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Autore: Niallbestshirt    03/11/2013    6 recensioni
“Come ti chiami?” chiese la piccola bimba dai capelli rossi, tentando di costruire un castello di sabbia, non riuscendoci. “Mi chiamo Niall” rispose il biondino, distruggendole il mucchietto di sabbia accumulato. La rossa gli fece una linguaccia, riprendendo a fare piccoli mucchietti, e poi riprese a parlare. “Quanti anni hai?” “Così!” indicò il biondino, facendo un quattro con la mano. “Io così” la rossa fece un tre anche lei con la mano. Niall le diede un bacio e la rossa rispose con uno schiaffo. “Non si fa!” disse imbronciata. Lui si porto l’indice alla bocca “Shh!” e scoppiarono entrambi a ridere.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 16
BECKY’S POV

“Hope!” questa cucciola era veramente instancabile. Correva da una parte all’altra della casa. Sembrava che al biondino piacesse farla impazzire. La invitava a rincorrerlo, e quando lo beccava gli scompigliava i peli della testolina, mettendogli all’indietro le orecchie, come se una raffica di vento fosse entrata dalla finestra. Mi piaceva guardarli, sembravano due bambini. Quello che io non ero mai stata. “Becky, penso proprio di portarla a fare una passeggiata, che ne dici?” “Ma… fuori fa freddo…” protestai, guardando la finestra appannata dalla brina. “Dai, camminare le farà bene, e non ti farà i bisogni in casa… e poi non è che può continuare a mangiare pancakes da terra.” “E tu che ne sai?” puntai le braccia sui fianchi, trattenendo una risata. “Ho avuto tanti cani da piccolo. Ogni volta che trovavo un cucciolo lo portavo a casa. Non immagini mia madre.” Rise scuotendo la testa, probabilmente ricordando i bei becchi tempi. “Niall?” “Si?” “Devi ancora parlarmi… sai, delle lettere.” “Giusto… ma non ora… sento un brontolio nello stomaco…” “Va bene…non comprare schifezze” “Certo! Nando’s, arriviamo!” sospirai. “Guarda che ti ho sentito!” non feci in tempo a finire la frase che sentii la porta di casa sbattere. Tipico, gli uomini scappano sempre per evitare broccoletti e cavolfiori. Mi piegai in terra, per raccogliere le poche briciole del mio povero pancake. Dopo aver svuotato i resti nella pattumiera, sentii suonare il campanello. Feci una corsa dal bancone fino alla porta. “Ehi, biondo, hai dimentic…. Papà?” “Già, sono io. Levati e fammi entrare.” Mi scostai lasciandogli lo spazio per passare. Ero meravigliata dalla freddezza di mio padre. Anche se d’altronde era sempre stato così, con me. “Vorresti un thè?” chiesi con gentilezza. “Smettila di sparare stronzate. Sai perché sono qui.” Sobbalzai quando prese la manica del mio maglioncino, strattonandolo. “Che diamine hai combinato ieri?” “Così mi fai male… lasciami stare, ti prego!” “È il minimo che possa fare! Ti ricordi quando ti ho praticamente salvato dalla strada, eh? Da quella puttana di tua madre!” “Ti prego…” “Questo è il minimo che tu possa fare! Con questo matrimonio entreranno un sacco di soldi nel nostro conto! Ripaga quello che ho fatto per te!” lo guardai smarrita, per tutto ciò che aveva detto. Ero confusa, volevo arrabbiarmi, piangere e ridere allo stesso tempo. “Siamo nel ventunesimo secolo papà… i matrimoni non sono combinati.” “Stronzate. Sei come tua madre, la vera. Una sgualdrinella.” Quelle parole bruciarono più dello schiaffo che mi arrivò qualche secondo dopo. E anche gli occhi bruciavano, e la testa, e i battiti che crollavano. Finalmente mi lasciò la manica del maglione. “Se domani non ti presenti a cena ti toglierò tutto. Casa, lavoro e dignità. E un’ultima cosa.” Alzai lo sguardo, pesantemente, come se ormai la mia testa fosse fatta solo di piombo. “Non voglio più che tu veda quel ragazzo, quello biondo. È un pericolo per te, ti fa ragionare male.” Attraversò a grandi falcate il salone, come se non fosse successo nulla. Si chiuse con un colpo secco la porta alle spalle, facendomi sobbalzare. Forse però era un singhiozzo. “NO!” urlai, come se i muri potessero sentirmi, gli unici testimoni di quelle parole. Stavo per perdere tutto. Ma in fondo non ci avevo mai creduto nell’amore. Insomma, ero solo una banale ragazza, banalmente adottata, in crisi adolescenziale avanzata. Che chiedeva libertà, ma che gli veniva negata. E ora urlava come una stupida, perché le urla non avrebbero calmato il suo dolore. Mi diressi verso il cassetto delle posate, sfiorando con le dita bagnate da lacrime mescolate a mascara, i coltelli. Ce n’erano di tutte le misure. Grandi, piccoli, sottili, affilati. Ne scelsi uno a caso. Volevo davvero finirla così? Sarebbe stata una seccatura in meno per tutti, forse quel tipo avrebbe trovato un’altra a cui dare il suo denaro sporco. Toccai la punta della lama con l’indice, che era fredda. La esaminai con lo sguardo, portandola al polso, sulle piccole venature blu chiamate vene, chiaramente visibili sulla mia pelle diafana. “Ora mi spieghi quel che diavolo stai facendo.” Mi girai lentamente, con la testa che era ancora più pesante. Hope era a terra, che mi guardava con la testolina piegata da un lato, vicino a una busta che a prima vista sembrava contenere dei croccantini. Accanto a lei c’erano due gambe fasciate da un jeans, ma i miei occhi erano appannati. Riuscii solo a riconoscere la sua indimenticabile chioma bionda, che servì solo a farmi crollare ancora di più. Gettai il coltello nel lavello, buttandomi a terra urlando. “Becks… che succede?” mi si avvicinò in ginocchio, ma io gli misi una mano sul petto, spostandolo nonostante la poca forza che avevo. Mi coprii il viso con le mani, cercando di tirarmelo via. Le unghie scavavano nella carne, e anche se mi facevo male lo ignoravo. “Cazzo, parlami!”  “NO! Vai via!” riuscii ad urlare in agonia. “No, io resto.” “Vaffanculo, voglio morire ora!” “Stai zitta.” “Se muoio è meglio per tutti, così te ne vai.” “Perché dovrei andarmene?” “Perché soffrirai a causa mia.” “E pensare che all’inizio doveva essere il contrario.” Mi alzai, cercando di riprendere quella lama affilata, che luccicava sotto la luce della cucina. Ma non so come scivolai, e divenne tutto buio.

Mi risvegliai, ma era tutto buio. Provai a chiudere e riaprire le palpebre, ma niente. Un’enorme macchia nera. Provai a muovere gambe e braccia, ma erano tese, come se fossero tenute da corde. “Adesso che ti sei svegliata mi ascolti. Altrimenti non ti tolgo niente.” “Che cos’hai fatto?” ridacchiò, ma non capii dalla sua espressione se rideva per divertimento o no. Non vedevo. “Una benda e dei laccetti di pelle. Divertente no?” sentii dei sorsi tirati da una bottiglia, che poi fu appoggiata poco delicatamente sul pavimento. “Sei ubriaco.” Dissi a denti stretti. “Vuoi sapere la verità sulle lettere, o no?” “La vorrei sapere da qualcuno con la mente lucida.” Sbuffai. “Non sono brillo. Io riesco a reggere l’alcohol.” Strattonai ancora una volta i polsi, ma i laccetti di pelle si strinsero. Sentii che scavavano nella carne, così decisi di lasciar perdere. “Spara.” Riuscii a mormorare alla fine. “Sai, da piccolo suonavo. La musica è arte. Continuo a suonare ancora.” Dove voleva andare a parare? “Fu a teatro che incontrai quell’uomo.” Sentii qualcosa strozzarmi, qualcosa graffiarmi la gola, un urlo che voleva uscire ma che io ero pronta a controllare.

FLASHBACK (NIALL’S POV)

“Ragazzino?” Rimettevo la chitarra nella custodia, dandole un buffetto sulle corde, come si fa ad una vecchia amica. Mi girai verso la voce profonda che mi aveva chiamato, provando ad abbinarle un volto. Il teatro era vuoto, il mio piccolo concerto di chiusura era terminato in applausi scroscianti. Vidi un uomo che si avvicinava dalle ultime file. Un fisico slanciato, avvolto in un trench nero e con una sciarpa di cotone rossa. Poteva avere una cinquantina d’anni, forse di meno, ma ne dimostrava quaranta. “Ottima performance. Posso offrirti un caffè?” “Ho sedici anni, non posso bere il caffè.” Replicai. “Oh, avanti, a sedici anni io già mi facevo di erba.” Sentii una punta di fastidio nella sua voce, qualcosa che mi faceva sentire a disagio. “Posso sapere con chi avrei il piacere di parlare?” sottolineai la parola piacere con sarcasmo. “Non ti interessa il mio nome. Penso ti interessi qualcos’altro di me.”

Più che un bar da caffè e biscotti, sembrava una tavola calda per motociclisti di passaggio. Sentivo l’umidità trapanarmi le ossa, e c’era una perdita fastidiosa che cadeva da un foro nei condotti dell’aria. “Leggi queste, e forse capirai di che cosa parlo.” Lì mi diede le tue lettere. Ne lessi una ad una capendo tutto. Lui era il tuo vero padre, e quelle lettere le aveva ricevute veramente. Incurante che avesse un’altra moglie o no. Tua madre per lui era stata un divertimento. Tua madre si prostituiva per pagarsi la marjuana.

FINE FLASHBACK (BECKY’S POV)

Quelle parole mi colpirono come una fiammella contro una scheggia di ghiaccio. Un dolore che si scioglieva lentamente, evaporava, ma poi tornava più doloroso di prima. E sarebbe rimasto, perché il passato non si poteva cambiare. Il mio padre adottivo aveva ragione, e per quanto provassi a contrastarlo non potevo fare nulla. Era vero, ed ero nata da un errore. Magari un preservativo rotto, una pillola mancata… ma io in questo mondo non ci dovevo essere. Niall sorseggiò ancora un po’ dalla sua bottiglia, gettandola violentemente nel cestino che era nel bagno della camera. “Come ti aveva trovato mio… padre?” chiesi con un filo di voce, con quel po’ di voce che mi era rimasta. Come se qualcuno mi avesse pugnalato, e questa fosse la mia ultima preghiera. Il dolore c’era, ma non era fisico. “Posso solo dirti che tuo padre è in un brutto giro… e ha una notevole rete di contatti.” Ebbi un sussulto. “Sei… entrato in quel giro?” la risposta ci mise un po’ ad arrivare, forse ci stava pensando. “Si. Ho dovuto.” “Perché l’hai fatto?” strizzai le palpebre. ‘È un brutto sogno’, continuavo a ripetermi. “Altrimenti, ti avrebbero uccisa.” “Oh, vorrei che l’avessero fatto.” Mormorai, pensando che il mio sussurro fosse impercettibile. “Solo se morirai me ne andrò. E se continuerai a ripetere di voler morire come hai fatto prima nel sonno, alla fine ti ucciderò io.” “Allora penso proprio che ucciderò. Sei esasperante, prima dolce, poi sfrontato, prima pieno di attenzioni, poi ubriaco e incurante. Cosa diavolo sei?” “Sono Niall James Horan, e non ti libererai tanto facilmente di me, piccola.”

MY CORNER

Ciau, sono sbucata da un piccolo angoletto dell’inferno, dove mi avete spedito. Perché ora mi odiate, vero? Lo so, ma per aggiornare ho preso 4 e mezzo in francese, 5 in diritto e 5 e mezzo in matematica. Lo so, non sono il massimo ma questo liceo è esasperatamente difficile, ma almeno non ho latino, yeeee! Anyway, ho preso 8 e mezzo in inglese, e ciò mi rende mlml… ok, parlando del capitolo, so che ci sono tante allusioni al suicidio… ma il fatto è che non sto passando un bel periodo… e più quei patatoni pubblicano video commuoventi come SOML e io crollo, davvero. Mi sento troppo sola. Ho perso la mia migliore amica, non ho un ragazzo, sono infinitamente brutta e a scuola mi hanno detto anche: “Perché non ti uccidi?” davanti alla professoressa… con il silenzio della classe… è stato schifoso… so che non leggerete mai l’angolino a fine pagina, ma voi siete gli unici con cui mi posso sfogare. Non ho nessuno, dato che sono fottutamente sola. Mi sento un panda in via d’estinzionee! Vi racconto una cosa divertente, per ravvivare un po’: io ho un orecchino a forma di cerniera, e in classe c’è un tipo che mi dice sempre “Alza la cerniera!” io un giorno mi sono scocciata e gli ho detto “E tu tira la catenella, cesso!” OK, MA IO SONO NORMALE AHHAAHHAHA!

-Niallbestshirt

Ps: su twitter ho cambiato nick, ora mi chiamo @niallbestshirt e dovreste vedere il mio bg è kjfhjkjfh

Ps2: ecco a voi una mia foto… faccio schifo ma accettatemi u.u
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