Libri > Le Cronache di Narnia
Segui la storia  |       
Autore: HikariMoon    04/11/2013    3 recensioni
Seguito di "Tears of Memory". Peter e Susan sono andati in America, Lucy e Edmund presto arriveranno a casa Scrubb. A Narnia Caspian ha intrapreso un lungo viaggio sul Veliero dell'Alba. Una nuova avventura ha inizio: riusciranno Susan e Caspian ha riunirsi mantenendo la promessa che si sono fatti? Peter e Susan riusciranno a tornare a Narnia? Chi o cosa minaccia la pace di Narnia? Tra antiche magie, distese di mari sconfinate, pirati e battaglie riusciranno i Sovrani a sconfiggere la minaccia della nebbia verde e ciò che dietro essa si cela? Insieme a due nuovi eroi che per la prima volta arriveranno a Narnia, mille avventure aspettano i cinque Sovrani. Che aspettate? Salpate insieme a noi: per Narnia e per Aslan!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 5 - Piani Falliti, Compere e Spiegazioni

Il silenzio regnava in casa Scrubb. Coloro che vi abitavano, erano ancora avvolti dalle braccia di Morfeo. Fuori, il sole doveva ancora sorgere e, oltre le case, si intravedeva solo un vago chiarore. Mancavano ancora un paio d’ore prima che si svegliassero.

Improvvisamente, la porta della camera di Edmund e Eustace cominciò ad aprirsi lentamente. Un debole cigolio ruppe il silenzio. Edmund si fermò e si voltò di scatto, sperando che il rumore non avesse svegliato il cugino. Lanciò uno sguardo appena verso il suo letto e poi sbuffò scuotendo la testa. La sua era stata una preoccupazione inutile. Eustace non dava l’impressione di aver sentito nulla: né Edmund che si era alzato, né il cigolio della porta. Il giovane Scrubb era disteso a pancia in giù e con le braccia stingeva il cuscino, mentre la leggera coperta era aggrovigliata attorno alle sue gambe e al suo busto. Ogni tanto si sentiva anche un leggero russare. Il volto di Edmund fu attraversato da una smorfia di disgusto: ma perché doveva dividere la camera con lui? Sarebbe stato di gran lungo meglio dividerla con un Minotauro…

Quando i suoi occhi caddero sull’orologio, Edmund ricordò il motivo per cui si era svegliato. Con cautela, Edmund uscì dalla stanza chiudendosi lentamente la porta alle spalle. Con Eustace non si poteva mai stare tranquilli: non si sarebbe sorpreso, se si fosse svegliato all’improvviso. Dopo un paio di istanti di attesa, il ragazzo si si voltò guardando il corridoio deserto. Casa Scrubb non sembrava tanto male… quando Eustace e i suoi genitori non c’erano. Istintivamente, i suoi occhi scuri corsero a guardare la parte del corridoio dove c’era la camera di Lucy. Chissà cosa gli avrebbe detto… sicuramente non sarebbe stata d’accordo. Ma Lucy non lo poteva capire: lei non doveva dividere la camera con Eustace e sorbirsi la sua presenza e le sue istigazioni. Ma soprattutto, Lucy non aveva mai dovuto sopportare il confronto con Peter. Peter: il maggiore, il più maturo, il più responsabile… il più. Il confronto tra Susan e Lucy era diverso. Certo, Susan era la più grande e veniva elogiata da tutti per la sua bellezza, ma tutti, compresi i loro genitori, voleva bene a Lucy per la sua spontaneità, per la sua allegria. E comunque era diverso, punto.

Scacciando dalla testa quei pensieri, Edmund si avviò lentamente verso l’altro lato del corridoio, verso la stanza di Alberta e Harold Scrubb. Facendo attenzione a fare il minimo rumore possibile, Edmund cominciò ad avvicinarsi in punta di piedi alla stanza degli zii. Quando stava per sorridere soddisfatto, ormai a poco più da un metro dalla porta, un asse del pavimento scricchiolo sotto i suoi piedi. Il ragazzo si immobilizzò e la fronte gli si imperlò di sudore. Passarono alcuni minuti che, a Edmund, sembrarono lunghissimi. Nessun rumore, però, proveniva dalla stanza. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo: possibile che in quella casa tutto dovesse cigolare o scricchiolare? Edmund allungò la mano e la posò sulla maniglia. Ora veniva il difficile.

Lentamente abbassò la maniglia, spalancando lentamente la porta. Edmund deglutì in preda all’ansia. Doveva assolutamente trovare una scusa convincente da rifilare agli zii nell’eventualità che lo scoprissero.

Il ragazzo aprì la porta completamente, entrando velocemente nella stanza e lasciando l’uscio socchiuso. Meglio avere sempre una via di fuga veloce: le battaglie a Narnia non erano state così inutili, dopotutto. Edmund si inginocchiò e a gattoni si avvicinò alla sedia dove erano posati le giacche di zio Harold e di zia Alberta. Il silenzio regnava sovrano anche in quella stanza, tranne nei momenti in cui un distinto e rumoroso russare si sentiva provenire dalla parte di zio Harold. Edmund sospirò scuotendo la testa: a quanto pareva era proprio vero, tale padre tale figlio…

Quando raggiunse la sedia, Edmund si sollevò leggermente per osservare gli zii. Zio Harold continuava a russare, beatamente addormentato. Zia Alberta invece aveva gli occhi coperti da una mascherina scura. Edmund immaginò che, probabilmente, aveva pure i tappi… qualche volta si chiedeva se erano veramente parenti. La loro mamma non assomigliava neanche un po’ alla sorella: magari c’era stato uno scambio di bambini…

Edmund ridacchiò e si coprì la bocca con la mano. Non doveva perdere tempo. Con decisione iniziò a frugare tra le tasche della giacca. Vuota, vuota, portafoglio, vuota… ma dove cavolo aveva messo quel documento d’identità? Improvvisamente, il ragazzo sentì un rumore alle sue spalle. Rapidamente frugò nella tasca più vicina. Sentendo tra le dita la consistenza della carta, Edmund non perse tempo: afferrò il piccolo documento e si fiondò fuori dalla camera. Come un fulmine si nascose dietro al muro, sperando che nessuno venisse da quella parte. Dopo pochi istanti di logorante attesa, Edmund sentì la porta della stanza degli zii aprirsi. Riconobbe subito il ciabattare svogliato di suo zio. Un rumoroso sbadiglio gli confermò la sua ipotesi. Lentamente si sporse e vide lo zio entrare in bagno. Non appena la porta si chiuse, Edmund attraversò il corridoio ed entrò di scatto nella stanza che divideva con Eustace. Subito dopo, si fiondò nel letto nascondendosi sotto le coperte.

Un attimo dopo, Edmund imprecò sottovoce, maledicendo la sua sfortuna. Quella non era il documento d’identità di zio Harold. Come una beffa, si leggeva nitidamente un altro nome: Alberta Scrubb. E ora come avrebbe fatto? Di sicuro non aveva intenzione di tentare di nuovo la sorte, entrando un’altra volta di nascosto nella stanza. Zia Alberta si sarebbe accorta di quella sottrazione? Con zio Harold sarebbe stato sicuro di non venir scoperto: quell’uomo dimenticava sempre qualcosa a casa, esclusione fatta ovviamente per il giornale. Non aveva altra scelta. Doveva accontentarsi di quel documento. Magari, con un po’ di faccia tosta lo avrebbe potuto far passare per un errore ortografico. Sì, tanto cosa voleva che gliene importasse a quelli che compilavano le liste?

Edmund si convinse e nascose con attenzione e cura il documento nella tasca dei pantaloni. Poi guardò l’ora, cominciando a contare i minuti che lo separavano dal momento di alzarsi. Forse quella che stava per fare era una pazzia, ma era più che determinato a provarci. Il ragazzo si voltò e i suoi occhi scuri fissarono il soffitto. Se doveva essere sincero, non lo faceva per liberarsi della presenza di Eustace… cioè, non solo. Il fatto era che voleva dimostrare a tutti che valeva quanto Peter. E poi, voleva tornare ad avere un ruolo. Era stufo di fare il ragazzo qualunque. A Narnia era stato un Re: non ne poteva più di quella monotonia. Almeno Susan e Peter, in America, stavano vivendo qualcosa di diverso. Sì, era deciso: avrebbe fatto di tutto per sfuggire a quella routine sempre uguale.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

I membri della famiglia Evans al completo si trovavano uno accanto all’altro davanti alla scalinata d’entrata, nonostante fosse mattina presto. Di fronte a loro, vestito di tutto punto con la divisa dell’accademia, William stava sistemando la borsa sul sedile accanto a quello del posto di guida. C’erano tutti: suo zio Dave, Stephen e Margaret Evans e anche la sorella Ann. Un paio di passi indietro c’erano anche Susan e Peter con i loro genitori. In realtà, Peter avrebbe fatto anche a meno di alzarsi per salutarlo, ma Susan era stata categorica: dovevano mostrarsi gentili, dopotutto avevano anche ricevuto l’invito al tè ed erano ospiti a casa loro. Peter, ripensandoci, sbuffò: bella roba che vi avevano guadagnato… proprio da essere riconoscenti. Ci scommetteva tutto quello che aveva, che se Susan fosse stata una racchia con i brufoli e i denti storti non l’avrebbe invitata di sicuro… altro che gentilezza: il suo era solo interesse.

In quel momento, William si sciolse dall’abbraccio con Ann e arrivò davanti a loro. Robert e Helen salutarono il ragazzo con una stretta di mano e baci sulle guance. Poi, fu il loro turno. Non appena William arrivò davanti a Susan, il suo viso venne illuminato da un sorriso a trentadue denti. Peter dovette voltarsi perché altrimenti non sarebbe riuscito ad ignorare l’istinto di assestargli un pugno in pieno viso.

“Susan, non vedo l’ora di andare con te al ricevimento.”

Susan sorrise. “Sarà divertente…”

Alla ragazza non era venute in mente parole migliori. Avrebbe voluto tanto fargli capire che il loro rapporto non poteva andare oltre all’amicizia, ma non sapeva proprio come fare. E non poteva certo dirgli che non vedeva l’ora di andarci con lui. Sarebbe stato crudele fargli credere che tra loro ci sarebbe potuto essere qualcosa. Magari, al ricevimento avrebbe potuto spiegargli. Mentre si scambiavano dei formali baci sulle guance, Susan sospirò. Ma come poteva spiegargli che lei non poteva innamorarsi di lui perché era già innamorata? E se le chiedeva chi era… cosa si sarebbe inventata? Di sicuro non poteva dirgli che era innamorata del Re di un mondo in cui erano arrivati con la magia. Quando William si avvicinò a Peter, Susan prese una decisione: doveva trovare una soluzione.

Quando i due ragazzi si trovarono di fronte, Peter lo squadrò e mantenne un atteggiamento distaccato. Non erano amici e, finché avrebbe avuto delle intenzioni con Susan, non lo sarebbero stati. William si era accorto dell’atteggiamento ostile di Peter, ma cercava di fare finta di niente. Quando si strinsero la mano, i loro occhi si incrociarono.

“Ci vediamo, Peter.”

“A presto, William.”

A quel punto, William tornò vicino alla famiglia e abbracciò ancora una volta Ann. Subito dopo, salì sull’automobile con cui li aveva accompagnati dal porto e mise in moto. Tutti rimasero fermi a guardare la macchina che si allontanava lungo il vialetto e che poi scompariva in lontananza.

Lentamente il gruppo si sfaldò, i signori Evans e Dave rientrarono chiacchierando con Robert e Helen. Ann, invece, si avvicinò a Susan e Peter sorridendo.

“Mamma ha detto che possiamo andare oggi in città. Ci accompagna lei, poi lei e vostra madre andranno a farsi un giro per conto loro e io invece vi farò da guida. Pensavo che per prima cosa potremmo cercare i vestiti per voi… poi magari andiamo a mangiare qualcosa o vi mostro Central Park. Che ne dite?”

Susan sorrise annuendo. “Siamo nelle tue mani, Ann.”

Ann sorrise soddisfatta. “Venite dentro?”

Peter si voltò verso Susan. “Sue… vorrei parlarti un attimo.”

Susan lo guardò e annuì. Poi tornò a voltarsi verso Ann.

“Noi facciamo quattro passi sulla spiaggia… poi torniamo dentro.”

Ann annuì. “D’accordo… nel caso vi vengo a chiamare, se mamma dice che dobbiamo andare.”

Susan e Peter annuirono si avviarono verso il retro della casa. Ann invece rientrò nell’abitazione. I due ragazzi camminarono affiancati tra gli alberi fino al sentierino che immetteva sulla spiaggia. In silenzio cominciarono a camminare lungo il bagnasciuga. Passarono lunghi minuti prima che Peter si rivolgesse a Susan. In realtà aveva quasi un po’ di paura a rivolgerle quella domanda. Ma d’altra parte, smaniava nella speranza che la risposta fosse affermativa.

“Pensi che quel tuo sogno possa avere qualche legame con Narnia?”

Susan si voltò per un attimo verso di lui, poi tornò ad abbassare gli occhi azzurri che fissavano il moto delle onde sulla sabbia. Non gli rispose subito, quasi stesse cercando di capire lei per prima quale fosse la risposta giusta.

“Non lo so… però quando mi sono svegliata, avevo una strana sensazione… come se Narnia fosse in pericolo.”

Peter non rispose e deglutì guardando verso il mare. Fremeva al pensiero che Narnia potesse essere in pericolo e che lui non potesse tornarci per proteggerla. Poi tornò a guardare Susan, mentre i loro passi continuavano a imprimere orme sulla sabbia, orme che presto scomparivano.

“Cosa è successo nel sogno?”

Susan continuava a fissare le onde, quasi la aiutassero a ricordare. Ma in realtà non serviva. Ricordava ogni istante di quel sogno e ogni sensazione che le aveva lasciato, impressi in modo indelebile nella sua memoria.

“Ero su questa spiaggia… da sola. Non c’era nessuno.”

Susan si fermò guardando verso il mare. Peter la imitò e i suoi occhi si volsero verso di lei, in attesa che continuasse a parlare.

“Mi sembrava quasi di essere rimasta sola… come se nel mondo non ci fosse più nessuno. Vi provavo a chiamare, ma nessuno mi rispondeva. E il cielo sembrava volermi opprimere, scuro e senza sole.”

Susan sospirò. Peter le posò una mano sulla spalla.

“Poi che cosa è successo?”

Susan si voltò verso di lui e gli sorrise prima di riprendere a raccontare.

“Stavo  per cedere alla disperazione, ma si sono fatta forza cercando di pensare a voi e a Narnia. E all’improvviso è sorto il sole e tutto ha ripreso vita.”

Peter annuì senza però riuscire a togliersi un’espressione perplessa dal volto.

“Ma cosa c’entra questo con Narnia, Susan?”

Susan tornò a guardare verso il mare, chiedendosi se potesse avere un qualche collegamento con il suo incubo. Continuava a rifarsi le stesse domanda, ma ogni volta non riusciva a trovare risposte.

“Subito dopo, un’onda mi ha trascinato in mare. Mi sono ritrovata sott’acqua, lontano dalla costa… ho cominciato a nuotare verso la superficie e poi…”

Peter annuì per convincerla a proseguire. “E poi?”

Susan abbassò lo sguardo imbarazzata. Come poteva dire a Peter di aver sognato Caspian? Di sicuro si sarebbe arrabbiato perché lei continuava a soffrire a causa sua. Anche se non era vero. Il ricordo di Caspian non la faceva soffrire, non più almeno. Dopo il loro incontro… ecco un’altra cosa che a Peter non poteva dire: aveva trovato la forza di continuare a sperare proprio grazie a Caspian, grazie alla promessa che si erano scambiati. Ma Peter non poteva, o non voleva, capire. A quel punto, molto diplomaticamente, Susan decise di glissare su qualche particolare.

“Poi ho visto una nave che sembrava una di quelle di Narnia. Quando stavo per raggiungerla, la superficie del mare si è improvvisamente congelata imprigionandomi sotto.”

Peter sbattè gli occhi sorpreso. “Gelata?”

Susan annuì. “Sì, provavo e riprovavo a spezzarlo senza però riuscirci. Improvvisamente la nave è scomparsa ed è arrivata una persona avvolta da una nebbia verde.”

Il volto di Peter si fece serio. Anche se all’inizio aveva vagamente dubitato del collegamento tra il sogno e Narnia, ora si era convinto che qualcosa c’era. Non sapeva neanche lui il perché, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che Susan aveva ragione: quel sogno aveva, in qualche modo, un legame con Narnia. Susan riprese a raccontare.

“Non so perché, ma aveva come qualcosa di famigliare… mi trasmetteva un senso di paura, inquietudine che avevo già provato.”

Peter la guardò sgranando gli occhi ed esprimendo ad alta voce il primo pensiero che gli era venuto in mente.

“Jadis…”

Susan sospirò e lo guardò. “Non lo so. Anche io l’ho pensato, ma c’era il lei anche qualcosa che non avevo mai visto. Non so come spiegare…”

Peter stava rimuginando, pensando con rabbia all’eventualità che la perfida Strega avesse trovato per l’ennesima volta un modo per tornare. Alla fine, si voltò verso Susan.

“Poi?”

Susan sospirò ancora una volta. “Ha cominciato a dirmi che dovevo smettere di illudermi che sarei tornata a Narnia. Che sarei stata più felice dimenticando tutto, perché Narnia si era servita di me ingannandomi e facendomi venire solo quando le servivo. Continuava a ripetermi che Narnia non era nel mio destino.”

Il silenzio calò tra i due, entrambi concentrati nei propri pensieri. Susan continuava a pensare all’altra affermazione della misteriosa persona, quella che riguardava lei e Caspian. Ogni volta che ci pensava, provava una stretta al cuore. Peter, invece, era sempre più convinto che tutto quello centrasse con Narnia in un modo o nell’altro.

“Dobbiamo trovare un modo, Susan. Per tornare a Narnia, intendo. Sono convinto anche io che Narnia sia in pericolo.”

Susan annuì. “Sì… non voglio credere che quella persona, chiunque fosse, abbia ragione. Non mi rassegnerò mai.”

Peter sorrise vedendo la determinazione negli occhi di Susan.

“Come è finito il sogno?”

Susan si voltò verso il fratello. “Mi sono fatta forza per non credere alla sue parole, pensando di nuovo a Narnia. E alla fine ho chiamato Aslan.”

Peter la guardò eccitato. “E?”

Susan sorrise emozionata. “È arrivato ad aiutarmi. Ho sentito il suo ruggito. Quella persona se ne è andata e il ghiaccio è scomparso… sono emersa e ho sentito la sua voce.”

Susan prese un respiro, visibilmente emozionata. “Mi ha detto di continuare a seguire io mio cuore e di non perdere mai la speranza.”

Peter sorrise e abbracciò la sorella. “Visto? Aslan non ci ha abbandonato: sono certo che ci farà tornare a Narnia!”

Susan annuì sorridendo. Sì, non avrebbe mai smesso di sperare nel suo ritorno a Narnia.

In quel momento i due fratelli, sentirono la voce di Ann che li chiamava. Susan e Peter si voltarono e videro la ragazza muovere il braccio per attirare la loro attenzione all’imboccatura del sentiero. I due non persero tempo e raggiunsero Ann. Poi, insieme si diressero verso la villa.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Lucy e Edmund salirono sulla bicicletta diretti, come altre volte da quando si trovavano a casa Scrubb, a fare la spesa. Non capivano esattamente come quello li avrebbe fatti diventare più “maturi”, ma forse quello era solo un modo per tenerli buoni. Infatti, Eustace non veniva mai mandato a fare la spesa. Edmund si sistemò sul sedile e Lucy si sistemò alla meglio sulla stanga, reggendosi con entrambe le mani. Era così concentrata a non cadere, che non si accorse del sospirò di sollievo emesso da Edmund quando aveva cominciato a pedalare via dalla casa. Se lo avesse sentito, forse lo avrebbe legato al sollievo di stare per un po’ lontano da Eustace.

Il motivo, però, era un altro. Edmund, quella mattina, aveva atteso con impazienza il momento in cui sarebbero potuti uscire. Non voleva rischiare che la zia si accorgesse dell’assenza del suo documento d’identità. Eustace di sicuro lo avrebbe accusato di essere il responsabile della scomparsa e quella volta non avrebbe neanche avuto tutti i torti. Per fortuna, però, tutto era andato per il meglio. Zia Alberta doveva aver dato per certo che il documento fosse nella sua solita tasca ed era uscita tranquillamente poco prima di loro. Se anche si fosse accorta della sparizione al circolo, avrebbe sicuro pensato che le fosse caduto in casa. Ed Edmund glielo avrebbe fatto credere, lasciando il documento sotto il comò.

Edmund sorrise. Il suo piano stava andando per il verso giusto. Una volta arrivati a destinazione, sarebbe dovuto solo stare attento a non insospettire Lucy. Era già un miracolo che la sorella non si fosse accorta quella mattina del suo comportamento irrequieto. La fortuna doveva essere proprio dalla sua parte. Un altro sorriso soddisfatto inarcò le sue labbra mentre pedalava di buona lena lungo il marciapiede.

Edmund, però, non sapeva che Lucy aveva ben altri pensieri. Dal giorno in cui era arrivata la lettera di Susan, un pensiero continuava a tormentarla. All’inizio aveva cercato di non pensarci, focalizzandosi sul fatto che Susan e Peter non avevano perso le speranze di tornare a Narnia. Anche quando aveva scritto la risposta, aveva cercato di convincersi che, nonostante tutto, sarebbero andati anche loro in America. Ma era stato tutto inutile e aveva continuato a pensarci: quando la sera andava a letto, la mattina che si guardava allo specchio e soprattutto quando zia Alberta parlava di Susan. In quei momenti, Lucy si scopriva invidiosa e neanche si rendeva conto che fosse quello il sentimento che la tormentava. Continuava a pensare a quello che Susan aveva detto: non erano neanche arrivati in America e Susan aveva già qualcuno che si interessava a lei. Dopotutto Susan era bella, affascinante, dolce.  E lei? Lucy si guardava allo specchio e vedeva tutti i difetti inimmaginabili. Una mattina si vedeva il naso troppo grosso, il giorno dopo il colore degli occhi troppo cupo. Un’altra volta ancora, guardava tristemente le lentiggine che le punteggiavano le guance o i capelli di un colore che trovava scialbo. Non si piaceva e ogni volta sognava come sarebbe stato essere come Susan. Sentirsi ammirata come lei…

Era così concentrata in questi pensieri, che Lucy non si accorse che erano quasi arrivati. Quando Edmund si fermò vicino ad un palo, per un pelo la ragazzina non scivolò rovinosamente a terra. Mentre scendeva dalla bicicletta e cercava di riprendersi, Lucy si accorse di un ragazzo in divisa sotto il portico dell’edificio poco lontano. Guardava nella loro direzione. Lucy sorrise e per un attimo si illuse che sorridesse verso di lei. Subito dopo, però i suoi sogni svanirono. Proprio da dietro di loro arrivò una ragazza che raggiunse il ragazzo sorridendo. Subito i due si misero a parlare e Lucy, nonostante si trovasse stupida, non riuscì a reprimere un’espressione delusa. Solo in quel momento si accorse di Edmund che la chiamava.

“Lu, ma stai ancora dormendo?”

La ragazzina si voltò di scatto verso di lui, sperando che Edmund non si fosse accorto di nulla.

“Che c’è Ed?”

Edmund sospirò e accennò dietro alle proprie spalle, dove oltre la strada c’era tutta la fila di negozi.

“Ti dicevo che mentre finisco di sistemare la bicicletta, puoi intanto entrare così magari facciamo un po’ meno fila…”

Edmund sperò che Lucy non si insospettisse: non glielo aveva mai chiesto le altre volte. La ragazzina, però, annuì senza troppa convinzione e si avviò.

“Va bene. Cerca di fare presto, Ed.”

Il ragazzo annuì rendendosi conto dell’aria avvilita della sorella. Mentre lei attraversava la strada, Edmund guardò nella direzione dove prima guardava Lucy e vide solo un ragazzo e una ragazza. Che cosa poteva aver visto Lucy da renderla così demoralizzata? Dopo, magari, glielo avrebbe chiesto. Ora aveva altro a cui pensare. Edmund finse di armeggiare con la bicicletta finché non vide Lucy scomparire dentro il primo negozio. A quel punto, tirò fuori dalla tasca il documento di zia Alberta e si diresse quasi di corsa all’entrata dell’edificio di fronte a lui. All’entrata troneggiava un enorme poster che propagandava l’arruolamento volontario. Edmund si fermò un attimo e lo fisso. Per qualche secondo, ebbe l’impressione di star per fare una sciocchezza. Stava per cambiare idea, ma alla fine scosse la testa guardando determinato verso l’entrata: avrebbe dimostrato a tutti quanto valeva. Senza altri indugi, Edmund entrò nell’edificio.

Nel frattempo, Lucy era in attesa in fila. Non vedendo arrivare il fratello, cercò di sporgersi in modo da vedere attraverso la porta dove fosse finito. Con sorpresa si rese conto che non era più là della bicicletta. Subito dopo lo scorse entrare nell’edificio di fronte. Lucy aggrottò le sopracciglia stupita: che cosa stava facendo Edmund? Subito, il suo sguardo tornò alla fila in cui si trovava. Per fortuna non c’era tanta gente: era proprio curiosa di vedere che cosa stesse combinando.

Quando Edmund entrò, teneva le dita incrociate sperando che non ci fosse una fila troppo lunga: Lucy si sarebbe accorta del suo ritardo. Fortunatamente, c’erano solo una decina di persone davanti a lui. Edmund tirò un sospiro di sollievo e si mise dietro all’ultimo che gli lanciò un’occhiata che era un misto tra lo scettico e il divertito. Edmund non ci fece caso: l’importante era convincere l’inserviente che prendeva i nomi. Bastavano sangue freddo e faccia tosta: che c’era di difficile? Era sufficiente comportarsi come si comportava a Narnia: da Re.

Mentre Edmund si avvicinava al banchetto dove si davano i nominativi per l’arruolamento, altri ragazzi e uomini si mettevano in fila dietro di lui. A qualcuno scappò anche una mezza risata scorgendolo, ma Edmund gli ignorò perché finalmente era arrivato il suo turno. L’uomo davanti a lui si allontanò e Edmund fece un passo avanti porgendo con sicurezza il documento al militare seduto davanti a lui. L’uomo lo prese, ma non lo aprì guardando scettico Edmund.

“Sicuro di avere diciotto anni?”

Edmund si era aspettato quella domanda e si era preparato per rispondere con la sua solita faccia tosta.

“Perché… le sembrò più grande?”

Il militare lo scrutò ancora per un attimo e alla fine aprì svogliatamente il documento. Sembrava stesse ripetendo le stesse azioni ripetute decine di volte. Quando lesse il nome, l’uomo guardò ancora più scettico Edmund. Il suo tono era quasi di rimprovero.

“Alberta Scrubb?”

Delle risatine soffocate si alzarono alle spalle di Edmund, che si era preparato anche a quella domanda. Se tutto fosse andando come aveva previsto, sarebbe riuscito a convincerlo.

“È un errore di ortografia, dovrebbe essere Albert Scrubb.”

Nello stesso momento, Lucy si fermò sulla porta dell’edificio tenendo in mano due borse della spesa. Quando vide il fratello, non poté che scuotere la testa rassegnata. Non voleva neanche sapere come gli fosse venuta un’idea simile.

“Edmund, dovresti aiutarmi a portare la spesa, non credi?”

Sentendo la voce di Lucy, Edmund si voltò di scatto. I ragazzi in fila dietro di lui scoppiarono a ridere, mentre il militare tornava a Edmund il documento. Il ragazzo si allontanò arrabbiato e uno dei tizi in fila gli diede ridendo uno scappellotto in testa.

“Sarà per la prossima volta… eh, pulce?”

Edmund represse a fatica l’istinto di voltarsi e prenderlo a pugni. Stava andando tutto così bene: Lucy era arrivata proprio nel momento più inopportuno. Il ragazzo tirò dritto uscendo dalla edificio in cui ormai gli sembrava di soffocare: aveva fatto la figura dello stupido. Lucy cercò di attirare la sua attenzione senza riuscirci.

“Edmund, ma come ti è venuto in mente? Me lo dici?”

Edmund la ignorò, continuando a ribollire di rabbia. Quello che più lo imbestialiva erano state le parole del ragazzo. Arrivato alla bicicletta, Edmund sbuffò.

“Pulce… avrà avuto solo due anni più di me! Io sono un Re: ho combattuto delle guerre e ho guidato degli eserciti!”

Lucy lo guardò comprensiva, porgendogli le porse della spesa che Edmund cominciò a sistemare sulla bicicletta.

“Non in questo mondo, Ed.”

Edmund sbuffò di nuovo, sistemando con scatti rabbiosi le buste.

“Già, a Narnia sono un Re… e invece qui sono bloccato a bisticciare con Eustace Clarence Scrubb! Dimmi se si può avere un nome simile!”

Lucy scosse la testa, abituata agli sfoghi del fratello. In quel momento, la sua attenzione venne di nuovo attratta dal soldato e dalla ragazza di prima. Stavano ancora parlando sorridenti. La ragazza era posata ad una delle colonne del porticato e si stava sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchia. Lucy la fissò quasi ipnotizzata cercando di imitarla. Con la mano si sistemò una ciocca di capelli ritrovandosi a pensare che forse zia Alberta aveva ragione: lei non aveva proprio idea di come si comportasse una signorina. Cosa bisognasse fare per essere belle e attirare l’attenzione dei ragazzi. Forse avrebbe dovuto veramente seguire i suoi consigli. Tanto, brutta lo era: peggio non sarebbe potuto andare, no?

Di nuovo la voce di Edmund la riscosse dai suoi pensieri. Il ragazzo la guardava interrogativo, lanciando occhiate perplesse verso i ragazzi che Lucy osservava.

“Che stai facendo?”

Lucy si imbarazzò e si voltò di scatto verso la strada iniziando a camminare.

“Niente. Andiamo, dai.”

Edmund scosse le spalle e seguì Lucy. Per lunghi minuti nessuno dei due disse nulla. Quando arrivarono vicino alla casa, Edmund sbuffò.

“Lucy, ma potevi arrivare un attimo dopo?”

Lucy lo guardò indignata e anche leggermente spaventata, dimenticandosi almeno per il momento dei suoi dubbi, e lo colpì con un debole pugno sul braccio.

“Ed! ma che dici? Volevi davvero arruolarti?”

Edmund non rispose subito e sembrò rifletterci, mentre toglieva le borse della spesa e ne passava una a Lucy. Alla fine sospirò e scosse la testa.

“No. E ora, a pensarci, non penso di aver mai avuto un’idea più stupida di questa!”

Lucy sorrise e i due si avviarono verso la porta di casa. Subito si accorsero della presenza di Jill davanti alla porta. I due si affrettarono a raggiungerla.

“Jill!”

La ragazzina si voltò e un sorriso inarcò le sue labbra. “Lucy! Edmund!”

Edmund e Lucy si fermarono accanto a lei e Edmund prese le chiavi per aprire la porta. Nel farlo si voltò sorridendo sarcastico.

“Anche oggi a lezione dal caro cugino?”

Jill in tutta risposta sbuffò, mentre Lucy sorrise divertita accarezzando con la punta delle dita il furetto Billy che Jill teneva sempre nella sua borsetta.

“Non capisco come a mia madre sia venuta un’idea simile!”

Edmund la guardò con un’espressione comprensiva. “Lo dici a noi! Ti sembra un’idea migliore lasciare noi due qui, mentre i nostri fratelli maggiori sono in America?”

Jill scoppiò a ridere e scosse la testa. Lucy entrò in casa seguita da Edmund e Jill.

“Non continuiamo a pensarci… almeno ci siamo incontrati. Era peggio se non fosse successo.”

Edmund finse di inorridire a quel pensiero e Jill rise: era felice di aver fatto amicizia con Edmund e Lucy Pevensie. Rendevano più sopportare la frequentazione di casa Scrubb.

Lucy si sporse verso il salotto.

“Ciao, zio Harold. È arrivata Jill.”

Non ricevendo risposta, Lucy si diresse in cucina seguita da Jill. Edmund invece si fermò in salotto e guardò sconsolato lo zio che per l’ennesima volta stava leggendo il giornale. Che cosa ci trovava di cos’ interessante poi? La voce di Lucy, proveniente dalla cucina, ruppe di nuovo il silenzio.

“Ho cercato le carote, ma c’erano di nuovo solo le rape. Vuoi che cominci a fare la zuppa? Così sarà pronta quando la zia torna. Zio Harold?”

Nessuna risposta. Edmund scosse la testa rassegnato. Secondo lui zio Harold si addormentava ogni giorno su quella poltrona. Ecco perché era sempre con il giornale in mano. Si sedeva, cominciava a leggere le prime righe del primo articolo e… puff, la testa cadeva e tanti saluti all’articolo. A quella scena Edmund non poté che mettersi a ridere.

In quel momento arrivarono Lucy e Jill dalla cucina. La prima guardò il fratello in modo interrogativo.

“Che hai da ridere?”

Edmund cercò di farglielo a capire a gesti, ma il fatto che zio Harold non avesse neanche emesso uno dei grugniti che usava come saluto lo fece scoppiare di nuovo a ridere. Lucy e Jill si guardarono sorridendo divertite anche se non ne capivano il perché. In quel momento, dalle scale scese Eustace. Non appena vide i due cugini e la vicina, fece dietro front. Edmund lo vide e scosse la testa.

“Eustace, per fortuna che in questa casa ci sei tu. Come faremmo senza una persona matura come te?”

Lucy e Jill ridacchiarono. Eustace, invece, si fermò sulla porta del salotto guardando in cagnesco Edmund.

“Smettila di prendermi in giro, cugino. Proprio perché sono maturo non mi mischio con voi! Prova a chiederlo a mio padre!”

Edmund ridacchiò e si voltò per guardare lo zio. Proprio in quel momento un sonoro russare provenne da dietro il giornale. L’ilarità generale si scateno tra i due Pevensie e Jill. Eustace gli guardava indignato, ma in fondo anche lui fatica a trattenere le risate. Edmund si asciugò una lacrima causata dal tanto ridere.

“Magari glielo chiedo dopo…”

Eustace si voltò arrabbiato verso il padre mettendosi a gridare.

“Papà, Edmund, Lucy e Jill stanno ridendo di te!”

Capirono subito che Eustace voleva svegliare il padre. Edmund, se prima all’arruolamento si era trattenuto, era più che mai convinto di non farsi mettere i piedi in testa da Eustace.

“Piccola serpe!”

Il ragazzo cercò di raggiungere il cugino. Eustace, rendendosi conto della mala parata, iniziò a correre su per le scale cercando di attirare ancora, inutilmente, l’attenzione del padre.

“Papà, vuole picchiarmi!”

Solo a quel punto Harold Scrubb si riscosse. L’uomo abbassò il giornale e si guardò attorno senza capire. Lucy e Jill cercarono di trattenere le risate. Lucy fu la prima a parlare seguita a ruota da Jill.

“Ciao, zio Harold. Siamo appena tornati dalla spesa. C’erano solo le rape. Fra un po’ metto su la zuppa.”

“Buongiorno, signor Scrubb.”

L’uomo le guardò quasi non le riconoscesse. Alla fine annuì e rialzò il giornale. Sentendo dei rumori provenire dal piano di sopra, abbassò leggermente la pagina di giornale.

“Cercate di non fare troppo rumore: sto leggendo il giornale.”

Lucy e Jill annuirono e fecero appena in tempo ad uscire dalla stanza prima di scoppiare a ridere come matte. Dopo qualche minuto, le due si calmarono e iniziarono a salire.

“Lucy, posso venire in camera tua? Tanto dubito che Eustace si è dato alla macchia.”

Lucy sorrise e annuì. “Certo, così puoi fare uscire un po’ anche Billy.”

Jill annuì. Dopo qualche istante, le due arrivarono davanti alla porta della camera di Lucy ed entrarono. Quando Lucy si sedette sul letto, Jill si guardò attorno e vide la lettera di Susan posata sulla scrivania.

“Avete ricevuto qualche altra lettera dall’America?”

Lucy scosse la testa. “È un po’ presto. Abbiamo spedito la risposta un paio di giorni fa.”

Jill si sedette ai piedi del letto. “Ti mancano?”

Lucy annuì. “Tantissimo. Non vedo l’ora di raggiungerli.”

Il loro discorso venne troncato dall’arrivo di Edmund, la cui espressione era particolarmente soddisfatta. Il ragazzo prese una sedia e si sedette vicino a loro.

“Facciamo una partita a carte?”

Le due ragazze annuirono. Lucy prese il mazzo iniziando a mescolare, mentre Jill fece uscire Billy che iniziò a girovagare per la stanza.

Il furetto zampettò e corse per tutta la stanza annusando qua e là ed esplorando ogni angolo. Ad un certo punto arrivò davanti al quadro. L’animaletto si alzò sulle due zampe annusando curioso il dipinto. I suoi occhietti brillavano vivaci e mosse la testa a destra a sinistra quasi stesse studiando ciò che vi era raffigurato. Alla fine, saltò giù dalla mensola sotto al quadro e raggiunse il letto dove si accoccolò vicino a Jill. La ragazzina sorrise e lo accarezzò.

“Finito di girovagare?”

Il furetto mosse la testolina contro la sua mano. Poi, Jill tornò a voltarsi verso gli altri riprendendo a prestare attenzione al gioco.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Susan, Peter e Jill scesero dall’automobile. I primi due si guardarono attorno, osservando le strade e gli edifici di New York. Ann, invece, tornò a voltarsi verso la macchina da cui la madre stava facendo le ultime raccomandazioni.

“Ci rivediamo qui tra qualche ora. Quando avete trovato i vestiti, ricordati di metterli sul mio conto, così uno dei prossimi giorni passo a pagare. Te lo ricorderai, Ann?”

La ragazza annuì, nonostante trovasse un po’ esagerate tutte le raccomandazioni della madre. La donna, a quel punto, sembrò soddisfatta e riprese in mano il volante.

“Mi raccomando divertitevi.”

Ann sorrise. Susan e Peter salutarono la madre e l’automobile ripartì, lasciandoli sul marciapiede. A quel punto, Ann si voltò verso i due Pevensie sorridendo.

“Venite. So il posto perfetto per trovare i vestiti per il tè. Io e mamma ci veniamo un sacco di volte e lei dice che se non trovi qualcosa lì, non lo trovi da nessun altra parte.”

Susan sorrise. “Allora andiamo.”

I tre ragazzi si avviarono e, dopo qualche minuto tra il via vai di persone della strada, arrivarono davanti alle porte di vetro di un negozio. Ann entrò senza esitazione Susan e Peter la seguirono. La ragazza fece un cenno di saluto ad una delle commesse e salì al primo piano. Non appena finirono di salire gli ultimi scalini, davanti a loro si stagliarono decine di file e mensole di abiti di tutti i tipi. Ann si voltò soddisfatta verso Susan e Peter.

“Facciamo prima per Peter… credo sia più facile. Poi, pensiamo a te Susan. Va bene?”

Susan e Peter annuirono. La prima si voltò verso Ann.

“Tu non prendi niente?”

Ann alzò le spalle con noncuranza. “Teoricamente ho già vestiti a casa che potrebbero andare bene. Se trovò qualcosa di assolutamente perfetto, però, potrei cambiare idea.”

Le due ragazze sorrisero e insieme a Peter si avviarono verso il reparto maschile.

Come avevano previsto, dopo neanche mezz’ora Peter era stato perfettamente vestito. Dopo qualche tentativo, aveva optato per un completo grigio-azzurro, camicia bianca e cravatta. Peter, inizialmente, non era stato molto convinto ma poi, per l’insistenza di Susan e Ann, aveva approvato. In particolare, Ann aveva affermato che metteva perfettamente in risalto i suoi occhi. subito dopo, però, la ragazza aveva abbassato lo sguardo imbarazzata e aveva detto che sua madre diceva sempre così. Fortunatamente per lei, il discorso venne spostato al vestiario delle due ragazze e i tre emigrarono nel reparto femminile.

Susan e Ann camminavano tra le file di vestiti guardando da un lato e dall’altro, mentre Peter le seguiva qualche passo indietro. Sembrava proprio un pesce fuor d’acqua e si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito non dover dare nessun commento.

Susan guardava i vestiti e, uno dopo l’altro, l’espressione del suo volto si incupiva: le sembravano tutti troppo eleganti. Quasi esagerati. Non andava certo al tè per far colpo su qualche ragazzo e tanto meno su William. Le sarebbe bastato un abito più semplice… la voce di Ann attirò l’attenzione di Susan.

“Sue, hai qualche preferenza? Che ne so colori accessi, tenui? Caldi o freddi?”

Susan sorrise vedendo l’espressione esitante di Ann: dopotutto era lì per aiutarla e lei non si stava collaborando per nulla. Con la mano mosse altre abiti che scartò subito, quasi non li vide.

“No saprei… non vorrei qualcosa di esagerato. Come colore…”

Ann si illuminò rimettendosi a cercare. “Azzurro o blu sicuramente. Così anche i tuoi occhi verranno messi in risalto.”

Susan sorrise e si rimise a cercare. Dopo buoni venti minuti, i tre si stavano dirigendo i camerini. Susan teneva in braccio due vestiti, uno azzurro e uno blu ma nessuno dei due la convinceva particolarmente. Più che altro si era fatta persuadere da Ann che da qualcosa dovevano pur iniziare. Arrivati ai camerini, Susan sparì in uno di essi e Peter e Ann rimasero fuori. Dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio, Ann iniziò ad allontanarsi.

“Io guardò se trovo ancora qualcosa…”

Peter annuì senza troppa convinzione: si stava già annoiando. Passò qualche minuto e Susan uscì sbuffando.

“Uno mi è stretto e l’altro è troppo esagerato.”

Ann, appena tornata a mani vuote, sembrò un po’ dispiaciuta ma subito dopo sorrise.

“Fa niente. Prima prova fallita: vedrai che troveremo qualcosa.”

Susan annuì e cominciò a riguardarsi attorno. Ann la seguì. Peter, invece, si posò alla parete vicino ai camerini tenendo il proprio completo tra le braccia: non vedeva l’ora che finisse. Susan si stava trovando insopportabile. Non era di nessun aiuto e scartava ogni vestito a priori. Alla fine, ammise con se stessa che il motivo era che non voleva andarci. Non aveva trovato ancora un modo per spiegare la situazione a William e per questo era in ansia. Poi un vestito attirò il suo sguardo. La ragazza si avvicinò, lo prese e lo guardò. Era un semplice vestito azzurro con un disegno floreale di margherite. La vita era leggermente stretta da un nastro nero a fiocco per creare uno sbuffo nella parte superiore. Anche le maniche erano a sbuffo e solo una fila di bottoncini impreziosiva la parte davanti. Susan sorrise come folgorata. Era perfetto. Stava per andarsene quando i suoi occhi caddero su un altro vestito. Susan lo guardò per un attimo e poi lo prese dirigendosi verso i camerini. Arrivata lì incrociò lo sguardo di Ann che si illuminò.

“Hai trovato qualcosa?”

Susan annuì e le porse il secondo vestito. “Tu prova questo. Qualcosa mi dice che è perfetto per te.”

Ann titubò un attimo, ma alla fine Susan la convinse. Le due entrarono in due camerini affiancati e Peter cominciò a camminare avanti e indietro sperando che quella fosse la volta buona. Dopo qualche minuto Ann aprì la porta e si sporse fuori con la testa.

“Sue… io sarei pronta.”

La voce di Susan la raggiunse da dentro il camerino. “Io no. Un attimo… intanto fatti dire da Peter che ne pensa: dopotutto sarà il tuo accompagnatore! Che ne pensi, Peter?”

Ann aprì la bocca per dire qualcosa, ma alla fine non disse nulla. Nel frattempo le sue guance si erano leggermente arrossate per l’imbarazzo. Anche Peter sembrava leggermente a disagio per quella richiesta, ma alla fine sospiro.

“Va bene…”

Ann arrossì ancora di più sentendo quelle parole. Per qualche istante, rimase dov’era. Poi aprì lentamente la porta e uscì guardando in giro e cercando in tutti i modi di non incrociare lo sguardo di Peter.

“Che… che ne pensi?”

Peter la guardò e per un attimo rimase senza parole. L’abito era color rosa-lilla e in vita c’era una fascia bianca che si chiudeva con un fiocco leggermente laterale. Un sottile disegno di fiori di un color più scuro decoravano la gonna e le maniche. Dopo un attimo, incrociò lo sguardo di Ann e sorrise balbettando qualcosa. Un solo pensiero gli roteava nella mente: ma chi glielo aveva fatto fare…

“Stai bene… sì… bene, sì…”

Proprio a quel punto, Susan uscì e guardò perplessa la scena dei due.

“Allora?”

Quando vide Ann, Susan sorrise entusiasta. “Ann stia benissimo. Sei bellissima. Lo dicevo che questo vestito è perfetto. Vero, Peter?”

Peter annuì guardando di lato. “Sì, sì.”

Ann sorrise e si voltò verso Susan guardandola eccitata. “Susan… sei meravigliosa. Quel vestito sembra fatto per te. Ti piace, vero?”

Susan annuì facendo un giro su se stessa. “Sì. Mi piace.”

Ann annuì soddisfatta. “Penso che abbiamo finito allora. Cambiamoci e andiamo a mettere in conto a mia madre i vestiti. Poi andiamo a fare un giro a Central Park.”

Susan e Peter annuirono. Poi le ragazze ritornarono nei camerini: sia loro che Peter non vedevano l’ora di uscire di nuovo all’aria aperta. Il tempo passato nel negozio era stato fin sufficiente e tanto ormai avevano quello volevano: ora erano pronti per andare al tè del console.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Era un giorno come tanti a Portostretto, la città più grande e importante delle Isole Solitarie. Le case che la costituivano occupavano quasi completamente uno dei pendii di Doorn, l’isola più grande, dalle cime delle colline che la circondavano come una corona alle rive del mare, su cui dondolavano imbarcazioni di tutti i tipi e di diverse provenienze. Portostretto era infatti uno snodo fondamentale per i commerci ed era su questo che si basava principalmente la sua economia. L’altra attività più praticata era la pesca. Tutte le sere, appena calava il tramonto, decine di pescherecci grandi e piccoli prendevano il largo. Mogli, madri, sorelle e figlie rimanevano sulla riva finché le luci delle torce sparivano nell’oscurità della notte. A quel punto, tornavano indietro ad attendere il ritorno dei loro congiunti la mattina successiva.

E questo avveniva ancora, nonostante quello che da anni succedeva con il beneplacito del governatore Gumpas. Tutti a Portostretto lo avrebbero voluto cacciare, o meglio tutti coloro che non avevano un qualche interesse che lui rimanesse. E dato che la maggior parte di queste persone erano influenti, Gumpas era ancora al suo posto. Grazie al loro appoggio e all’esiguo reparto di soldati, Gumpas riusciva a fare il bello e il cattivo tempo. Ma non era solo per questo che Gumpas governava incontrastato. Sarebbe stato troppo inetto e incapace per farlo. Era per questo che, appena aveva potuto, il governatore si era alleato con i pirati.

Le Isole Solitarie avevano conosciuto da sempre la pirateria. Da che mondo è mondo, dove c’erano marinai c’erano anche pirati. Ma un tempo essi venivano, si rifornivano, facevano i loro affari e ripartivano verso le coste per attaccare le navi di Archen o di altre terre. Da anni, invece, i pirati avevano preso il potere e avevano insediato nell’arcipelago il loro mercato di schiavi. Tutto era successo durante un tentativo di rivolta. Non appena Gumpas, da poco insediato, aveva annusato qualche rischio per il suo governo, aveva deciso di scendere a patti con i pirati, convinto di ottenere solo vantaggi. Ma, alla fine, il capo dei pirati aveva iniziato a ricattare Gumpas per avere sempre più libertà di azione e il governatore, pur di rimanere al potere, aveva ceduto.

Tutti alla fine avevano dovuto accettarlo. Dopotutto, non c’era nessuno che li avrebbe potuti liberare: non i mercanti di Calormen o quelli di Archen, non i viaggiatori che arrivavano e poi salpavano senza interessarsi a quello che succedeva sulle tre isole. E così Doorn, Arva e Felimath venivano lasciate a se stesse. E così erano cominciati i racconti di un tempo ormai dimenticato da tutti, conservato solo nella memoria dei più anziani che a loro volta lo avevano ascoltato dai loro nonni. Un nome aveva cominciato a serpeggiare sottovoce: Narnia. Perché un tempo le Isole Solitarie erano parte di Narnia e i suoi Re ne erano stati gli Imperatori. Ma quel tempo era trascorso da secoli, cancellato dai Re di Telmar. Ma era ancora impresso nelle memorie e veniva ora di nuovo tramandato. I bambini pendevano dalle labbra a sentire i racconti sull’Epoca d’Oro e sui suoi Sovrani: Re Peter il Magnifico, Regina Susan la Dolce, Re Edmund il Giusto e Regina Lucy la Valorosa. E con i loro nomi, era diventata più forte anche la speranza in Aslan. Ogni volta che il nome del Grande Leone veniva pronunciato, gli abitanti delle Isole Solitarie tornavano a sperare che un giorno sarebbero stati liberati.

Ma nel frattempo proseguiva la vita di tutti i giorni: i mercanti arrivavano e venivano, i pescatori uscivano in mare la notte per fare ritorno la mattina. E tra di loro c’era anche il marito di Helaine. La donna era nata e cresciuta sulle Isole Solitarie, non aveva conosciuto nessun altra terra. Ma, nonostante questo, ogni sera raccontava alla figlia i racconti che i suoi nonni le avevano raccontato quando era bambina. Helaine sospirò e, mentre asciugava le ciotole messe ad scolare la sera prima, si avvicinò all’uscio della porta guardando tristemente verso il mare. Oltre il porto e la baia di Doorn si vedevano anche Arva e Felimath. Era quella l’isola su cui si erano insediati i pirati. Ed era da lì che conducevano gli schiavi catturati a Doorn, per poi venderli al mercato. Sarebbe mai finita un giorno?

Gli occhi di Helaine tornarono a guardare verso il mare. Un mare che un tempo era amico degli abitanti delle Isole Solitarie e che, invece, sembrava volerli minacciare anche lui. Non erano le tempeste o le mareggiate, no. Era qualcosa di più inquietante e che nessuno riusciva a spiegare. Una nebbia verde che appariva ogni giorno di più all’orizzonte e, ultimamente, era arrivata quasi a lambire le spiagge delle tre Isole. Qualcuno diceva che fosse un fenomeno normale, altri che fosse la punizione per aver permesso la vendita di schiavi sull’isola. In realtà nessuno sapeva la verità, ma era anche vero che si era intensificata negli ultimi anni, contemporaneamente al rafforzamento della presenza dei pirati. Ma la verità era che da anni quella nebbia avevano cominciato a far parte dei racconti dei marinai. E nessuno sapeva neppure che cosa succedesse se si entrasse in contatto con la nebbia… qualcuno raccontava che alcune barche di pescatori erano scomparse. Affondate no, perché ogni volta c’era bel tempo. Ma anche questo non si sapeva se era vero. C’era anche qualcuno che, sottovoce tra i vicoli, diceva che era una emanazione del male e chi veniva raggiunto dalla nebbia fosse costretto ad affrontare le sue paure più grandi che gli portavano via, lentamente, la loro forza vitale.

Helaine non sapeva a cosa pensare. L’unica certezza era che, da quando riusciva a ricordarsi qualcosa, la nebbia era sempre apparsa all’orizzonte. Ricordava ancora la partenza dei Lord venuti, così dicevano, da Narnia e che avevano promesso di liberarli dalla nebbia. Ma anche loro erano scomparsi e non si era saputo più niente. Mai erano tornati.

Helaine voltò le spalle al mare e rientrò nella casa, posando una ciotola e prendendone un’altra. Aveva ancora un po’ di tempo prima che tornassero. La donna sorrise, mentre passava il panno lungo il bordo della ciotola. Gael sarebbe stata affamata e probabilmente sarebbe arrivata crollando dal sonno. Quella bambina era veramente incredibile: quando voleva qualcosa, era pronta a fare qualsiasi cosa per averla. La sera prima aveva cercato di convincerla in tutti i modi, ma era stato inutile. Ma forse, era stato meglio così: non aveva mai visto Gael felice come quel giorno…

Helaine si era alzata e aveva cominciato a sparecchiare. Nella stanza accanto, Rhynce stava prendendo le ultime cose che gli sarebbero potute servire mentre era sul peschereccio. Tutto sembrava uguale ad ogni altra sera. Ma c’era qualcosa di diverso. Gael, infatti, la loro unica figlia, aveva finito la cena il più velocemente possibile e stava portando quasi di corsa piatti, bicchieri e posati nella cucina. Helaine trovò quasi con sorpresa il tavolo già sgombro. Ma la donna non era ingenua: ogni volta che Gael faceva così, era perché voleva chiederle qualcosa. Infatti, la bambina le si era avvicinata e giocherellava con il bordo del vestito rosa. La donna sorrise dolcemente e si sedette su una sedia.

“C’è qualcosa che mi vuoi chiedere, Gael?”

La  bambina la guardò in silenzio per qualche istante, poi le si avvicinò guardandola con occhi supplicanti e si posò al bordo del tavolo vicino alla madre.

“Posso andare con papà? Ti prego, ti prego!”

Helaine sgranò gli occhi dalla sorpresa a quella richiesta. Avrebbe voluto dirle di no, perché andare per mare non era sicuro per una bambina: tra nebbie e pirati, non voleva che Gael corresse alcun pericolo. Non appena, però, aprì la bocca per risponderle, Gael congiunse le mani per pregarla e la guardò con gli occhi di un cucciolo abbandonato. Helaine cercò di resistere, ma alla fine cedette. La donna scosse la testa sorridendo rassegnata.

“Va bene, ma solo se è d’accordo anche papà!”

Il viso di Gael venne illuminato da un enorme sorriso. La bambina si sporse verso la madre stampandole un bacio sulla guancia.

“Grazie mamma!”

Gael non attese risposta e corse nella stanza accanto dal padre. Helaine scosse ancora una volta la testa sorridendo e andò a lavare i piatti. Non passarono neanche pochi minuti che Gael era riapparsa nella stanza saltellando. Un sorriso ancora più luminoso inarcava le sue labbra.

“Vado a pesca con papà! Vado a pesca con papà!”

Helaine sorrise. Come aveva previsto neanche Rhynce aveva resistito. La donna posò accanto a sé un piatto appena voltato prendendone un altro.

“Ricordati di portarti una coperta e anche qualcosa da mangiare! E cerca di dormire, mi raccomando Gael!”

Gael annuì volteggiando sorridente nella stanza. Era troppo felice. Vedendola, Helaine dimenticò per un attimo tutte le preoccupazioni: dopotutto, Rhynce sarebbe stato con lei e andavano solo qualche miglio in mare aperto. Non ci sarebbe stato niente di cui preoccuparsi.

Un rumore in strada distolse Helaine da quei pensieri. Si sentivano rumori di passi che si avvicinavano al gruppo di case dove c’era anche la loro. La donna sorrise: erano tornati. Non vedendo l’ora di riabbracciare la figlia, Helaine si asciugò le mani sul grembiule e prese il bicchiere di Gael dopo averlo riempito di latte. In quel momento, i rumori di passi si fermarono davanti alla loro porta. Helaine si voltò sorridendo e si posò allo stipite della porta della cucina.

Improvvisamente la porta venne aperta con una violenza tale da farla sbattere contro la parete. Fuori di essa si vedevano un gruppo di uomini armati. Il sorriso morì sulle labbra di Helaine che lasciò cadere a terra il bicchiere, il cui contenuto si sparse sul pavimento.

Salve a tutti! ^-^ Mi stavate dando per dispersa? Scusate!!!! So di meritare il vostro perdono per questo mostruoso ritardo, ma la speranza è l’ultima a morire XD… e poi sono stata brava e, per farmi perdonare, questo capitolo è venuto bello lungo: quasi 20 pagine word! *-* Sono soddisfatta, soprattutto perché c’erano alcuni punti che non mi convincevano ma alla fine mi sono venuti come volevo. Voi che ne dite? =) Abbiamo visto lo svolgimento del piano di Edmund, Susan ha raccontato il sogno a Peter, c’è stato il fallimento dell’arruolamento di Ed (per fortuna) e ho messo anche Jill e i dubbi di Lucy… poi Eustace, come poteva mancare? XD E ovviamente le compere del gruppetto in America, come promesso. Ho alternato molto i pezzi, spero che non vi abbia dato fastidio. Stavolta, purtroppo, il nostro Caspian non si è visto… ma la prossima volta si va a Narnia, quindi non è tanto grave vero? Finalmente dal prossimo capitolo tornerà ad essere centrale! ^-^ Per quanto riguarda l’ultima parte, non ho proprio resistito a metterla. Nel film si sapeva solo che Helaine è stata rapita e sacrificata… ma come è successo? Questa è la mia versione. ^-^ La descrizione iniziale delle Isole Solitarie non mi ha soddisfatto molto, ma mi rifarò quando ci arriveranno.

A questo punto, passiamo ai ringraziamenti:

·         Per le seguite: ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My world, GossipGirl88, ImAdreamer99, Joy_10, katydragons, Shadowfax e SusanTheGentle

·         Per le preferite: english_dancer

·         Per le recensioni del capitolo 3: Fly_My world, Joy_10 e Shadowfax

Per quanto riguarda, invece, il prossimo capitolo come vi ho già detto… finalmente si va a Narnia! ^-^ per questo motivo, i protagonisti saranno soprattutto Lucy, Edmund, Jill e Eustace e Caspian ovviamente. XD Sue e Peter si vedranno un po’ meno, ma cercherò di metterli almeno in un pezzettino.

Beh, che altro dire? Solo grazie, grazie se avrete avuto la pazienza di aspettare questa ritardataria cronica. E ringrazio anche chi solo legge e leggerà. Con questo vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo che arriverà… non so quando, ma arriverà: spero solo di non farvi aspettare un altro mese! T-T Scusate!!!! Ok, adesso vi lascio: ancora grazie!

A presto, HikariMoon

P.S. il titolo fa schifo, lo so... ma non mi era venuto in mente niente di meglio! >.<

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: HikariMoon