Capitolo 5 - Piani Falliti, Compere
e Spiegazioni
Il silenzio
regnava
in casa Scrubb. Coloro che vi abitavano, erano ancora avvolti dalle
braccia di
Morfeo. Fuori, il sole doveva ancora sorgere e, oltre le case, si
intravedeva
solo un vago chiarore. Mancavano ancora un paio d’ore prima
che si
svegliassero.
Improvvisamente,
la porta della camera di Edmund e Eustace cominciò ad
aprirsi lentamente. Un
debole cigolio ruppe il silenzio. Edmund si fermò e si
voltò di scatto,
sperando che il rumore non avesse svegliato il cugino.
Lanciò uno sguardo
appena verso il suo letto e poi sbuffò scuotendo la testa.
La sua era stata una
preoccupazione inutile. Eustace non dava l’impressione di
aver sentito nulla:
né Edmund che si era alzato, né il cigolio della
porta. Il giovane Scrubb era
disteso a pancia in giù e con le braccia stingeva il
cuscino, mentre la leggera
coperta era aggrovigliata attorno alle sue gambe e al suo busto. Ogni
tanto si
sentiva anche un leggero russare. Il volto di Edmund fu attraversato da
una
smorfia di disgusto: ma perché doveva dividere la camera con
lui? Sarebbe stato
di gran lungo meglio dividerla con un Minotauro…
Quando i suoi
occhi caddero sull’orologio, Edmund ricordò il
motivo per cui si era svegliato.
Con cautela, Edmund uscì dalla stanza chiudendosi lentamente
la porta alle
spalle. Con Eustace non si poteva mai stare tranquilli: non si sarebbe
sorpreso, se si fosse svegliato all’improvviso. Dopo un paio
di istanti di
attesa, il ragazzo si si voltò guardando il corridoio
deserto. Casa Scrubb non
sembrava tanto male… quando Eustace e i suoi genitori non
c’erano.
Istintivamente, i suoi occhi scuri corsero a guardare la parte del
corridoio
dove c’era la camera di Lucy. Chissà cosa gli
avrebbe detto… sicuramente non
sarebbe stata d’accordo. Ma Lucy non lo poteva capire: lei
non doveva dividere
la camera con Eustace e sorbirsi la sua presenza e le sue istigazioni.
Ma
soprattutto, Lucy non aveva mai dovuto sopportare il confronto con
Peter.
Peter: il maggiore, il più maturo, il più
responsabile… il più. Il confronto
tra Susan e Lucy era diverso. Certo, Susan era la più grande
e veniva elogiata
da tutti per la sua bellezza, ma tutti, compresi i loro genitori,
voleva bene a
Lucy per la sua spontaneità, per la sua allegria. E comunque
era diverso,
punto.
Scacciando
dalla testa quei pensieri, Edmund si avviò lentamente verso
l’altro lato del
corridoio, verso la stanza di Alberta e Harold Scrubb. Facendo
attenzione a
fare il minimo rumore possibile, Edmund cominciò ad
avvicinarsi in punta di
piedi alla stanza degli zii. Quando stava per sorridere soddisfatto,
ormai a
poco più da un metro dalla porta, un asse del pavimento
scricchiolo sotto i
suoi piedi. Il ragazzo si immobilizzò e la fronte gli si
imperlò di sudore.
Passarono alcuni minuti che, a Edmund, sembrarono lunghissimi. Nessun
rumore,
però, proveniva dalla stanza. Il ragazzo tirò un
sospiro di sollievo: possibile
che in quella casa tutto dovesse cigolare o scricchiolare? Edmund
allungò la
mano e la posò sulla maniglia. Ora veniva il difficile.
Lentamente
abbassò
la maniglia, spalancando lentamente la porta. Edmund deglutì
in preda
all’ansia. Doveva assolutamente trovare una scusa convincente
da rifilare agli
zii nell’eventualità che lo scoprissero.
Il ragazzo
aprì
la porta completamente, entrando velocemente nella stanza e lasciando
l’uscio
socchiuso. Meglio avere sempre una via di fuga veloce: le battaglie a
Narnia
non erano state così inutili, dopotutto. Edmund si
inginocchiò e a gattoni si
avvicinò alla sedia dove erano posati le giacche di zio
Harold e di zia
Alberta. Il silenzio regnava sovrano anche in quella stanza, tranne nei
momenti
in cui un distinto e rumoroso russare si sentiva provenire dalla parte
di zio
Harold. Edmund sospirò scuotendo la testa: a quanto pareva
era proprio vero,
tale padre tale figlio…
Quando
raggiunse la sedia, Edmund si sollevò leggermente per
osservare gli zii. Zio
Harold continuava a russare, beatamente addormentato. Zia Alberta
invece aveva
gli occhi coperti da una mascherina scura. Edmund immaginò
che, probabilmente, aveva
pure i tappi… qualche volta si chiedeva se erano veramente
parenti. La loro
mamma non assomigliava neanche un po’ alla sorella: magari
c’era stato uno
scambio di bambini…
Edmund
ridacchiò e si coprì la bocca con la mano. Non
doveva perdere tempo. Con
decisione iniziò a frugare tra le tasche della giacca.
Vuota, vuota,
portafoglio, vuota… ma dove cavolo aveva messo quel
documento d’identità?
Improvvisamente, il ragazzo sentì un rumore alle sue spalle.
Rapidamente frugò
nella tasca più vicina. Sentendo tra le dita la consistenza
della carta, Edmund
non perse tempo: afferrò il piccolo documento e si
fiondò fuori dalla camera.
Come un fulmine si nascose dietro al muro, sperando che nessuno venisse
da
quella parte. Dopo pochi istanti di logorante attesa, Edmund
sentì la porta
della stanza degli zii aprirsi. Riconobbe subito il ciabattare
svogliato di suo
zio. Un rumoroso sbadiglio gli confermò la sua ipotesi.
Lentamente si sporse e
vide lo zio entrare in bagno. Non appena la porta si chiuse, Edmund
attraversò
il corridoio ed entrò di scatto nella stanza che divideva
con Eustace. Subito
dopo, si fiondò nel letto nascondendosi sotto le coperte.
Un attimo
dopo,
Edmund imprecò sottovoce, maledicendo la sua sfortuna.
Quella non era il
documento d’identità di zio Harold. Come una
beffa, si leggeva nitidamente un
altro nome: Alberta Scrubb. E ora come avrebbe fatto? Di sicuro non
aveva
intenzione di tentare di nuovo la sorte, entrando un’altra
volta di nascosto
nella stanza. Zia Alberta si sarebbe accorta di quella sottrazione? Con
zio
Harold sarebbe stato sicuro di non venir scoperto: quell’uomo
dimenticava
sempre qualcosa a casa, esclusione fatta ovviamente per il giornale.
Non aveva
altra scelta. Doveva accontentarsi di quel documento. Magari, con un
po’ di
faccia tosta lo avrebbe potuto far passare per un errore ortografico.
Sì, tanto
cosa voleva che gliene importasse a quelli che compilavano le liste?
Edmund si
convinse e nascose con attenzione e cura il documento nella tasca dei
pantaloni. Poi guardò l’ora, cominciando a contare
i minuti che lo separavano
dal momento di alzarsi. Forse quella che stava per fare era una pazzia,
ma era
più che determinato a provarci. Il ragazzo si
voltò e i suoi occhi scuri
fissarono il soffitto. Se doveva essere sincero, non lo faceva per
liberarsi
della presenza di Eustace… cioè, non solo. Il
fatto era che voleva dimostrare a
tutti che valeva quanto Peter. E poi, voleva tornare ad avere un ruolo.
Era
stufo di fare il ragazzo qualunque. A Narnia era stato un Re: non ne
poteva più
di quella monotonia. Almeno Susan e Peter, in America, stavano vivendo
qualcosa
di diverso. Sì, era deciso: avrebbe fatto di tutto per
sfuggire a quella
routine sempre uguale.
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I membri della
famiglia Evans al completo si trovavano uno accanto all’altro
davanti alla
scalinata d’entrata, nonostante fosse mattina presto. Di
fronte a loro, vestito
di tutto punto con la divisa dell’accademia, William stava
sistemando la borsa
sul sedile accanto a quello del posto di guida. C’erano
tutti: suo zio Dave,
Stephen e Margaret Evans e anche la sorella Ann. Un paio di passi
indietro
c’erano anche Susan e Peter con i loro genitori. In
realtà, Peter avrebbe fatto
anche a meno di alzarsi per salutarlo, ma Susan era stata categorica:
dovevano
mostrarsi gentili, dopotutto avevano anche ricevuto l’invito
al tè ed erano
ospiti a casa loro. Peter, ripensandoci, sbuffò: bella roba
che vi avevano
guadagnato… proprio da essere riconoscenti. Ci scommetteva
tutto quello che
aveva, che se Susan fosse stata una racchia con i brufoli e i denti
storti non
l’avrebbe invitata di sicuro… altro che
gentilezza: il suo era solo interesse.
In quel
momento,
William si sciolse dall’abbraccio con Ann e arrivò
davanti a loro. Robert e
Helen salutarono il ragazzo con una stretta di mano e baci sulle
guance. Poi,
fu il loro turno. Non appena William arrivò davanti a Susan,
il suo viso venne
illuminato da un sorriso a trentadue denti. Peter dovette voltarsi
perché
altrimenti non sarebbe riuscito ad ignorare l’istinto di
assestargli un pugno
in pieno viso.
“Susan,
non
vedo l’ora di andare con te al ricevimento.”
Susan sorrise.
“Sarà divertente…”
Alla ragazza
non
era venute in mente parole migliori. Avrebbe voluto tanto fargli capire
che il
loro rapporto non poteva andare oltre all’amicizia, ma non
sapeva proprio come
fare. E non poteva certo dirgli che non vedeva l’ora di
andarci con lui.
Sarebbe stato crudele fargli credere che tra loro ci sarebbe potuto
essere
qualcosa. Magari, al ricevimento avrebbe potuto spiegargli. Mentre si
scambiavano dei formali baci sulle guance, Susan sospirò. Ma
come poteva
spiegargli che lei non poteva innamorarsi di lui perché era
già innamorata? E
se le chiedeva chi era… cosa si sarebbe inventata? Di sicuro
non poteva dirgli
che era innamorata del Re di un mondo in cui erano arrivati con la
magia.
Quando William si avvicinò a Peter, Susan prese una
decisione: doveva trovare
una soluzione.
Quando i due
ragazzi si trovarono di fronte, Peter lo squadrò e mantenne
un atteggiamento
distaccato. Non erano amici e, finché avrebbe avuto delle
intenzioni con Susan,
non lo sarebbero stati. William si era accorto
dell’atteggiamento ostile di Peter,
ma cercava di fare finta di niente. Quando si strinsero la mano, i loro
occhi
si incrociarono.
“Ci
vediamo,
Peter.”
“A
presto,
William.”
A quel punto,
William tornò vicino alla famiglia e abbracciò
ancora una volta Ann. Subito
dopo, salì sull’automobile con cui li aveva
accompagnati dal porto e mise in
moto. Tutti rimasero fermi a guardare la macchina che si allontanava
lungo il
vialetto e che poi scompariva in lontananza.
Lentamente il
gruppo si sfaldò, i signori Evans e Dave rientrarono
chiacchierando con Robert
e Helen. Ann, invece, si avvicinò a Susan e Peter sorridendo.
“Mamma
ha detto
che possiamo andare oggi in città. Ci accompagna lei, poi
lei e vostra madre
andranno a farsi un giro per conto loro e io invece vi farò
da guida. Pensavo
che per prima cosa potremmo cercare i vestiti per voi… poi
magari andiamo a
mangiare qualcosa o vi mostro Central Park. Che ne dite?”
Susan sorrise
annuendo. “Siamo nelle tue mani, Ann.”
Ann sorrise
soddisfatta.
“Venite dentro?”
Peter si
voltò
verso Susan. “Sue… vorrei parlarti un
attimo.”
Susan lo
guardò
e annuì. Poi tornò a voltarsi verso Ann.
“Noi
facciamo
quattro passi sulla spiaggia… poi torniamo dentro.”
Ann
annuì.
“D’accordo… nel caso vi vengo a
chiamare, se mamma dice che dobbiamo andare.”
Susan e Peter
annuirono si avviarono verso il retro della casa. Ann invece
rientrò
nell’abitazione. I due ragazzi camminarono affiancati tra gli
alberi fino al sentierino
che immetteva sulla spiaggia. In silenzio cominciarono a camminare
lungo il
bagnasciuga. Passarono lunghi minuti prima che Peter si rivolgesse a
Susan. In
realtà aveva quasi un po’ di paura a rivolgerle
quella domanda. Ma d’altra
parte, smaniava nella speranza che la risposta fosse affermativa.
“Pensi
che quel
tuo sogno possa avere qualche legame con Narnia?”
Susan si
voltò
per un attimo verso di lui, poi tornò ad abbassare gli occhi
azzurri che
fissavano il moto delle onde sulla sabbia. Non gli rispose subito,
quasi stesse
cercando di capire lei per prima quale fosse la risposta giusta.
“Non
lo so…
però quando mi sono svegliata, avevo una strana
sensazione… come se Narnia
fosse in pericolo.”
Peter non
rispose e deglutì guardando verso il mare. Fremeva al
pensiero che Narnia
potesse essere in pericolo e che lui non potesse tornarci per
proteggerla. Poi
tornò a guardare Susan, mentre i loro passi continuavano a
imprimere orme sulla
sabbia, orme che presto scomparivano.
“Cosa
è
successo nel sogno?”
Susan
continuava a fissare le onde, quasi la aiutassero a ricordare. Ma in
realtà non
serviva. Ricordava ogni istante di quel sogno e ogni sensazione che le
aveva
lasciato, impressi in modo indelebile nella sua memoria.
“Ero
su questa
spiaggia… da sola. Non c’era nessuno.”
Susan si
fermò
guardando verso il mare. Peter la imitò e i suoi occhi si
volsero verso di lei,
in attesa che continuasse a parlare.
“Mi
sembrava
quasi di essere rimasta sola… come se nel mondo non ci fosse
più nessuno. Vi
provavo a chiamare, ma nessuno mi rispondeva. E il cielo sembrava
volermi
opprimere, scuro e senza sole.”
Susan
sospirò.
Peter le posò una mano sulla spalla.
“Poi
che cosa è
successo?”
Susan si
voltò
verso di lui e gli sorrise prima di riprendere a raccontare.
“Stavo per cedere alla
disperazione, ma si sono
fatta forza cercando di pensare a voi e a Narnia. E
all’improvviso è sorto il
sole e tutto ha ripreso vita.”
Peter
annuì
senza però riuscire a togliersi un’espressione
perplessa dal volto.
“Ma
cosa
c’entra questo con Narnia, Susan?”
Susan
tornò a
guardare verso il mare, chiedendosi se potesse avere un qualche
collegamento
con il suo incubo. Continuava a rifarsi le stesse domanda, ma ogni
volta non
riusciva a trovare risposte.
“Subito
dopo,
un’onda mi ha trascinato in mare. Mi sono ritrovata
sott’acqua, lontano dalla
costa… ho cominciato a nuotare verso la superficie e
poi…”
Peter
annuì per
convincerla a proseguire. “E poi?”
Susan
abbassò
lo sguardo imbarazzata. Come poteva dire a Peter di aver sognato
Caspian? Di sicuro
si sarebbe arrabbiato perché lei continuava a soffrire a
causa sua. Anche se
non era vero. Il ricordo di Caspian non la faceva soffrire, non
più almeno.
Dopo il loro incontro… ecco un’altra cosa che a
Peter non poteva dire: aveva
trovato la forza di continuare a sperare proprio grazie a Caspian,
grazie alla
promessa che si erano scambiati. Ma Peter non poteva, o non voleva,
capire. A
quel punto, molto diplomaticamente, Susan decise di glissare su qualche
particolare.
“Poi
ho visto
una nave che sembrava una di quelle di Narnia. Quando stavo per
raggiungerla,
la superficie del mare si è improvvisamente congelata
imprigionandomi sotto.”
Peter
sbattè
gli occhi sorpreso. “Gelata?”
Susan
annuì.
“Sì, provavo e riprovavo a spezzarlo senza
però riuscirci. Improvvisamente la
nave è scomparsa ed è arrivata una persona
avvolta da una nebbia verde.”
Il volto di
Peter si fece serio. Anche se all’inizio aveva vagamente
dubitato del
collegamento tra il sogno e Narnia, ora si era convinto che qualcosa
c’era. Non
sapeva neanche lui il perché, ma qualcosa dentro di lui gli
diceva che Susan
aveva ragione: quel sogno aveva, in qualche modo, un legame con Narnia.
Susan
riprese a raccontare.
“Non
so perché,
ma aveva come qualcosa di famigliare… mi trasmetteva un
senso di paura,
inquietudine che avevo già provato.”
Peter la
guardò
sgranando gli occhi ed esprimendo ad alta voce il primo pensiero che
gli era
venuto in mente.
“Jadis…”
Susan
sospirò e
lo guardò. “Non lo so. Anche io l’ho
pensato, ma c’era il lei anche qualcosa
che non avevo mai visto. Non so come spiegare…”
Peter stava
rimuginando, pensando con rabbia all’eventualità
che la perfida Strega avesse
trovato per l’ennesima volta un modo per tornare. Alla fine,
si voltò verso
Susan.
“Poi?”
Susan
sospirò
ancora una volta. “Ha cominciato a dirmi che dovevo smettere
di illudermi che
sarei tornata a Narnia. Che sarei stata più felice
dimenticando tutto, perché
Narnia si era servita di me ingannandomi e facendomi venire solo quando
le
servivo. Continuava a ripetermi che Narnia non era nel mio
destino.”
Il silenzio
calò tra i due, entrambi concentrati nei propri pensieri.
Susan continuava a
pensare all’altra affermazione della misteriosa persona,
quella che riguardava
lei e Caspian. Ogni volta che ci pensava, provava una stretta al cuore.
Peter,
invece, era sempre più convinto che tutto quello centrasse
con Narnia in un
modo o nell’altro.
“Dobbiamo
trovare un modo, Susan. Per tornare a Narnia, intendo. Sono convinto
anche io
che Narnia sia in pericolo.”
Susan
annuì.
“Sì… non voglio credere che quella
persona, chiunque fosse, abbia ragione. Non
mi rassegnerò mai.”
Peter sorrise
vedendo la determinazione negli occhi di Susan.
“Come
è finito
il sogno?”
Susan si
voltò
verso il fratello. “Mi sono fatta forza per non credere alla
sue parole,
pensando di nuovo a Narnia. E alla fine ho chiamato Aslan.”
Peter la
guardò
eccitato. “E?”
Susan sorrise
emozionata. “È arrivato ad aiutarmi. Ho sentito il
suo ruggito. Quella persona
se ne è andata e il ghiaccio è
scomparso… sono emersa e ho sentito la sua
voce.”
Susan prese un
respiro, visibilmente emozionata. “Mi ha detto di continuare
a seguire io mio
cuore e di non perdere mai la speranza.”
Peter sorrise
e
abbracciò la sorella. “Visto? Aslan non ci ha
abbandonato: sono certo che ci
farà tornare a Narnia!”
Susan
annuì
sorridendo. Sì, non avrebbe mai smesso di sperare nel suo
ritorno a Narnia.
In quel
momento
i due fratelli, sentirono la voce di Ann che li chiamava. Susan e Peter
si
voltarono e videro la ragazza muovere il braccio per attirare la loro
attenzione all’imboccatura del sentiero. I due non persero
tempo e raggiunsero
Ann. Poi, insieme si diressero verso la villa.
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Lucy e Edmund
salirono sulla bicicletta diretti, come altre volte da quando si
trovavano a
casa Scrubb, a fare la spesa. Non capivano esattamente come quello li
avrebbe
fatti diventare più “maturi”, ma forse
quello era solo un modo per tenerli
buoni. Infatti, Eustace non veniva mai mandato a fare la spesa. Edmund
si
sistemò sul sedile e Lucy si sistemò alla meglio
sulla stanga, reggendosi con
entrambe le mani. Era così concentrata a non cadere, che non
si accorse del
sospirò di sollievo emesso da Edmund quando aveva cominciato
a pedalare via
dalla casa. Se lo avesse sentito, forse lo avrebbe legato al sollievo
di stare
per un po’ lontano da Eustace.
Il motivo,
però, era un altro. Edmund, quella mattina, aveva atteso con
impazienza il
momento in cui sarebbero potuti uscire. Non voleva rischiare che la zia
si
accorgesse dell’assenza del suo documento
d’identità. Eustace di sicuro lo
avrebbe accusato di essere il responsabile della scomparsa e quella
volta non
avrebbe neanche avuto tutti i torti. Per fortuna, però,
tutto era andato per il
meglio. Zia Alberta doveva aver dato per certo che il documento fosse
nella sua
solita tasca ed era uscita tranquillamente poco prima di loro. Se anche
si
fosse accorta della sparizione al circolo, avrebbe sicuro pensato che
le fosse
caduto in casa. Ed Edmund glielo avrebbe fatto credere, lasciando il
documento
sotto il comò.
Edmund
sorrise.
Il suo piano stava andando per il verso giusto. Una volta arrivati a
destinazione, sarebbe dovuto solo stare attento a non insospettire
Lucy. Era
già un miracolo che la sorella non si fosse accorta quella
mattina del suo
comportamento irrequieto. La fortuna doveva essere proprio dalla sua
parte. Un
altro sorriso soddisfatto inarcò le sue labbra mentre
pedalava di buona lena
lungo il marciapiede.
Edmund,
però,
non sapeva che Lucy aveva ben altri pensieri. Dal giorno in cui era
arrivata la
lettera di Susan, un pensiero continuava a tormentarla.
All’inizio aveva
cercato di non pensarci, focalizzandosi sul fatto che Susan e Peter non
avevano
perso le speranze di tornare a Narnia. Anche quando aveva scritto la
risposta,
aveva cercato di convincersi che, nonostante tutto, sarebbero andati
anche loro
in America. Ma era stato tutto inutile e aveva continuato a pensarci:
quando la
sera andava a letto, la mattina che si guardava allo specchio e
soprattutto
quando zia Alberta parlava di Susan. In quei momenti, Lucy si scopriva
invidiosa e neanche si rendeva conto che fosse quello il sentimento che
la tormentava.
Continuava a pensare a quello che Susan aveva detto: non erano neanche
arrivati
in America e Susan aveva già qualcuno che si interessava a
lei. Dopotutto Susan
era bella, affascinante, dolce. E
lei?
Lucy si guardava allo specchio e vedeva tutti i difetti inimmaginabili.
Una
mattina si vedeva il naso troppo grosso, il giorno dopo il colore degli
occhi
troppo cupo. Un’altra volta ancora, guardava tristemente le
lentiggine che le
punteggiavano le guance o i capelli di un colore che trovava scialbo.
Non si
piaceva e ogni volta sognava come sarebbe stato essere come Susan.
Sentirsi
ammirata come lei…
Era
così
concentrata in questi pensieri, che Lucy non si accorse che erano quasi
arrivati. Quando Edmund si fermò vicino ad un palo, per un
pelo la ragazzina
non scivolò rovinosamente a terra. Mentre scendeva dalla
bicicletta e cercava
di riprendersi, Lucy si accorse di un ragazzo in divisa sotto il
portico
dell’edificio poco lontano. Guardava nella loro direzione.
Lucy sorrise e per
un attimo si illuse che sorridesse verso di lei. Subito dopo,
però i suoi sogni
svanirono. Proprio da dietro di loro arrivò una ragazza che
raggiunse il
ragazzo sorridendo. Subito i due si misero a parlare e Lucy, nonostante
si
trovasse stupida, non riuscì a reprimere
un’espressione delusa. Solo in quel
momento si accorse di Edmund che la chiamava.
“Lu,
ma stai
ancora dormendo?”
La ragazzina
si
voltò di scatto verso di lui, sperando che Edmund non si
fosse accorto di
nulla.
“Che
c’è Ed?”
Edmund
sospirò
e accennò dietro alle proprie spalle, dove oltre la strada
c’era tutta la fila
di negozi.
“Ti
dicevo che
mentre finisco di sistemare la bicicletta, puoi intanto entrare
così magari
facciamo un po’ meno fila…”
Edmund
sperò
che Lucy non si insospettisse: non glielo aveva mai chiesto le altre
volte. La
ragazzina, però, annuì senza troppa convinzione e
si avviò.
“Va
bene. Cerca
di fare presto, Ed.”
Il ragazzo
annuì rendendosi conto dell’aria avvilita della
sorella. Mentre lei
attraversava la strada, Edmund guardò nella direzione dove
prima guardava Lucy
e vide solo un ragazzo e una ragazza. Che cosa poteva aver visto Lucy
da
renderla così demoralizzata? Dopo, magari, glielo avrebbe
chiesto. Ora aveva
altro a cui pensare. Edmund finse di armeggiare con la bicicletta
finché non
vide Lucy scomparire dentro il primo negozio. A quel punto,
tirò fuori dalla
tasca il documento di zia Alberta e si diresse quasi di corsa
all’entrata
dell’edificio di fronte a lui. All’entrata
troneggiava un enorme poster che
propagandava l’arruolamento volontario. Edmund si
fermò un attimo e lo fisso.
Per qualche secondo, ebbe l’impressione di star per fare una
sciocchezza. Stava
per cambiare idea, ma alla fine scosse la testa guardando determinato
verso
l’entrata: avrebbe dimostrato a tutti quanto valeva. Senza
altri indugi, Edmund
entrò nell’edificio.
Nel frattempo,
Lucy era in attesa in fila. Non vedendo arrivare il fratello,
cercò di
sporgersi in modo da vedere attraverso la porta dove fosse finito. Con
sorpresa
si rese conto che non era più là della
bicicletta. Subito dopo lo scorse
entrare nell’edificio di fronte. Lucy aggrottò le
sopracciglia stupita: che
cosa stava facendo Edmund? Subito, il suo sguardo tornò alla
fila in cui si
trovava. Per fortuna non c’era tanta gente: era proprio
curiosa di vedere che cosa
stesse combinando.
Quando Edmund
entrò, teneva le dita incrociate sperando che non ci fosse
una fila troppo
lunga: Lucy si sarebbe accorta del suo ritardo. Fortunatamente,
c’erano solo
una decina di persone davanti a lui. Edmund tirò un sospiro
di sollievo e si
mise dietro all’ultimo che gli lanciò
un’occhiata che era un misto tra lo
scettico e il divertito. Edmund non ci fece caso:
l’importante era convincere
l’inserviente che prendeva i nomi. Bastavano sangue freddo e
faccia tosta: che
c’era di difficile? Era sufficiente comportarsi come si
comportava a Narnia: da
Re.
Mentre Edmund
si avvicinava al banchetto dove si davano i nominativi per
l’arruolamento,
altri ragazzi e uomini si mettevano in fila dietro di lui. A qualcuno
scappò
anche una mezza risata scorgendolo, ma Edmund gli ignorò
perché finalmente era
arrivato il suo turno. L’uomo davanti a lui si
allontanò e Edmund fece un passo
avanti porgendo con sicurezza il documento al militare seduto davanti a
lui.
L’uomo lo prese, ma non lo aprì guardando scettico
Edmund.
“Sicuro
di
avere diciotto anni?”
Edmund si era
aspettato quella domanda e si era preparato per rispondere con la sua
solita
faccia tosta.
“Perché…
le
sembrò più grande?”
Il militare lo
scrutò ancora per un attimo e alla fine aprì
svogliatamente il documento.
Sembrava stesse ripetendo le stesse azioni ripetute decine di volte.
Quando
lesse il nome, l’uomo guardò ancora più
scettico Edmund. Il suo tono era quasi
di rimprovero.
“Alberta
Scrubb?”
Delle risatine
soffocate si alzarono alle spalle di Edmund, che si era preparato anche
a
quella domanda. Se tutto fosse andando come aveva previsto, sarebbe
riuscito a
convincerlo.
“È
un errore di
ortografia, dovrebbe essere Albert Scrubb.”
Nello stesso
momento, Lucy si fermò sulla porta dell’edificio
tenendo in mano due borse
della spesa. Quando vide il fratello, non poté che scuotere
la testa
rassegnata. Non voleva neanche sapere come gli fosse venuta
un’idea simile.
“Edmund,
dovresti aiutarmi a portare la spesa, non credi?”
Sentendo la
voce di Lucy, Edmund si voltò di scatto. I ragazzi in fila
dietro di lui
scoppiarono a ridere, mentre il militare tornava a Edmund il documento.
Il
ragazzo si allontanò arrabbiato e uno dei tizi in fila gli
diede ridendo uno
scappellotto in testa.
“Sarà
per la prossima
volta… eh, pulce?”
Edmund
represse
a fatica l’istinto di voltarsi e prenderlo a pugni. Stava
andando tutto così
bene: Lucy era arrivata proprio nel momento più inopportuno.
Il ragazzo tirò
dritto uscendo dalla edificio in cui ormai gli sembrava di soffocare:
aveva
fatto la figura dello stupido. Lucy cercò di attirare la sua
attenzione senza
riuscirci.
“Edmund,
ma
come ti è venuto in mente? Me lo dici?”
Edmund la
ignorò, continuando a ribollire di rabbia. Quello che
più lo imbestialiva erano
state le parole del ragazzo. Arrivato alla bicicletta, Edmund
sbuffò.
“Pulce…
avrà
avuto solo due anni più di me! Io sono un Re: ho combattuto
delle guerre e ho
guidato degli eserciti!”
Lucy lo
guardò
comprensiva, porgendogli le porse della spesa che Edmund
cominciò a sistemare
sulla bicicletta.
“Non
in questo
mondo, Ed.”
Edmund
sbuffò
di nuovo, sistemando con scatti rabbiosi le buste.
“Già,
a Narnia
sono un Re… e invece qui sono bloccato a bisticciare con
Eustace Clarence
Scrubb! Dimmi se si può avere un nome simile!”
Lucy scosse la
testa, abituata agli sfoghi del fratello. In quel momento, la sua
attenzione
venne di nuovo attratta dal soldato e dalla ragazza di prima. Stavano
ancora parlando
sorridenti. La ragazza era posata ad una delle colonne del porticato e
si stava
sistemando una ciocca di capelli dietro l’orecchia. Lucy la
fissò quasi
ipnotizzata cercando di imitarla. Con la mano si sistemò una
ciocca di capelli
ritrovandosi a pensare che forse zia Alberta aveva ragione: lei non
aveva
proprio idea di come si comportasse una signorina. Cosa bisognasse fare
per
essere belle e attirare l’attenzione dei ragazzi. Forse
avrebbe dovuto
veramente seguire i suoi consigli. Tanto, brutta lo era: peggio non
sarebbe
potuto andare, no?
Di nuovo la
voce di Edmund la riscosse dai suoi pensieri. Il ragazzo la guardava
interrogativo, lanciando occhiate perplesse verso i ragazzi che Lucy
osservava.
“Che
stai
facendo?”
Lucy si
imbarazzò e si voltò di scatto verso la strada
iniziando a camminare.
“Niente.
Andiamo, dai.”
Edmund scosse
le spalle e seguì Lucy. Per lunghi minuti nessuno dei due
disse nulla. Quando
arrivarono vicino alla casa, Edmund sbuffò.
“Lucy,
ma
potevi arrivare un attimo dopo?”
Lucy lo
guardò
indignata e anche leggermente spaventata, dimenticandosi almeno per il
momento
dei suoi dubbi, e lo colpì con un debole pugno sul braccio.
“Ed!
ma che
dici? Volevi davvero arruolarti?”
Edmund non
rispose subito e sembrò rifletterci, mentre toglieva le
borse della spesa e ne
passava una a Lucy. Alla fine sospirò e scosse la testa.
“No.
E ora, a
pensarci, non penso di aver mai avuto un’idea più
stupida di questa!”
Lucy sorrise e
i due si avviarono verso la porta di casa. Subito si accorsero della
presenza
di Jill davanti alla porta. I due si affrettarono a raggiungerla.
“Jill!”
La ragazzina
si
voltò e un sorriso inarcò le sue labbra.
“Lucy! Edmund!”
Edmund e Lucy
si fermarono accanto a lei e Edmund prese le chiavi per aprire la
porta. Nel
farlo si voltò sorridendo sarcastico.
“Anche
oggi a
lezione dal caro cugino?”
Jill in tutta
risposta sbuffò, mentre Lucy sorrise divertita accarezzando
con la punta delle
dita il furetto Billy che Jill teneva sempre nella sua borsetta.
“Non
capisco
come a mia madre sia venuta un’idea simile!”
Edmund la
guardò con un’espressione comprensiva.
“Lo dici a noi! Ti sembra un’idea
migliore lasciare noi due qui, mentre i nostri fratelli maggiori sono
in
America?”
Jill
scoppiò a
ridere e scosse la testa. Lucy entrò in casa seguita da
Edmund e Jill.
“Non
continuiamo a pensarci… almeno ci siamo incontrati. Era
peggio se non fosse
successo.”
Edmund finse
di
inorridire a quel pensiero e Jill rise: era felice di aver fatto
amicizia con
Edmund e Lucy Pevensie. Rendevano più sopportare la
frequentazione di casa
Scrubb.
Lucy si sporse
verso il salotto.
“Ciao,
zio
Harold. È arrivata Jill.”
Non ricevendo
risposta, Lucy si diresse in cucina seguita da Jill. Edmund invece si
fermò in
salotto e guardò sconsolato lo zio che per
l’ennesima volta stava leggendo il
giornale. Che cosa ci trovava di cos’ interessante poi? La
voce di Lucy,
proveniente dalla cucina, ruppe di nuovo il silenzio.
“Ho
cercato le
carote, ma c’erano di nuovo solo le rape. Vuoi che cominci a
fare la zuppa?
Così sarà pronta quando la zia torna. Zio
Harold?”
Nessuna
risposta. Edmund scosse la testa rassegnato. Secondo lui zio Harold si
addormentava ogni giorno su quella poltrona. Ecco perché era
sempre con il
giornale in mano. Si sedeva, cominciava a leggere le prime righe del
primo
articolo e… puff, la testa cadeva e tanti saluti
all’articolo. A quella scena
Edmund non poté che mettersi a ridere.
In quel
momento
arrivarono Lucy e Jill dalla cucina. La prima guardò il
fratello in modo
interrogativo.
“Che
hai da
ridere?”
Edmund
cercò di
farglielo a capire a gesti, ma il fatto che zio Harold non avesse
neanche
emesso uno dei grugniti che usava come saluto lo fece scoppiare di
nuovo a
ridere. Lucy e Jill si guardarono sorridendo divertite anche se non ne
capivano
il perché. In quel momento, dalle scale scese Eustace. Non
appena vide i due
cugini e la vicina, fece dietro front. Edmund lo vide e scosse la testa.
“Eustace,
per
fortuna che in questa casa ci sei tu. Come faremmo senza una persona
matura
come te?”
Lucy e Jill
ridacchiarono. Eustace, invece, si fermò sulla porta del
salotto guardando in
cagnesco Edmund.
“Smettila
di
prendermi in giro, cugino. Proprio perché sono maturo non mi
mischio con voi!
Prova a chiederlo a mio padre!”
Edmund
ridacchiò e si voltò per guardare lo zio. Proprio
in quel momento un sonoro
russare provenne da dietro il giornale. L’ilarità
generale si scateno tra i due
Pevensie e Jill. Eustace gli guardava indignato, ma in fondo anche lui
fatica a
trattenere le risate. Edmund si asciugò una lacrima causata
dal tanto ridere.
“Magari
glielo
chiedo dopo…”
Eustace si
voltò arrabbiato verso il padre mettendosi a gridare.
“Papà,
Edmund,
Lucy e Jill stanno ridendo di te!”
Capirono
subito
che Eustace voleva svegliare il padre. Edmund, se prima
all’arruolamento si era
trattenuto, era più che mai convinto di non farsi mettere i
piedi in testa da
Eustace.
“Piccola
serpe!”
Il ragazzo
cercò di raggiungere il cugino. Eustace, rendendosi conto
della mala parata,
iniziò a correre su per le scale cercando di attirare
ancora, inutilmente,
l’attenzione del padre.
“Papà,
vuole
picchiarmi!”
Solo a quel
punto Harold Scrubb si riscosse. L’uomo abbassò il
giornale e si guardò attorno
senza capire. Lucy e Jill cercarono di trattenere le risate. Lucy fu la
prima a
parlare seguita a ruota da Jill.
“Ciao,
zio
Harold. Siamo appena tornati dalla spesa. C’erano solo le
rape. Fra un po’
metto su la zuppa.”
“Buongiorno,
signor Scrubb.”
L’uomo
le
guardò quasi non le riconoscesse. Alla fine annuì
e rialzò il giornale. Sentendo
dei rumori provenire dal piano di sopra, abbassò leggermente
la pagina di
giornale.
“Cercate
di non
fare troppo rumore: sto leggendo il giornale.”
Lucy e Jill
annuirono e fecero appena in tempo ad uscire dalla stanza prima di
scoppiare a
ridere come matte. Dopo qualche minuto, le due si calmarono e
iniziarono a
salire.
“Lucy,
posso
venire in camera tua? Tanto dubito che Eustace si è dato
alla macchia.”
Lucy sorrise e
annuì. “Certo, così puoi fare uscire un
po’ anche Billy.”
Jill
annuì.
Dopo qualche istante, le due arrivarono davanti alla porta della camera
di Lucy
ed entrarono. Quando Lucy si sedette sul letto, Jill si
guardò attorno e vide
la lettera di Susan posata sulla scrivania.
“Avete
ricevuto
qualche altra lettera dall’America?”
Lucy scosse la
testa. “È un po’ presto. Abbiamo spedito
la risposta un paio di giorni fa.”
Jill si
sedette
ai piedi del letto. “Ti mancano?”
Lucy
annuì.
“Tantissimo. Non vedo l’ora di
raggiungerli.”
Il loro
discorso venne troncato dall’arrivo di Edmund, la cui
espressione era
particolarmente soddisfatta. Il ragazzo prese una sedia e si sedette
vicino a
loro.
“Facciamo
una
partita a carte?”
Le due ragazze
annuirono. Lucy prese il mazzo iniziando a mescolare, mentre Jill fece
uscire
Billy che iniziò a girovagare per la stanza.
Il furetto
zampettò e corse per tutta la stanza annusando qua e
là ed esplorando ogni
angolo. Ad un certo punto arrivò davanti al quadro.
L’animaletto si alzò sulle
due zampe annusando curioso il dipinto. I suoi occhietti brillavano
vivaci e
mosse la testa a destra a sinistra quasi stesse studiando
ciò che vi era
raffigurato. Alla fine, saltò giù dalla mensola
sotto al quadro e raggiunse il
letto dove si accoccolò vicino a Jill. La ragazzina sorrise
e lo accarezzò.
“Finito
di girovagare?”
Il furetto
mosse la testolina contro la sua mano. Poi, Jill tornò a
voltarsi verso gli
altri riprendendo a prestare attenzione al gioco.
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Susan, Peter e
Jill scesero dall’automobile. I primi due si guardarono
attorno, osservando le
strade e gli edifici di New York. Ann, invece, tornò a
voltarsi verso la
macchina da cui la madre stava facendo le ultime raccomandazioni.
“Ci
rivediamo
qui tra qualche ora. Quando avete trovato i vestiti, ricordati di
metterli sul
mio conto, così uno dei prossimi giorni passo a pagare. Te
lo ricorderai, Ann?”
La ragazza
annuì, nonostante trovasse un po’ esagerate tutte
le raccomandazioni della
madre. La donna, a quel punto, sembrò soddisfatta e riprese
in mano il volante.
“Mi
raccomando
divertitevi.”
Ann sorrise.
Susan e Peter salutarono la madre e l’automobile
ripartì, lasciandoli sul
marciapiede. A quel punto, Ann si voltò verso i due Pevensie
sorridendo.
“Venite.
So il
posto perfetto per trovare i vestiti per il tè. Io e mamma
ci veniamo un sacco
di volte e lei dice che se non trovi qualcosa lì, non lo
trovi da nessun altra
parte.”
Susan sorrise.
“Allora andiamo.”
I tre ragazzi
si avviarono e, dopo qualche minuto tra il via vai di persone della
strada,
arrivarono davanti alle porte di vetro di un negozio. Ann
entrò senza
esitazione Susan e Peter la seguirono. La ragazza fece un cenno di
saluto ad
una delle commesse e salì al primo piano. Non appena
finirono di salire gli
ultimi scalini, davanti a loro si stagliarono decine di file e mensole
di abiti
di tutti i tipi. Ann si voltò soddisfatta verso Susan e
Peter.
“Facciamo
prima
per Peter… credo sia più facile. Poi, pensiamo a
te Susan. Va bene?”
Susan e Peter
annuirono. La prima si voltò verso Ann.
“Tu
non prendi
niente?”
Ann
alzò le
spalle con noncuranza. “Teoricamente ho già
vestiti a casa che potrebbero
andare bene. Se trovò qualcosa di assolutamente perfetto,
però, potrei cambiare
idea.”
Le due ragazze
sorrisero e insieme a Peter si avviarono verso il reparto maschile.
Come avevano
previsto, dopo neanche mezz’ora Peter era stato perfettamente
vestito. Dopo
qualche tentativo, aveva optato per un completo grigio-azzurro, camicia
bianca
e cravatta. Peter, inizialmente, non era stato molto convinto ma poi,
per
l’insistenza di Susan e Ann, aveva approvato. In particolare,
Ann aveva
affermato che metteva perfettamente in risalto i suoi occhi. subito
dopo, però,
la ragazza aveva abbassato lo sguardo imbarazzata e aveva detto che sua
madre
diceva sempre così. Fortunatamente per lei, il discorso
venne spostato al
vestiario delle due ragazze e i tre emigrarono nel reparto femminile.
Susan e Ann
camminavano tra le file di vestiti guardando da un lato e
dall’altro, mentre
Peter le seguiva qualche passo indietro. Sembrava proprio un pesce fuor
d’acqua
e si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito non dover dare
nessun
commento.
Susan guardava
i vestiti e, uno dopo l’altro, l’espressione del
suo volto si incupiva: le
sembravano tutti troppo eleganti. Quasi esagerati. Non andava certo al
tè per
far colpo su qualche ragazzo e tanto meno su William. Le sarebbe
bastato un
abito più semplice… la voce di Ann
attirò l’attenzione di Susan.
“Sue,
hai
qualche preferenza? Che ne so colori accessi, tenui? Caldi o
freddi?”
Susan sorrise
vedendo l’espressione esitante di Ann: dopotutto era
lì per aiutarla e lei non
si stava collaborando per nulla. Con la mano mosse altre abiti che
scartò
subito, quasi non li vide.
“No
saprei… non
vorrei qualcosa di esagerato. Come colore…”
Ann si
illuminò
rimettendosi a cercare. “Azzurro o blu sicuramente.
Così anche i tuoi occhi
verranno messi in risalto.”
Susan sorrise
e
si rimise a cercare. Dopo buoni venti minuti, i tre si stavano
dirigendo i
camerini. Susan teneva in braccio due vestiti, uno azzurro e uno blu ma
nessuno
dei due la convinceva particolarmente. Più che altro si era
fatta persuadere da
Ann che da qualcosa dovevano pur iniziare. Arrivati ai camerini, Susan
sparì in
uno di essi e Peter e Ann rimasero fuori. Dopo qualche attimo di
imbarazzante
silenzio, Ann iniziò ad allontanarsi.
“Io
guardò se
trovo ancora qualcosa…”
Peter
annuì
senza troppa convinzione: si stava già annoiando.
Passò qualche minuto e Susan
uscì sbuffando.
“Uno
mi è
stretto e l’altro è troppo esagerato.”
Ann, appena
tornata a mani vuote, sembrò un po’ dispiaciuta ma
subito dopo sorrise.
“Fa
niente.
Prima prova fallita: vedrai che troveremo qualcosa.”
Susan
annuì e
cominciò a riguardarsi attorno. Ann la seguì.
Peter, invece, si posò alla
parete vicino ai camerini tenendo il proprio completo tra le braccia:
non
vedeva l’ora che finisse. Susan si stava trovando
insopportabile. Non era di
nessun aiuto e scartava ogni vestito a priori. Alla fine, ammise con se
stessa
che il motivo era che non voleva andarci. Non aveva trovato ancora un
modo per
spiegare la situazione a William e per questo era in ansia. Poi un
vestito attirò
il suo sguardo. La ragazza si avvicinò, lo prese e lo
guardò. Era un semplice
vestito azzurro con un disegno floreale di margherite. La vita era
leggermente
stretta da un nastro nero a fiocco per creare uno sbuffo nella parte
superiore.
Anche le maniche erano a sbuffo e solo una fila di bottoncini
impreziosiva la
parte davanti. Susan sorrise come folgorata. Era perfetto. Stava per
andarsene
quando i suoi occhi caddero su un altro vestito. Susan lo
guardò per un attimo
e poi lo prese dirigendosi verso i camerini. Arrivata lì
incrociò lo sguardo di
Ann che si illuminò.
“Hai
trovato
qualcosa?”
Susan
annuì e
le porse il secondo vestito. “Tu prova questo. Qualcosa mi
dice che è perfetto
per te.”
Ann
titubò un
attimo, ma alla fine Susan la convinse. Le due entrarono in due
camerini
affiancati e Peter cominciò a camminare avanti e indietro
sperando che quella
fosse la volta buona. Dopo qualche minuto Ann aprì la porta
e si sporse fuori
con la testa.
“Sue…
io sarei
pronta.”
La voce di
Susan la raggiunse da dentro il camerino. “Io no. Un
attimo… intanto fatti dire
da Peter che ne pensa: dopotutto sarà il tuo accompagnatore!
Che ne pensi,
Peter?”
Ann
aprì la
bocca per dire qualcosa, ma alla fine non disse nulla. Nel frattempo le
sue
guance si erano leggermente arrossate per l’imbarazzo. Anche
Peter sembrava
leggermente a disagio per quella richiesta, ma alla fine sospiro.
“Va
bene…”
Ann
arrossì
ancora di più sentendo quelle parole. Per qualche istante,
rimase dov’era. Poi
aprì lentamente la porta e uscì guardando in giro
e cercando in tutti i modi di
non incrociare lo sguardo di Peter.
“Che…
che ne
pensi?”
Peter la
guardò
e per un attimo rimase senza parole. L’abito era color
rosa-lilla e in vita
c’era una fascia bianca che si chiudeva con un fiocco
leggermente laterale. Un
sottile disegno di fiori di un color più scuro decoravano la
gonna e le
maniche. Dopo un attimo, incrociò lo sguardo di Ann e
sorrise balbettando
qualcosa. Un solo pensiero gli roteava nella mente: ma chi glielo aveva
fatto
fare…
“Stai
bene… sì…
bene, sì…”
Proprio a quel
punto, Susan uscì e guardò perplessa la scena dei
due.
“Allora?”
Quando vide
Ann, Susan sorrise entusiasta. “Ann stia benissimo. Sei
bellissima. Lo dicevo
che questo vestito è perfetto. Vero, Peter?”
Peter
annuì
guardando di lato. “Sì, sì.”
Ann sorrise e
si voltò verso Susan guardandola eccitata.
“Susan… sei meravigliosa. Quel
vestito sembra fatto per te. Ti piace, vero?”
Susan
annuì
facendo un giro su se stessa. “Sì. Mi
piace.”
Ann
annuì
soddisfatta. “Penso che abbiamo finito allora. Cambiamoci e
andiamo a mettere
in conto a mia madre i vestiti. Poi andiamo a fare un giro a Central
Park.”
Susan e Peter
annuirono. Poi le ragazze ritornarono nei camerini: sia loro che Peter
non
vedevano l’ora di uscire di nuovo all’aria aperta.
Il tempo passato nel negozio
era stato fin sufficiente e tanto ormai avevano quello volevano: ora
erano
pronti per andare al tè del console.
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Era un giorno
come tanti a Portostretto, la città più grande e
importante delle Isole
Solitarie. Le case che la costituivano occupavano quasi completamente
uno dei
pendii di Doorn, l’isola più grande, dalle cime
delle colline che la
circondavano come una corona alle rive del mare, su cui dondolavano
imbarcazioni di tutti i tipi e di diverse provenienze. Portostretto era
infatti
uno snodo fondamentale per i commerci ed era su questo che si basava
principalmente la sua economia. L’altra attività
più praticata era la pesca. Tutte
le sere, appena calava il tramonto, decine di pescherecci grandi e
piccoli prendevano
il largo. Mogli, madri, sorelle e figlie rimanevano sulla riva
finché le luci
delle torce sparivano nell’oscurità della notte. A
quel punto, tornavano
indietro ad attendere il ritorno dei loro congiunti la mattina
successiva.
E questo
avveniva ancora, nonostante quello che da anni succedeva con il
beneplacito del
governatore Gumpas. Tutti a Portostretto lo avrebbero voluto cacciare,
o meglio
tutti coloro che non avevano un qualche interesse che lui rimanesse. E
dato che
la maggior parte di queste persone erano influenti, Gumpas era ancora
al suo
posto. Grazie al loro appoggio e all’esiguo reparto di
soldati, Gumpas riusciva
a fare il bello e il cattivo tempo. Ma non era solo per questo che
Gumpas
governava incontrastato. Sarebbe stato troppo inetto e incapace per
farlo. Era
per questo che, appena aveva potuto, il governatore si era alleato con
i
pirati.
Le Isole
Solitarie avevano conosciuto da sempre la pirateria. Da che mondo
è mondo, dove
c’erano marinai c’erano anche pirati. Ma un tempo
essi venivano, si
rifornivano, facevano i loro affari e ripartivano verso le coste per
attaccare
le navi di Archen o di altre terre. Da anni, invece, i pirati avevano
preso il
potere e avevano insediato nell’arcipelago il loro mercato di
schiavi. Tutto
era successo durante un tentativo di rivolta. Non appena Gumpas, da
poco
insediato, aveva annusato qualche rischio per il suo governo, aveva
deciso di
scendere a patti con i pirati, convinto di ottenere solo vantaggi. Ma,
alla
fine, il capo dei pirati aveva iniziato a ricattare Gumpas per avere
sempre più
libertà di azione e il governatore, pur di rimanere al
potere, aveva ceduto.
Tutti alla
fine
avevano dovuto accettarlo. Dopotutto, non c’era nessuno che
li avrebbe potuti
liberare: non i mercanti di Calormen o quelli di Archen, non i
viaggiatori che
arrivavano e poi salpavano senza interessarsi a quello che succedeva
sulle tre
isole. E così Doorn, Arva e Felimath venivano lasciate a se
stesse. E così
erano cominciati i racconti di un tempo ormai dimenticato da tutti,
conservato
solo nella memoria dei più anziani che a loro volta lo
avevano ascoltato dai
loro nonni. Un nome aveva cominciato a serpeggiare sottovoce: Narnia.
Perché un
tempo le Isole Solitarie erano parte di Narnia e i suoi Re ne erano
stati gli
Imperatori. Ma quel tempo era trascorso da secoli, cancellato dai Re di
Telmar.
Ma era ancora impresso nelle memorie e veniva ora di nuovo tramandato.
I
bambini pendevano dalle labbra a sentire i racconti
sull’Epoca d’Oro e sui suoi
Sovrani: Re Peter il Magnifico, Regina Susan la Dolce, Re Edmund il
Giusto e
Regina Lucy la Valorosa. E con i loro nomi, era diventata
più forte anche la
speranza in Aslan. Ogni volta che il nome del Grande Leone veniva
pronunciato,
gli abitanti delle Isole Solitarie tornavano a sperare che un giorno
sarebbero
stati liberati.
Ma nel
frattempo proseguiva la vita di tutti i giorni: i mercanti arrivavano e
venivano, i pescatori uscivano in mare la notte per fare ritorno la
mattina. E
tra di loro c’era anche il marito di Helaine. La donna era
nata e cresciuta
sulle Isole Solitarie, non aveva conosciuto nessun altra terra. Ma,
nonostante
questo, ogni sera raccontava alla figlia i racconti che i suoi nonni le
avevano
raccontato quando era bambina. Helaine sospirò e, mentre
asciugava le ciotole
messe ad scolare la sera prima, si avvicinò
all’uscio della porta guardando
tristemente verso il mare. Oltre il porto e la baia di Doorn si
vedevano anche
Arva e Felimath. Era quella l’isola su cui si erano insediati
i pirati. Ed era
da lì che conducevano gli schiavi catturati a Doorn, per poi
venderli al
mercato. Sarebbe mai finita un giorno?
Gli occhi di
Helaine tornarono a guardare verso il mare. Un mare che un tempo era
amico
degli abitanti delle Isole Solitarie e che, invece, sembrava volerli
minacciare
anche lui. Non erano le tempeste o le mareggiate, no. Era qualcosa di
più
inquietante e che nessuno riusciva a spiegare. Una nebbia verde che
appariva
ogni giorno di più all’orizzonte e, ultimamente,
era arrivata quasi a lambire
le spiagge delle tre Isole. Qualcuno diceva che fosse un fenomeno
normale,
altri che fosse la punizione per aver permesso la vendita di schiavi
sull’isola. In realtà nessuno sapeva la
verità, ma era anche vero che si era
intensificata negli ultimi anni, contemporaneamente al rafforzamento
della
presenza dei pirati. Ma la verità era che da anni quella
nebbia avevano
cominciato a far parte dei racconti dei marinai. E nessuno sapeva
neppure che
cosa succedesse se si entrasse in contatto con la nebbia…
qualcuno raccontava
che alcune barche di pescatori erano scomparse. Affondate no,
perché ogni volta
c’era bel tempo. Ma anche questo non si sapeva se era vero.
C’era anche
qualcuno che, sottovoce tra i vicoli, diceva che era una emanazione del
male e
chi veniva raggiunto dalla nebbia fosse costretto ad affrontare le sue
paure
più grandi che gli portavano via, lentamente, la loro forza
vitale.
Helaine non
sapeva a cosa pensare. L’unica certezza era che, da quando
riusciva a
ricordarsi qualcosa, la nebbia era sempre apparsa
all’orizzonte. Ricordava
ancora la partenza dei Lord venuti, così dicevano, da Narnia
e che avevano
promesso di liberarli dalla nebbia. Ma anche loro erano scomparsi e non
si era
saputo più niente. Mai erano tornati.
Helaine
voltò
le spalle al mare e rientrò nella casa, posando una ciotola
e prendendone
un’altra. Aveva ancora un po’ di tempo prima che
tornassero. La donna sorrise,
mentre passava il panno lungo il bordo della ciotola. Gael sarebbe
stata
affamata e probabilmente sarebbe arrivata crollando dal sonno. Quella
bambina
era veramente incredibile: quando voleva qualcosa, era pronta a fare
qualsiasi
cosa per averla. La sera prima aveva cercato di convincerla in tutti i
modi, ma
era stato inutile. Ma forse, era stato meglio così: non
aveva mai visto Gael felice
come quel giorno…
Helaine si era
alzata e aveva cominciato a sparecchiare. Nella stanza accanto, Rhynce
stava
prendendo le ultime cose che gli sarebbero potute servire mentre era
sul
peschereccio. Tutto sembrava uguale ad ogni altra sera. Ma
c’era qualcosa di
diverso. Gael, infatti, la loro unica figlia, aveva finito la cena il
più
velocemente possibile e stava portando quasi di corsa piatti, bicchieri
e
posati nella cucina. Helaine trovò quasi con sorpresa il
tavolo già sgombro. Ma
la donna non era ingenua: ogni volta che Gael faceva così,
era perché voleva
chiederle qualcosa. Infatti, la bambina le si era avvicinata e
giocherellava
con il bordo del vestito rosa. La donna sorrise dolcemente e si sedette
su una
sedia.
“C’è
qualcosa
che mi vuoi chiedere, Gael?”
La bambina la
guardò in silenzio per qualche
istante, poi le si avvicinò guardandola con occhi
supplicanti e si posò al
bordo del tavolo vicino alla madre.
“Posso
andare
con papà? Ti prego, ti prego!”
Helaine
sgranò
gli occhi dalla sorpresa a quella richiesta. Avrebbe voluto dirle di
no, perché
andare per mare non era sicuro per una bambina: tra nebbie e pirati,
non voleva
che Gael corresse alcun pericolo. Non appena, però,
aprì la bocca per
risponderle, Gael congiunse le mani per pregarla e la guardò
con gli occhi di
un cucciolo abbandonato. Helaine cercò di resistere, ma alla
fine cedette. La
donna scosse la testa sorridendo rassegnata.
“Va
bene, ma
solo se è d’accordo anche
papà!”
Il viso di
Gael
venne illuminato da un enorme sorriso. La bambina si sporse verso la
madre
stampandole un bacio sulla guancia.
“Grazie
mamma!”
Gael non
attese
risposta e corse nella stanza accanto dal padre. Helaine scosse ancora
una
volta la testa sorridendo e andò a lavare i piatti. Non
passarono neanche pochi
minuti che Gael era riapparsa nella stanza saltellando. Un sorriso
ancora più
luminoso inarcava le sue labbra.
“Vado
a pesca
con papà! Vado a pesca con papà!”
Helaine
sorrise. Come aveva previsto neanche Rhynce aveva resistito. La donna
posò
accanto a sé un piatto appena voltato prendendone un altro.
“Ricordati
di
portarti una coperta e anche qualcosa da mangiare! E cerca di dormire,
mi
raccomando Gael!”
Gael
annuì
volteggiando sorridente nella stanza. Era troppo felice. Vedendola,
Helaine
dimenticò per un attimo tutte le preoccupazioni: dopotutto,
Rhynce sarebbe
stato con lei e andavano solo qualche miglio in mare aperto. Non ci
sarebbe
stato niente di cui preoccuparsi.
Un rumore in
strada distolse Helaine da quei pensieri. Si sentivano rumori di passi
che si
avvicinavano al gruppo di case dove c’era anche la loro. La
donna sorrise:
erano tornati. Non vedendo l’ora di riabbracciare la figlia,
Helaine si asciugò
le mani sul grembiule e prese il bicchiere di Gael dopo averlo riempito
di
latte. In quel momento, i rumori di passi si fermarono davanti alla
loro porta.
Helaine si voltò sorridendo e si posò allo
stipite della porta della cucina.
Improvvisamente
la porta venne aperta con una violenza tale da farla sbattere contro la
parete.
Fuori di essa si vedevano un gruppo di uomini armati. Il sorriso
morì sulle
labbra di Helaine che lasciò cadere a terra il bicchiere, il
cui contenuto si
sparse sul pavimento.
Salve
a tutti! ^-^ Mi stavate dando per dispersa? Scusate!!!! So di meritare
il
vostro perdono per questo mostruoso ritardo, ma la speranza
è l’ultima a morire
XD… e poi sono stata brava e, per farmi perdonare, questo
capitolo è venuto
bello lungo: quasi 20 pagine word! *-* Sono soddisfatta, soprattutto
perché
c’erano alcuni punti che non mi convincevano ma alla fine mi
sono venuti come
volevo. Voi che ne dite? =) Abbiamo visto lo svolgimento del piano di
Edmund, Susan
ha raccontato il sogno a Peter, c’è stato il
fallimento dell’arruolamento di Ed
(per fortuna) e ho messo anche Jill e i dubbi di Lucy… poi
Eustace, come poteva
mancare? XD E ovviamente le compere del gruppetto in America, come
promesso. Ho
alternato molto i pezzi, spero che non vi abbia dato fastidio.
Stavolta,
purtroppo, il nostro Caspian non si è visto… ma
la prossima volta si va a
Narnia, quindi non è tanto grave vero? Finalmente dal
prossimo capitolo tornerà
ad essere centrale! ^-^ Per quanto riguarda l’ultima parte,
non ho proprio
resistito a metterla. Nel film si sapeva solo che Helaine è
stata rapita e
sacrificata… ma come è successo? Questa
è la mia versione. ^-^ La descrizione
iniziale delle Isole Solitarie non mi ha soddisfatto molto, ma mi
rifarò quando
ci arriveranno.
A
questo punto, passiamo ai ringraziamenti:
·
Per
le seguite: ChibiRoby, ElenaDamon18, Fly_My world,
GossipGirl88, ImAdreamer99, Joy_10, katydragons, Shadowfax e
SusanTheGentle
·
Per
le preferite: english_dancer
·
Per
le recensioni del capitolo 3: Fly_My world, Joy_10 e Shadowfax
Per
quanto riguarda, invece, il prossimo capitolo come vi ho già
detto… finalmente
si va a Narnia! ^-^ per questo motivo, i protagonisti saranno
soprattutto Lucy,
Edmund, Jill e Eustace e Caspian ovviamente. XD Sue e Peter si vedranno
un po’
meno, ma cercherò di metterli almeno in un pezzettino.
Beh,
che altro dire? Solo grazie, grazie se avrete avuto la pazienza di
aspettare
questa ritardataria cronica. E ringrazio anche chi solo legge e
leggerà. Con
questo vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo che
arriverà… non so
quando, ma arriverà: spero solo di non farvi aspettare un
altro mese! T-T
Scusate!!!! Ok, adesso vi lascio: ancora grazie!
A presto, HikariMoon
P.S. il titolo fa schifo, lo so... ma non mi era venuto in mente niente di meglio! >.<