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Autore: Subutai Khan    04/11/2013    1 recensioni
Questa è l'idea più malata che mi sia mai venuta in testa, e chi mi segue conosce lo standard. Sì, è peggio di quella. E di quella. E pure di quell'altra.
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Shinichi Ono sta tornando a casa dopo una dura giornata scolastica. Per strada, in quel momento sgombra di altre forme di vita bipedi, incoccia contro un ragazzo che non ha mai visto prima.
Stringetevi per bene, saranno capriole.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Genma Saotome, Nuovo personaggio, Ranma Saotome, Shan-pu
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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27 luglio 2012.
Guardo il cellulare che reggo nella destra, seduta a un tavolo casuale di un Nekohanten chiuso.
Sono le tre del pomeriggio.
Esattamente ventitré anni fa, mezz’ora più mezz’ora meno, moriva Akane Tendo. E adesso sto per affrontare Akane Tendo.
Carino quando puoi formulare frasi che appaiono degli ossimori pur non essendolo.
Ho lasciato campo libero troppo a lungo a quella ragazzetta irascibile. Da più di cinque mesi non ho trovato l’ardire di disubbidirle una sola volta, dopo quella scenata da annali che ha piantato nella cantina di questo stesso ristorante.
Sì, aveva detto sei. Se ne farà una ragione, io sono più che stufa di sottostare ulteriormente a quest’idiozia. Anzi, ci ho messo sin troppo tempo a decidermi.
Intimare a me di non rivolgerle la parola. Pazzesco. Così com’è pazzesco, se ci piacciono gli eufemismi, pensarla come una giovinastra irrispettosa. Si dà il caso che io e Akane, secondo logica, dovremmo essere coetanee. Invece io ho trentanove anni e lei ventitré. Toh, le casualità dei numeri e delle ricorrenze.
Ma no, figurati. Perché tenere le cose semplici e pulite? Qualcuno si diverte a mandarci la vita a donne di facili costumi perché sennò non è abbastanza spassoso.
Di chiunque sia la colpa di questo immenso, irrisolvibile casino: vaffanculo. Detto con tutto il cuore.
Va bene, basta ciance.
Compongo rapidamente il suo numero.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
Su su, rispondi. Non fare la marmocchia testarda.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
Avanti. Avanti.
TUTUTUTUTUTUTUTU.
CLICK.
“Shan-Pu”.
“Akane”.
Niente smancerie, eh. Mi sta bene.
“Cosa vuoi? Il tempo non è...”.
“Al diavolo. La farsa è durata sin troppo. Hai avuto il tuo periodo per sbollire e ragionare. Adesso, se la cosa non ti crea problemi, alza il culo e vieni qui. Ti aspetto”.
“Perché dovrei?”.
“Perché abbiamo entrambe qualcosa da farci perdonare. E non voglio continuare questo insensato mutismo”.
Un attimo, breve, di pausa.
“Sai che, potenzialmente, potrei venire lì con il solo scopo di gonfiarti di botte... vero?”.
“Certo, ma non m’interessa. Preferisco quello che andare avanti così. Lo considererei un passo, che è meglio”.
“Ok, Puffetta Quattrocchi. Arrivo appena posso. Per precauzione prepara il kit del pronto soccorso”.
Riaggancio.
È fatta, Shan-Pu. Hai appena lanciato il sasso nello stagno. Ora vediamo se il suddetto stagno si coagula in un mostro d’acqua che vuole farti affogare.
Sei consapevole dei rischi che questa tua spavalda azione può portare. Hai deciso di non preoccupartene. Ritieni giusto mettere in chiaro almeno un paio di punti della faccenda.
Attendo fischiettando. Sono molto meno nervosa di quanto sospettassi e a quanto pare intendevo sul serio quelle parole sul come per me qualunque sviluppo sia preferibile a questo stallo. Ovviamente non ci penso neppure a porre su un lato del tavolo cerotti e disinfettante, uno perché dubito arriveremo davvero a tanto, due perché nel caso non sarò io ad avere bisogno di cure. Ma sul serio, se possibile preferirei evitare. Non parto con l’intenzione di picchiarci. Ammetto di essere parecchio infastidita dall’attuale stato di cose, ma non vuol dire che non possa almeno tentare di aggiustare la situazione.
Insomma, è di Akane che sto parlando.
...
...
Feh. Aveva ragione Mousse, quella volta che è venuto a trovarmi. Così come prima del Torneo la mia vita girava attorno a Ranma, ora di riffa o di raffa gira attorno ad Akane. O comunque lei, o una sua versione extradimensionale, c’è sempre dentro per un motivo o per l’altro. E un po’ mi spiace per lui. Pardon.
Fatte le giuste scuse, aspetto con pazienza la sua venuta.
Dopo un po’ arriva una serie di colpi all’ingresso. Orpo, invece di star qui a rigirarmi i pollici avrei potuto pensarci prima e aprire.
Vabbè.
BAM BAM BAM BAM.
Con calma ragazzotta, con calma. Vorrai mica sfondarmi la porta. E poi ti ho chiamata io, pensi che adesso voglia lasciarti fuori?
Mi alzo e provvedo a farla accomodare, non senza lanciarle un’occhiata scocciata per l’eccessiva foga. Fa come se non esistessi e va a sedersi.
Uff. Sarà una cosa lunga.
Mi accomodo accanto a lei. Siamo faccia a faccia.
“Poche balle, Shan-Pu. Dimmi perché sono qui e facciamola finita”.
“Mi sembrava di essere stata abbastanza chiara, al telefono. Inoltre non ti ho mica obbligata e se sei qui è perché, evidentemente, hai qualcosa da dire”.
“Oppure potrei darti una papagna sul naso e tornarmene a casa”.
“Prego”. E con la coda dell’occhio vedo la sua mano destra, che penzola assieme al braccio lungo il fianco, chiudersi a pugno.
Fai quel che devi. Sono pronta.
“Prima di pestarmi, però, vorrei ricordarti che giorno è oggi”.
Mi sa che l’ho presa in contropiede, almeno a giudicare dallo sguardo stupito che mi restituisce. A quanto pare non ha fatto i suoi calcoli.
“Perché, che giorno è oggi?”.
“Il 27 luglio. Strano che non te ne sia accorta, pensavo che in casa Ono si sarebbe detto qualcosa in merito”.
“Mi sto perdendo. Ti spiacerebbe essere più chiara o devo convincerti con le maniere forti?”.
“La violenza sarebbe di troppo. Ventitré anni fa, precisi esatti spaccati, era il giorno del combattimento di Akane”.
“Oh...”.
Va bene, forse sono riuscita a instradare il discorso su dei binari più congeniali per la mia mascella. La sensazione è corroborata dal suo pugno che si scioglie e torna ad essere un palmo aperto.
“Non vedo perché portare a galla l’occorrenza” esclama, non senza una buona dose di confusione.
“In realtà non c’entra niente. Però... non so, forse inconsciamente ho scelto questo giorno per parlarti a proposito di quanto è successo con l’Artiglio”.
“Hai accennato a qualcosa che entrambe dovremmo farci perdonare...”.
“L’ho fatto. E parlavo del tuo essere testa calda e della mia insensibilità. Da quale preferisci che parta?”.
C’è un minuto cronometrato di silenzio. Ho idea stia riflettendo sulla sua voglia di confrontarsi, il che presumibilmente implica prendere a calci quanto le è rimasto addosso di quella vulcanica incazzatura. Da parte mia reputo intelligente non aprire bocca e lasciarla decidere in coscienza.
Poi, finalmente, emette la propria sentenza.
“Dalla tua insensibilità, mi pareva scontato”. E un sorriso leggero da parte sua mi fa capire che forse non dovrò farmi ingessare nessun arto rotto.
“Ma dai, che risvolto clamoroso. E sia, prima io. Ti devo chiedere scusa, Akane, perché in quel momento credo di aver esagerato. O meglio, a mia discolpa posso dire che il risultato probabilmente non sarebbe cambiato. È vero che mi sono fatta trascinare dall’impulso del momento, ma non ti avrei comunque lasciato usare l’Artiglio. Né in quel momento, né fra un anno, né fra dieci anni. Non a te”.
Sbatte la mano sul tavolo e le si gonfia la vena in testa.
Ehi, credevo avessimo superato quella fase.
“È questo che mi ha mandato e mi manda in bestia, Shan-Pu. Perché hai concesso a Genma la facoltà di utilizzarlo, e quando l’ha fatto Akira hai dimostrato estremo menefreghismo... e poi ti impunti in questo modo per me?”.
Se non fosse fisicamente impossibile giurerei che i suoi capelli castani si stiano sforzando per diventare rossi, come a voler manifestare anche a livello visivo la rabbia. E che la cicatrice abbia preso a pulsare. Non bastassero gli occhi che, fossero provvisti di punte da trapano, mi avrebbero già fatto due crateri in testa.
“Ecco, adesso capisco perché ho scelto proprio oggi”. Realizzazioni estemporanee, queste sconosciute.
“E perché? Sentiamo”.
“Non ci arrivi? Guarda che non serve una laurea per comprenderlo”.
“Se stai cercando di provocarmi il tuo è un ottimo lavoro, cinese”.
“No ok, ritiro. Però davvero, è palese. Io... io non voglio perderti... una seconda volta”.
“Che... che cosa?”.
“Akane, non sei sorda. Ho detto che non voglio perderti. Non di nuovo. Stavolta ne morirei, lo so. Forse solo dentro e non per forza anche fuori, ma mi succederebbe”.
Avviene quello che, fino a pochi minuti fa, ritenevo inconcepibile. Ogni possibile sintomo d'ira evapora dal suo volto e il suo respiro si fa affannoso.
“Akane? Tutto bene?”.
“Non... non... io non...”.
Ehi. Va bene prendersi male, ma non così tanto.
Fa per dire qualcosa ma... no, non le esce nulla se non respiri smozzicati.
Che sta succedendo? Niente scherzi.
La afferro per le spalle e la scuoto, sperando che mi dia un segno di vita. Non lo fa. Si limita a fissarmi, istupidita.
O diavolo, no. Non era mia intenzione.
“Akane! Akane!”.
Niente.
Comincia a salirmi una matta preoccupazione.
Poi, per fortuna, si ridesta da sé.
“Shan... Shan-Pu...”. La sua voce è flebile, come se si fosse appena ripresa da uno svenimento.
“Santo cielo Akane, stai bene? Mi spiace, non volevo....”. La mollo e le lascio spazio per respirare meglio.
“Non so che dire. Mi hai totalmente sconvolta con quell’uscita”.
“Scusa, sul serio. Non...”.
“Io... sono stata cieca. Totalmente cieca”.
“No ehi, che blateri?”.
“La verità. Avevi ragione, è così evidente. Non solo la scelta, inconsapevole o meno che sia, di questo preciso giorno. Non mi capacito di non averlo capito da sola”.
Rimango quieta, preferisco lasciarla parlare. Ma lei non pare d’accordo e continua a guardarmi, adesso con la faccia di qualcuno che deve farsi perdonare una gigantesca marachella.
“Shan-Pu, nonostante quanto mi si dice attorno io resto sempre Akane Tendo e certi lati di me, quelli che generalmente mi mettono nei guai, non possono o non vogliono andarsene. Uno di questi lati è la mia incredibile, incontrollabile capacità di farmi travolgere dall’onda emotiva e di tapparmi occhi, orecchie e qualsiasi altro organo recettivo. Altrimenti non si spiega, non si può spiegare quanto sono stata ottusa e crudele nei tuoi confronti”.
“Akane, non sei stata crudele. Ottusa sì, un pochino. Ma non crudele”.
“Ne sei sicura? Perché io così mi sento ora, come una che ha appena cercato di piantarti un coltello nel petto”.
“Melodrammatica. No, sul serio. Non devi”.
Senza preavviso scoppia a piangere.
Kami del cielo, questo non era previsto. Né tantomeno voluto. Chi ci pensava a trascinarla in un giocoso guilt trip con tanto di giri della morte e capriole assortite?
Sto per abbracciarla quando mi anticipa.
No cretina di una Shan-Pu, evita di sentirti come una mamma con sua figlia. A parte che significherebbe che sono rimasta incinta a sedici anni... no, ti prego. È un pensiero raccapricciante.
Eppure, brividi a parte, una parte di me spinge per cercare di calmarla. La cosa meno equivoca che mi viene in mente è di accarezzarle i capelli. Come farebbe una mamma.
No basta no togliti questa roba dal cervello.
Dalla sua gola arrivano solo sconnessi suoni senza il minimo senso, presumo tentativi di imbastire un discorso a cui le lacrime e i gemiti impediscono di concretizzarsi.
Non c’è fretta, su. Butta fuori tutto.
Mentre la lascio sfogarsi mi balena chiara una cosa: prima ho mentito. A fin di bene, ma ho mentito. Perché, in tutta sincerità, ho trovato il suo modo di porsi crudele oltre che ottuso. Mi ha vomitato addosso calunnie gratuite così, per il puro gusto di farmi del male. È in parte giustificata e comunque non le porto rancore per questo, ma non penso di essermi meritata quel torrente di insulti e rinfacciamenti. Specie quando mi ha detto che il mio pentimento era fasullo... lì mi ha davvero ferita.
Io sono umana e, in quanto tale, piena di difetti. Ma una e una sola cosa non mi si può proprio rimproverare: che non abbia passato settimane e settimane e settimane a darmi virtuali frustrate sulla schiena per espiare il mio orribile comportamento in occasione del Torneo. Me ne sono resa conto quasi subito, sin dalla volta in cui vennero a trovarmi Kasumi e Nabiki. E da quel momento, gli spiriti mi sono testimoni, avrei dato anche entrambi i reni per poter rimediare. Se i miei compagni... i miei amici non fossero morti, io avrei passato il resto della mia vita a implorare il loro perdono pur sapendo di non poterlo ottenere.
“Comunque non credere di essere l’unica a dover fare ammenda, Tendo. Per mia sfortuna la cosa è reciproca. D’accordo che sono partita con l’intenzione di essere la prima a scusarsi, ma poi il tutto è deragliato a questo. E non è giusto nei tuoi confronti”.
Mi aspettavo di vederla alzare la testa verso di me, ma non succede. Si limita a continuare con il suo delizioso singhiozzare, anche se forse si sta un poco calmando.
Inutile gettare l’esca e poi ritirare la mano, pertanto proseguo: “Ti porgo le mie più autentiche scuse, Akane. Non avrei dovuto distruggere l’Artiglio di fronte ai tuoi occhi, è stato insensibile da parte mia. Avrei voluto dire anche immotivato ma, se devo svuotare il sacco fino in fondo, non lo pensavo allora e non lo penso adesso. Ho avuto le mie ragioni per farlo, ragioni che sicuramente tu non condividi e immagino ritenga meschine. E forse sono io ad essere in torto, chi lo sa. Resta che non è stato un capriccio dettato da una stupida vendetta senza senso. Non mi rimangio le intenzioni, solo le azioni. Spero che questo ti basti”.
Suonerà egocentrico e capisco il perché, ma mi sento proprio di dirmelo: brava, Shan-Pu. Sei stata onesta al punto giusto, non hai indorato la pillola a suo vantaggio e non ti sei addossata demeriti che non credi di avere. Era facile rischiare di cadere nell’auto compatimento, nella fiera della critica senza base, nell’esagerazione spinta. Non è successo ed è una cosa che, per quanto frivola, mi rende fiera di me stessa e dell’equilibrio che ritengo di aver messo in mostra. Il solo fatto di essermi tenuta dentro parte delle considerazioni sul suo atteggiamento verso di me... beh, è cosa buona e giusta.
“Sì Shan-Pu... mi... mi basta” è la risposta, attutita dalla stoffa che ancora è a contatto con la sua bocca.
Tiro un sospiro di sollievo, anche se solo interno. Sono molto felice di aver evitato conseguenze spiacevoli, come ho detto in lungo e in largo proprio non avrei voluto.
“Adesso basta, su. Hai pianto a sufficienza e non sono neanche sicura di meritarmi tutto questo profluvio di disperazione” le dico poi alzandole di peso il volto e facendo in modo che incontri il mio. Sorrido, voglio non dare adito a dubbi riguardo le mie buone intenzioni.
“Inoltre” riprendo senza darle il tempo di controbattere “non sei tu quella che era arrivata minacciando setti nasali in fiamme e interventi chirurgici di ogni genere? Se adesso fai così non riuscirai più a spaventare neanche un pulcino, d’ora in avanti”.
“Non preoccuparti troppo della mia tenuta, la posso recuperare quando e come mi pare”.
“Se lo dici tu”.
“Cretina”, con tanto di scappellotto sul braccio. E un sorriso, stiratissimo e stanco ma pur sempre un sorriso.
Ok, credo di poter dire con tutti i crismi dell’ufficialità che il peggio è passato. Ma vediamo di assicurarcene senza errore.
“Quindi posso prendere per buono che... fra me e te le cose si sono aggiustate?”.
Non risponde subito, forse per darmi un brivido d’incertezza. Anche se quello sguardo molto più rilassato e calmo tradisce la sua reale risposta.
“Puoi”.
Solo uno sforzo consapevole mi impedisce di gettarle le braccia al collo, vuoi perché sarebbe un poco sconveniente e vuoi perché non fa bene al mio orgoglio amazzone mostrarmi così melensa.
“Bene. Questo prolungato stato di cose danneggiava troppo il mio fegato”.
“Solo perché non ti ho rivolto la parola per cinque mesi”.
“Hai detto poco. Ti sembra il modo di trattare una tua senpai?”.
“Non menare il can per l’aia, Shan-Pu. Tecnicamente non sei la mia senpai”.
“Ma fattualmente sì. Le mie rughe la dicono lunga, bimbetta”.
“Oh dai, adesso non attaccare con la scenata della vecchia incartapecorita che picchia la nipote irrispettosa col bastone. Come se poi, così vicina agli anta come sei, non avessi ancora la pelle liscia di una ragazzina”.
“Non mi servirebbe il bastone, nonostante tutto sono ancora abbastanza in forma da poter usare i pugni”.
Siamo così ridicolmente carine che mi parte un embolo di risarola isterica e dopo tipo sette secondi e mezzo lei mi segue.
Per un paio di minuti il Nekohanten non è un ristorante, bensì il covo di due scemette.
All’improvviso smette, buttandomi addosso una manciata di preoccupazione.
“Sono contenta di aver raggiunto una tregua con te, però...” inizia.
“Però?”.
“Non sei l’unica persona a cui devo le mie scuse”.
E il mio pensiero corre rapido a un certo ragazzo col codino.
“Se tanto mi dà tanto” commento “hai passato tutto questo tempo tenendogli il muso...”.
“Già. E, proprio come non lo è stato con te, non è giusto neanche verso di lui”.
“Ti arrabbi se concordo?”.
“No. È quanto ho appena detto”.
“Scusa, la prossima volta cercherò di urtarti con tutte le mie forze”.
“Ma sarai una deficiente da primato, tu”.
“Faccio del mio peggio. Cribbio, non sai quanto riuscire ad essere così con te mi faccia piacere e nel contempo mi ferisca...”.
“Ti ferisce? Perché?”.
“Perché, da brava nonnina che vive nel passato, non riesco a togliermi dalla testa il rimpianto per non aver saputo superare le differenze con l’Akane di questo mondo e per averla vista morire con occhi pieni di soddisfazione”.
È inutile, Shan-Pu. Non riuscirai mai a perdonarti. Mai. Probabilmente, sotto sotto, neanche vuoi realmente farlo perché non te ne reputi degna.
Il suo tono conciliante mi spiazza meno di quanto mi aspettassi: “Si matura, cara mia. E guarda, da una parte trovo sacrosanto che tu debba portare il peso di quanto hai fatto per tutto il resto della tua vita. Sai meglio di me, per esperienza diretta, che certe cose lasciano un segno profondo nelle persone e bisogna conviverci, volenti o nolenti. D’altro canto, però, penso che dovresti darti un po’ di spazio per respirare. Ti assicuro che, se mi fosse capitato quel che è capitato a te, non sarei stata capace di avere una reazione migliore... quantomeno non prima della grande onda curativa scatenata da Mousse. E lo stesso, ci metterei la mano sul fuoco, sarebbe valso per la zia di Shinichi e Rei. Siamo umani, solo umani e a volte i nostri biechi istinti prevaricano anche il più nobile dei propositi. Ora cambiamo argomento, non mi va di vederti intristita dopo che abbiamo fatto pace. Anzi, se mi concedi di prendere l’iniziativa...”.
Tira fuori il cellulare.
“Cosa vuoi fare?”.
“Spero non ti scocci se lo faccio venire qui, mh?”.
Mi scoccia?
No, non direttamente. Anche se...
Anche se non sarà facile per me ritrovarmelo davanti.
“Posso chiederti perché vorresti chiamarlo?”.
“La mia geniale mente ha escogitato questo splendido piano d’azione: gli intimo di alzare le chiappe e di raggiungerci, cosicché io possa discolparmi per bene con entrambi. Prendere due piccioni con una sola fava è così conveniente”.
“Io... io non credo sia una buona idea...”.
“Uh? Cosa vai blaterando, di grazia?”.
“Non potreste... chessò... sistemarvela in privato fra di voi?”.
“Shan-Pu... tu hai paura di vederlo. Te lo leggo negli occhi”.
Mayday, mayday. La portaerei ha preso un colpo fatale in B5 e sta colando a picco.
Sì, ho paura. E non mi sento per nulla pronta ad avercelo davanti. Mi sembrerebbe di assistere all’arrivo di uno spettro con i campanacci e le catene alle caviglie.
Ridicolo, lo so. Specie considerando che ho già avuto un’esperienza simile. E, se mi stai ascoltando, ti chiedo scusa per il paragone Mousse.
Ma sul serio, la sua sola presenza scatenerebbe in me qualcosa di forte, violento e che preferirei evitare almeno per ancora un po’ di tempo. Ad esempio temo che potrei scoppiare a piangere e cominciare a battergli il petto con i miei pugni, implorandolo di andare a impiccarsi da qualche parte se ciò potesse riportare in vita il Ranma di questo mondo. O magari sfogherei tutti i rimpianti e il dolore per questo crudele scherzo del destino, lo stesso che mi permetterebbe di parlargli nonostante sia morto da due decenni. Non lui chiaramente, specificare sarebbe stato complicato.
“Te lo chiedo come piacere personale, Akane. Se non è necessario evitamelo, per favore...”. La testa mi si abbassa da sé.
“Shan-Pu, io non credevo che... a distanza di tutti questi anni... tu soffrissi ancora così tanto per lui...”.
“Non lo credevo neanch’io, almeno fino a quando non avete fatto irruzione nella mia cucina prendendomi alla sprovvista. Nel tuo caso sapevo a cosa andavo incontro e hai visto comunque i risultati, ho avuto un mezzo crollo psico-fisico. Inoltre, senza offesa, ero innamorata -anche se forse sarebbe più corretto dire infatuata- di lui e non certo di te...”.
“Tsk. Ed ecco di nuovo l’insensibilità Tendo in azione, sempre più stolta e schiamazzante”.
Torno a guardarla faccia a faccia: “Adesso finiscila, davvero. È normale che non ci abbia pensato”.
“No, non è normale. Qualunque microcefalo ci sarebbe arrivato”.
“Devo rifilarti un ceffone per rimetterti in riga, bimba discola? Impara a rispettare i senpai”.
“E torna fuori ‘sta fregnaccia della senpai. Non lo sei, cara la mia MILF”.
Qua degeneriamo. Meglio mettere un freno all’isterismo rampante: “Ok, propongo un compromesso: se smetto di usare quella brutta parola, in cambio tu la smetterai di dire che sei acuta come uno spillone. Ci stai?”.
“Va bene, va bene”.
“Brava così”.
Ripone il telefono nella tasca da cui era uscito e dice che ci ha ripensato, riguardo all’idea di invitarlo qui. Di questo la ringrazio profondamente.
“Bene. Sembra che qui abbiamo finito, no?”.
“Direi di sì. Ho ottenuto quello che volevo senza rimetterci neanche un dente. Penso di potermi considerare molto fortunata”.
“Spiritosa come un ubriaco che fa battute sconce, guarda. Il senso dell’umorismo di Joketsuzoku è sempre come me lo ricordavo”.
“Cosa pretendi? Si fa quel che si può. Ah, e Akane... grazie. Di cuore”.
“Non hai nulla per cui ringraziarmi. Anzi no, sono io che devo ringraziarti”.
“Uh?”.
“Esattamente come la Shan-Pu del mio mondo, sotto quella scorza di durezza amazzone c’è una persona che vale la pena di considerare propria amica. Ti devo chiedere scusa per il nostro passato”.
“Oh suvvia, sono stati solo cinque mesi e...”.
“No. Intendo per tutto il nostro passato”.
“Eh?”.
“Siamo state due testone impossibili, tu e io. E ci siamo precluse a lungo qualcosa di bello, che avrebbe solo fatto bene ad entrambe. Forse per la filosofia di vita con cui sei stata cresciuta può sembrare banale e da deboli, ma io credo sia meglio essere amici che nemici con qualcuno. Come tu, in ogni dimensione che ho visitato, mi hai ripetutamente dimostrato”.
Oh. Se volevi portarmi a tanto così dal pianto sei stata molto brava, Tendo. Molto, molto brava.
Mi alzo e la spingo verso l’uscita, cercando di mascherare il mio stato emotivo con delle chiacchiere insensate. Continuo a non essere particolarmente entusiasta di fronte alla prospettiva di frignare come una mocciosa.
Davanti alla porta smetto di spintonarla. Lei ne approfitta per un inchino e un ennesimo ringraziamento, al quale rispondo con piacere.
Quando fa per uscire...
“Ranma? Che... che ci fai tu qui?” chiede, stupita di vederselo davanti con ancora il pomello della porta in mano.
Beh, gran figata. Io riesco a convincere ‘sta cocciuta a tenermelo lontano e lui pensa bene di agire per i fatti suoi. No, ma bravo eh. E grazie tante.
“R-Ranma...”.
“Shan-Pu...”.
“Okvabenevoidueavretedaparlarefatelofuoridiquiciaograzieearrivederci!”.
Ultima spinta sulla schiena di Akane per farla accomodare fuori e velocissima chiusura. Sono bastati questi trenta secondi per mandarmi qualcosa di non ben definito in gola. Penso il pancreas.
Ora sono tutti cavoli tuoi, Tendo. Auguri e tanta fortuna.
   
 
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