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Autore: Shainareth    03/11/2013    3 recensioni
Terzo capitolo in ordine cronologico della saga che compone Amnesia.
Si mise in piedi e si sfilò il cappuccio dalla testa, rivelando dei lineamenti più marcati e virili rispetto all’ultima volta in cui si erano visti. Se Garu era cresciuto, anche lui era diventato un uomo. «So chi ha ucciso tuo padre.»
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garu, Nuovo personaggio, Pucca, Tobe
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Amnesia'
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CAPITOLO TERZO




«Noi tre eravamo inseparabili, da ragazzini», iniziò a raccontare l’uomo, sedendo nuovamente sul tatami, poiché ormai le sue gambe faticavano a reggere il peso del resto del corpo. Fu notando ciò che Garu si convinse che la persona con cui aveva a che fare era malata. Ciò nonostante, non si lasciò impietosire e rimase immobile dov’era, attento a ciò che lui avrebbe detto da quel momento in poi.
   «Con gli anni, però, le cose iniziarono a cambiare», riprese l’uomo. «Lei era troppo bella perché io e tuo padre potessimo rimanere impassibili. Finimmo con l’innamorarcene, ma giurammo solennemente che, nonostante questo, non sarebbe nata alcuna rivalità fra noi, così che la nostra amicizia sarebbe rimasta solida e leale per sempre. Mantenemmo la parola data, anche quando lei scelse me. Tuo padre accettò quella decisione e si fece da parte. Volle farmi persino da testimone di nozze e brindò alla nostra salute, benché si sentisse morire dentro. All’epoca, accecato com’ero dall’amore e dalla mia felicità personale, non compresi la sua sofferenza. Mi limitavo a vivere e a godere della mia fortuna accanto alla donna che desideravo e che di lì a poco diede alla luce il nostro unico bambino.»
   Gli occhi scuri dell’uomo cercarono Tobe, a cui rivolse un sorriso stanco ma pieno d’amore. Garu abbassò lo sguardo, non sapendo esattamente che tipo di emozione dover provare al riguardo. A dire il vero, non riusciva davvero a decifrare quello che sentiva nei confronti di Tobe e di se stesso.
   «Quella felicità, tuttavia, fu di breve durata», tornò a parlare l’uomo. «Un terribile incendio di natura assolutamente accidentale devastò la nostra abitazione, inghiottendo nelle fiamme me e il bambino, che all’epoca aveva soltanto poche settimane. Lei, portata in salvo da tuo padre, gridava i nostri nomi. Riuscivo a sentire le sue urla terrorizzate dal punto in cui mi trovavo, ma non potevo risponderle perché ogni volta che provavo a farlo il fumo rischiava di soffocarmi. Risparmiai perciò il fiato e dedicai ogni forza alla tutela di mio figlio, che piangeva spaventato fra le mie braccia.
   «L’incendiò finì con l’ampliarsi a causa del vento e ben presto anche tutti gli edifici vicini furono arsi dalle fiamme. Non sentii più la voce di mia moglie, né quella di tuo padre, che fino a pochi minuti prima aveva chiamato anche lui il mio nome, cercando disperatamente di venire in nostro soccorso. Fu tutto inutile: l’intero villaggio fu raso al suolo e coloro che si salvarono dalla devastazione non poterono tornare alla vita di tutti i giorni, perché in molti avevano perso almeno una persona amata.» L’uomo sospirò. «Quanto a me e al bambino, ci salvammo per puro miracolo, procurandoci una cicatrice simile al volto durante la fuga, ma riuscii comunque a proteggere ciò che avevo di più caro al mondo, sia pure a costo di un piccolo sacrificio.» Con un gesto lento della mano, sollevò la manica dello haori(1) che aveva addosso al kimono e mostrò a Garu una grossa cicatrice che, come quella che aveva sul volto, gli sfigurava il braccio destro, a testimonianza che ciò che stava raccontando non era una bugia.
   «Non rividi più mia moglie», ricominciò l’uomo. La voce quasi gli tremò, come se gli costasse una certa fatica mantenere un tono saldo. Ebbe bisogno di qualche attimo prima di riprendere la propria storia. «Convinto che io e il bambino fossimo morti nel terribile incendio, che si era protratto per giorni non consentendo a nessuno di avvicinarsi al villaggio, tuo padre ritenne suo dovere prendersi cura di lei. Se per rispettare la mia memoria o se per l’antico amore che aveva sempre provato nei suoi confronti, non ne ho idea. Ma se anche i suoi propositi dovessero essere stati onorevoli, quel che fece dopo fu ai miei occhi imperdonabile.» Serrò la mascella, cercando di mantenere saldo il controllo delle emozioni. «La portò lontano, riuscì a farla innamorare di sé e la sposò, prendendo il mio posto nel suo cuore. Fu così che nascesti tu. E quando tua madre ti mise alla luce…»
   «…fu lei a spegnersi, lo so», concluse per lui Garu, risparmiandogli quella sofferenza. Nessuno gli aveva mai nascosto che a causare la morte di sua madre erano state delle complicazioni sorte durante il parto.
   Ci fu un lungo silenzio, durante il quale l’uomo tenne gli occhi bassi, fissi su un punto imprecisato. Poi, riprendendo padronanza di sé, parlò ancora. «Alcuni anni dopo, cercandoli senza posa, venni a conoscenza di quanto era accaduto e giurai vendetta. Fu per questo che mi misi sulle tracce di tuo padre con maggior determinazione di prima. E sebbene lui si mostrò molto più che felice di rivedermi e di sapermi vivo, quando ci ritrovammo, io rimasi insensibile e, accecato com’ero dalla gelosia e dalla rabbia dovuta alla morte di lei e alla convinzione che lui avesse tradito la mia fiducia non tenendo fede alla parola data in passato, lo sfidai a duello.» Tornò ad alzare lo sguardo sul giovane che gli stava davanti. «Forse avrebbe potuto sconfiggermi, quel giorno», gli rivelò con amarezza. «Non saprò mai se mi lasciò vincere di proposito o meno. So solo che, dopo aver goduto di uno stupido, iniziale senso di giustizia, con il passare del tempo cominciai invece a provare un enorme vuoto dentro di me: avevo perso sia la donna che avevo amato, sia il mio amico fraterno. Mi rimaneva soltanto mio figlio e fu per lui che decisi di vivere.»
   Fu Tobe, adesso, ad abbassare gli occhi scuri, non sapendo esattamente come affrontare quelli di Garu, semmai questi avesse rivolto su di lui la propria attenzione. Ma il ragazzo non lo fece, preferendo tenere la fronte verso l’uomo che stava ancora parlando.
   «Gli insegnai tutto ciò che sapevo, compreso l’oscuro sentimento della vendetta: come tuo padre aveva sostituito me, tu eri il bambino che aveva preso il suo posto nel cuore di sua madre.»
   Era dunque quello il motivo per cui, per tanto tempo, Tobe lo aveva assillato con i suoi propositi di vendetta, attentando alla sua vita nonostante sapesse che nelle loro vene scorreva lo stesso sangue. Era stata soltanto colpa di quell’uomo. Garu avrebbe dovuto odiarlo, eppure non riusciva a farlo completamente: il suo viso, la sua voce, i suoi gesti, tutto tradiva il dolore che aveva provato.
   «Perché quel giorno non uccidesti anche me?» domandò, cercando di riordinare gli ultimi tasselli del mosaico che ancora non erano stati disposti a dovere.
   «Perché in te c’è anche lei», fu la semplice risposta che ricevette e che lo lasciò stupito. «Tu e Tobe siete tutto ciò che è rimasto della donna che ho amato.»
   E doveva averla amata davvero tanto, per essere arrivato alle soglie della follia. No, Garu non poteva davvero odiare l’assassino di suo padre. Iniziò, anzi, a provare soltanto una gran pena nei suoi confronti. L’amarezza si impadronì di lui.
   «Ora che ti ho raccontato ogni cosa, credo che potrò davvero morire in pace», disse ancora l’uomo, dando conferma ai sospetti del giovane riguardo la propria malattia. Forse, ora che la sua vita era giunta a termine, non soltanto si era ravveduto per il male commesso, ma per di più aveva voluto liberarsi di quel tremendo peso. «C’è altro che desideri sapere?»
   «No.»
   «Vuoi essere tu a porre fine alle mie sofferenze?»
   «No», ripeté Garu, rimanendo fermo nella sua posizione. «Ero venuto fin qui solo per ascoltare questa storia. Il resto non ha più importanza», concluse. Pose un pugno nel palmo dell’altra mano, all’altezza del petto, e fece un leggero inchino in segno di saluto. Infine, gli volse le spalle e si diresse verso l’uscita senza alcun indugio.
   L’uomo lo seguì con lo sguardo. «Tobe, accompagnalo», disse, rivolgendosi a suo figlio. Ma quando lui si apprestò ad obbedire, aggiunse: «Non ci rivedremo più.»
   Il giovane si fermò sull’uscio della camera, comprendendo che il momento dell’addio era arrivato. E sentendosi uno stupido, si rese conto di non riuscire neanche a trovare le parole adatte per dirgli che, nonostante tutti gli errori passati, gli aveva voluto bene.
   Suo padre sorrise con affetto. «Andrà tutto bene. Sono pronto da tempo», lo rassicurò. «Ho solo un’ultima richiesta da farti: non permettere mai che accada nulla né a te né a tuo fratello. Siete tutto ciò che resta di lei», ripeté quasi a se stesso, tornando a stringere nel palmo della mano l’elsa della propria katana.
   Tobe strinse i denti, impedendosi di piangere. «Vuoi che ti assista?» fu tutto ciò che riuscì a dire con voce roca.
   «No», rispose l’uomo, certo di non meritare il privilegio di avere al suo fianco un kaishakunin(2) che gli risparmiasse sofferenza e disonore. «Lo farò da solo. È giusto così.»
   Il giovane non volle questionare oltre, ritenendo che suo padre, gravemente malato e ormai consumato dal rimorso del crimine commesso, avesse il diritto di scegliere il modo in cui morire.
   «Addio.»






(1) Haori: Giacca leggera di seta usata originariamente insieme agli hakama e con lo scopo di mantenere pulito il kimono.
(2) Kaishakunin: Colui che assiste al seppuku (o harakiri) di un samurai, decapitando quest’ultimo subito dopo che egli si era inferto la ferita mortale all’addome, al fine di preservare sul suo viso un’espressione onorevole senza che il dolore ne sfigurasse i lineamenti.











Il mio più grande terrore, riguardo a questo capitolo, è che la storia risulti incoerente in qualche punto. Pertanto, se possibile, vi chiedo il favore di darmi un parere in proposito, tranquillizzandomi o, al contrario, facendomi notare dove ho sbagliato (in modo che possa correggere).
Quanto al resto, non so davvero che tipo di emozioni potrebbe aver provato Garu dopo aver ascoltato questa storia. Non credo sia facile accettare una situazione del genere così, su due piedi; è un qualcosa che va assimilata ed eventualmente accettata nel tempo. Personalmente, poi, non penso che Garu sia un tipo vendicativo, ecco perché non salta addosso al padre di Tobe. In più, quest'ultimo (il padre di Tobe, intendo, non Tobe) è anche gravemente malato e pentito per ciò che ha fatto in passato. O forse, più che pentito, comincia a dubitare di aver fatto la cosa giusta, ecco. Non credo sia davvero una persona orribile come potrebbe apparire, altrimenti avrebbe ucciso anche Garu, quando lui era piccolino.
Detto ciò, concludo ringraziando chi ha recensito anche lo scorso capitolo, e cioé SoGi92 e Hisoka chan, e chi ha inserito questa storia fra le fanfiction preferite/seguite/da ricordare, e cioé edvige forever, Kira7, pickate, SoGi92 e _Kiiko Kyah.
A presto con il capitolo conclusivo! :)
Shainareth
P.S. Vi chiedo un favore: nella sezione di Pucca, qui su EFP, c'è l'opzione per votare i personaggi da inserire nella lista dei personaggi (appunto). Ho inserito Pucca, Garu, Abyo, Ching e Tobe e vi chiederei di dare il vostro contributo affinché possano arrivare a cinque voti (i primi tre sono già a quattro voti ciascuno) o, perché no?, per inserire altri personaggi qualora lo riteneste necessario. In questo modo, sarà più semplice tenere ordinata la sezione e ricercare il tipo di storia che vogliamo leggere. (Soprattutto se ne arriveranno anche da altri autori, cosa che mi auguro. :P)





  
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