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Autore: LadyDenebola    03/11/2013    3 recensioni
La Battaglia dei Cinque Eserciti è da poco terminata, portando via con sé anche la lunga e pericolosa missione della riconquista di Erebor. La giovane Leviar accorre dalle Montagne Azzurre per occuparsi di Bofur, rimasto ferito e incosciente. Sarà l'occasione per far nascere definitivamente l'amore? O i due si lasceranno sopraffare dalle opposizioni attorno a loro?
Concepito come il seguito di "Muffin, partenze e..." e col titolo (spero) provvisorio! Buona lettura! ^__^
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bofur, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III.


La neve che le arrivava fin quasi alla cintola le rallentava sempre più i movimenti, appesantendole gli abiti. Iniziava anche a perdere sensibilità alle mani. L’unica consolazione era vedere finalmente Erebor sovrastarla, bianca come un dolce ricoperto di zucchero a velo e tuttavia minacciosa. Era la prima volta che la vedeva, ma Leviar non aveva tempo per fermarsi a contemplarla. Un po’ se ne vergognava, considerando quanto la sua famiglia aveva fatto per raggiungerla, ma neanche costringendosi sarebbe riuscita a fissare il pensiero sulla bellezza di essere tornata nell’antico regno della sua stirpe.
Da quando aveva sostato un giorno a Dale, ancora in fase di ricostruzione, quel pensiero era diventato più martellante, fin quasi da farle male. E non aveva nessuno con cui condividerlo. Un uomo, che le si era presentato come il nuovo sovrano di quella città, le aveva offerto di farla accompagnare da alcuni suoi soldati, ma Leviar non se l’era sentita di sottrarli al loro lavoro, né, in realtà, di fidarsi di loro. Certo, quel tipo – Bard, se non ricordava male – sembrava a posto, ma molte volte i suoi cugini l’avevano messa in guardia dai soldati per poter accettare di rimanere sola in loro compagnia. Tanto valeva terminare quel viaggio da sola, visto che mancavano pochi chilometri.
Alzò lo sguardo al cielo che si stava oscurando rapidamente. Un corvo voleva in cerchio poco distante da lei. Leviar prese un respiro profondo e provò ad andare più spedita, lo scricchiolio della neve come unico compagno: il corvo già stava facendo ritorno alla Montagna Solitaria.
Era ormai notte quando Leviar raggiunse le pendici di Erebor. Il viso arrossato dal freddo e le braccia strette al corpo, vide una torcia correre giù dal sentiero che si inerpicava sulla Montagna. Pochi istanti dopo riconobbe il volto di Balin, che la fissava con sconvolta incredulità.
<< Buon cielo! >>esclamò.<< Cosa ci fai qui? >>
<< Bombur mi ha mandato un messaggio >>rispose Leviar battendo i denti.
Balin le fece segno di seguirlo, pur continuando a lanciarle occhiate perplesse.
<< Avevamo mandato a chiamare alcuni fabbri e muratori dalle Montagne Azzurre, ma non sapevo che Bombur ti avesse chiamato >>disse.
<< Ho viaggiato con la gente delle Montagne Azzurre, infatti >>rispose Leviar sdrucciolando sulle pietre coperte di ghiaccio.<< Loro sono rimasti un giorno in più a Dale, ma domani all’alba si rimetteranno in marcia >>
<< Capisco >>fu l’unico commento del vecchio nano.
Leviar gli fu grata per non averla costretta a parlare ancora: le labbra le si stavano screpolando in fretta e iniziava a sentire il sapore del sangue in bocca. Salire su per quel sentiero fu più faticoso dell’attraversare la piana innevata: a ogni passo Leviar scivolava senza poter contare su solidi e asciutti appigli. Impiegarono più tempo del dovuto a raggiungere le possenti porte di Erebor. Leviar tuttavia non ebbe la fortuna di vedere le due statue ai loro lati, poiché le poche torce erano state posizionate ai piedi degli stipiti, quel tanto che bastava per illuminare l’ingresso.
Balin consegnò la fiaccola a un nano di guardia, mormorandogli qualcosa: il nano annuì, scoccando un’occhiata poco convinta a Leviar, ma lei non ebbe il tempo di curarsene. Balin le posò una mano sulla spalla e quasi la trascinò lungo un corridoio di pietra che, dopo alcuni metri, si aprì su un crocevia di scale e tunnel di pietra. Fu allora che Leviar si fermò a contemplare quel che la circondava. Erebor si apriva sopra e attorno a lei, non ancora splendida com’era stata un tempo e tuttavia ancora così imponente da togliere il fiato. Scale larghe o strette e ponti erano circondati da costruzioni di ogni dimensione, alcune già ristrutturate, altre circondate da ponteggi. Sacchi ed enormi blocchi di pietra erano accatastati agli angoli delle strade, accanto a cavalletti da lavoro e attrezzi da muratore.
<< C’è ancora del lavoro da fare, ma nel giro di un mese la città tornerà come prima >>disse Balin con una certa fierezza.<< E con la gente delle Montagne Azzurre potremmo metterci anche meno! >>
<< Non c’è nessuno, in giro >>osservò Leviar mentre svoltavano in una strada fiancheggiata da casette e botteghe chiuse. Sembrava di camminare in una città fantasma.
<< È ora di mangiare e riposare >>rise Balin.<< Dovresti farlo anche tu >>
Leviar annuì. In effetti, i segni della stanchezza cominciavano a farsi sentire.
Balin si fermò davanti una casa a due piani, con le finestre illuminate al piano terra. Il nano aveva appena finito di bussare che la porta si aprì: come se li stesse aspettando, Bombur la spalancò e, vista Leviar, tirò un sospiro di sollievo.
<< Iniziavo a temere che non venissi più! >>esclamò.<< Entrate! >>
Leviar respirò a pieni polmoni l’aria calda e profumata di focaccia mentre seguivano Bombur nel salotto, quasi interamente occupato da un tavolo e una credenza ancora semivuota. Sul fuoco bolliva un pentolone e, accanto al camino, si apriva una dispensa dalla quale proveniva odore di salumi.
Bombur aiutò Leviar a sfilarsi il mantello per poi spingerla verso un piccolo divano davanti il caminetto, ma la giovane non si mosse.
<< Come sta Bofur? >>
Il viso di Bombur, che si era illuminato quando l’aveva vista, si rabbuiò.
<< Ancora non si sveglia. È così da quasi due mesi, ormai >>
<< Posso vederlo? >>
Il nano annuì: sembrava sollevato. Guidò Leviar al piano superiore, continuando a spiegare:<< Il medico ci disse che si era appena svegliato, ma quando io e Bifur siamo arrivati si era già riaddormentato. Abbiamo atteso, ma le ore passavano e lui non dava segno di volersi svegliare. Finché, dopo quasi un giorno, non è tornato in sé. Il medico l’ha visitato e ha pensato che poteva tornare a casa – nel frattempo, con Bifur avevamo trovato questa, disabitata e neanche messa tanto male. E poi, arrivati qui, Bofur è come svenuto e non si è più risvegliato. Ogni tanto parlava nel sonno, e un paio di volte ti ha chiamata, così ho chiesto al corvo Roac di chiamare anche te quando sarebbe andato sulle Montagne Azzurre >>
In fondo al corridoio, in piedi di fronte a una porta chiusa, Bifur li scrutava come in loro attesa, nonostante il volto fosse inespressivo come ricordava Leviar. Nel vederla, si fece avanti e, senza tante cerimonie, l’afferrò per un braccio e la spinse verso la porta, ma Bombur lo fermò prima che raggiungesse la maniglia.
<< Fammi controllare, prima: non si sa mai che si sia svegliato >>disse, anche se il tono della voce tradiva la scarsa convinzione verso le sue stesse parole. Socchiuse la porta e infilò dentro la testa, ritraendola quasi subito.<< Entra >>disse a Leviar, di nuovo scuro in volto,<< ma forse neanche si accorgerà di te >>
Lo stomaco contratto, Leviar quasi avrebbe voluto non entrare più, ma Bifur la spinse nella camera non appena la porta fu abbastanza aperta. La finestra chiusa e un piccolo camino dal quale si levavano dolci lingue di fuoco rendevano l’ambiente molto caldo. Al centro della stanza, leggermente in penombra, c’era un unico letto dall’aria spartana.
Leviar vi si avvicinò, le gambe molli, temendo quel che vi avrebbe trovato. E invece, Bofur aveva l’aria di chi dorme serenamente, anche se la fronte imperlata di sudore e il respiro rapido le fecero capire subito che qualcosa non andava. Avvicinò uno sgabello e si voltò impaziente verso Bombur, che insieme al cugino e a Balin attendeva oltre la porta.
<< Portami dell’acqua fredda, per favore >>esclamò la ragazza.
Non rimase a guardare il nano caracollare via nel corridoio: si rimboccò le maniche e iniziò a tirar via le coperte, mentre Balin si avvicinava in silenzio.
<< Ha bisogno d’aria >>gli spiegò. Passò un mano sulla fronte di Bofur, nonostante il volto arrossato fosse un segnale evidente.<< Ha la febbre. Bombur, non ve ne eravate accorti? >>
<< Sì, gli è venuta stamattina. Il medico gli ha prescritto un infuso. Siamo riusciti a darglielo poco prima che arrivassi tu >>rispose il nano posando ai piedi di Leviar un catino d’acqua e un panno.
<< Be’, pare non abbia ancora avuto effetto >>sbuffò la ragazza strizzando il panno con quanta forza aveva in corpo per posarlo sulla fronte di Bofur. A quel contatto, il nano si agitò e mugugnò parole incomprensibili.
<< Non devi farlo! >>esclamò subito Bombur provando a fermare Leviar.<< Posso pensarci io, tu va’ a mangiare qualcosa >>
<< Mi avete chiamato per prendermi cura di lui, no? >>domandò la ragazza con una schiettezza che stupì perfino lei.
<< Sì, cioè… pensavamo avesse bisogno anche di te >>balbettò Bombur nell’imbarazzo più profondo.
<< Allora non c’è problema >>lo interruppe Leviar con voce più serena.<< Non sono stanca. Mangerò più tardi >>. Esitò un momento, ma subito si disse che non era il momento di vergognarsi, perciò slacciò i primi bottoni della camicia di Bofur e prese a passargli il panno sulle spalle e il torace, ignorandone i brividi.
Bombur rimase a contemplarla in silenzio per qualche minuto, finché non si riscosse con un sussulto e, di punto in bianco, ricominciò a parlare. Le parlò della gamba ancora in convalescenza: la ferita si era ormai rimarginata, ma Bofur non aveva mai camminato dalla Battaglia dei Cinque Eserciti, per cui gli ci sarebbe voluto più tempo per guarire del tutto.
<< Se mai si risveglierà >>concluse affranto.<< E ora ci si è messa anche questa febbre! >>
<< Gli passerà. Bofur è più forte di quel che sembra >>Balin gli batté rincuorante una mano sulla spalla.
<< Balin >>Per la prima volta da quando si era seduta, Leviar distolse lo sguardo da Bofur.<< Come stanno i miei cugini? Ora che ci penso, da quando sono partiti per Erebor non ho più avuto loro notizie >>
<< Stanno bene, tutti e tre >>si affrettò a garantirle Balin.<< Se vuoi, passo da loro stasera stessa. Anche loro hanno trovato una casetta qui a Erebor e penso vogliano stabilircisi definitivamente >>
<< Grazie! Ci andrò direttamente io domani >>rispose Leviar, più sollevata.
Balin non insistette. Le diede un buffetto sulla guancia e quasi costrinse Bombur ad accompagnarlo giù all’uscita. Bifur già era andato via. Leviar rimase a osservare pensosa la porta per qualche istante, finché un grugnito da parte di Bofur non le ricordò che aveva tenuto troppo a lungo il panno freddo sullo stesso punto.
Sentiva di non poter essere tranquilla, anche ora che finalmente l’aveva rivisto dopo un anno. A parte i segni della febbre, Bofur era esattamente come quando l’aveva salutato; i capelli che gli erano stati sciolti per comodità erano l’unica differenza. Differenza che Leviar – doveva ammetterlo – trovò davvero piacevole, e più volte si soffermò a osservarlo, approfittando del fatto che erano rimasti soli. Quando gli ripassò il panno sulla fronte gli accarezzò, quasi inconsciamente, i capelli, pregando che nessuno venisse a interromperli… o che Bofur non si svegliasse proprio in quel momento.
Sola in quella camera spoglia, le fu impossibile non ripensare a tutte le emozioni che le avevano tenuto compagnia dalla sera in cui si erano baciati e che ora pareva lontana secoli. Era incredibile come quel nano fosse riuscito a conquistarla con pochi, semplici gesti. Leviar conosceva molte nane che spasimavano per guerrieri fieri e scontrosi, tipi come Dwalin, insomma, e lei stessa più volte aveva fantasticato sui muscoli guizzanti che si celavano sotto le cotte di maglia. Ma Bofur era diverso. Non aveva proprio l’aria del guerriero. Era un giocattolaio, come le aveva detto quando si erano presentati, ed era uno dei nani più miti e pazienti che Leviar avesse mai incontrato. Secondi i parametri “nanici”, non era granché, come partito.
Il tempo scivolò via senza che lei se ne accorgesse. Bofur continuava a dormire, il volto che aveva riacquistato un po’ del suo colore naturale. Per sgranchirsi le gambe, Leviar andò ad attizzare il fuoco e si guardò intorno. Era chiaro che non avevano avuto il tempo di arredare nei dettagli la camera dove, a parte il letto, c’erano soltanto una piccola cassapanca e un comodino rozzamente intagliato. Un certo senso di sconforto si impadronì di lei mentre pensava che Bofur giaceva in quella camera vuota da due mesi. Cosa avrebbe potuto fare lei? Come poteva aiutarlo?
<< Leviar? >>Bombur si affacciò timidamente alla porta.<< Scendi, su. Non voglio che resti un secondo di più senza mangiare >>
La ragazza sorrise e non osò disobbedire un’altra volta, dato che Bombur, nonostante avesse bisbigliato, l’aveva guardata con la massima serietà. Tornarono nel salotto dove Bifur stava distribuendo tre scodelle di zuppa. Per qualche minuto nessuno parlò, tanto si lasciarono assorbire dalla cena e dal tepore del fuoco, ma, verso la fine del secondo giro di zuppa e pane tostato, Bombur iniziò a raccontare della Battaglia. Anche se a pancia piena Leviar cominciava a desiderare un bel letto caldo, ascoltò con vero interesse ogni parola, soprattutto quando Bombur le descrisse il ferimento del fratello. Nonostante la paura, provò un moto di fiero orgoglio nell’immaginare Bofur calare il piccone sull’orco e finirlo prima che quello potesse fare altrettanto con lui. Lo stesso Bombur narrava con entusiasmo, dilatando il racconto con pause per mangiare qualche boccone di formaggio, e fu solo quando Bifur gli diede una pacca sul braccio che si voltò verso l’orologio sul camino.
<< Accidenti, Leviar! >>bofonchiò alzandosi rumorosamente e cacciandosi in bocca l’ultimo pezzo di formaggio.<< È quasi mezzanotte e noi stiamo ancora qui a parlare! Ehm… mi viene in mente solo ora… non abbiamo una stanza per gli ospiti, temo, e io dormo con Bifur… Potremmo sempre sistemare il divano, che ne dici? >>
<< Nessun problema! Vi disturberò solo stanotte >>lo rassicurò Leviar.<< Domani raggiungerò i miei cugini >>
<< Bene, allora! Preparo subito tutto io >>esclamò Bombur dandole uno schiaffetto sulla mano quando Leviar fece per aiutarlo coi piatti.<< Tu va’ a controllare Bofur, intanto >>
La ragazza non se  lo fece ripetere due volte, anche se non riuscì a evitare di arrossire considerando quanto ormai i suoi sentimenti fossero diventati evidenti. Quando posò la mano sulla maniglia della camera di Bofur, però, si arrestò di colpo: dall’interno proveniva un leggero raschiare.
Leviar spalancò con forza la porta e si bloccò sulla soglia, impietrita. Dal letto, Bofur si arrestò nell’atto di trascinare a sé una gruccia poggiata a qualche centimetro di distanza, con la chiara intenzione di alzarsi.
Impossibile dire chi dei due fosse più sorpreso. Entrambi parevano aver perso la parola. Una gioia indescrivibile si impossessò di Leviar, talmente intensa che sembrava volesse esploderle in petto.
Ma fu Bofur a rompere per primo il silenzio. Sbatté le palpebre e, con non poca incertezza, chiese:<< Sei vera? >>
Leviar non era sicura d’aver capito bene, ma il nano guardava ora lei ora la stanza con una strana espressione, quasi sospettosa. Così, si affrettò a rassicurarlo:<< Certo che sono vera! Sono arrivata qualche ora fa >>
Bofur sbatté ancora le palpebre e, sempre più frastornato, si raddrizzò. Guardava Leviar come se non l’avesse mai vista prima, ancora con quell’aria di chi esita ad accettare la realtà. Poi, con un unico gesto, lasciò andare la gruccia, che scivolò rumorosamente sul pavimento, e fece per scendere dal letto. Ma la gamba malata lo costrinse a ritornare giù con un gemito rauco di dolore e frustrazione. Sollevò un braccio verso Leviar, anche se lei era già lì, anche se era già corsa da lui nel momento in cui aveva lasciato perdere la gruccia.
In un attimo si ritrovarono l’uno nelle braccia dell’altra, le mani che stringevano spasmodiche la stoffa come se temessero di vederla scomparire, le guance che si sfioravano, umide di lacrime e rosse per le risate di gioia incredula.
<< Sei qui >>ripeteva Bofur, la voce ancora roca. Le prese il volto tra le mani e la osservò come se volesse imprimersi nella mente ogni dettaglio.<< Sei qui! >>ripeté con più decisione. Le asciugò le lacrime coi pollici e le diede un bacio sulla fronte. Leviar avrebbe voluto chiudere gli occhi e abbandonarsi a un altro abbraccio, ma si costrinse a rimanere coi piedi per terra.
<< Come ti senti? >>gli chiese passandogli una mano sulla fronte ancora calda.
<< Come ferro che è stato battuto tutto il giorno >>bofonchiò Bofur. Lanciò un’altra, attenta occhiata attorno a sé.<< Non sono le Cave Mediche >>
<< Ti sei perso un po’ di cose, temo >>replicò Leviar con dolcezza.
<< Quanto tempo sono rimasto in queste condizioni? >>chiese lui mentre si rigettava sul cuscino e Leviar recuperava il panno e il catino con l’acqua.
<< Due mesi, ma c’è tempo per spiegarti tutto >>rispose lei sbrigativa tamponandogli la fronte.<< Vedi di non riaddormentarti, siamo intesi? >>
<< Non dormirò per almeno tre giorni >>esclamò Bofur. Si tastò alla cieca la gamba sinistra, e una smorfia gli increspò il volto.<< Fa ancora male >>mormorò stringendo i denti.
Anche Leviar abbassò lo sguardo sulla gamba, e subito scattò in piedi e corse alla porta, sotto lo sguardo spaesato di Bofur.
<< Dove vai? >>
<< A chiamare Bombur e Bifur. E magari a cercare un medico! >>esclamò Leviar senza ascoltare le proteste del nano.
 


Angolo dell’autrice:
Olè! Bofur si è risvegliato! Contenti? Accidenti che effetto che ha avuto Leviar, altro che unguenti e tisane! XD Vi sta piacendo la storia? Vi prometto che, ora che Bofur si è svegliato, diventerà più movimentata perché naturalmente i guai inizieranno da adesso! Perciò, fatemi sapere cosa ne pensate e come sempre grazie, grazie a chi legge e avrà voglia di commentare! Al prossimo capitolo! ^___^
   
 
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