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Autore: Dira_    02/11/2013    12 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Little soul the world is a cold, cold place to be
Want a little warmth
But who’s gonna save a little warmth for me?
(Unbelievers, Vampire Weekend)



19 Luglio 2028

Londra, Piccadilly Circus.
Mattina.
 
Cambiare posto in cui stare era stata, ovviamente, un’idea di Milo.
Altro non avrebbe potuto essere visto che  si era lamentato fino al fastidio estremo che il Paiolo Magico – per lui una locanda del tutto rispettabile – fosse dotato di scarso igiene, personale poco qualificato e odori sgradevoli.
Alla fine gliel’aveva data vinta, soprattutto perché la locanda non era un luogo sicuro, essendo trafficata come un porto di mare; la scelta era quindi ricaduta sull’hotel in cui alloggiava anche Ama.  
Sören, alla luce di una nottata trascorsa, doveva ammettere che il Royal Inn era un posto piacevole; centrale, proprio su Piccadilly Circus, dalle grandi stanze di stucco chiaro e con uno scorcio trai palazzi vittoriani che dava direttamente sulla piazza. Il posto inoltre era gestito da due Nati Babbani, una coppia che aveva rilevato l’attività e l’aveva resa accessibile sia per i Babbani che per i maghi, con tanto di barriere ed incantesimi atti ad evitare spiacevoli incidenti diplomatici. Ama aveva consigliato loro bene.
Sì, tutto questo per non parlare del problema principale …
Sentendo bussare alla porta si accostò e guardò dallo spioncino, bacchetta alla mano; aspettava il servizio in camera e il piano era piantonato dalla scorta, ma meglio esser prudenti. Con sua sorpresa riconobbe la testa bionda di Milo. Aprì perplesso e questo spinse il carrello all’interno guardandosi attorno. “Beh, dov’è la nostra piccola ospite?”
“Dov’è il cameriere?” Replicò facendo per infilarsi le cinque sterline di mancia in tasca. “Perché ci sei tu?”
L’altro gli sfilò la banconota tra le dita. Prevedibile. “L’ho incrociato mentre ero agli ascensori. Ho pensato di venire a portartela io … dopotutto, chi è il tuo paggio?”
“Va’ via.”
“No.” Gli spinse il carrello praticamente addosso. “Si può sapere che è successo ieri sera?”

Già, ieri sera.
La sera prima, mentre stava uscendo dal Paiolo Magico si era scontrato con Lily. Ben poco gli era occorso per intuire che stava cercando proprio lui.
 
“Cosa ci fai qui?” Le aveva sorriso, stupito di vederla. Sapeva che quella sera aveva una cena con Scott e per questo si era ben guardato da contattarla per la solita chiacchierata serale, un’abitudine che avevano preso dopo la loro prima uscita a Camden. A volte si scambiavano giusto qualche parola tramite messaggio, altre restavano a chiacchierare per un’ora. Era la parte preferita della sua giornata.
Lily per tutta risposta non solo non aveva ricambiato il sorriso, ma era impallidita come se l’avesse visto reggere una testa mozzata.  
“… te ne stai andando.”
“Come?” Negli occhi dell’amica si erano affacciati due grossi, enormi e pericolosi lacrimoni. “Lily!” Aveva mollato la borsa a Milo, improvvisamente apparso al suo fianco, e l’aveva presa per le spalle, anche perché sembrava intenzionata a darsela a gambe.  
Perché non è con Ross?
“Cos’è successo?” Le aveva chiesto ignorando le occhiate curiose non solo di Milo, ma anche dei due auror di scorta. Poi aveva interiorizzato la frase dell’altra.
Crede che me ne stia andando. In America.
“Non sto tornando a Boston.”
“No? Ma la borsa…” Si era morsa un labbro lanciandogli un’occhiata che gli aveva fatto venir voglia di stringersela al petto e Smaterializzarsi in un posto tranquillo. Da soli.

Pessima idea.
“Mi trasferisco in un albergo a Piccadilly Circus. Ha misure di sicurezza migliori rispetto ad una taverna, e visto gli ultimi sviluppi…”
“… ed è pulito. Più che altro è quello.” Si era intromesso Milo. “Zenzero, cos’è quel faccino lacrimoso? Chi ti ha rubato i trucchi?”

“Milo!” Aveva ringhiato tirandola a sé. Quando aveva sentito la risatina dell’altra vicino al collo aveva realizzato di averla abbracciata sul serio.
Sei un idiota.
L’aveva lasciata con tutta la nonchalance che era stato in grado di fingere. Per fortuna era bastata, perché Lily aveva fatto un corrispettivo passo indietro. “Possiamo parlare …” Aveva iniziato. “… magari domani?” Aveva fatto una smorfietta imbarazzata. “Adesso hai da fare, è meglio se torno a casa.”
“No.” Aveva deciso su due piedi. Lily era scossa, e non aveva la minima intenzione di farla Smaterializzare fino al Devonshire in quelle condizioni. “Posso aspettare.”
“Prince, noi non possiamo.” Gli aveva subito fatto notare Langerman, uno dei due auror. “Lo spostamento è già stato notificato all’ufficio Auror. Se resti qui dovremo…”

“Fate ciò che dovete.” L’aveva fermato. “Non ho bisogno di un permesso per parlare con un’amica.”
“Dai, Ren, non fa niente.” Lily aveva scosso la testa, facendogli una carezza sulla spalla. Doveva essere stato piuttosto brusco con i due agenti se si era sentita in dovere di calmarlo.“Ci sentiamo non appena arrivo a casa?”

“Non ti lascio da sola.” Aveva poi riflettuto, cercando una soluzione. “Se non ti secca, puoi seguirci.”  
“Oh. Ah … certo!” Lily aveva annuito, guardando ai due auror. “È un problema se vengo anch’io?”
“No, non … direi.” Aveva esitato Langerman. Era chiaro stesse pesando la problematicità di includere nella loro piccola scorta la figlia del Salvatore. “Cioè, forse dovrei chiedere…”  
Lily, invece di dare in escandescenze come lui, aveva esibito il suo sorriso più incantevole. “Dai, Lucas, chiudi un occhio! Diciamo che Ren mi porta a far vedere la sua nuova stanza?” 

Ovviamente l’aveva spuntata; erano arrivati in hotel, fatto il check-in, e non appena la sua scorta aveva dato il via libera per la camera avevano finalmente potuto parlare.

E non abbiamo parlato affatto.
Almeno, non del motivo per cui non ha passato la serata con il suo ragazzo.
Avevano parlato dell’offerta di Albus invece. Lily si era mostrata sorpresa, ma aveva accolto positivamente la notizia. A quanto sembrava l’impicciarsi del fratello negli affari altrui non era cosa nuova per lei.
“È ancora nel tuo letto?” Chiese Milo distogliendolo dai suoi pensieri.
“Teoricamente, visto che non ci ho ancora dormito, non è mio.”  

Venne guardato con quella che poteva essere solo pena. “Non dirmi che hai dormito sul divano…”
E dove avrei dovuto dormire?
Lily gli aveva raccontato di utilizzare come cuscino le persone che gli dormivano accanto – l’aveva notato - e questo, al mattino, avrebbe potuto farle notare palesi irrigidimenti.

L’altra volta l’ho scampata solo perché ero troppo stanco.
Milo alzò gli occhi al cielo. “È fantastico che ti finisca sempre nel letto, ma la prossima volta magari cerca di esserci anche tu. Magari senza vestiti.”
“Falla finita.” Ribatté senza veemenza; aveva smesso di arrabbiarsi per le frecciatine dell’altro. Del resto non erano smesse neanche quando lo aveva minacciato. Andò quindi allo scrittoio e finì di scrivere i suoi spostamenti della settimana per poi passarglieli. “Portali al Ministero in mattinata.”
“Non sono un Gufo!”
“Per fortuna, dato che la lettera potrebbe essere intercettata da Johannes. Non fermarti in nessun posto, va’ dritto all’ufficio Auror.”

Milo sbuffò  ficcandosela in tasca con la solita, collaudata malagrazia. “Altro principino?”
“No, puoi andare.” Poi preso da un pensiero improvviso, più simile al panico che alla curiosità, lo fermò. “Se ha litigato con Ross, come pensi mi debba comportare?” Perché a parte offrirle un letto dove riposare, non aveva la minima idea di come comportarsi. “Una lite tra fidanzati non è cosa in cui sia mai entrato.”
“E non devi, prima regola!” Replicò squadernando un dito. “Seconda regola, ascoltala. Falla parlare, fatti raccontare tutto e ignorala se si ripete. Terza e ultima, dalle ragione qualsiasi cosa dica.”
“E se non la ha?” E Lily, per quanto fosse la più fantastica strega che gli fosse mai capitato di incontrare, sovente non la aveva, specie quando c’era un litigio di mezzo.

“Non è questo il punto, Ren.” Inarcò le sopracciglia. “Le donne come la tua rossa hanno sempre ragione. Anche quando hanno torto.”
Si passò una mano dietro la nuca, cercando di carpire la logica di quel ragionamento e fallendo. “Ti rendi conto che non ha senso?”

“Vuoi godertela alle spalle di Ross o no?”
“No!”
Sì.

Milo fece spallucce aprendo la porta. “La strategia rimane comunque valida. Buona fortuna!” Aggiunse salutandolo con la mano prima di tirarsi la porta dietro. 
Inspirò e si fece coraggio. “Lily.” Chiamò. “La colazione è pronta.”
Essere un migliore amico era una faccenda complessa.
 
Aprire le palpebre e trovarle incollate dal mascara era sempre una sensazione schifosa. Lily mugolò qualcosa, rotolando nell’enorme letto che non era evidentemente suo, perché le lenzuola non profumavano di casa ed era enorme. Spalancò gli occhi e lasciò andare un’imprecazione mentre la realtà dei fatti la centrava come un Bolide: aveva discusso con Scott ed era finita nel letto di Sören.
Di nuovo. No, Rossa, non ci siamo proprio.
Alla luce di una notte passata a dormire e di una lieve emicrania dovuta al troppo vino che non aveva smaltito con del sano sesso, si rendeva conto di essersi comportata come una scema.  
Rotolò di nuovo tra le lenzuola inamidate e controllò la sveglia digitale sul comodino: erano le dieci ed era una fortuna che quel giorno il suo turno fosse di pomeriggio.
Guardando fuori dalla finestra vide Londra, in un eccezionale scorcio sul Circus, e sorrise: di certo Milo era riuscito a farsi valere. Quel posto era favoloso.
Sören. Ren.
Era un problema da affrontare subito; avrebbe dovuto chiedergli scusa. Si era spaventata all’idea che se ne andasse ma questo non giustificava il fatto di avergli rubato il letto.
Lasciamo perdere a livello freudiano cosa significa.
Era stato bello però addormentarsi cullata dall’odore del tabacco aromatico che fumava l’altro. Si era sentita tranquilla con le luci di Londra che coloravano le tende e il profilo magro dell’amico affacciato al balcone.
Mi sono sentita nel posto giusto.
Stare in compagnia di Sören era la cosa che le riusciva meglio, negarlo era inutile.
Tornata dal bagno, sentì la voce dell’altro chiamarla. Forte di una riaggiustatina veloce al trucco – benedetta la magia cosmetica – si sentì pronta per affrontare la prima prova della giornata.
“Ehi!” Lo salutò entrando nel salottino che divideva con la camera di Milo. Di quest’ultimo nessuna traccia, e ne fu contenta.
Non potrei sopportare i suoi ghignetti saputi. Che sanno, eccome se sanno.
Sören in compenso era inappuntabile come al solito, camicia stirata e capelli tirati all’indietro dal gel che aveva per fortuna sostituito l’orrido balsamo per capelli con cui era arrivato a Londra.
Una mia piccola vittoria. Chissà se gli capita mai di ciabattare per casa in tuta e barba di tre giorni…

“Buongiorno Lilian.” Le sorrise finendo di versare quello che sembrava proprio salvifico caffè. “Ho pensato di far colazione qui.”
“Hai pensato benissimo!” Lo lodò sedendosi al tavolo e ringraziandolo quando gli scostò la sedia. Ormai si era abituata a quei piccoli gesti antiquati: erano parte di lui come gli occhi scuri e l’odore di colonia.

“Due zollette e un goccio di latte, giusto?”
“Sei un tesoro.” Doveva farsi coraggio e smettere di girare attorno all’argomento come l’altro le stava permettendo galantemente di fare. “Ti ho di nuovo occupato il letto … scusa.”
Sören non parve molto turbato mentre le si sedeva davanti. “Sta diventando un’abitudine.” Fece un sorrisetto. “Per fortuna il divano era comodo.”
“Per fortuna…” Ridacchiò suo malgrado, rilassata dal suo essere rilassato. “Comunque sto cominciando a pensare che tu intinga le tue federe di Pozione Sonnifera.”
“Di certo aiuterebbero la mia insonnia.” Replicò sullo stesso tono. “Ma no, temo piuttosto che sia la mia compagnia ad essere soporifera.”

“Scemo!” Sbuffò perché sminuirsi era la cosa che gli riusciva più facile e quella che meno avrebbe dovuto fare. “È che ho avuto una serata orrenda, e non appena mi sono rilassata sono crollata. Mi succede da quando sono bambina. Dovevi vedermi dopo i MAGO. Sembravo narcolettica, mi addormentavo ovunque.”
“Lo so, me l’hai raccontato …” Prese un biscotto e ci giocherellò con nessuna intenzione di mangiarlo. “… sono contento che la mia compagnia ti rilassi.” Ed era sincero da come stava evitando di guardarla in faccia. “Vuoi raccontarmi qualcosa anche … adesso?”
Era arrivato il momento di parlarne. Non ne aveva la minima voglia; non tanto perché era Sören il suo interlocutore, ma perché si vergognava. Non voleva sembrare un’isterica.
Che Scott avrà anche sbagliato, ma io mi sono agitata troppo.
“Non c’è molto da dire …” Iniziò prendendo un sorso di meravigliosa e robusta caffeina. “Abbiamo litigato per una sciocchezza … tutte le coppie lo fanno.”
Sören dovette intuire qualcosa perché scosse la testa. “Non era una sciocchezza. Ieri sera eri sconvolta.”
Sì, ma non per Scott, o almeno non solo. Pensavo di stare per perdervi entrambi nel giro di una serata.

… Quanto mi faccio schifo da uno a dieci?
“Mi conosci, sono un dramma ambulante, non…” Si bloccò perché Sören non se la stava bevendo neanche un po’. Aveva un modo tutto suo per mostrarsi scettico, ma basilarmente era guardarla come se gli stesse raccontando che la luna era fatta di cartapesta. “… okay. È stato piuttosto grosso come litigio.” Capitolò. “Non a livello di piatti tirati da un capo all’altro della stanza, ma…”
Sören spalancò gli occhi. “Ci sono persone che fanno cose del genere? Nella realtà?”

Lily ricordò un litigio tra sua zia Hermione e consorte che era finito nella distruzione totale del servizio da the del loro matrimonio. “A volte …” Non si sbilanciò. “Ma Scotty non è il tipo di persona che dà in escandescenze, ed io ho bisogno di una miccia per … beh.”
“Tirare i piatti?”

“Già.” Si sorrisero, bevendo in contemporanea dalle proprie tazze. “Abbiamo discusso per … è iperprotettivo.” Si risolse a dire. “Dall’attacco al San Mungo è diventato come un grosso cane da pastore!”
“Ha paura per te.” Osservò. “È comprensibile. Sei stata aggredita da una persona infetta di un morbo di cui non si è ancora scoperta la cura … e la cosa ti ha turbata.”
“Sì, ma ci sto lavorando, no? Le lezioni con te, le sedute con la Patil. Gli incubi vanno molto meglio e per il resto sono fuori dai giochi ed ho intenzione di restarci. Lo sa!”

“Allora cos’è che vi ha fatto litigare?”
Tu.
Dirlo però sarebbe stato piazzare una pozione esplosiva sul tavolo e aspettarsi che non facesse reazione. Non le piaceva mentire a Sören, quando gli aveva chiesto di dirle sempre e comunque la verità.
Ma non posso neanche esser sincera.
“Ha preso due biglietti per l’Australia.” Che non era poi una bugia. “Senza dirmi niente. Li ha comprati, ha preso due settimane di ferie e poi mi ha presentato il tutto come una bella sorpresa!”
“ … e dal tuo tono mi sembra di capire che non lo sia.”
No!” Si alzò in piedi, perché sentiva il fuoco della rabbia risorgere dalle ceneri di quella serata assurda. Fece qualche passo avanti e indietro, sapendo di sembrare una specie di leone in gabbia. “Doveva chiedermi prima cosa ne pensavo, se ero disponibile, se ero d’accordo! È come … Ren, è come obbligarmi a scegliere se mandare a monte tutto o assecondarlo! Non è una vera scelta … è una manipolazione! Ha parlato di proteggermi, ma è come se volesse rinchiudermi in una gabbia e portarmi oltre mare!”

 
Sören non sapeva come pensare.
La sola idea di veder andar via Lily prima di lui lo gettava nel panico quanto lo faceva arrabbiare – cosa stava cercando di fare Ross, allontanarli? - non capiva però perché l’altra fosse nel suo stesso stato mentale.
Sembra impaurita. E arrabbiata. Perché?
Il fastidio poteva capirlo: a nessuno doveva piacere esser messi di fronte ad una decisione mascherata da regalo. Ma non capiva gli altri due sentimenti. E doveva, perché era sicuramente un passo importante per decifrare il comportamento di Lily nell’ultimo periodo. E l’unico modus operandi che gli portava sempre risposte era far domande dirette, come l’agente che era.
“Ho capito che non ti piace che gli altri prendano decisioni per te.” Attestò. “Ma vuoi andare in Australia?”
“Non a queste condizioni!”
“Se te l’avesse proposto diversamente avresti accettato?”

Lily gli lanciò un’occhiata confusa. Eppure gli sembrava di esser stato chiaro. “ … non … non lo so!” Esclamò. “Non è questo il punto!”
“Qual è allora?” Fare le domande giuste non era semplice. Era un vero e proprio talento, e nel suo lavoro era una carta vincente. Speculare era altrettanto difficile – quella era la specialità di Estevez – ma poteva provare. “La modalità potrà non esserti piaciuta, ma trovi sensato il motivo per cui ti ha chiesto di andare?”
Dovette aver detto qualcosa di sbagliato, perché l’amica lo fulminò con lo sguardo. “Ma da che parte stai?”
Era una domanda stupida. Troppo stupida per non essere un trabocchetto dettato dall’evidente irritazione dell’altra. E se aveva imparato una cosa su Lilian era che, quando era in quello stato d’animo, era davvero bravissima a far degenerare la cosa in lite.
“Sto dalla tua parte.” Rispose con tono fermo. “Per questo sto cercando di capire se sei arrabbiata per l’idea in sé o per il modo in cui te l’ha proposta.” Fece una pausa e quando il concetto sembrò permeare aggiunse. “È quello che dovresti fare anche tu.”
Ross comunque aveva fatto un errore da principiante ad agire alle spalle di Lily.
Ha stuzzicato un nervo scoperto.
Aveva fatto un errore, ma le motivazioni di fondo erano buone.
Hai sentito, no? Vuole proteggerla. Vuole essere il suo cavaliere.
Vuole rubarti il posto.
Era sbagliato aver voglia di lasciar da parte la bacchetta per spaccargli la faccia a mani nude?
Lily si morse le labbra, incrociando le braccia e serrandosele al petto. “Non ci ho pensato…” Ammise con un borbottio ridimensionato. “Ero più occupata a dirgli quanto si era comportato da maschio dominante.” Scosse la testa. “Ma no, non voglio partire.”
“Perché? Che hai bisogno di una pausa lo dici tu stessa.” Se doveva essere un buon amico, doveva far tacere quella parte di sé che stava gridando di assecondare il suo malumore – come gli aveva consigliato di fare Milo, tra l’altro.  

Vuoi vederla felice? Ross la rende felice. Fa’ il tuo dovere.
“Sì, ma … qui ho delle cose in ballo, ho la terapia, i pazienti, te…” Esitò, chiuse gli occhi. “… te.” Ripeté piano e Sören, suo malgrado, sentì quella piccola parte di è – che raffigurava come un mostriciattolo verde – esultare. “Ti ho fatto una promessa, Ren. Ti ho promesso che ci sarei stata. Non intendo infrangerla per l’Australia.”
Non vuole partire perché è preoccupata per me.
Aveva sempre immaginato che sentir dire una cosa del genere da Lily lo avrebbe reso felice. Si era sbagliato: perché non era quello il modo in cui voleva che l’altra lo trattasse.
Come un amico, certo … ma anche come un paziente.

Si alzò in piedi, raggiungendola. “Lilian…” Ne cercò gli occhi con lo sguardo. “Non devi.”
“Non è che rimango solo per te, ma…”
“Che mi riprenda o meno il caso me ne andrò comunque.” Aveva una voglia terribile di toccarla. Supponeva che prenderla per le spalle come la sera prima andasse bene. Abbracciarla no, e dunque si astenne. “Tornerò in America. Ci sentiremo per lettera, come abbiamo sempre fatto.” Lì ci voleva un sorriso, e dunque lo esibì. “Non serve che siamo nello stesso paese per essere amici.”
Lily sembrava molto interessata al suo anello da come lo fissava ostinata. “Però non fa neanche male.”

“No, ma … non devi precluderti un viaggio perché credi di doverti occupare di me. Non ne ho bisogno.” Tolse le mani dalle spalle per ficcarle in tasca. Era una buona idea dato quello che stava per dire. “Non ho bisogno di te qui.”
Non è vero. Ma suppongo di poterne fare a meno. Per te.
 
Uno schiaffo in faccia le avrebbe fatto meno male.
Certo, Sören non era contento di vederla partire alle volte dell’emisfero australe, ma…

Non ha bisogno di me.
Roxanne aveva ragione: aveva bisogno che Sören avesse bisogno di lei. E la ragione era dolorosamente chiara a quel punto.
Sono ancora innamorata di lui.
Per questo ogni volta che aveva un problema correva da lui e non da Scott. Era ancora una quindicenne cretina, innamorata di un principe che esisteva solo nella sua testa.
Il problema è che esiste sul serio. Questo qui è Ren. Cento per cento.
Avevi visto lungo. È diventato davvero la persona di cui ti eri innamorata.
Solo che la cosa era tutt’ora unilaterale. Sören le voleva bene, un bene che forse non provava per nessuno, lo sentiva irradiarsi dal suo sguardo gentile – perché era un meraviglioso ragazzo gentile. Ma non la voleva.
Visto e considerato che ti consiglia di andartene in Australia con Scott. E che esce con Ama.
 
L’aveva ferita. Dalla faccia era così palese che si chiese perché non l’avesse ancora mandato al diavolo.
“Non è che non ti voglio qui…” Tentò di rimediare. “È che penso che dovresti prenderti cura di te, prima di preoccuparti per me. So che posso comunque contare su di te, anche ad un oceano di distanza.”
Perché era la vocazione di Lily fare la crocerossina di tutti i derelitti; e sapeva di essere il suo preferito, ma supponeva fosse ora di mettersi in piedi e lasciare la clinica.

L’Australia non è solo la sua occasione. Ma anche la mia.
Lily ispirò facendo un sorrisetto forzato. “Non hai tutti i torti. A volte perdo di vista il quadro generale.” Sospirò. “Grazie. Per il letto, la colazione e …” Fece un gesto vago. “… per avermi fatto ragionare.”
“Figurati. È quello che deve fare un amico.”
Vero? Ho fatto bene?
Trovò del tutto sensato accendersi una sigaretta e chiudere gli occhi finché non la sentì tornare dalla camera da letto, dove aveva lasciato scarpe e borsetta. “Meglio che vada.” Gli disse finendo di infilarsi i tacchi e ravviarsi i capelli con una mano. C’erano buone probabilità che quella sarebbe stata l’ultima volta che gliel’avrebbe visto fare quindi bevve con lo sguardo ogni movimento.  
Non partire. Non partire troppo presto almeno.
Nessuno gli aveva mai detto che le buone azioni lasciavano la bocca arida come il deserto. “Pensi di partire…”
“Non stasera di sicuro. Questo fine settimana c’è l’addio al nubilato. Forse lunedì … vediamo se Scott non ha riportato indietro i biglietti dopo il mio numero di ieri sera.”
“Non l’ha fatto.” Le aprì la porta perché era chiaro come il sole che aveva voglia di andarsene da come stava giocando nervosa con la chiusura della sua borsa.  

“Speriamo…”
“Ne sono sicuro. Vuole essere il tuo cavaliere dopotutto.”

Lily, che si stava drappeggiando lo scialle sulle spalle, si irrigidì di colpo, serrando le labbra. “Scott non è il mio cavaliere.” Quasi sbottò. “È il mio ragazzo.”
“Stavo solo usando una figura…”
“Ascolta, devo proprio andare, mi sta chiamando.” Gli mostrò il cellulare dove stava lampeggiando un segnale di chiamata. ‘Scott Ross’ vi lesse: prevedibile. “Ci sentiamo okay? Non è che ci salutiamo così.”
“Certo…” 

Prima che potesse chiedersi se doveva salutarla con un abbraccio o meno, fu l’altra a stringerlo, talmente forte da fargli credere volesse strozzarlo. “Mi mancherai.” Mormorò. “So che ti riprenderai il caso e che ci rivedremo, ma …”  
La strinse di rimando, attento a dosare la forza, ma aspirando il profumo dei suoi capelli e della sua pelle. Sarebbe stata una delle ultime volte, pareva. “Mi mancherai anche tu.”
Fu una fortuna essere abbastanza pronto a rilasciarla senza trattenerlo in maniera sospetta. “Ciao Lily.”
L’altra abbozzò un sorriso. “Ciao Ren.”

Sören si chiuse la porta dietro e vi appoggiò la fronte, inspirando: quanto sarebbe stato peggio doverla salutare sul serio?
 
 
 “Ti ho chiamato ieri sera, ma non mi hai risposto.”
“Avevo bisogno di sbollire.” Lily si strinse nelle spalle, anche se Scott non poteva vederla, presa ad attraversare il Circus con l’inquietante speranza che qualche macchina la mettesse sotto.

Almeno la botta dovrebbe schiarirmi il cervello.
“L’avevo immaginato.” Rispose, poi un’esitazione. Anche senza vederlo, poteva percepire il desiderio di lasciarsi tutto alle spalle. Il tono di voce con cui l’aveva salutata era stato abbastanza indicativo: Scott non amava le liti e preferiva seppellirle sotto il tappeto. “Piccola, so che ho sbagliato a non coinvolgerti, ma…”
“Va tutto bene, Scotty.” Suo malgrado sorrise: era più bravo di lei ad ammettere gli errori. Lo era sempre stato. “Ho sbagliato anche io a reagire in quel modo. Avrei potuto essere più comprensiva. Cerchi solo di aiutarmi.”

L’altro sospirò. “Questo pomeriggio vado a riportare i biglietti … All’Australia penseremo quando avremo la mente più sgombra, okay?”
“No.” Lo fermò. “No, sai, ci ho pensato … è una buona idea.” Fece una pausa, permettendogli di assorbire il concetto. “Però non posso partire domani … devo esserci per l’addio al nubilato di Rosie.”
“Okay.” Stava sorridendo adesso. E sentirsi una carogna ingrata non era mai stato così facile. “Hai ragione, in effetti anche io sono precettato per la festa di Scorpius. Lunedì?”

Se ne vuole proprio andare…
“Vediamo.” Non si sbilanciò. “Potrebbe andare bene, ma devo comunque avvertire un po’ di gente che me ne vado e lasciare delle cose in consegna alle altre Apprendiste.”
“Sei sicura? Perché se lo fai solo per me…”

“No!”
“Lily, sembra ti stia chiedendo di andare ad un funerale.”

Ha ragione. Cavolo se ha ragione. Mettici più impegno!
Inspirò, concentrandosi sul fatto che avrebbe potuto dir addio per due settimane – o forse anche di più, chissà – alla maggior parte dei suoi casini. E forse, dire addio a Ren sarebbe stato più semplice.
… se sono io la prima ad andarmene.
“Non dire sciocchezze!” Sbuffò. “Scotty, è una vacanza. Io adoro andare in vacanza. Sono ancora un po’ arrabbiata, ma non certo con le spiagge australiane!”
“Okay.” Ripeté. Non sembrava convito ma ci avrebbe lavorato su. Avrebbe aiutato fare sesso, magari, vista la mancanza del suddetto da più di una settimana. A letto si potevano risolvere tanti problemi senza parlarne. Più o meno.
“Ehi, Scotty … sarà grandioso.” Lo rassicurò cercando di infondere nel tono di voce tutto l’affetto che provava. Perché doveva andare bene. Perdere Sören sarebbe stata dura, ma avrebbe potuto superarla con il tempo. Perdere Scott sarebbe stato troppo. “Non sono stata una brava ragazza in queste ultime settimane, me ne rendo conto … ma rimedieremo. Australia, giusto?”
“Australia.” Confermò con un sorriso pallido nella voce. Ma era già qualcosa. “Ti amo piccola.”
Lily chiuse gli occhi e aspettò speranzosa che una macchina invadesse il suo lato di marciapiede. Non accadde nulla, quindi rispose. “Ti amo anch’io.”

Avrebbe voluto crederci come un mese prima.
 
****
 
Scozia, Hogsmeade.
 
“Sei sicuro che puoi prendere tutte queste ore libere di permesso?”
“Ma sì, vai tranquillo!”
Ted era tutto fuorché tranquillo, ma non gli pareva il caso di annunciarlo, con Benedetta nel sedile posteriore della macchina. Sorvolavano in quel momento la brughiera spoglia delle Highlands, e la bambina aveva il naso schiacciato al finestrino e gli occhi dorati colmi di meraviglia. Non aveva parlato granché da quando erano usciti dal San Mungo, limitandosi a seguirli tutta occhi.

Sembra che veda tutto per la prima volta.
Forse era così, rifletté lanciandole un’occhiata: Benedetta non aveva avuto molti contatti con il Mondo Magico da quando era nata, vivendo in una famiglia di Babbani e con un padre che non era stato inserito nel tessuto sociale di nessuno dei due mondi.
Ohi Ben!” La chiamò James, che faceva sempre più fatica a mantenere l’Incanto Traduttore, non essendo mai stato bravo negli incantesimi linguistici. Per fortuna la bambina sembrava cominciare a capire qualche parola di inglese. “La vedi quella roba scura laggiù, vicino alle montagne? È la Foresta Proibita, e subito accanto c’è casa!”
Casa.” Ripeté in inglese guardandolo interrogativa. “Casa?”
“Dove abitiamo.” Le spiegò in italiano. “Dove abiterai anche tu.”
Casa.” Annuì tornando alla contemplazione sotto di lei. Ripeté la parola più volte, facendosela rotolare in bocca e a Ted venne da sorridere.

Le deve sembrare una lingua così assurda …  
Dopo una ventina di minuti atterrarono nel piccolo spiazzo di fronte alla rimessa degli attrezzi. “Arrivati pulce!” Proclamò James rivolgendole un sorriso che venne ricambiato a trentadue denti.
Ci sa fare con lei.
Era un sollievo. Era preoccupato che l’altro stesse facendo troppe assenze, ma al tempo stesso era meraviglioso fosse lì e facesse ridere Benedetta.
Quando scesero, la bambina trotterellò nel giardino in percorsi tutti suoi, da come andò a controllare le aiuole, ammirò il vecchio dondolo – ma non ci salì sopra come si sarebbe aspettato – e annusò l’aria.

“Sa di bosco!” Dichiarò.
Ted annuì affiancandolesi. “In realtà è una foresta.” Usò volutamente il termine inglese. Era ora che imparasse; d’ora in poi sarebbe stata quella la sua lingua. “È molto più grande e si estende per chilometri. Sai quanto è lungo un chilometro?”

La bambina arricciò il naso. “Tanto?”
Ridacchiò, mentre James finiva di scaricare gli effetti personali che si erano accumulati nella stanza di ospedale, tutti provenienti dall’esteso clan Weasley.
Con tutta la roba che le hanno regalato potevamo tappezzarci l’intero reparto…
“Un chilometro è lungo mille metri. Un metro sono quasi tre dei tuoi passi.”
“E uno di Teddy, che è grande e grosso!” Replicò James carico di buste e pacchetti.
Ben li guardò speculativa. “Insomma, è grandissima.” Disse guadagnandosi un’arruffata di capelli da James. Avevano dovuto tagliarglieli corti dato lo stato in cui li avevano trovati.
“Esatto pulce … Questo sì che è un modo per riassumere la lezione del Professor Teddy!” Gli mostrò la lingua. “Avanti, portiamo tutti i tuoi regali nella tua nuova cameretta!”
“Sì!” Esclamò con convinzione. “La mia!”
Non è troppo piccola per reclamare già i suoi spazi?

James dovette leggergli nel pensiero, perché sogghignò. “E aspetta che arrivi all’età in cui Lily ha preteso un lucchetto alla porta…”
“Prima arriviamoci.” Borbottò seguendoli dentro; era nervoso, anche se ormai era uno stato d’animo a cui s’era abituato. Avevano reso la casa a prova di Mannaro, con incantesimi e barriere, ma non era quello a preoccuparlo. E se non le fosse piaciuta?

Se Lily mi ha raccontato giusto, viveva in un piccolo podere sulle colline toscane …
Pieno di sole, luce e colori; per quanto adorasse il loro covo delle Highlands, come lo chiamava Jamie, si rendeva conto che anche se poteva essere colorata, per colpa del clima non era né assolata né luminosa.
Salì le scale verso il piano superiore, seguendo le voci di James e Ben, un miscuglio di italiano e inglese che lasciava confusi ma comunque volenterosi entrambi. Trovò James sullo stipite della porta della camera, con un sorriso divertito dipinto in volto. Gli fece cenno di avvicinarsi. “Penso che le piaccia.”
A giudicare da come stava saltando sul materasso in grandi balzi pareva proprio di sì. “Le stelle!” Gridò entusiasta indicando le lucette che Lily aveva appeso sopra al letto. “Ci sono le stelle!” Tradusse in inglese.

Okay, sta imparando. Solo gradirei non lo facesse distruggendo suppellettili…
“Abbiamo un problema di disciplina…” Canticchiò l’altro al suo orecchio. “… che dici Teddy?”
“Dico che hai ragione…” Sospirò, ricordando bene quanto avesse combattuto proprio su quel fronte e proprio con lui. “Benedetta.” La richiamò usando il suo tono più fermo, cosa non facile perché Ben non era Jamie, e aveva sempre il terrore di spaventarla se parlava troppo forte. Ben lo ignorò.
“Uh, Teddy, non penso basti chiamarla…” Osservò l’altro, con un’espressione assolutamente compiaciuta stampata in viso. “Ci vuole il tono delle grandi occasioni.”
“Temo di sì.”

Ted era nervoso e spaventato, ma ricordava bene come funzionasse con un bambino di quell’età; era tutta una questione di autorità e limiti che venivano testati. Se le avesse lasciato fare ciò che voleva solo per paura di traumatizzarla non avrebbe assolto al suo compito.
Che mi terrorizzi o meno, sono il suo tutore.
“Benedetta, basta.” La bambina si immobilizzò, guardandolo tra il sorpreso e il riottoso. “Un letto è fatto per dormici, non per saltarci sopra. E non con le scarpe sporche.”
La bambina tentennò, ma se non l’aveva ancora accettato come autorità, era comunque tenuta buona dal suo tono. “Okay.” Bofonchiò con un intonazione che gli ricordò curiosamente James. Lanciò un’occhiata al compagno e quello soffocò una risatina.

Dejà vu immagino.
La prese in braccio per farla scendere e quando la mise a terra diede un’occhiata alle scarpe.
Okay, le lenzuola sono da cambiare …
“Sono sporche?” Le chiese indicandole. Aspettò di vederla annuire poi continuò. “Quando sono così voglio che tu te le tolga e le lasci davanti alla porta, va bene?”
Ben aggrottò le sopracciglia. “Così posso giocare sul letto bello?”

“Sei sveglia, pulce…” Commentò James divertito. “Non vuoi mica dormire nel fango, ah?” Usò il termine in inglese, e dovette funzionare perché la bambina scosse la testa e se le tolse, porgendogliele.
James gli lanciò un’occhiata perplessa e Teddy intuì che Benedetta si aspettava che gliele mettessero apposto. “Benedetta, puoi farlo da sola.” La istruì pacato. “Mettile davanti alla camera.”
La bambina ubbidì anche se l’espressione confusa e un po’ scocciata era indicativa.

“Mi sa tanto che ci siamo sbagliati sul fatto che fosse viziata.” Commentò James grattandosi la nuca. “Non c’è quella storia che i bambini italiani sono serviti e riveriti dalle proprie famiglie?”
“Non ne ho idea.” Ammise. “Ma è vissuta con i nonni per un periodo…”
Per anni è stata tirata su in una casa normale, circondata dai genitori e dai nonni. Forse è stata viziata.

“Oh, che importa … ti sei fatto rispettare!” Ghignò dandogli un colpo sulla spalla con la sua. “Hai visto come ti ha dato retta?”
“Ho fatto esperienza con bambini molto più testardi…” Commentò ricambiando il colpo. “E isterici.”
“Non ero isterico!”

“Eri un piccolo despota. Oltre che il caos incarnato.” Continuò bloccando un pugno diretto al petto e tirandoselo contro. Bloccarlo in un abbraccio era l’unico modo per evitare di essere colpiti, specie dai calci. “Vorrei ricordarti l’incidente della libreria… La mia libreria e la tua scopa, in collisione.”
“Tentavo solo di attirare la tua ottusa attenzione, Teddy.” Rispose con uno di quei sorrisetti monelli che non l’avrebbero mai lasciato, neppure da anziano. “Non è colpa mia se non capivi i miei pegni d’amore.”

“Più pegni di dolore, direi…” Fece per baciarlo, perché Merlino, non poteva non farlo quando aveva quell’espressione dipinta in faccia, che riassumeva alla perfezione tutte le cose che adorava di lui …
Ho messo a posto! Ho fame!
La vocetta di Benedetta per poco non gli fece venire un infarto. Per essere così piccola sapeva muoversi con l’accortezza di un auror in servizio. Con orrore si chiese se non fosse il caso di spiegarle perché stava abbracciando James e soprattutto, perché avesse una mano sul suo sedere.
Gli avranno fatto quel discorso? Cosa saprà dell’omosessualità?
James risolse le cose  nell’unico modo possibile, ovvero facendo finta di niente. Fece un passo indietro, fluido e a suo agio. “Okay pulce, cosa ti va di mangiare?”
“Pasta col pomodoro!”
“Sei fortunata, ho ancora della salsa dall’ultimo tentativo italiano … Avanti, corri di sotto e cerca la cucina.” La istruì, facendola schizzare via subito dopo. Poi gli sorrise. “Beh, non va’ troppo male, no?”

Sorrise di rimando e gli diede finalmente il bacio che voleva; a quando sembrava, d’ora in poi avrebbero dovuto cambiare un po’ di cose. Non sarebbe stato male, no. Solo diverso.
 
****

Ministero della Magia,
Mattina.

 
L’occasione faceva l’uomo ladro, anche se nel caso di Michel non era niente di così disdicevole.
Imbattersi in Emil mentre stava per imbarcarsi nell’ennesima giornata lavorativa era però considerabile una buona occasione. Ottima, visto che aveva in progetto una sorpresa e aveva la sensazione che se gliel’avesse comunicata per telefono avrebbe ricevuto un rifiuto.
Emil.” Lo chiamò tra le frotte di funzionari che correvano spediti verso i propri uffici. L’altro, che veniva dal lato opposto, si bloccò rischiando di farsi travolgere dal flusso. Conoscendo bene la poca pazienza dei suoi colleghi a quell’ora, fu lesto ad afferrarlo per un braccio e pilotarlo in una nicchia tra due camini.
“Per Faust, sono salmoni che risalgono la corrente o cosa?” Sbuffò questo, raddrizzandosi la giacca che portava sopra ad una felpa poco impegnativa. Come ogni volta, rimase piacevolmente colpito da come non sembrasse mai malvestito, persino con cose che sembravano prese da due armadi diversi.
“Paragone azzeccato.” Convenne “Commissioni per Prince?”
“Puoi giurarci … il rompicoglioni mi ha preso per un Gufo.” Replicò guardandosi attorno distratto. “Ho dovuto comunicare all’ufficio auror i suoi spostamenti.”
“Come sta affrontando l’esclusione dal caso?”
“Ronzando attorno a Lily Potter e cercando di trovare l’ispirazione per farsi riprendere…” Focalizzò l’attenzione su di lui per la prima volta. “Non hai da andare al lavoro tu?”
Ormai riusciva a capire quando  diventava aggressivo per mascherare nervosismo. “È il motivo per cui sono qui ed ho una ventiquattro ore in mano.” Confermò. “Va tutto bene?”
Emil fece spallucce ma da come tamburellava le dita sulle gambe la risposta era sottointesa. “Tutta questa gente … tutta assieme e zero finestre. Quanto cazzo siamo sotto poi?” Guardò in alto, quasi stesse tentando di contare i metri che lo separavano dal livello stradale.  Michel si chiese se quella non fosse l’ennesima ferita che il suo essere Magonò gli aveva inflitto.  
“Questa è l’ora in cui tutti i funzionari entrano in ufficio, per questo vedi tanta gente.”  
“Già, beh…”
Non era quello il posto giusto per parlare. “Vuoi venire nel mio ufficio? Cooperazione è scarsamente popolata.” Aggiunse gentile, passandogli una mano sul braccio per poi fargliela scivolare lungo la nuca. L’altro fece scattare gli occhi nella sua direzione, teso, ma non si scostò. 

Ho passato un anno intero a gestire le crisi di panico di Al post-Dursley. Niente che non abbia già visto.
“Voglio uscire.” Fu il mugugno riottoso con cui lo ricompensò. Vista la sua riluttanza a mostrarsi debole era molto. “Ma immagino che questo magma non sia destinato a finire nei prossimi cinque minuti.”
“Più del cinquanta per cento della popolazione magica lavora al Ministero. Fa’ i tuoi conti.”

“… fa’ strada.”
 
Se fosse dipeso da lui di certo non avrebbe seguito Zabini.
O almeno così si ripeteva cocciutamente. Si sedette sulla poltrona di fronte all’enorme scrivania di mogano, imitato dal mago che fece poi Apparire un bicchier d’acqua. Lo trangugiò grato.
“Ti succede spesso?”
“Non era un attacco di panico.” Rispose scocciato; non era semplice spiegare l’ansia che gli attorcigliava le budella ogni volta che vedeva troppa gente stretta in un posto. Troppi maghi soprattutto.
E cazzo, zero finestre. Sembra il Centro.
“Non eri a tuo agio però.”
Non dirmi, Sherlock.

Si strofinò la nuca e alzò lo sguardo. Michel lo stava studiando, tanto per cambiare. “Beh?” Domandò non impegnativo. “Cos’hai intenzione di fare con me adesso?”
“Farti rilassare.” Al suo ghignetto malizioso alzò gli occhi al cielo. “Non in quel senso. Sfortunatamente non mi sono concesse certe attività al lavoro.”
“Noioso.” Argomentò stravaccandosi sulla sedia; era comunque un sacco comoda. “Allora? Ci fissiamo profondamente negli occhi?”

“Volevo invitarti fuori stasera.” Lo sorprese. “Ti avevo accennato qualcosa tramite messaggio…”
“Sì, ed io ti avevo detto che non sapevo se ero impegnato.”

Michel per tutta risposta infilò una mano nella tasca della giacca e tirò fuori una busta. La spinse nella sua direzione. “Non ti sto invitando a cena.” Soggiunse sibillino.
“Stai cercando di comprarmi?” Ironizzò rimediandosi un’occhiataccia. “Okay, okay …” La aprì e la salivazione venne azzerata quando estrasse il contenuto: erano due biglietti.
Royal Opera House.
Questa non se l’era aspettata.
“Ti porto a vedere il Flauto Magico.” Spiegò con un sorriso che era indubitabilmente compiaciuto.
E ne aveva tutte le ragioni, perché adesso stava sbavando.
Razza di bastardo…
Erano anni che non ascoltava quell’opera e, in generale, non metteva piede in un teatro; non che Sören glielo avesse mai proibito, né le sue attuali finanze costituivano un problema.
È solo che è deprimente andarci da solo.
Avrebbe potuto chiedere al principino, ma se n’era sempre vergognato; era scoprire una parte del suo passato che mal si accordava con l’idea che dava di sé.
E non ho mai avuto voglia di spiegarmi.
Con Michel non serviva però. Da che lo conosceva, non era mai servito. “Li avrai pagati un occhio della testa.” Disse per dire qualcosa. “Specie visto il rischio che ti dica di no.”
“Non mi dirai di no.” Obbiettò come se fosse un dato di fatto. Era snervante, ma diavolo se aveva ragione. “Non sarebbe carino farmi andare da solo.”
Fece una smorfia, girandoseli tra le mani. “Non ho neanche il vestito adatto. Come hai detto tu, mi vesto solo come se dovessi rimorchiare in un club.”

“Nei nostri teatri non c’è un vero e proprio dress code … puoi venire come preferisci.”
“Col cavolo.” Sbuffò non riuscendo a trattenere il sorrisetto che finirono per scambiarsi. “Non sono mica uno zotico come voi inglesi. Cravatta nera e abito, è la regola.”
“Allora sono sicuro che troverai una soluzione entro stasera.” Michel si alzò, aggirando la scrivania come un dannatissimo gatto pigro e diavolo, aveva ragione anche stavolta. Lo guardò sedersi sul bordo del bracciolo e chinarsi sopra di lui. “Sei un ragazzo pieno di risorse, no?”
“E tu sei uno stronzo manipolatore…” Soffiò afferrandolo per il bavero della giacca. “Ti piace proprio giocare a quello che mi conosce, eh?” Non gli diede il tempo di rispondere, baciandolo e trattenendosi per il rotto della cuffia dal morderlo. Quelle labbra piene desideravano solo essere assaggiate. Il risultato lasciò senza fiato entrambi per qualche attimo.
“Ed è vero?” Gli chiese, pupille dilatate e respiro corto. “Le conosco?”
Non poteva mentire visto che era una domanda retorica. “Non so quanto ti convenga, maghetto… Non sono il genere di persona che la gente freme di conoscere.”
“Io invece credo proprio di sì.”

Parlare per metafore era quanto di più simile ad una dichiarazione.
È preso da te, bello. Andato, del tutto.
… e la cosa mi sa che è reciproca, eh?
Il bussare alla porta incrinò la bolla in cui si erano rinchiusi. Michel si tirò in piedi, aggiustandosi con due colpi delle dita la giacca. “Avanti.” E c’era una differenza abissale tra quel tono da automa frigido e quello di poco prima.
Da come si irrigidì poi capì che il tizio appena entrato, di colore come lui e altrettanto inamidato, proprio non gli andava giù. “Michel, devo farmi tre corridoi interi per avere una risposta?”
Michel fece una smorfia che parlava da sola. “Sono appena arrivato, avrei risposto…”
“Ti ho fatto recapitare un Promemoria. Io e Draco possiamo contare sulla tua presenza a pranzo oppure no?”

“Sì, padre.”
Ah. È suo padre.

In effetti notava una certa somiglianza; il tizio era più anziano e aveva la pelle più scura, ma di certo da giovane doveva essere stato una bellezza esotica al pari del figlio. Si notava ancora negli occhi scuri da orientale e le labbra disegnate. Poi venne notato.
“Spero di non aver interrotto qualcosa.”
Solo io che mi stavo per scopare tuo figlio sulla scrivania.

Sorrise disimpegnato, alzandosi e tendendo la mano. “Nulla di importante, Signore. Solo un amico in visita. Me ne stavo andando.”
L’uomo gli strinse la mano di rimando, lanciandogli un’occhiata che poteva essere classificata solo come tagliente. “Blaise Zabini. Mi vanto di conoscere tutti gli amici di mio figlio, e mi duole non aver ancora fatto la sua conoscenza, Signor…”
“Meinster.” Non aggiunse altro. Del resto, non aveva voglia di esser carino con un Purosangue affetto da un grave caso di bacchetta infilata nel culo. 

“È un mio vecchio amico d’infanzia.” Tagliò corto Michel con aggressività inaspettata. Si sarebbe aspettato piuttosto nervosismo, visto che il suo essere Magonò poteva notarsi da un momento all’altro.
Nessuna bacchetta, la spilletta che ho appuntata alla giacca che, oh! Recita “Magonò” così non mi chiedono la bacchetta all’accettazione …
Blaise Zabini fece un’impercettibile cenno con la testa, sorridendo nello stesso modo in cui facevano tutti quelli della sua risma. Era un sorriso che non arrivava mai agli occhi. “Capisco.” Si voltò verso il figlio. “Conto di vederti a pranzo allora?”
“Ci sarò.” Confermò. Quando ebbe lasciato la stanza, Michel cacciò un lungo sospiro che la diceva lunga su quanto lo avesse trattenuto.
“Simpatico …” Commentò. “Spero di non averti rovinato il pranzo.”
“Non preoccuparti, dovrebbe esserci prima qualcosa da rovinare.” C’era qualcosa di infinitamente triste nel modo in cui appariva indifferente a ciò che aveva appena detto.  

Fu questo che lo spinse ad avvicinarsi. Non abbastanza da toccarlo, ma abbastanza da vedere come la mascella era tesa in una linea dolorosa. “Tutto bene?”
Michel tentennò solo qualche istante. “No.” Disse pacato. “I rapporti tra me e mio padre sono difficili … da sempre. Non approva molte delle mie scelte di vita.”
“L’omosessualità?” Anche se non era un vero e proprio tabù nella società magica, i Purosangue erano in generale poco contenti di trovarsi un figlio interessato al suo stesso sesso.

Significa un figlio che non procrea … e  che non porta avanti la linea di sangue. Bella rogna.
“Tra le varie.” Annuì tornando dietro la scrivania. “In realtà da quando è nato il mio fratellastro è l’aspetto di me che meno lo infastidisce.”  
Posso vederlo perché vuole farmelo vedere?
“E quali sono gli altri?”
Michel fece un sorrisetto amaro. “Si possono riassumere con un semplice concetto. Non approva me.” Fece un gesto elegante per indicarsi. “In toto.”
Non capiva. “Per gli standard da stronzo Purosangue a me sembri abbastanza perfetto.”

Michel lo guardò senza dire niente per qualche attimo. “Non sei l’unico ad avere degli scheletri nel baule.” Disse poi con tono stanco: era come se quell’incontro l’avesse spento. In quel momento sembrava davvero indifeso.
Sapeva quando non insistere – con Sören aveva fatto una bella palestra – quindi prese i biglietti rimasti sulla scrivania e se li infilò in tasca. “A stasera?”
Sul viso tirato dell’altro apparve un piccolo sorriso. Si rifiutò di realizzare che era a quello che aveva puntato sin dall’inizio.
“Sì, a stasera.”
Doveva decisamente trovarsi un vestito.

 
****

The Royal Inn, Piccadilly Circus.

Pomeriggio.
 
Ama aveva capito dal giorno stesso in cui avevano escluso Sören dal caso che quest’ultimo non avrebbe mai fatto un metaforico passo indietro. Non davvero.
Quindi non si stupì quando incrociò Scorpius Malfoy mentre usciva dal bar dell’albergo.
Questo in compenso strabuzzò gli occhi e impallidì.  “Sergente Gillespie!” Esclamò. “Qual buon vento!”
È qui per aggiornarlo sul caso.

Ci avrebbe scommesso il distintivo. “Non direi.” Replicò glaciale. “Alloggio qui.”  Non gli diede tempo di inventarsi una scusa e andò dritta al punto. “Visita a Prince?”
“… Già.” Ammise stringendosi le spalle. “Volevo solo controllare come se la passava, del resto…”
“Farò finta di non vedere che hai una borsa che probabilmente andrebbe controllata.” Alla sua espressione meravigliata fece un secco cenno della testa, già pentendosi della sua parzialità. “Vattene.”
“Sissignora!” Fu lesto ad obbedire. Ama sospirò: non solo lo aveva ragguagliato sul caso, ma gli aveva portato anche tutta la documentazione.

Ora doveva solo capire cosa farne di quella faccenda. Oggettivamente, lo sapeva: avvertire i suoi superiori e passare a loro la patata bollente.
Soggettivamente …
Era curiosa: Sören era la persona più ligia alle regole che conoscesse, ma del resto, nella vita di ogni agente c’era un caso che rappresentava l’eccezione, sia alle regole che alle proprie convinzioni. Il Demiurgo era quello di Prince.
Entrò nel bar, un profluvio di oro laccato e specchi a parete giganteschi. Si sentì come un pesce fuor d’acqua, ma quando vi trovò l’altro pensò che invece, a lui, quel posto si addiceva. C’era qualcosa nella sua postura, nel modo in cui parlava e ti guardava che ti faceva pensare che venisse da un altro secolo.
Il secolo dentro questa stanza.
Sören era così immerso nella lettura di uno dei fascicoli che non si accorse del suo arrivo finché non gli fu davanti. Quando la riconobbe non tentò di giustificarsi, né di nascondere le prove. Si limitò a guardarla e questo la confuse.
“Cosa stai…”
“Sai benissimo cosa sto facendo, Ama.” Rispose quieto.  

Avrebbe dovuto dirgli chiaro e tondo che era nei guai fino al collo, ma fu più forte la curiosità. “Mi sono scontrata con l’agente Malfoy entrando … Come lo hai convinto?”
Sören esitò, mostrando per la prima volta del sincero rammarico. “Scorpius è un bravo ragazzo. Gli ho chiesto io di prendere le cartelle … Ti prego di non prendertela con lui.”
“Non è una questione di prendersela!” Esclamò incredula. “Malfoy rischia una sanzione disciplinare a passarti informazioni! Se lo denuncio ai suoi superiori…”
“Non lo farai.”
Boccheggiò e stavolta la rabbia la centrò come un arciere. “Non lo farò? Mi stai ordinando…”
“Non ti sto ordinando niente.” Replicò sullo stesso tono. Non smetteva di guardarla e dannazione, non poteva farsi convincere da un paio d’occhi tristi.

È ridicolo!
“Sono il tuo sergente, è mio compito …”
“Perché sei diventata un agente?” La interruppe.

Ama si morse un labbro, lasciandosi cadere sulla sedia accanto a lui. Se il discorso doveva prendere quella piega tanto valeva fosse seduta. “Sai benissimo il motivo per cui l’ho fatto. Non credo non ci sia un solo agente del SAGITTA che non ne sia a conoscenza…”
“Per tuo padre.” Annuì chiudendo la cartella che stava consultando; era quella con i sospetti finanziatori del Demiurgo. Avrebbe strangolato Malfoy. “E per proteggere le persone che non possono farlo da sole.”
“Sì, e quindi?”

“E quindi puoi capire perché sto mettendo a rischio la mia carriera e la mia già compromessa fedina penale. Questo è il mio caso.” Non avrebbe dovuto sembrarle così maledettamente eroico mentre reperiva informazioni e lavorava alle spalle di ben due Dipartimenti di difesa. Eppure …
Ama si passò una mano trai capelli, chiudendo gli occhi. “Non puoi lasciare che ce ne occupiamo noi?”
Sören ignorò la sua domanda. “Thierry non è il vostro mago.” Disse invece.
Era una partita vinta in partenza quella. Del resto, non era mai stata d’accordo con la decisione di sua madre e del Capo Potter. “E perché?”
“Perché è morto sette anni fa.”
“Ma il suo profilo dice…”
“Il profilo non è aggiornato. Ho visto il suo cadavere, fui incaricato di farlo sparire. Al momento i suoi possedimenti sono detenuti da un prestanome, un lontano nipote … Il cui interesse maggiore è la beneficienza. Neppure lui è il vostro uomo.”

Avrebbe voluto prenderlo a pugni. O baciarlo. Chissà se la Potter provava mai l’irritazione che provava lei quando se lo trovava di fronte. Chissà come si comportava con lei, a parte morirle silenziosamente dietro.
Non è questo il momento, Gillespie!
“È questo il tuo piano?” Domandò. “Fare indagini in parallelo e farti giustizia da solo?”
Sören scosse la testa. “Voglio che siate voi ad arrestare mia madre e Johannes. Voglio che siano assicurati alla giustizia e che vengano processati. Non ho vendette in agenda.”

Sei una persona migliore di me, allora.
Ma non lo disse, limitandosi ad una smorfia. “Avresti potuto proporti come consulente.”
“Il Capitano e Harry Potter non me lo lascerebbero mai fare. Non adesso almeno. Devo convincerli che la mia presenza qui è necessaria, ma devo portar loro un motivo.” Batté la punta delle dita sul fascicolo. “Ma ho bisogno di avere informazioni per mostrargli che sono indispensabile.”

“Hai poco tempo.”
“Me ne rendo conto.”

Rimasero in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri: una parte di lei avrebbe voluto denunciare quella che era una palese infrazione. L’altra però capiva le motivazioni di Sören. E le scusava.
“Non dirò niente di quel che ho visto oggi.” Decretò, ma lo fermò prima che potesse ringraziarla. “Ma non ti coprirò se la cosa verrà fuori.” Si alzò in piedi. “Se vedo un altro fascicolo fuori dal Dipartimento o Malfoy che gironzola da queste parti…”
“Sei stata chiara.”
“Lo spero.” E pensare che era venuto a cercarlo per passare un po’ di tempo assieme. “Non sono venuta qui per…” Esordì per poi tacere di fronte all’espressione ancora rigida dell’altro. “… per spiarti.” Terminò miseramente. “Milo mi ha detto dov’eri e volevo …”

Sören aggrottò le sopracciglia in piena confusione. “Volevi?”
Non ci puoi arrivar da solo?! Dio, che nervi!
Aveva avuto fidanzati e fiamme passeggere, aveva flirtato e si era lasciata corteggiare, ma con Prince era come camminare in una terra inesplorata con le armi – di seduzione - spuntate.
Devo cambiare approccio.
“Ho notato che indossava un completo. Andate da qualche parte stasera?” Stornò per darsi il tempo di pensare a qualcosa di intelligente da dire.
“Non io, lui.” Sören scosse la testa, rilassandosi in un tono più amichevole. “Ha un appuntamento … mi ha dato il tormento tutto il pomeriggio perché gli dessi un parere su cosa indossava.” Fece una faccia che la fece ridacchiare. “Per una volta i ruoli si sono rovesciati.”
“Pensavo che conoscesse solo il termine rimorchiare.”
“Sì, l’ho sempre pensato anche io.”

A ben guardare, l’unica cosa che aveva sempre funzionato con l’altro era stata la bruta sincerità. Quindi decise di provarci. “A proposito di appuntamenti… Spero che il nostro rimanga confermato per questo venerdì.”
“Assolutamente.” La guardò di sottecchi, tornando di colpo all’età che avrebbe dovuto avere e non a quella di un vecchio guerriero stanco. Aveva funzionato. “Se non hai cose migliori da fare, potresti farmi compagnia … Il the delle cinque qui è una sorta di rito.”

Ama sorrise e si sedette. “Volentieri.”
 
****
 
Covent Garden, Royal Opera House.
Sera.

 
Milo stava cominciando a pentirsi dell’idea balorda che aveva avuto.
Avrebbe dovuto dire di no, prima di tutto; dire di no perché …
… perché sì.
Controllò l’orologio per fare qualcosa, giocherellando con la sigaretta che avrebbe voluto sostituire con uno spinello, se solo non fosse stato gomito a gomito con almeno un centinaio di persone che affollavano l’entrata del teatro, vestite di tutto punto e in attesa di entrare.
Chiuse gli occhi e contò fino a dieci per tenere la mente occupata e non farla andare nel panico.
Erano più di dieci anni che non metteva piede in un posto del genere. Ogni cosa gli tornava familiare, dalle forme slanciate e neoclassiche dell’Opera House – che gli ricordavano certi teatri del Continente – come il profumo costoso delle donne e il luccicare delle scarpe  degli uomini.
Faceva male; era un dolore sordo, simile a quello di un dente cariato. Era nostalgia.
Gli era mancata quell’atmosfera; le chiacchiere dei melomani, l’attesa, i programmi stropicciati tra dita impazienti. Gli era mancata e dunque non andava bene.
Torna nella tua fogna, ratto di strada. È a quella che appartieni.
Avrebbe dovuto andarsene, togliersi quello stupido abito da sera affittatoe andare al Black Goose. Trai suoi simili, a farsi apprezzare per niente in particolare.
Aveva la bocca secca e le mani sudate, se la stava facendo sotto eppure era ancora lì, ad aspettare lo stronzissimo maghetto. Perché, dietro tutte le sue seghe mentali, lo voleva.
Avrebbe voluto darsi un pugno in faccia da solo.
“Emil.” La voce del suddetto apparve come il famoso diavolo di cui tutti parevano parlare. Si voltò e lo trovò perfetto.
Anche quello era un problema da niente.
“Ehi.” Gracchiò girandosi la sciarpa tra le mani. Il principino l’aveva obbligato a prenderla, considerando che senza di essa la sua mise non sarebbe stata completa.
Michel parve notare il suo nervosismo, ma non commentò. Lo prese invece sottobraccio con una familiarità che avrebbe meritato una frecciatina. Avrebbe dovuto, ma…
Non mi sto aggrappando.
“Paura da palcoscenico?” Gli chiese gentile. “Guarda che stasera sei solo un ospite…”
“Sto benissimo.” Replicò sostenuto, rimediandosi un’occhiata perfettamente consapevole. “Alla grande. Entriamo?”
Mai dimostrare debolezza, neanche di fronte all'evidenza.


Aveva forse fatto il passo più lungo della gamba?
Michel lo considerò brevemente, guardando il viso pallido e teso dell’altro mentre si accomodavano nel palchetto che aveva loro riservato: aveva capito che l’abbandono delle scene aveva costituito per lui un trauma, la chiave di volta che l’aveva portato lontano dalla sua vecchia vita, ma forse non aveva considerato quanto l’avesse segnato.
Se è così nervoso…
Eppure era lì. Aveva accettato l’invito perché gli era piaciuta l’idea. Si era illuminato quando aveva visto i biglietti.
Aveva solo bisogno che qualcuno lo invitasse.
Doveva quindi continuare su quella linea, perché Emil apparteneva alla musica e non ad una bettola o a vicoli sudici. Avvicinò la sedia alla sua passandogli la mano sul braccio. “Abbiamo i posti migliori.” Gli sussurrò all’orecchio. “L’opera ha ricevuto eccellenti recensioni ed è la Prima … C’è ottimo materiale per una serata perfetta, non credi?”
Emil lo graziò di uno dei suoi sorrisetti. “Sì, è chiaro che hai speso un mucchio di soldi.”

Ignorò la frecciatina perché era solo l’ennesima difesa senza senso.“Allora lasciati viziare.”
Non vi fu risposta, ma non ce ne fu bisogno: Emil gli strinse la mano con più forza di quella che ci stava mettendo lui. Ed era un buon segno.

“… Non metto piede in un teatro da dieci anni.” Mormorò guardando oltre il palco, verso la platea e oltre il sipario di pesante drappo rosso. Era sul palcoscenico in quel momento e non lì con lui.
“Ricordi?”
Emil fece un cenno nervoso, passando le dita della mano libera sul parapetto di velluto. “Ne ho tanti. In posti come questo c’ho passato la mia infanzia… L’odore, mi riporta indietro.” Chiuse gli occhi ed inspirò. In quel momento era vulnerabile e bellissimo.  
Si chinò per sfiorargli la guancia con le labbra e lo vide aprire gli occhi per guardarlo sorpreso. Sapeva che baciarlo languidamente non sarebbe stato altrettanto efficace. Mentre le luci calavano e i mormorii si spegnevano aggiunse. “È il momento di tornare nel presente. Goditi lo spettacolo.”
Emil gli sorrise – un sorriso vero stavolta – ed annuì.
 
****
 
Da qualche parte nel Lancashire …
(Vicino Preston)

“Londra, dunque?”

“Spero tu non abbia pronta una scusa per, Johan. Voglio Londra.”
“Tutto quello che comanda la mia Signora.”
Quello che apprezzava di Sophia era la naturalezza con cui si piegava alle continue modifiche del suo aspetto. Non molte streghe avrebbero apprezzato vederlo ringiovanire ed invecchiare più volte nel corso di una giornata.
Le baciò il collo, ispirando l’odore di fiori che l’accompagnava da quando la conosceva. Gigli e gelsomino gli aveva rivelato una volta. Era un profumo che indossava da quand’era ragazza. 
“No, mia Signora, mantengo le mie promesse … quando posso.” Le allacciò la collana che gli porse, accarezzando la schiena nuda. “La situazione non è delle migliori, lo sapete.”
“Immagino non sarà possibile avvicinarsi alla Londra Magica.” Osservò. “Ci cercheranno.”
“È probabile, sì.” Convenne. “Tuttavia la Londra Babbana non è di minor pregio.” La consolò, guardando il riflesso allo specchio. Sembrava immersa in qualche pensiero, lo capiva dalla ruga che le solcava le sottili sopracciglia scure. Era così da più di una settimana: da quando Sören aveva scoperto che era ancora viva per la precisione.“Qualcosa vi turba?”

“No.” Scrollò le spalle, chiedendogli con un cenno di prenderle la vestaglia, e facendosela scivolare addosso quando gliela porse. Fece qualche passo verso la finestra. “L’Inghilterra che fin’ora mi hai mostrato è noiosa.” Stimò. “È tutta paesaggi … nient’altro. Spero davvero che Londra sia all’altezza dei tuoi racconti.”
“Lo è.” Si sedette sullo sgabello della toeletta, tirando fuori una sigaretta ed accendendola. “Dovete aver pazienza.” La blandì per l’ennesima volta. Stava diventando sempre più difficile farsi ascoltare senza far sfociare la cosa in un litigio e quindi, dopotutto, l’idea di visitare la Capitale faceva meno danni di quanto ne procurava la solitudine di quei luoghi. “Non appena avremo trovato una soluzione per il Demiurgo e avremo riscosso i nostri Galeoni potremo salutarlo per sempre. Potremo avere un’isola sperduta nei Caraibi o un palazzo indiano. Quello che desiderate e dove volete.”

Sophia incrociò le braccia al petto e, anche se con riluttanza, annuì. Del resto, pensò con una punta di soddisfazione, con tutti i suoi capricci dove sarebbe potuta andare? La morte di Von Hohenheim l’aveva resa libera, certo, ma anche sola al mondo.
“Ci sono sviluppi?”
“Ci stiamo muovendo nella direzione giusta…” Non si sbilanciò; non aveva certo intenzione di dirle che la chiave dell’intera operazione avrebbe potuto essere il moccioso. Per quanto la strega che gli stava di fronte non avesse mai mostrato un briciolo di istinto materno da che la conosceva, non era detto che avrebbe gioito allo sfruttamento del frutto dei suoi lombi.
Speriamo che quel cagnetto rognoso serva a qualcosa …
Fu con quel pensiero in testa che, qualche ora dopo, accolse il capo-ricerca Loher.  
“Loher, cosa tieni in mano?” Domandò gioviale facendolo accomodare nella libreria, facendosi versare poi dall’Elfo due dita di liquore che offrì all’ometto che lo trangugiò di buona lena.
Facile far lavorare per te chi ha un vizio che puoi controllare.
“La soluzione che mi avete chiesto.” Prese la scatola metallica che gli porgeva e la aprì. Dentro c’erano due siringhe ipodermiche. Una vuota, l’altra piena di un liquido giallastro. “Vedo che hai seguito il mio consiglio…”
L’altro annuì, versandosi da solo un altro bicchiere. “Vi lascerà tempo per prelevare il campione di cui abbiamo bisogno senza danneggiare il soggetto.” Fece una pausa e poi prese coraggio da quel che stava bevendo per continuare. “Ci serve vivo e in salute, Johan. Se lo ricordi.”

“Lo so.” Richiuse la custodia con uno scatto secco. E sorrise.
 
****
 
Note:

Insomma, anche questo capitolo-ciccioso. Si fa quel che si può col tempo che si ha. :P

Buon Lucca Comics a tutti quelli che ci vanno! :D
Questa la canzone del capitolo, assieme a quest’altra.

Per l’hotel di Sören e compagnia mi sono ispirata al Café Royal, che esiste ed una cosa da sbavo. Qui una delle sale su cui ho modellato il bar. Tanto roba.
Nel prossimo: la festa, una chiacchierata Al/James, la mattina dopo di Milo/Michel. Non necessariamente in quest’ordine!
  
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