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Autore: BlueSkied    04/11/2013    1 recensioni
La notte dell'Epifania del 1537 Alessandro de'Medici, detestato duca di Firenze viene assassinato dall'amico e congiunto Lorenzaccio de'Medici.
Tocca allora a Cosimo de'Medici, figlio del capitano di ventura Giovanni dalle Bande Nere ed erede del ramo popolare della famiglia, prendere il potere.
Tra raffinato mecenatismo artistico, nuove politiche e disgrazie familiari, condurrà la Toscana verso il Granducato, con la cauta inesorabilità del suo motto.
Note: mi sto documentando il più possibile, per rendere la storia verosimile, ma qualcosa potrebbe sfuggirmi, anche perché spesso le fonti si contraddicono.
Per finalità di trama, alcuni passaggi potrebbero essere violenti.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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16.


Febbraio 1557


- Sono arrivati?-
Isabella si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo e rispose, meccanicamente: - No, Maria -. Da tempo non vedeva sua sorella così nervosa, anzi forse Maria non era mai stata nervosa in tutta la sua vita. Ancora più pallida del solito, sedeva rigidamente, torcendo fra le dita le perle del suo braccialetto, e nel giro di un'ora le aveva fatto la stessa domanda almeno quattro volte. Quando udì l'ennesimo responso negativo, sospirò e tornò a guardare l'agitazione intorno a lei come se non la vedesse affatto. Fantesche e damigelle si affannavano tra le stanze e i corridoi, bisbigliando fra loro e correndo ad eseguire i vari ordini per quella sera. Dai saloni al pianterreno della villa provenivano voci e rumori che testimoniavano lo stesso fermento.
Nessuno era stato più fermo un attimo, da quando si era saputo il giorno esatto dell'arrivo del duca di Ferrara, Alfonso II d'Este, da poco alleato di Cosimo de'Medici e promesso sposo di Maria. La corte era stata spostata da Pisa a Poggio a Caiano in tutta fretta, e i preparativi per l'accoglienza dell'ospite erano cominciati senza indugio né riguardo al tempo né riguardo alle spese. Donna Isabel, la nutrice dei principi, aveva confidato loro che non si era più visto tanto sfarzo dal matrimonio dei duchi. Sul momento, i ragazzi erano stati entusiasti nel ricevere abiti e paramenti per i cavalli nuovi, nel vedere la bella dimora di campagna tirata a lucido e ornata a festa, nell'assistere al lavoro del servidorame di corte o assunto per l'occasione. Poi quell'atmosfera gioiosa si era un po' spenta: i piccoli si annoiavano presto e i grandi erano assillati dalle continue raccomandazioni e istruzioni di precettori, nutrici e sopra ogni altro, della madre. Sempre severissima, in quei giorni si era fatta assolutamente inflessibile: la minima mancanza da parte dei figli sfociava subito in un castigo, anche quelle volte che di solito lei riteneva meno gravi e quindi scusabili. Il padre, dal canto suo, non interveniva a favore dei ragazzi, troppo impegnato nei trattati di pace con la Francia, dei quali quel matrimonio era parte integrante.
Di tutto questo alle principesse importava in realtà poco. Maria si era chiusa nella sua preoccupazione da sposa in itinere, Lucrezia, solo dodicenne, era l'unica a provare un po' di eccitazione per la festa, e Isabella pensava che quando sarebbe toccato a lei, probabilmente non avrebbe retto né a tutta quell'aspettativa, né alle ansie tiranniche della duchessa sua madre. Guardando dalla finestra verso le case accoccolate del paese e le morbide colline verdi, la ragazza dette una secca tirata al colletto alto dell'abito di damascato argento: un colore da lutto che la mamma aveva scelto perché lei era già fidanzata.
Come si aspettava, Paolo Giordano non sarebbe stato presente a quei festeggiamenti, ma questo non le impedì d'incupirsi: si erano conosciuti per il contratto di nozze, quattro anni prima, lei undicenne, lui dodicenne, entrambi ragazzini annoiati dalle lunghe chiacchiere degli adulti, fidanzati senza nemmeno capire bene cosa significasse, diversissimi nell'aspetto e nel temperamento. Isabella era una fanciulla vivace, dai capelli rossi e la lingua pronta, Paolo era un adolescente scuro, pingue e timido. Nulla di più incompatibile, ma si erano scritti, negli anni, e Isabella poteva anche credere di avere una piccola infatuazione per quel futuro marito, che però poi aveva rivisto solo di sfuggita durante qualche visita ufficiale, e niente di più.
Probabilmente, pensò, a Maria e Alfonso non sarebbe accaduto lo stesso, visto che ormai sua sorella era abbastanza grande per sposarsi e andare nella città del marito. Lucrezia e Garcia avevano pianto, quando avevano saputo che Maria sarebbe andata via di casa, e neppure Isabella aveva saputo trattenere la tristezza.
Sebbene le dividessero solo due anni, Maria era sempre stata un esempio per sua sorella minore: differente da tutti loro, pur avendo la stessa mescolanza di caratteristiche dei genitori, era bella come una Vergine Annunciata, con la pelle chiara e i capelli in onde scure che circondavano il volto a forma di cuore, in magnifico contrasto con gli occhi nocciola pallido, così trasparente da sembrare celeste.
L'età della crescita non l'aveva turbata troppo, lasciandole il temperamento delicato e modesto che l'aveva sempre contraddistinta, che a Isabella faceva pensare a una versione più dolce della loro madre.
La duchessa, senza farne mistero, aveva sempre smoderatamente preferito la primogenita alle altre femmine, felice che fosse cresciuta bella, saggia e pia come aveva voluto.
Eppure, nonostante quella sua aria da regina, Maria non disdegnava divertimenti più movimentati. Amava cacciare e correre a cavallo, cose che l'avevano resa carissima al babbo.
Insomma, Isabella non faticava a credere che sua sorella sarebbe stata una duchessa perfetta per Ferrara, e se suo marito l'avesse anche amata, non se ne sarebbe stupita. Osservandola preoccuparsi nella sottana cremisi scuro tempestata di piccoli vezzi d'oro e perle, si disse che qualsiasi uomo a posto con la testa non avrebbe potuto altro che amarla.
Un colpo secco alla porta fece sobbalzare entrambe le ragazze, ma l'intruso si rivelò essere solo Lucrezia, che già costretta nel suo sottanino verde e con la cuffia che minacciava di scivolare giù dai ricci, corse nella camera e si buttò sulle ginocchia di Maria, strillando come una bimbetta:
- Oh, Maria, Isabella, la mamma viene qui! -
Questa notizia mise in grande allarme la schiera di damigelle e donne, che si affrettarono a ricomporre donna Lucrezia in uno stato accettabile e a controllare che tutto in donna Maria fosse perfetto. Isabella, dal canto suo, si limitò a lisciare le pieghe sul busto e a spingere una forcina un po' più dentro nell'acconciatura a cercina.
La duchessa Eleonora arrivò dopo pochi secondi, accompagnata dalle sue rigide donne e dal fruscio della ricca zimarra di velluto che indossava. Mentre s'inchinava brevemente, Isabella si stupì per l'ennesima volta di come sua madre riuscisse a scintillare pur portando pochissimi gioielli. Non aveva nemmeno gemme cucite sull'abito, ma bastavano minimi movimenti per far brillare il lungo filo di perle sul petto, gli orecchini e gli anelli alle dita. Da quando aveva messo su peso, il corpo gravato dai molti parti, sembrava ancora più imponente del solito, e pure ora che potevano guardarla negli occhi le figlie si sentirono piccole davanti a lei.
- Mi querida - disse con insolita tenerezza, entrando e avvicinandosi a Maria. La esaminò e lisciò invisibili imperfezioni delle maniche:
- Questo mi ricorda quando mia madre, Dio l'abbia in gloria, mi vestì per le mie nozze - raccontò, decisamente commossa - Sua Eccellenza il duca di Ferrara è qui, e non vede l'ora di vederti, figlia mia. Non avere paura, e non tremare. Sii graziosa e sorridi, ma con garbo. Isabella, Lucrezia, venite qui - aggiunse, rivolta alle altre, e indicò loro di mettersi ai fianchi della sorella.
- Mostriamo a questi Este i fiori più belli del giardino dei Medici -


Del ventiquattrenne Alfonso, un giovane alto ma non allampanato, Cosimo apprezzò la prestanza fisica, del buon cavalcatore, ma qualcosa, nel viso lungo e cereo, gli dava l'idea di poca virilità. Gli gettò l'ennesima occhiata da sopra il bicchiere di Chianti, e non poté fare a meno di confrontarlo con la figliola: sembravano stare bene insieme, mentre le poche parole di lui, nello strano accento dell'Emilia, accendevano le guance di Maria di un rossore timido e divertito. Coperti dalla musica, dalle chiacchiere e dall'acciottolare delle posate, non si udiva affatto cosa si stessero dicendo, ma non era difficile immaginarlo. Frasi di cortesia e di giovanile ardore.
Lo stesso che, più che evidentemente, brillava negli occhi di Francesco, intento da tutto il banchetto a studiare una fanciulla bionda del seguito ferrarese. Accanto a lui, Isabella e Giovanni, tornato da Roma, ridevano fra loro, assistendo ai lazzi dei nani e facendo pungenti osservazioni sugli ospiti. Il ragazzo, tuttavia, cercava di darsi un contegno, per rispetto alla pesante croce che portava appesa al collo. Lucrezia, Garzia e Ferdinando giocherellavano col cibo e buttavano avanzi ai cani, fissando con occhi un po' spersi tutto quel corteggio estraneo che parlava in quel dialetto misterioso, di cui non capivano uno zero.
Il duca Alfonso si era sorpreso nell'apprendere che anche i bambini più piccoli del Medici partecipavano ai banchetti ufficiali, ma non aveva fatto commenti. Fino a quel momento, si era dimostrato un perfetto nobiluomo, complimentando a più riprese la duchessa e mostrando vivo interesse per la passione del duca per le antichità e le arti.
Mentre raggiungevano la villa, Cosimo gli aveva ampiamente descritto la sua collezione di bronzetti, vasi greci e statue etrusche, incontrando il suo entusiasmo. Sapeva che Alfonso era protettore di poeti e artisti, e questo glielo rendeva affabile.
Gli Este gli servivano, e Alfonso era l'ultimo fra loro. Maria gli avrebbe dato uno stuolo di bambini mezzo sangue Medici e il potere della Toscana sarebbe stato consolidato. Questo Eleonora lo sapeva, ma non le aveva impedito di arricciare il labbro in un gesto d'immenso fastidio.
" Herejìco " aveva mormorato, quando era stato appena lontano dalla sua voce. Sua madre, Renata di Francia, era stata allontanata da Ferrara per la sua fede calvinista, e sebbene il figlio fosse ancora piccolo, lei temeva che potesse aver assorbito alcune delle blasfeme credenze della madre.
Cosimo era certo che ci stesse ancora pensando, e infatti, quando i convitati cominciarono ad alzarsi per aprire le danze, non si sorprese nel sentirla sbuffare:
- La mia povera Maria, promessa a questo azzimato eretico - sussurrò, segnandosi con circospezione. Il duca si trattenne dal ridere, non volendo rischiare di offenderla, anche perché da una parte condivideva i timori della moglie, ma la vedeva in modo più elastico:
- Sono compromessi che dobbiamo accettare, mia signora - la redarguì - E poi Sua Eccellenza ha provato la sua fedeltà alla Chiesa Cattolica Romana - assicurò. Eleonora si strinse nelle spalle:
- Dev'essere come voi dite, mio signore - convenne - Ma non posso impedire al mio cuore di veder sposata una delle mie figlie a un principe spagnolo - confessò.
Teneva la testa posata sulle dita piegate, l'altra mano che reggeva il fazzoletto prossimo alle labbra. Ogni tanto un piccolo accesso di tosse la coglieva, ma il caldo della sala doveva mitigare quel malessere che la tormentava già da più di un inverno.
I ragazzi, bontà loro, scoppiavano di salute: Francesco danzava con la florida bionda che aveva silenziosamente corteggiato, Giovanni aveva accettato una danza con un'elegante signora e Isabella volteggiava con grazia da un compagno all'altro, leggiadra come una farfalla e allegra come una puledra.
Maria e Alfonso formavano una bella coppia, al centro della sala, composti in una trattenuta ammirazione. Il duca e la duchessa non poterono fare a meno di rivedere sé stessi in loro, altrattanto giovani e fiduciosi:
- Da quanto non danziamo, mia signora? - chiese Cosimo alla moglie, con una punta di nostalgia. Lei sorrise, in modo scherzosamente severo:
- Signore, non sta bene per noi neppure pensarlo. Comunque, da quando si sposarono Sua Maestà Filippo e la regina Maria d'Inghilterra - replicò.
- Oh, sì, ora ricordo, e voi avete avuto tutto il tempo paura di cadere da quelle terrificanti scarpe francesi - ribatté Cosimo. Eleonora si accigliò:
- Vorrei sapere dove sta scritto che solo le Francesi sanno vestire bene - sbuffò, ma era divertita.
- Voi le smentite - affermò il duca, conciliante - Maria porterà a Ferrara il modo di vestire fiorentino, e vedremo chi vincerà la tenzone -
- Spero che sarà felice almeno la metà di quanto lo sono io - dichiarò la duchessa, con improvvisa apprensione.
- La metà? Perché solo la metà? - volle sapere il marito, curioso e commosso insieme.
Lei lo guardò, con rara intensità:
- Perché nessuno, mio signore, potrà essere mai felice quanto lo sono io con voi -
Guardando i loro figlioli, allegri e splendenti come non mai, lanciati verso un destino di gloria, Cosimo la comprese e si sentì come lei.



Note

Paolo Giordano Orsini sposò Isabella de'Medici nel 1558.

Per SOTTANA intendo un abito cinquecentesco, con le maniche applicate o staccabili, prima capo che si portava sotto l'abito principale, poi divenuto indumento autonomo.

Filippo II d'Asburgo e Maria Tudor si sposarono nel 1555.



 

 
  
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