,
fece
capolino dalla porta e corse nella loro direzione, saltando in braccio
a Rico.
-
Finalmente sei arrivato, sono secoli che
non ci vediamo. –
La
strinse gentilmente a sé, assaporando
l’odore di fragola che la contraddistingueva.
-
Lena, non è passato poi così tanto
tempo. –
-
È come se lo fosse, mi mancano così
tanto le tue litigate con Karl. –
-
Immagino, c’è anche il biondastro? –
domandò, storcendo il naso.
Lena
scosse la testa, - Arriverà più
tardi, aveva da fare. –
-
E lui chi è? – aggiunse, spostando gli
occhi verdi su Mark.
-
Mark Lenders, la nuova rivelazione del
campionato italiano, sentirai presto parlare di lui. –
-
Bè, sei davvero carino, ma sei anche
così bravo? – domandò schiettamente,
sorprendendolo.
-
Fidati, lo è. – assicurò Rico.
-
Non l’ho chiesto a te. –
-
Sì, sono molto bravo. – affermò con
aria
decisa.
Lena
si aprì in un sorriso smagliante, -
Carino e anche sicuro di sé, una combinazione devastante.
Venite da questa
parte, immagino tu voglia vedere tua sorella, è di umore
nero. –
-
La partita è andata male? – domandò
Mark. Non l’aveva mai vista giocare, ma nel loro piccolo
scontro aveva notato
il suo eccellente controllo di palla e il tocco preciso. Chi dribblava
in quel
modo doveva per forza giocare bene anche durante una vera partita.
-
No, al contrario, hanno vinto. Tuttavia
Fiamma è incontentabile e non è soddisfatta della
sua performance. Benji ha
provato a farla ragionare, ma è così testarda.
–
Mark
sgranò gli occhi. Sapeva che Price
giocava al Bayern, ma non immaginava di incontrarlo. Sperava solo che
la serata
non fosse destinata a finire con una delle loro scazzottate.
-
Benjamin Price? Non pensavo che fosse
suo amico. –
-
Non lo era, ma sono entrati molto in
sintonia. Dovresti vederli, sono così carini. –
commentò, sorridendo con l’aria
di chi la sapeva lunga.
-
Sta a vedere che ti ho portato fino a
Monaco per niente. – ironizzò Rico, suscitando la curiosità di
Lena.
-
Ti piace Fiamma? Ragazza fortunata.
Comunque sei ancora in tempo, non credo che abbiano capito di piacersi.
-
Gli
strizzò l’occhio con aria complice e
lo fece arrossire violentemente.
-
Io veramente… -
Non
riuscì a finire di controbattere
perché proprio in quel momento fece la sua comparsa Fiamma,
splendida in shorts
di jeans e canottiera nera, intenta a ridere come se non avesse sentito
nulla
di più divertente in vita sua. Solo in seguito
notò il ragazzo che la teneva
sottobraccio, sorreggendola per non farle scaricare troppo il peso
sulla gamba
fasciata: Benji.
-
Rico, sei venuto. – esclamò, liberandosi
dalla presa del portiere e zoppicando verso il fratello. Non si
vedevano da un
paio di giorni, ma il legame dei gemelli in loro era più
forte che mai, l’idea
di stare lontani era impensabile.
-
Mark, ha costretto anche te a seguirlo?
– aggiunse, sorridendo all’indirizzo del giapponese.
-
Non mi ha costretto, in realtà ho
bisogno di un po’ di vacanza. –
-
Allora sei nel posto giusto, villa
Lotzen è un paradiso. – assicurò,
avvicinandoglisi per salutarlo con due baci
sulla guancia.
Era
un’usanza comune in Italia, ma non
aveva ancora fatto l’abitudine a quel contatto
così spontaneo ed espansivo che
contrastava con la tradizione giapponese. Comunque non aveva alcuna
intenzione
di lamentarsi, non ora che il cuore aveva preso a battergli
all’impazzata per
la sua vicinanza.
-
Lenders. –
-
Price. – replicò, scambiando un cenno
del capo con Benji.
-
Giusto, voi vi conoscete già, non ci
avevo pensato. –
Annuirono,
mentre Benji le si avvicinava
di nuovo e la guardava come aspettando una sua conferma.
-
Mi dai una mano ad andare in salotto,
Ben? –
-
Certo. –
Le
cinse la vita e la scortò lentamente
verso l’immenso salone, facendola accomodare sul lungo divano
bianco e
sistemandole due cuscini sotto la gamba.
-
Va bene così? –
-
Perfetto, grazie. –, poi si rivolse al
fratello, - Mi sta viziando fin troppo, è quasi peggio di
te. –
Il
campanello suonò, annunciando l’arrivo
degli ospiti che mancavano.
-
Deve essere Levin, torno subito. –
esclamò Lena, sfrecciando verso la porta.
Controllò il suo riflesso nel grande
specchio nell’angolo e, quando fu certa di essere
presentabile, aprì la porta.
-
Stephan! –
Gli
gettò le braccia al collo, ridendo
mentre il ragazzo la stringeva a sé con tanta forza da
sollevarla da terra.
-
Ehy, Step, vacci piano o finirai per
spezzare in due la nostra Barbie. – scherzò Karl,
dandogli una pacca amichevole
sulla spalla.
-
Ti ho detto di non chiamarmi così. –
borbottò Lena, separandosi dal ragazzo e tirando un calcio
al suo amico di
sempre.
Karl
era cresciuto con lei e, anche se
negli ultimi tempi si erano un po’ allontanati, continuavano
a essere quanto di
più vicino a una famiglia.
-
E io ti ho detto che continuerò a
chiamarti così. –
Sbuffò,
alzando gli occhi al cielo, - Ci
rinuncio, sei incredibile. –
-
Lo prendo come un complimento. Ora vi
lascio soli, piccioncini. – replicò, facendo loro
l’occhiolino e avviandosi
verso il salone.
-
Mi sei mancato. – disse Lena, tornando
ad abbracciarlo e giocherellando con le ciocche biondo chiaro del
ragazzo.
-
Anche tu. –
Si
chinò leggermente, catturandole le
labbra in un lungo e passionale bacio.
-
Com’è andata la partita? –
Lena
si rabbuiò leggermente, - Abbiamo
perso per due a uno. –
-
Era solo un’amichevole, ma sono sicuro
che sei stata assolutamente fantastica. –
-
Dici? Sì, in effetti sono stata davvero
brava. – confermò, aprendosi
nell’ennesimo sorriso.
Levin
scoppiò a ridere. Era questo che gli
piaceva di Lena, il suo essere divertente e allo stesso tempo con la
testa
sulle spalle; sapeva che molti la consideravano una ragazza frivola, ma
lui la
conosceva per come era davvero e non l’avrebbe cambiata per
nessun’altra.
-
Raggiungiamo gli altri? – domandò,
prendendola per mano.
Annuì
e accettò la mano che le veniva
porta, sorridendo quando la familiare sensazione di benessere e
protezione che
provava quando era con lui ritornò a scaldarla.
**********
La
partita con il Barcellona era finita da
circa mezz’ora e con l’uscita di Santana la squadra
aveva miracolosamente
trovato il goal, peccato solo che poco dopo Hutton avesse pareggiato su
un
assist splendidamente servito da Rivaul. Comunque da tutto questo Carlo
Ancelotti aveva imparato una cosa, l’arrivo di Rikki era
stato provvidenziale.
Quella ragazza inquadrava subito le persone, riusciva ad analizzare il
loro
gioco e a creare una strategia dal nulla. Era una pedina fondamentale
nel loro
team, peccato solo per il suo caratteraccio.
-
Espadas, posso parlarti un attimo? –
Rikki
lasciò la borsa della palestra
accanto al distributore delle bevande e si avvicinò
all’uomo.
-
Sì, mister? –
-
Volevo dirti che vorrei che visionassi
con me le registrazioni prima di ogni partita. Hai occhio, ragazza, e
un buon
suggerimento è sempre cosa gradita. –
Rimase
senza parole. Si era aspettata un
rimprovero per i suoi modi bruschi, o un tiepido complimento per aver
preso la
decisione giusta riguardo Santana, ma non un’offerta come
quella.
-
Certo, sarebbe un vero piacere. –
-
Bene, allora cominciamo dalla settimana
prossima. Prenditi qualche giorno di riposo, tra sette giorni ti voglio
nel mio
studio. –
-
Ci sarò. – assicurò. Gli rivolse un
rispettoso cenno di saluto e recuperò la sua borsa. Stava
uscendo dallo stadio
quando s’imbattè in suo fratello, intento a
chiacchierare con Rivaul e Hutton.
-
Rikki, che piani hai per stasera,
sorellina? – domandò, passandole un braccio
intorno alle spalle.
-
Esco, vado a fare un giro per Madrid.
Voi quando rientrate a Barcellona? –
-
Con chi esci? – domandò Ricardo,
improvvisamente serio.
-
Torniamo mercoledì. – replicò per lui
Oliver, rivolgendosi poi all’amico, - Ricardo, tua sorella
è grande, lasciala
in pace. –
-
Ecco, dai retta a Oliver. E comunque non
sono affari tuoi. –
-
No, ma saranno affari suoi se si
azzarderà a tenerti anche solo per mano. –
La
voce di Luciano risuonò alle loro
spalle, con una nota divertita, - Allora lo terrò a mente.
–
Oliver
e Rivaul osservarono la scena con
un sorriso divertito stampato sul volto, ora si che cominciava lo
spettacolo.
-
Leo, quindi è con te che esce, pensavo
peggio. – commentò, improvvisamente più
tranquillo.
-
Tanto per curiosità, chi pensavi fosse?
– domandò Rikki.
-
Warner o, Dio non voglia, Santana. –
Pronunciò
il cognome come se fosse
qualcosa di particolarmente disgustoso. Stava per aggiungere
qualcos’altro, ma
il passaggio di una ragazza attirò la sua attenzione.
-
Quella chi è? – domandò, senza
rivolgersi a nessuno in particolare.
-
Shelley Cooper, un’amica di Ed. –
replicò Luciano, che l’aveva conosciuta durante
gli allenamenti del giorno
prima.
-
Non farti strane idee, Ricardo. –
-
Del tipo, sorellina? –
-
Lo sai, non mi diventerai il dongiovanni
del Barcellona, voglio sperare?! –
-
Non garantisco nulla, sai quanto mi
piacciono le rosse. – replicò malizioso.
-
Fa un po’ come vuoi, basta che mi lasci
fuori dai tuoi casini. Ci vediamo domani, cercate di non distruggere
Madrid in
una sola notte. – si raccomandò, salutandoli con
un cenno della mano e salendo
in macchina con Luciano.
-
Pronta per visitare il lato oscuro di
Madrid? –
Lo
abbagliò con il migliore dei suoi sorrisi
maliziosi, - Assolutamente sì.
–
************
Shelley
arrivò agli spogliatoi proprio
mentre Ed ne usciva, finendo con il travolgerlo con la sua proverbiale
grazia.
-
Shel, capisco che tu sia contenta di
vedermi, ma in futuro cerca di non saltarmi addosso. –
ironizzò.
-
Spiritoso, in realtà ti stavo per dare
per disperso, è tardi e ho fame. –
protestò, mettendo su un adorabile broncio.
-
D’accordo, andremo non appena ti
degnerai di alzarti dalla mia schiena. –
-
Ops, scusa. –
Si
rimise in piedi e gli porse una mano
per aiutarlo.
-
Pensi che Carlos verrà con noi? –
Ed
scosse la testa, - Ne dubito, credo che
rimarrà fino a tardi per continuare ad allenarsi. E poi,
fidati, non vuoi
averlo intorno quando è di umore nero. –
Shelley
annuì, pensierosa.
Le
dispiaceva per lui, era un ragazzo
solitario e taciturno, ma si capiva che in fondo aveva un cuore buono.
-
Allora vorrà dire che saremo solo noi
due a cena. –
-
Già, ti va una pizza? – le propose,
cercando le chiavi della macchina in una delle tasche dei jeans.
Gli
occhi le si illuminarono: - È
esattamente ciò di cui ho voglia. –
-
Perfetto, c’è una pizzeria a pochi
minuti dallo stadio, possiamo andare lì. –
Lo
fissò titubante, l’idea di passare la
sera nella bolgia di un locale dopo quelle ore allo stadio non la
entusiasmava
molto.
-
Rilancio, pizza d’asporto e ci vediamo
un film nel comfort del nostro salotto? –
-
È andata. - approvò.
Mezz’ora
più tardi erano seduti sul
divano, intenti a mangiare gli ultimi residui della capricciosa gigante
che
avevano condiviso.
Shelley
si impadronì del telecomando, facendo
zapping finchè non trovò una vecchia commedia
romantica che fin da bambina
l’aveva stregata.
-
Preparati ad assistere a uno dei film
più belli della storia. – annunciò,
regolando il volume e accoccolandosi contro
il suo petto.
-
E sarebbe? – domandò, senza preoccuparsi
di celare il suo scetticismo.
-
Harry ti presento Sally. Fidati, ti
piacerà. –
Il
film finì e Ed dovette ammettere che
non era poi così male. Certo, il clichè degli
amici che s’innamorano sembrava
essere un classico nelle commedie d’amore, ma in qualche modo
gli era sembrato
vero, come se fosse una cosa che potesse capitare anche a lui.
Lanciò
un’occhiata a Shelley, che sembrava
persa in considerazioni tutte sue. I ribelli ricci rossi le
incorniciavano gli
occhi color cielo, la pelle simile a porcellana era ravvivata sul naso
e sotto
gli occhi da una spruzzata di chiarissime lentiggini. Per la prima
volta si
sorprese a pensare che Shelley fosse carina. Crescendo aveva preso le
forme
delicate della giovane donna che era diventata, ma
l’impulsività e la
goffaggine che l’avevano sempre caratterizzata erano rimaste.
Era strano per
una karateka, ma persino a diciannove anni compiuti sembrava incapace
di
camminare senza inciampare addosso a qualcosa o scontrarsi con
qualcuno.
-
Hai finito di fissarmi? Mi sembra di
essere una cavia da laboratorio. – scherzò,
cogliendolo sul fatto e facendolo
arrossire leggermente.
Non
stava facendo nulla di male, ma nei
suoi piani c’era quello di non dare nell’occhio e
invece si era fatto beccare
come un ragazzino colto con le mani nel barattolo della nutella.
-
Non ti stavo fissando, ero
sovrappensiero. – mentì.
-
Sai che capisco sempre quando menti,
vero Ed? –
Già,
non aveva ancora capito come facesse,
ma Shelley sapeva sempre quando stava dicendo una bugia.
-
Un giorno mi spiegherai come fai a
capirlo? –
-
Posso spiegartelo anche adesso, non è un
segreto. Sono i tuoi occhi, non sono capaci di mentire. –
Gli
rivolse un sorrisetto di superiorità e
si stiracchiò, soffocando uno sbadiglio.
-
Penso che me ne andrò a dormire, mi fai
compagnia? –
Probabilmente
chiunque altro avrebbe
trovato equivoca quella richiesta, ma Ed sapeva perfettamente che non
c’era
malizia nel desiderio che aveva espresso. Fin da piccoli avevano diviso
il
letto innumerevoli volte. Il fatto era che Shelley nutriva ancora una
paura
irrazionale nei confronti del buio e il dormire accanto a qualcuno
l’aiutava a
stare serena.
-
Certo. –
L’accompagnò
nella sua stanza e si sdraiò
accanto a lei. Si infilarono sotto le coperte e avvertì
chiaramente Shelley che
si acciambellava come un gatto e gli dava la schiena. Si
sdraiò a cucchiaio,
stringendola tra sé e il muro.
-
Grazie. – sussurrò la ragazza.
-
Per cosa? –
-
Per tutto, ti voglio bene. –
-
Anche io ti voglio bene. – replicò,
incerto, non capiva dove volesse andare a parare. Tuttavia Shelley non
aggiunse
altro e si limitò a un: - Buonanotte, Ed. –
-
Buonanotte, Shel. –
Spazio
autrice:
Eccoci qui con il nuovo capitolo.
Ringrazio tutti/e coloro che recensiscono, ricordano, seguono,
preferiscono o
fanno parte delle schiere dei lettori silenziosi. Spero che questo
nuovo
capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate. Al prossimo.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt