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Autore: Water_wolf    02/11/2013    6 recensioni
[STORIA IN FASE DI RISCRITTURA]
Sintesi della mia vita: sfida mortale.
Dopo aver attraversato un fr-- portale magico anticonformista, la lista di persone che mi vogliono morta si sta allungando parecchio.
Perché? Perché sono l'Ereditaria del Segno del Sagittario, e non solo. Oppure perché ho sfiga.
***
Lo colpii prima con un calcio, poi lo affrontai con il cuscino. [...] Pride si sbilanciò e mi cadde sopra. Mi ritrovai schiacciata sul fondo del divano, con un solo misero cuscino a dividermi dalle labbra di Pride. [...] -Quella mossa era spudoratamente sleale- mormorò, ansimando un poco.
***
-No, è una sfida lanciata secondo le regole di Marte e fatta in suo nome e quello di Giove, non c'è modo di annullarla se non vincendola.
-O perdendola- aggiunsi io.
***
–Ma non è un sogno, vero? Sono finita nel Paese delle Meraviglie del ventunesimo secolo, giusto? Con cavalli parlanti, spade magiche e gatti stregati?
-Veramente i gatti stregati non ce li abbiamo- precisai. –Per il resto, sì, hai centrato più o meno il bersaglio.
***
Tante coppie shippose e peripezie alla 'Rick Riordan' (non che io sia minimamente brava come lui, che è un colosso çwç)
Genere: Azione, Comico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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11. Stringo la mano al Minotauro

Venni svegliata da un urlo, seguito da uno strillo e un tramestio infernale. Mugugnai qualche maledizione tra i denti, mentre rotolavo giù dalla sponda del letto. Tirai via la coperta dal materasso, avviluppandola intorno al mio corpo, e oziai qualche minuto sul pavimento. I miei capelli erano una massa color inchiostro sul tappetto.
Lo sentivo sussurrare: “resta qui con me, Victoria, sono morbido, caldo e comodissimo”. Un altro strillo mi svegliò del tutto. Grugnii, mi misi in ginocchio e mi riportai indietro il nido d’aquile nero, facendo abituare gli occhi alla luce del mattino. Mi liberai della coperta, lasciandola ammassata sul pavimento, e mi alzai. Le ginocchia scricchiolarono con quel rumore inquietante di ossa contro ossa.
Nei miei panni da zombie, ossia un pigiama enorme di un colore indistinto tra la carta da zucchero e il grigio, aprii la porta e mi trascinai fino al luogo da cui proveniva tutto quel rumore. Ricordai che Fatima si era nascosta nella stanza dell’Ereditario del Cancro, chiudendosi a chiave e rifiutandosi di uscire. Reazione molto lecita, se aveva attraversato il villaggio dei centauri e aveva visto due zampe equine di troppo.
Bussai piano sulla porta e domandai, in tono gentile:- Fatima, sei qui dentro? Mi faresti entrare?
-Chi… chi sei!?- mi aggredì, subito sulla difensiva.
–Victoria- risposi, ma mi resi conto che probabilmente non le interessava il mio nome, bensì se mi sarei all’improvviso trasformata in un boa constrictor. –Sono umana, non ho intenzione di farti del male- aggiunsi, conciliante.
Sentii un po’ di trambusto, la serratura che scattava e infine la porta si schiuse. Fatima mi sbirciò da dietro di essa, valutò la mia pericolosità – davvero minima di mattina appena alzata – e mi fece entrare. Varcai la soglia e, subito, avvertii uno spostamento d’aria. Mi abbassai di scatto, evitando l’attacco, mi rialzai e bloccai le mani di Fatima.
La mia schiena scricchiolò, protestando per quell’improvviso movimento. Fissai la ragazza, gli occhi verdi rossi di pianto e la fronte corrucciata; le labbra strette per la rabbia di non essere riuscita a mettermi al tappetto.
–Non voglio farti del male- ripetei, calma ma decisa. –Metti giù la lampada…?
In effetti, stava proprio brandendo un’innocente lampada da comodino come una mazza da baseball. Trattenni una risatina sciocca, perché avevo visto persone difendersi con tutto, dagli ombrelli ai gatti, ma mai con quel soprammobile.
Fatima mollò la presa sulla lampada, facendola cadere a terra. La lampadina al suo interno si infranse, e la stanza piombò in una semi oscurità. Lasciai la presa sui suoi polsi, lentamente, e feci un passo indietro. Sospirai, stiracchiando i muscoli.
Fatima giocherellava con una ciocca del suo caschetto, fissando i suoi occhi nei miei. Portava ancora gli stessi vestiti di ieri, felpa macchiata compresa. Aspettai che dicesse qualcosa, ma, con mia sorpresa, mi gettò le braccia al collo e iniziò a singhiozzare come una bambina.
La feci sfogare, mentre le passavo una mano sulla schiena con movimenti circolari e sussurravo:- Va tutto bene. Non c’è niente di cui aver paura.
Diverso tempo dopo, Fatima tirò su col naso, si staccò da me e si sforzò di sorridere. -…Grazie.
Fissò la mia spalla e, seguendo il suo sguardo, scoprii una macchia bagnata e sporca di mascara nero.
–Mi… mi dispiace per il p-pigiama- balbettò, arrossendo.
Feci un gesto con la mano come a voler scacciare via quella scusa.
–Mi è successo di peggio, non hai idea di quanto sia appiccicoso il muco di un ariete.
Fatima rise.
–Questo è il sogno più fuori di testa che abbia mai fatto- dichiarò, mentre ridacchiava.
Poi, puntò le sue iridi smeraldine su di me, in modo accusatorio.
–Ma non è un sogno, vero? Sono finita nel Paese delle Meraviglie del ventunesimo secolo, giusto? Con cavalli parlanti, spade magiche e gatti stregati?
-Veramente i gatti stregati non ce li abbiamo- precisai. –Per il resto, sì, hai centrato più o meno il bersaglio.
Fatima smise di giocherellare con i capelli e annuì più volte. Si sedette spalle contro il muro, mi invitò con lo sguardo a unirmi a lei e, quando eseguii, disse:- Allora voglio delle spiegazioni.
Appoggiai la schiena al muro e con gli occhi guardai il soffitto.
–Ne sei sicura?- chiesi.
–Mh mh.
Le raccontai tutto dall’inizio della storia. Di come gli esseri fatati vivevano in pace, degli uomini che rischiavano di estinguerci per la loro stupidità, della decisione di responsabilizzarli unendoli alla magia e legandoli alle stelle, del marchio degli Ereditari, dell’imminente guerra. Le dissi che lei era una di noi, che se acconsentiva, mio padre avrebbe potuto verificare e avere la certezza della sua identità di Ereditaria.
Senza che quasi me ne accorgessi, Eltanin si intrufolò nella stanza e si sedette accanto a Fatima, intervenendo con qualche commento sulla storia. Finimmo per narrarle le nostre esistenze da quando eravamo nate fino a quel giorno, e la nuova arrivata si rilassò, raccontandoci anche la sua vita.
Una ragazza newyorkese che era costretta ad assumere due volti: uno per i suoi genitori, da ricca e intelligente studentessa modello; un secondo per tutti quelli che la conoscevano intimamente, dove poteva essere se stessa e sbizzarrirsi su come cambiare il mondo e farlo diventare più verde.
Incredibile pensare che suo padre era un magnate del petrolio. Stavamo ridendo come stupide a una battuta di Eltanin, quando Pride entrò nella camera.
Sentimmo tutti i suoi occhi addosso, perché lui era già completamente vestito – jeans, maglietta stampata e una camicia a scacchi arrotolata ai gomiti -, mentre noi sembravamo appena uscite dal circo degli orrori.
–Abbiamo visite, preparatevi- ci informò, laconico; voltò le spalle e se ne andò.
-Che simpatico- commentò Fatima, alzandosi con un colpo di reni.
–Forse dovresti ricordargli che ti deve una cena- scherzai.
Scoppiammo a ridere all’unisono. Indicammo alla bruna dove trovare dei vestiti puliti e il bagno, la salutammo e ci infilammo nelle rispettive stanze. Aprii le ante dell’armadio e ci ficcai la testa dentro. Era molto più facile alla Brighton: non avevo che tre cambi d’abito, decisamente molta meno scelta rispetto ad adesso.
Afferrai una gonna non troppo corta, con fantasia scozzese blu, bianca e rossa, delle calze collant in tono e una maglietta a maniche lunghe blu scura. Cercai di darmi un’aria seria da Ereditaria pronta a tutto, visto che Pride non aveva speso una parola per descrivere il nostro ospite. Scelsi dei meravigliosi stivali neri, che arrivavano sotto il ginocchio; uno dei capi rock che Eltanin mi aveva prestato.
La trovai ad aspettare che Fatima si vestisse, così mi accodai e, quando fummo tutte e tre pronte, scendemmo le scale per andare al piano di sotto. Non appena misi piede in soggiorno, mi accorsi che un puzzo infernale stava appestando la casa. La bionda mi scoccò un’occhiata interrogativa, mimando una morte per asfissia con abilità sorprendente.
–Victoria!- mi chiamò mio padre dalla cucina.
Seguii la sua voce, mentre la puzza aumentava d’intensità. Mi sembrava di stare entrando in un’area radioattiva e il colorito verdognolo di Pride, affianco a mio padre, era un’ulteriore prova. Pholos batté le mani, salutò tutte, prestando particolare attenzione a Fatima.
-Da quel poco che ho potuto osservare- iniziò. –Ho intuito a quale segno tu fossi legata. Per questo, ho chiamato un amico e l’ho fatto venire qui, per fargli verificare di persona la futura e con tutta probabilità Ereditaria del Segno del Toro.
Annuii, ma ormai la mia mente si era distaccata dalla prefazione di mio padre.
Accanto a lui, esattamente alla sua destra, c’era un enorme uomo. Ma non un normale uomo corpulento, uno di quelli che esagerano con le alette di pollo.
Intendo una persona alta dai tre ai cinque metri, con la pelle nera come il catrame; le gambe erano quelle di una capra muscolosa, con tanto di peli folti e zoccoli. Sul punto vita, una sottospecie di gonnellino giapponese gli copriva le parti intime, mentre dalla cintola in su era nudo e mostrava dei mostruosi pettorali. Dallo sterno, una criniera nera gli ricopriva il capo, la testa gigantesca di un toro. Un anello d’argento gli passava tra le narici e diversi orecchini gli adornavano le orecchie.
E puzzava come una discarica.
Sentii le gambe farsi molli.
L’amico di mio padre era un minotauro.

-Ragazzina, non esistono profumi per centauri a lunga durata. Sarebbe più facile se tu facessi finta che non odorassi come una carogna.
La voce cavernosa mi riportò alla realtà. Sbattei un paio di volte le palpebre.
–Eh?
Eltanin scoppiò a ridere, con quella sua risata a sirena dell’ambulanza, che prima è costante e sullo stesso piano, finché non arriva a picchi isterici. Fatima la guardò, stranita.
–Perdonala, Asterione, è fatta così- si scusò Pholos per me.
Il minotuaro sbuffò:- Aquario, giusto?
Mio padre annuì. Rinunciai in partenza a far smettere di ridere Eltanin, così mi concentrai su Asterione. Gli porsi la mano, titubante.
–Salve, sono Victoria, figlia di Pholos- mi presentai, nonostante la “a” del salve tremò più del Titanic mentre si spezzava.
Il minotauro rise, mi strinse la mano e mi abbracciò come se fossi una vecchia amica. Se il mio pensiero quando gli avevo porto la mano era stato “ti prego, non mangiarla”, quello di adesso era “aiuto, un tir che trasporta pesce morto mi vuole uccidere!”. Quando si staccò, iniziai a boccheggiare in cerca d’aria.
Pride si avvicinò a me, sussurrandomi all’orecchio:- Ti è andata bene, a me è toccato aprirgli la porta ed essere abbracciato a sorpresa.
Lo guardai con occhi sgranati di chi ha appena incontrato un famoso sportivo sopravvissuto a chissà quale disgrazia. Asterione scalpitò sugli zoccoli, fremente d’eccitazione.
–E tu, piccola? Qual è il tuo nome?- domandò a Fatima
. Pensai sarebbe scappata a gambe levate, invece, assunse un cipiglio deciso e si presentò:- Fatima McLaren, piacere di fare la tua conoscenza, Asterione. Il vero nome del Minotauro, non è così?
Mi parve di vedere un sorriso disegnarsi sul suo visone da toro.
–Credo che noi due andremo d’accordo.
-Lo credo anch’io- confermò Fatima. –Allora, vogliamo procedere con questa prova? Non mi dispiacerebbe sapere di potermi trasformare in un minotauro, se non fosse per l’odore.
Pholos indicò la porta.
–Vogliamo andare fuori?- domandò, e subito ci avviammo.
Quando fummo lì, però, mio padre ci disse:- Solo noi tre. Aspettate qui- e chiuse la porta.
-Be’, Fatima ha tirato fuori la grinta- commentò Eltanin.
Le brillarono gli occhi.
–Chi ha voglia di disobbedire a Pholos?
Non ci fu bisogno di risposta. Corremmo fuori, facendoci piccoli piccoli e nascondendoci dietro gli alberi del boschetto che percorreva il perimetro della casa. Asterione, Fatima e mio padre camminarono fino ad un punto nel mezzo di esso, dove un grande cerchio erboso circondato da abeti forniva un buon punto di raccolta. Ci appostammo qualche metro più in là, attenti a non farci notare.
Il minotauro sfilò da un fodero, allacciato al gonnellino, un coltellaccio a un solo filo. Posò la lama sul collo della ragazza, sotto la nuca, e tagliò via dei capelli.
Mi portai una mano sul punto in cui anche Pholos aveva trovato il mio marchio, ricordando le forti emozioni di quel giorno. A quanto pareva, ero l’unica che aveva accettato con così tanta difficoltà il suo destino.
Asterione mormorò qualche parola in una lingua sconosciuta, poi premette due dita sul punto appena liberato dai capelli. All’inizio, non successe niente.
Poi, Fatima urlò. Pholos la prese prima che potesse cadere e, con non poche difficoltà, la bloccò schiena a terra.
Il viso della bruna si distese un po’, smise di combattere e lasciò che gli spasmi di dolore si calmassero. Mio padre le domandò se stava bene e se poteva vedere il tatuaggio. Lei annuì.
Si alzò in piedi, ancora un po’ tremante, e si sfilò la maglietta. Non era bruciata perché, se era l’Ereditaria del Segno del Toro, il suo elemento era la terra. Questo spiegherebbe anche il perché del suo sollievo al contatto con l’erba.
Asterione levò il capo al cielo ed emise una specie di ululato. Ne capii subito il motivo.
Lungo la spina dorsale di Fatima, vi era il disegno di una battaglia: tori e minotuari combattevano contro diversi nemici, vincendo ogni volta. Era come un grande affresco, magnifico anche se statico e non in movimento come il marchio mio e di Pride.
A sorpresa, mio padre si girò nella nostra direzione e disse ad alta voce:- Vi conviene scappare dentro casa, se non volete scoprire la forza bruta di Asterione.
Mentre ce la davamo a gambe levate, sentimmo riecheggiare alle nostre spalle la risata gutturale del minotauro e quella meno cupa del centauro.

Speravo che l’avere trovato una nuova Ereditaria fosse un motivo più che ragionevole per rimanere a casa e rilassarsi, invece, Pholos spedì me e Pride di nuovo a New York. Non avevo la minima intenzione di passare il portale.
E se Ermete si fosse divertito a farmi finire in Cina? O, peggio, in una zona di nontempo?
Il mio passo si faceva sempre più lento e incerto man mano che il fiume si avvicinava, così come la radura dove avrei evocato il portale. Invidiai Eltanin e Fatima, le quali potevano rimanere qui senza cacciarsi nei guai.
Pride mi scosse per una spalla.
–Tooori, ci sei? Mi ero inginocchiato, ma tu sei rimasta in piedi a fissare il vuoto.
Mi morsi le labbra.
–Pride- iniziai, la voce angelica. –Per questa volta, non potresti andare da solo?
Mi guardò storto.
–Dai, giusto per oggi, non mi sento bene- continuai.
Incrociò le braccia.
–Ti prego- supplicai.
Sbuffò.
–Farò qualsiasi cosa tu voglia!- azzardai, allargando le braccia, impotente.
–Non vorrai dirmi che, dopo aver invocato l’aiuto di Giove, hai paura di un portale creato da Ermete.
Preferii sfoggiare un sorriso idiota piuttosto che rispondere.
–Tori, io non vado di là senza di te- sentenziò, determinato.
–Perché?- sbottai. –Vuoi davvero torturarmi?
Non gli diedi tempo di rispondere. Girai i tacchi, allontanandomi, nella speranza che mi lasciasse andare. Evidentemente, avevo sottovalutato la forza di volontà di Pride.
–Aspetta!
-No!- replicai. –Se mi vuoi con te, devi prendermi!
Cominciai a correre.
–Non fare la bambina!- mi gridò dietro Pride, ma scattò verso di me.
Scartai a destra, nel tentativo di fargli sbagliare direzione, ma il ragazzo aveva dentro di sé DNA di leone, conosceva i trucchi delle prede. Mi fu subito dietro e, quando cercai di trasformarmi, mi bloccò le braccia. Scalciai, agitandomi e gridando. Pride non si fermò, anzi, mi caricò di peso sulle spalle e evocò di tutta fretta in portale. Non si inginocchiò nemmeno, ma snocciolò a una velocità impressionante una serie di scuse e promesse per aiutarlo in quella situazione.
–Lasciami, ti prego! Adesso, anche tu finirai in una zona di nontempo per colpa di Ermete!- mi ribellai invano.
Avvertii il consueto strappo allo stomaco e, poco dopo, qualcosa di bagnato mi picchiettò sul viso. Non ero in piedi, bensì sdraiata sull’asfalto impregnato dalla pioggia. E Pride era sopra di me, ansimante.
–Non sembra anche a te un dejà-vu?- chiese, con un pallido sorriso.
Mi mossi a disagio sotto di lui, la presa ferrea ancora sulle mie spalle.
–Già- convenni.
–Se mi avessi ascoltato, prima, non sarei stato costretto a fare tutta questa scenetta patetica.
La pioggia gli bagnava i riccioli, poi ricadeva sulle mie guance, quasi stessi piangendo.
–Oh, ma davvero?- ribattei, scettica.
–Sì, davvero- disse tagliente.
–E perché, sentiamo.
-Perché…- si interruppe, lanciò uno sguardo in basso e fissò i suoi occhi nei miei. –Perché non avrei permesso che ti succedesse qualcosa di male in mia presenza.
Fu peggio che subire la carica di Gwen. Il fiato mi si mozzò in gola, la pioggia scomparì, ma lasciò il freddo. Tremai sotto di lui. La mia mente si svuotò di ogni pensiero razionale.
Aprii la bocca, cercai di articolare qualche parola, ma ogni tentativo risultò inutile. La presa di Pride si fece meno salda. E allora mi accorsi che potevo fuggire da quella situazione.
Senza pensare, gli sferrai una ginocchiata nelle costole, facendolo crollare a terra.
Mi rialzai, mi sistemai la gonna e gridai:- Stai mentendo!
Il ragazzo si mise a fatica in piedi.
–Sì…- boccheggiò.
–Sì, cosa!?- urlai. –Dimmi: “sì, sto mentendo!”
Pride deglutì. –Sì, sto mentendo.
-Bene!- sbottai. Mi voltai, non riuscendo a guardarlo in faccia. –Adesso, vattene. Oggi facciamo ricerche separate.
-No- protestò debolmente lui.
–No?- chiesi, stupita.
–No- ripeté.
–No!- ribattei, alzando ancora il tono di voce. –La puzza di Asterione ti ha dato alla testa, Pride, tornate da dove sei venuto e non cercarmi finché non ti sarai schiarito le idee.
-Victoria.
-Non hai capito?- replicai, velenosa. –Ho detto vattene da qui, vai nel luogo dove stai bene e non rovinarmi la giornata.
Pride esitò, ma prima che potesse solo ribattere, gridai con quanto fiato avevo in corpo:- Torna nel tuo zoo, Alex il Leone! La tregua è finita! Finita!
Il ragazzo si irrigidì, si passò una mano tra i ricci, annuì un paio di volte e si allontanò.
–Seguirò il tuo consiglio.
Rimasi lì, ferma, sotto la pioggia, finché non sentii più i suoi passi sull’asfalto. Non so quanto tempo passò, ma quando mi misi in marcia in cerca di riparo, avevo i capelli zuppi e appiccicati alle tempie.
Vagai senza una meta precisa, unicamente per trovare un tetto o un negozio in cui rifugiarmi, riconoscendo il nome di qualche via del Bronx. Quando avevo ormai perso le speranze, notai un negozio di tatuaggi all’angolo della strada.
Ci entrai senza indugio, grata per un po’ di calore. All’interno non c’era nessuno. Tanto meglio.
Mi strizzai i capelli sullo zerbino, poi mi finsi interessata a qualche disegno tra le vetrine che riempivano lo stabile. C’erano molte riproduzioni di loghi di gruppi musicali, come un teschio circondato da rose e spine.
–Come posso aiutarti?
Mi girai di scatto, scontrandomi con una donna di circa quarant’anni, ma prosciugata come una di ottanta. Era molto alta, ma così magra che temevo le si potesse staccare la testa dal collo, tanto questo era sottile. Le braccia era completamente tatuate, seguivano un motivo inusuale: come delle placche di un’armatura, o la corazza di qualche insetto.
–Stavo solo guardando- risposi, sforzandomi di sorridere.
La donna annuì con l’aria di chi la sa lunga, raccogliendosi i capelli neri in una crocchia.
–Stai aspettando il permesso dei tuoi genitori.
Sospirai. –E’ stato difficile per il primo, per il secondo dovrò aspettare anni- buttai lì come alibi.
Gli occhi della proprietaria luccicarono.
–Posso vederlo?
-Certo- acconsentii, pensando che volesse vedere il lavoro di altri tatuatori immaginari.
Abbassai leggermente lo scollo della maglietta, facendole vedere la schiena, e spiegai:- E’ un illusione ottica, in realtà non si muove nulla.
La donna studiò per qualche minuto il tatuaggio, poi commentò, pacata:- Non conosco chi l’ha fatto, ma è dotato. Se ti piace questo stile, puoi trovare di simile là.
Indicò una stanzetta infondo a sinistra, che prima non avevo notato. Seguii il consiglio, felice di poter stare al riparo delle pioggia e dai pensieri, occupando la mia mente semplicemente guardando e giudicando i disegni fatti con l’inchiostro. Le pareti dentro la stanzetta era di color arancione brillante e lunghe vetrine contenevano tatuaggi dalle forme più bizzarre. C’era anche una sedia e, affianco ad essa, il materiale per lavorare.
Controllai che la proprietaria del negozio non mi vedesse e, non scorgendone la figura nella sala più grande, mi accomodai.
Immediatamente, qualcosa mi strinse polsi e caviglie. Sobbalzai, ma non potei fare altro, perché dalla poltrona erano spuntate delle manette di ferro. –Aiuto!- gridai.
–Strilla quanto vuoi, Williams. Nessuno ti sentirà qui dentro.
Raggelai. Una figura alta e ben piazzata entrò nella stanza, facendo scricchiolare la suola degli stivali borchiati sul pavimento.
Capelli rossi fuoco tagliati corti, in un punto di più rispetto al resto.
Occhi verdi.
Conoscevo quella ragazza fin troppo bene.
Era Hayley Becker.
 
***
ANGOLO DELL'AUTRICE ::.
Ebbene, ecco a voi il capitolo n°11! Si è fatto attendere, come al suo solito, ma è stato maltrattato da una verifica di storia e diversi altri contrattempi di materia scolastica e non. Come il film di Robin Hood su Italia 1, che ha deciso di pugnalare a morte la storia e la disposizione normale di un esercito. Vabbè^^
Per chi aveva indovinato il segno di Fatima: BRAVI! Vi siete guadagnati un premio, ossia un'immagine spoiler di House of Hades proveniente da Tumblr. Distruggerà i vostri feelings, fangirls and fanboys u.u
(
http://24.media.tumblr.com/07e68ee9211d1cf5c0e3177efd07e6f2/tumblr_mvi3uypTHE1rwi6lxo1_1280.jpg [toccate l'immagine per far scorrere la scena])
Riguardo al capitolo di oggi... io adoro Asterione! *-* Dei, quel ragazzo è meraviglioso!
Ricordati che stiamo parlando di un minotrauro, la forma ibrida dell'Ereditaria del Segno del Toro. Non puàò essere carino.
E tu chi sei per dirlo? Io lo strapazzerei, se non puzzasse tanto.
Ermete -.-
Be', mi dispiace, caro, ma io lo adoro. Punto. Fine. Stop.
Intrattabile come il padre -_- *si sente un tuono*
Coooomunque, Pride si semi-dichiara! *balla la conga* E Tori lo rifiuta, anche piuttosto brutalmente. Non sono bellissimi quando si vogliono uccidere a vicenda? xD Ma cosa vorrà dire il "Seguirò il consiglio" di Pride? Lo scoprirete presto *sogghigna*
E cosa ci fa Hayley Becker in quel negozio? Come ha fatto a uscire dal riformatorio Brighton? Ma, soprattutto, che armi ha a suo vantaggio per vendicarsi di Victoria? Scopritelo a Voyager!
Oggi sei particolarmente...
Intelligente? Bellissima? Meravigliosa? Supercalifragilistichespiralitoso?
Idiota. Smettila con le domande retoriche e senza risposta!
-.- Torna all'Olimpo, Ermete. Via. Sho! *scompare in un puff verde*
Le informazioni sul vero nome del Minotauro del mito di Teseo viene da Wikipedia, mentre il logo con i teschi e le rose è quello dei Guns 'n Roses. Yeah, conosco i Guns 'n Roses!
Infine, vorrei davvero ringraziare tutti quanti per il folto seguito! Siete già tantissimi, tra 15 preferite, 3 ricordate e 16 seguite! Siete asjsjakjdksjdk *^* You guys got the power V_V
Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e se volete farvi i fatti miei vi lascio il link del mio blog on Tumblr ( 
http://justnelement.tumblr.com/ ) Qui sotto, invece, c'è l'immagine di Hayley Becker.
Alla prossima  :*

Water_wolf


http://api.ning.com/files/ERvUaX951KcCosd43Kbj-sRtQHU8sYGn-nO0t2GJpt-tx4tYyzV1m7VuWSuHWzriYN2xPsik1PLJZ3Z*KlGhpBdp5f*4YEGi/54569RoseLeslieImgur8oBx.jpeg?width=423&height=600 (capelli corti, ovvio^^)
 
  
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