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Autore: la_marty    04/11/2013    2 recensioni
“Non capisci?!” urlò George interrompendola. “Come fai a non capire? Come fai a pensare che avrei potuto dirti che stavo per lasciare Hogwarts?”. Aveva la voce che tremava, si era già pentito di quello scoppio di rabbia ma sentiva che era giunto il momento di chiarire la loro situazione. “Come avrei potuto farlo.. con che coraggio...”, cercò di continuare ma non sapeva nemmeno lui cosa dire. “Come avrei potuto guardarti negli occhi, dirti che avrei lasciato la scuola... e avere davvero il coraggio di lasciarla?”. Il suo tono deciso si incrinò, abbassò lo sguardo. “Di... lasciare te...”
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Weasley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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La sfuriata di Madama Chips sembrava non finire più. Le sue urla raggiunsero toni talmente acuti che Mel fu certa di sentire i vetri tremare.
“Vergognoso! Assolutamente vergognoso!”, stava sbraitando a un centimetro dal suo naso. “Il tuo comportamento è stato vergognoso oltre ogni mia aspettativa! Come osi tentare da te un preparato medicinale come la Pozione Placa Nervi e abusarne a quei livelli?”
Mel non osava muovere un muscolo. Era incollata a quella sedia asettica e fissava con decisione un punto impreciso sul pavimento.
“Questo non va solo contro le regole della scuola, signorina Coppard, è illegale sotto la legge magica! Se fossi direttrice della tua Casa ti toglierei tutti i punti che potrei!”
“Fortunatamente non lo è...”, bisbigliò Lavanda alle spalle di Mel.
“Perché ti avevo prescritto precisi quantitativi di dosi con una precisa frequenza? Perché era quello il dosaggio giusto! Questa pozione crea una seria dipendenza, signorina, non è sciroppo di mele! Il suo corpo ora reclama ciò che è stato abituato ad assumere”.
Era vero. La fronte di Mel era imperlata di sudore già prima di raggiungere l'ufficio di Madama Chips. E sapeva, da brava aspirante studentessa di Medimagia, che il respiro affannoso e il leggero tremolio delle mani erano sintomo di astinenza. Fino a quel momento non aveva mai avuto il sentore di stare abusando del medicinale da lei stessa preparato, ma avrebbe dovuto capirlo, i sintomi erano stati più che evidenti. La sonnolenza, l'apatia, le crisi isteriche. Era stata una stupida e si meritava ogni parola di Madama Chips, per cui strinse i denti e continuò ad ascoltare la sua invettiva.
“E mescolare medicinali e alcolici!”, stava strillando mentre sputacchiava saliva ovunque. “Hai dato prova di grande inettitudine, mia cara. Di certo non hai un futuro da Guaritrice”.
Quelle parole la ferirono, ma nessuno se ne accorse.
Alle sue spalle Calì e Lavanda sbuffarono. Mel immaginò che ora rimpiangevano di averla accompagnata in infermeria. Aveva passato una notte insonne rigirandosi nel letto e sobbalzando ogni volta che il suo corpo chiedeva di essere placato con un sorso di pozione, e quella mattina presto non aveva più resistito e si era alzata con gli occhi cerchiati dal sonno. Le sue amiche avevano chiesto spiegazioni, lei aveva raccontato sommariamente i fatti della sera precedente e si erano incamminate tutte insieme verso l'ufficio di Madama Chips.
Hermione non era nel suo baldacchino quando avevano lasciato il dormitorio.
In compenso in infermeria avevano trovato la Umbridge in uno dei letti, con lo sguardo vigile e guardingo ma apparentemente incapace di muoversi.
Poi Mel aveva chiesto a Madama Chips di iniziare una terapia di disintossicazione ed era stata investita dalla sua ira. Pregò che la storia della sua dipendenza non fuoriuscisse da quelle mura, la McGranitt non era ancora tornata dal San Mungo ma di certo non sarebbe scampata alla sua furia. Se la storia fosse giunta alle sue orecchie...
O peggio, a quelle di mia madre...
Stava giusto rabbrividendo alla prospettiva di essere investita dal furore della signora Coppard che le porte dell'infermeria si spalancarono di botto facendo sussultare tutti i presenti.
Una piccola folla varcò l'ingresso e, con enorme stupore di Mel, anche Ron, Hermione, Neville, Luna e Ginny ne facevano parte. Il resto era composto di maghi adulti che Mel non conosceva.
“Professor Lupin!”, esclamarono Lavanda e Calì assolutamente attonite in direzione di un mago dall'aria emaciata che teneva Ron per le spalle. Ron sembrava pazzo, aveva le braccia che sembravano bruciate vive e gli occhi fuori dalle orbite in un modo che ricordava incredibilmente Luna. Quest'ultima sorreggeva Neville, che aveva il volto e la maglietta coperti di sangue. Hermione ciondolava incosciente sulla spalla di un mago di colore che Mel era certa di aver visto sulla Gazzetta del Profeta ma di cui non ricordava il nome. Anche Ginny era in una sorta di delirante dormiveglia e si lamentava debolmente dalle braccia della stessa strega dai capelli rosa che aveva visto al San Mungo quell'inverno.
Madama Chips saltò su come se fosse stata punta da un spillo e dimenticò totalmente Mel, Lavanda e Calì. Diede velocemente indicazioni per assegnare un letto a ognuno dei feriti e dopo una sola occhiata generale si fiondò su Hermione.
Mel capì perché. Il suo corpo inerte sussultava scosso da piccole convulsioni, come se qualcuno le avesse scagliato contro una maledizione.
La scena era surreale.
“Credo che dovremmo andarcene”, sentì Calì sussurrare a nessuno in particolare.
Ma Mel non la sentì nemmeno.
In un lampo fu vicina a Neville, che gemeva macchiando di sangue la federa del suo letto e respirava a fatica. Le bastò ascoltare un secondo il suo respiro rauco per captare la presenza di sangue lungo la gola e le vie aeree.
“Anapneo”, mormorò puntandogli la bacchetta al petto.
Neville ebbe un piccolo spasmo e sputacchiò del sangue sul pavimento, ma prese a respirare disperatamente come se sentisse il bisogno di riempirsi di nuovo i polmoni d'aria.
Guardava Mel con aria pietrificata, come se fosse sotto shoc. La ragazza ripulì il sangue dalla maglietta e dal viso e capì che la fuoriuscita proveniva dal naso. Un'occhiata appena più attenta e dedusse che era rotto, e dopo un rapido movimento di bacchetta e un piccolo schiocco lo fece tornare come nuovo.
Mel gli prese la mano.
“Come ti chiami?”, gli chiese.
Percepì Calì e Lavanda avvicinarsi cautamente.
“N-Neville Paciock”, rispose il ragazzo tremante.
“Come mi chiamo io?”, continuò Mel incurante del suo sguardo confuso.
“Mel”, borbottò lui. “Mélanie”.
“Sto solo controllando se hai subito qualche danno alle funzioni cerebrali”, gli bisbigliò con quello che sperava fosse un tono rassicurante. Dopo qualche secondo vide i tratti del suo viso rilassarsi. “Ti fa male qualcos'altro?”
“Credo di essere solo un po' indolenzito, quei Mangiamorte non mi hanno colpito come con gli altri”.
Alla parola “Mangiamorte” sia Mel che Lavanda che Calì sussultarono. Mel cercò di restare salda sulle gambe.
“Vedo se posso fare qualcosa per gli altri”, alzò lo sguardo e vide Madama Chips ancora china su Hermione. “Ginny che cos'ha?”
“Un Mangiamorte l'ha colpita in faccia con una maledizione. E credo abbia una caviglia rotta”.
Per la maledizione non poteva far nulla, non avrebbe saputo nemmeno da dove cominciare. Ma della caviglia intanto poteva occuparsi.
Fece comparire dal nulla un foglio di pergamena e scrisse due righe in cui elencò le magie compiute su Neville. Appiccicò il foglio al bordo del letto, in modo da velocizzare il lavoro di Madama Chips (Mel era convinta che gli avrebbe comunque dato un'occhiata) e si diresse da Ginny.
Il suo piede destro era piegato in una strana angolatura. Stesso movimento di bacchetta usato sul naso di Neville e la caviglia tornò a posto. Tentò di analizzare gli effetti della maledizione che aveva colpito la ragazza in modo da poter fare qualcosa, ma brancolava nel buio. Ginny era pallidissima, con gli occhi semichiusi e stranamente irrequieta. Non volendo peggiorare la situazione, scrisse di nuovo un appunto sull'incantesimo usato per guarirle la caviglia e si spostò nel letto accanto, quello della strega dai capelli rosa.
Sembrava sfinita ma illesa.
Appena la vide le scoccò uno sguardo di rimprovero ed esclamò a voce molto alta: “Tu e le tue compagne dovete tornare immediatamente nei vostri dormitori. Qui rischiate solo di intralciare Madama Chips”. Non sembrava averla riconosciuta.
Sentendo il suo nome, Madama Chips emerse dalle sue analisi sul corpo esanime di Hermione e mise su un'espressione furente.
“Fuori di qui, tutte e tre!”, sbraitò. “Riprenderemo il discorso più tardi”.
Quello che le sue amiche avevano chiamato professor Lupin fece per condurle verso l'uscita dell'infermeria, ma Mel aveva appena notato un bel pezzo di carne viva che riluceva sull'avambraccio della donna dai capelli rosa, come se qualcuno le avesse strappato la pelle a unghiate o a morsi.
“Accio dittamo!”, strepitò, e un barattolo di notevoli dimensioni saltò fuori dall'armadio delle scorte dell'infermeria e le finì dritto tra le mani. Mel svicolò dalla presa del professor Lupin, che aveva già condotto fuori Lavanda e Calì, e tornò al letto della donna. Le deboli proteste di lei si placarono non appena gli effetti benefici del dittamo affievolirono il dolore acuto provocato da quella grossa ferita. Mel osservò la pelle rigenerarsi poco a poco e si lasciò scappare un sospiro di sollievo.
Sentendosi addosso gli sguardi degli altri, restituì loro lo sguardo a disagio.
Lupin fece un sorriso di comprensione e le si rivolse con gentilezza.
“Sei Mélanie, vero?”
Mel annuì.
“Questo non è posto per te, in questo momento. Madama Chips ha bisogno di concentrarsi e nonostante tutte le buone intenzioni ha bisogno di svolgere il suo lavoro da sola”.
La ragazza lanciò un'occhiata alla donna. Aveva finito di bendare e far ingurgitare pozioni a Hermione e ora si era spostata su Ron. Mel avrebbe solo voluto raggiungerla per assisterla e imparare qualcosa.
“Mélanie...”, la scosse di nuovo Lupin.
Mel non chiese come faceva a conoscere il suo nome. L'aveva già capito.
“Siete voi, vero?”, balbettò con voce roca. “Contro i Mangiamorte... siete voi l'Ordine della Fenice, vero?”
Percepì Lupin scambiare un'occhiata brevissima con la donna a cui aveva applicato del dittamo. L'uomo fece per parlare ma Mel lo interruppe, con una nota di puro terrore nella voce: “Mia madre... lei era...”
“Tua madre non era con noi”, disse subito Lupin con voce pacata. “Ora però devi andare”.
E senza tante cerimonie spinse la ragazza fuori dall'infermeria e sbatté le porte alle sue spalle.


L'ultima settimana a Hogwarts fu probabilmente la peggiore di tutto l'anno scolastico, per Mel. La disintossicazione dalla Pozione Placa Nervi risultò terribilmente pesante e la ragazza passava gran parte del tempo a contorcersi a letto in preda a una frenetica frustrazione. Madama Chips le aveva appiccicato due bei cerottoni sulle braccia che avrebbero dovuto renderle più sopportabile la fase di guarigione, ma Mel sembrava non godere granché di quei presunti effetti benefici. Aveva cercato più volte di parlare con Neville, Ginny o uno degli altri, ma Hermione era ancora in infermeria ed era là che il resto di loro passava quasi tutto il tempo. Non poteva confrontarsi con Lavanda e Calì per via della promessa che aveva fatto a sua madre, il che era difficile, dato che le sue due amiche introducevano l'argomento ogni volta che potevano.
Una cosa ormai era chiara a tutti: Harry e Silente avevano detto il vero, il Ministro stesso della Magia aveva convenuto che le loro non erano menzogne e che il Signore Oscuro era tornato alla testa del suo esercito di Mangiamorte e Harry, Ron, Hermione e gli altri li avevano affrontati la sera della festa di fine esami all'interno del Ministero della Magia.
In quei giorni di confusione a Mel fu chiaro che era successo qualcosa a Harry. Lo vedeva sempre pensoso, schivo, si allontanava dagli altri e passava da solo almeno tanto tempo quanto lei. Siccome dubitava che si trovasse anche lui nelle sue stesse deliranti condizioni di astinenza, un pomeriggio decise di avvicinarlo dopo averlo intravisto passeggiare da solo lungo le rive del Lago Nero.
Quando lui si accorse di lei ebbe un momento di esitazione e Mel intuì che avrebbe preferito cambiare strada e restare da solo, ma ormai l'aveva vista e non poteva più fare dietro front.
“Ehi, Mel”.
Mel non sapeva bene cosa dirgli. Si limitò ad affiancarlo e per qualche momento stettero entrambi ad ammirare il riflesso della foresta alle pendici del lago. Era stranamente rilassante starsene lì godendo semplicemente della compagnia di Harry, come se quel silenzio tra loro fosse in realtà carico di mille significati.
“Immagino tu abbia sentito della mia avventura con la Pozione Placa Nervi”, borbottò la ragazza. Harry la guardò ma non rispose.
“Mi stava facendo andare fuori di testa, ma l'ho realizzato solo durante la festa di fine esami”. Sorrise e sbuffò leggermente. “Mentre tu e gli altri stavate combattendo i Mangiamorte, io ero nella Sala Comune dei Tassorosso a bere Whiskey Incendiario...” le veniva quasi da ridere. Poi diede voce a un pensiero che aveva da un po'. “Perché non avete chiamato anche noi, Harry? Avremmo potuto darvi una mano”.
Harry la guardò.
“Non l'avevamo programmato, Mel...”, rispose in fretta. “È successo in un lampo, il tempo di trovare il modo per arrivare a Londra... e avrei voluto portare solo Ron e Hermione, gli altri non avrebbero dovuto...”
“Quindi tutte le riunioni dell'ES nella Stanza delle Necessità erano un passatempo, per te?”, l'aggredì lei in tono più duro di quanto avrebbe voluto. “Per cosa abbiamo imparato fatture e controfatture se al momento di usarle non vuoi portarci con te?”
“E' complicato, Mel”, ribatté lui in tono altrettanto duro. “E francamente non mi va tanto di parlare di quella notte, quindi se vuoi scusarmi...”
Fece per allontanarsi ma senza pensarci Mel lo afferrò per un braccio.
“Mi sono accorta che non vuoi parlarne, ma sai una cosa, Harry?”, disse in quello che sperava fosse un tono non troppo frustrato. “Dovresti. Non ho idea di cosa ti sia successo, ma con qualcuno dovresti parlare”.
Harry si liberò non troppo gentilmente dalla sua presa e distolse lo sguardo. Fece di nuovo per andarsene ma per la seconda volta Mel glielo impedì. Gli si parò davanti e disse: “Io non posso parlare con nessuno e non sai cosa darei per poterlo fare”.
Sentì il solito groppo in gola che la Pozione Placa Nervi avrebbe sciolto in un secondo, ma si costrinse a ignorarlo.
“Voi fate gruppo e ve ne state sempre per i fatti vostri. Se io o Calì o Lavanda ci avviciniamo ammutolite e ci fissate in attesa che ci allontaniamo... e non dire che non è vero!”, aggiunse subito anticipando la protesta che stava salendo alla bocca di Harry. “Non posso nominare l'Ordine della Fenice con Calì e Lavanda perché non ne sanno nulla. Mia madre mi ha detto di non scrivere niente nelle lettere, potrei parlarne con George ma George non è qui”, snocciolò quasi senza prendere fiato, “e ci sono tante cose che non capisco. Ci sono tante cose che vorrei chiedere ma non lo faccio perché ho sempre l'impressione che tu, Ron e Hermione mi consideriate al di fuori del circolo di quelli che ne conoscono l'esistenza. E mi sento così fuori posto ovunque vada, e così confusa, e tu”, esclamò puntandogli un dito al petto, “dovresti cogliere le opportunità che hai perché così rischi solo di fare del male a te stesso”.
A quel punto una bella uscita di scena sarebbe stata consona, oltre che teatrale, ma Mel stava giusto facendo dietro front che Harry quasi le urlò in faccia.
“Pensate tutti di sapere cos'è bene o no per me”, esclamò. “Tu non c'eri quella notte, tu non sai...” si interruppe. “Tu non hai idea...”
“Certo che non ho idea!”, rispose l'altra a tono. “Certo che non c'ero, non vi siete presi la briga di invitarmi”.
“Non siamo andati a un party!”, gridò Harry con aria incredula. “Non pensi che il mio volervi tenere all'oscuro dipendesse dal fatto che volessi proteggervi?”.
Mel non c'aveva pensato.
Lo guardò per un momento e disse in tono molto più conciliante: “Non puoi salvare il mondo magico da solo, Harry. Magari non possiamo fare molto, ma un po' d'aiuto avremmo potuto dartelo”, concluse con una punta di tristezza. “Io avrei potuto dartelo. So che non sono stata una delle migliori alle riunioni dell'ES e che tutti vi domandiate cosa ci faccia tra i Grifondoro, ma forse avrei potuto fare qualcosa. Forse ti avrei stupito”.
A quel punto se ne andò davvero, perché ammettere che ormai era un dato di fatto che nella Casa in cui era ci fosse finita per sbaglio, rischiava sul serio di farla scoppiare in lacrime.
Quanto avrebbe voluto placarsi i nervi con la sua medicina...

La mattina dopo Hogwarts era vuota e Mel sedeva con Lavanda, Calì, Seamus e Dean in uno scompartimento dell'Espresso che li avrebbe riportati a Londra.
Chissà se qualcuno dei professori restava al castello d'estate, si chiese mentre guardava distrattamente dal finestrino.
Non aveva notato cambiamenti nel comportamento di Harry nei confronti degli altri, e nemmeno in quello di Ron e Hermione nei suoi, il che fece pensare a Mel che Harry si fosse tenuto la loro discussione per sé, e che quindi il suo discorso non aveva sortito alcun effetto.
Che si arrangi, pensò arrabbiata. Io volevo solo dargli un consiglio.
Si separò dalle sue amiche tra grandi abbracci e asciugando le lacrime a Lavanda, e cominciò a cercare suo padre. Era lui che sarebbe venuto ad attenderla, ovviamente sua madre era impegnatissima col suo lavoro e robette di poco conto come sua figlia che tornava a casa non l'avrebbero mai smossa dalle sue fiale e i suoi calderoni.
Finalmente scorse suo padre in mezzo alla folla.
La stazione era sovraffollata di studenti, famiglie e animali vari e una cacofonia di risate, schiamazzi e gufi ululanti riempiva le orecchie di Mel.
La figura alta di suo padre svettava su chiunque altro. Era di spalle e conversava amabilmente con...
George.
La valigia le sfuggì di mano.

Quel ragazzo voleva farla morire.
Che accidenti ci faceva lì con suo padre? Non aveva un negozio da mandare avanti e impegni di ogni tipo di cui occuparsi?
Col volto in fiamme, si apprestò a raggiungere i due che, beati loro, se la ridevano spensieratamente per chissà che cosa.
Non aveva mai presentato un ragazzo ai suoi genitori.
Che George non avesse rivelato chi fosse ma si fosse presentato semplicemente come un amico?
Quella flebile speranza le diede la forza di esalare un “Ciao” stentato.
I due si voltarono e la riconobbero, e sorrisero simultaneamente.
Ma belle”, la salutò suo padre stringendola in un piccolo abbraccio.
“Bentornata”, la accolse poi allegramente George stampandole un bacio sulle labbra.
È evidente che non si è presentato semplicemente come un amico, realizzò la ragazza.
Stranamente suo padre non fece una piega, anzi, sembrava più felice che mai. Raccolse la valigia di Mel e domandò a George: “Vuoi venire a cena da noi? Anne-Marie è a lavoro, ma il mio stufato di manzo è comunque ottimo”.
George sorrise.
“Mi spiace, signor Coppard, sono appena tornati anche mia sorella e mio fratello minore e immagino che mia madre si aspetti una cena con tutta la famiglia”.
Mel sgranò gli occhi mentre il suo ragazzo dava a suo padre una familiare pacca sulla spalla di comprensione come a dire: “Sa come sono le madri”. E osservò orripilata suo padre rispondere al gesto e ingiungere con fare paterno: “Un'altra volta, allora. Domenica scorsa abbiamo lasciato in sospeso la discussione sull'ultima Coppa del Mondo, e lasciami dire che...”
“Le ripeto che non c'è stato gioco di squadra da parte dei bulgari”, lo interruppe George quasi con insistenza. “I cacciatori non erano sincronizzati, continuavano a schizzare avanti e indietro senza...”
“Come se gli irlandesi fossero stati in sincrono!” esclamò suo padre. “Mullet e Troy si ignoravano completamente, neanche fossero stati avversari”.
“Quando non sono in nazionale giocano in due squadre concorrenti”, fece presente George.
Mel spostava lo sguardo ora su lui, ora su suo padre. Doveva avere un'espressione assolutamente comica perché quando entrambi le rivolsero lo sguardo scoppiarono a ridere.
“Ci sentiamo per la prossima settimana, signor Coppard”, disse George porgendogli la mano.
Il padre di Mel la strinse e mormorò a sua figlia: “Ti aspetto all'ingresso, Mélanie”.
Incredibile, pensò la ragazza. Suo padre era a conoscenza del fatto che avesse un ragazzo, lo conosceva, a quanto pare era consuetudine che cenassero insieme e ora le lasciava qualche minuto di privacy per salutarlo a dovere!
Era così impegnata a rimuginare che non si rese conto di perdere secondi preziosi per usufruire della suddetta privacy. Per fortuna ci pensò George a riportarla alla realtà, sollevandola di peso in un abbraccio e baciandola con foga, senza pudore, davanti a tutti.
Il tempo di capire che stesse succedendo e anche Mel si isolò dal resto del mondo: George era lì con lei! Sembrava passata una vita e gli era mancato, gli era mancato tanto da star male e finalmente poteva stringerlo tra le braccia.
Sentirselo addosso era quasi una liberazione, dopo tutte le frustrazioni degli ultimi giorni. Le mani di lui che vagavano per la sua schiena, le stringevano i capelli, le toccavano i fianchi, erano come un toccasana. E la lingua intrecciata alla sua le diede le vertigini.
Qualche sbuffo sdegnato le arrivò vagamente alle orecchie ma lo scacciò con decisione dai suoi pensieri. Si staccò da George, gli prese il volto tra le mani per rimirarlo come se fosse un oggetto di rara bellezza, e sorrise. Si sentiva talmente felice che il sorriso sfociò in un convulso attacco di risa a cui si unì anche George, ed entrambi barcollarono verso una delle colonne di pietra per avere un po' meno gente intorno.
“Come accidenti fai a conoscere mio padre?”, chiese Mel scostandogli un ciuffo di capelli dagli occhi.
“E' tuo padre”, rispose lui come se fosse una domanda ridicola. “E io e te stiamo insieme. Dovevo conoscerlo, e avevo come l'impressione che non me l'avresti presentato tu di tua spontanea volontà”.
“Sei piombato a casa mia solo per presentarti?”, chiese Mel incredula.
“Ma no”, rise lui, e Mel ebbe un brivido. George che rideva era in grado di smuoverle qualcosa dentro che non riusciva bene a identificare ma che le faceva scaldare la faccia a una velocità allarmante. “I tuoi fanno parte dell'Ordine”, spiegò sottovoce. “Vengono sempre alle riunioni e ormai li conoscono tutti. Una sera li ho semplicemente presi da parte e li ho informati che stravedo per te”.
La leggerezza di quelle affermazioni per un attimo le fece tremare le gambe.
“E loro?”, boccheggiò.
“Loro mi adorano!”, esclamò trionfale. “E perché non dovrebbero? Sono affascinante, intelligente, ho un lavoro e combatto per la nobile causa della salvezza del mondo magico”, sghignazzò. “E mia madre non vede l'ora di conoscerti, ovviamente”.
Mel divenne color peperone.
“Tua... non so se...”, farfugliò. “Non credi che sia un po' presto?”
“Ah, e domani sera dovremmo essere a cena con mio fratello e la sua ragazza. La conosci, è Fleur Delacour. È evidente che noi Weasley abbiamo un gusto particolare per le francesi”.
Doveva avere un'aria davvero sbalordita perché George la fissò per qualche attimo e poi scoppiò di nuovo a ridere.
“Quindi ci rivediamo... domani?”, pigolò la ragazza.
All'improvviso aveva il cervello in pappa. I suoi facevano parte dell'Ordine della Fenice, e anche George c'era dentro. Si sarebbero potuti vedere spessissimo, realizzò col cuore gonfio di pura gioia.
Si sentiva una dodicenne alla prima cotta e se ne vergognava anche un po', ma era talmente presa da George e talmente felice del fatto che lui ricambiasse, che decise di non pensarci.
“Sì, ma belle”, rispose lui imitando l'accento di suo padre, “ci rivediamo domani e quando vuoi. Anche tutti i giorni”.
Mel gli saltò al collo. L'abbracciò stretto più che poté e restò agguantata a lui come un koala. Cercò di mettere in quell'abbraccio un sacco di cose non dette che probabilmente non avrebbe saputo esprimere a parole, e forse lui capì. Le accarezzò piano la schiena, percorrendola in tutta la sua lunghezza.
“Mi sei mancato”, mormorò lei premuta contro la sua spalla. Aveva la voce rotta.
George la baciò ancora, stavolta con dolcezza. La baciò sulle labbra, sulle guance, sulla fronte, persino sulla punta del naso.
Mel adorava essere guardata da lui, la faceva sentire come se fosse la cosa più bella esistente al mondo.
A malincuore i due si separarono e Mel raggiunse suo padre che, con una Materializzazione Congiunta, la riportò in quella che ancora stentava a considerare casa sua.

Era da quando aveva messo piede sul marciapiede della stazione di Londra che voleva parlargliene, ma si era costretta ad aspettare la fine della cena, per dare al padre la possibilità di farle mille domande sulla scuola, sugli esami e sui suoi amici.
Suo padre la adorava. La amava incondizionatamente e Mel sapeva che la reputava il suo più grande motivo di vanto, per questo rispose a tutte le sue domande con dovizia di particolari: sapeva che era realmente interessato a ogni parola che usciva dalla sua bocca.
“Papà”, disse lei a un certo punto, scostando il piattino col tiramisù. “Raccontami dell'Ordine della Fenice”. Lo vide irrigidirsi. “Raccontami della battaglia al Ministero, di Silente... Harry Potter non è più lo stesso da quella sera. So che è successo qualcosa”.
Il signor Coppard posò il cucchiaino colmo di dolce che stava per portarsi alla bocca come se ci avesse ripensato, congiunse lentamente le mani e guardò intensamente sua figlia con enorme dispiacere.
“Non posso farlo, Mélanie”, rispose. “Solo i maghi maggiorenni possono far parte dell'Ordine della Fenice”.
“Non ti chiedo di farne parte!”, esclamò subito lei, “solo... dimmi qualcosa, qualunque cosa. Non sopporto sapere che esiste un'associazione del genere, che i miei genitori ne facciano parte e di essere tenuta all'oscuro su ogni minima cosa”.
Mel si rendeva conto che suo padre era combattuto. Sapeva che capiva perfettamente come si sentiva, la frustrazione che provava, ed era restio a lasciare la sua bambina preda della paura per i suoi genitori.
“Magari dovremmo aspettare tua madre per introdurre questo discorso...”, cercò di svicolare.
Ma Mel fu risoluta.
“Ti prego, papà”, supplicò. “Non voglio i dettagli. Dammi solo un'idea generale. Fammi capire se potrei dovervi dire addio dall'oggi al domani o se per il momento vi limitate a discutere e organizzare piani”.
Lesse la sofferenza negli occhi di suo padre. La sua espressione diceva che avrebbe voluto tutto tranne immischiare lei in una situazione di guerra aperta come quella che stava per abbattersi sul Paese.
Con estrema fatica, cominciò a parlare.
“Tua madre è impegnata in un importante progetto di ricerca. Sta fornendo all'Ordine della Fenice tutti i ritrovati più recenti possibili da reperire e da preparare, e sta testando le lacrime della fenice in versione artificiale”.
“C'è riuscita!”, gridò la ragazza incredula.
“La sperimentazione è quasi conclusa”, spiegò suo padre non senza una punta d'orgoglio. “Ma in pratica sì, grazie alla mamma ora disponiamo delle migliori pozioni curative in circolazione. Purtroppo Silente le ha vietato di pubblicizzare la scoperta e mettere sul mercato il prodotto”.
“Ovvio, non vogliamo che anche i nostri nemici possano farne uso”.
“Esattamente”.
Il signor Coppard guardò distrattamente dalla finestra. “Il mio ruolo non è importante come quello della mamma”, spiegò mestamente, “ma una volta a settimana insegno a chi ancora non li sa i principali incantesimi curativi. Se dovessimo arrivare allo scontro aperto, probabilmente salverebbero anche qualche vita”.
“Allo scontro aperto ci siamo arrivati già”, sottolineò Mel.
Suo padre emise un lungo sospiro.
“Quando Silente ci ha detto che...”, si interruppe per deglutire. “Che Harry Potter e i suoi amici erano penetrati al Ministero e che erano stati accolti dai Mangiamorte...”
Si interruppe di nuovo. Mel capì all'improvviso come mai era così turbato. Lei era terrorizzata dall'idea che i suoi genitori potessero essersi trovati lì quella sera, ma non aveva pensato che probabilmente sarebbe valso anche il contrario.
Si alzò di scatto e l'abbracciò.
“L'idea che potessi esserci anche tu insieme a loro ci ha tramortiti. Tua madre era fuori di sé... voleva precipitarsi là ma ci è stato ordinato di tenere le posizioni. È stata una notte terribile, ma finalmente la mattina Arthur ci ha informati del bilancio, e ci veniva quasi da piangere quando abbiamo saputo che tu non eri lì”.
No, pensò Mel. Ero dai Tassorosso a scolarmi quanto più Whiskey potevo.
Cercando di non far trapelare la vergogna domandò: “Ma perché è successo? Harry non ha voluto dirmi nulla, cosa ci facevano tutti quanti al Ministero?”
“Non credo dovrei dirtelo...”, ma fu investito da un'occhiataccia, per cui continuò. “Al Ministero c'è un ufficio che contiene tutte le profezie mai create. Pare che ne esistesse una su Harry e su Tu-Sai-Chi, e Tu-Sai-Chi ha indotto Harry a recarsi al Ministero per prenderla. Sai... solo coloro che sono oggetto della profezia possono estrarla dal luogo dove sono depositate...”
“E di certo Tu-Sai-Chi non si sarebbe recato al Ministero per farlo da solo”, concluse Mel. Poi un pensiero le passò per la mente. “È morto qualcuno dei nostri?”
Suo padre la guardò per un istante con occhi tristi.
“Si chiamava Sirius. Era il padrino di Harry. Un brav'uomo”.
Mel sospirò.
Harry aveva perso un altro membro della famiglia.
Era normale che sentisse il bisogno di stare da solo. Ma col senno del poi, se avesse potuto tornare indietro gli avrebbe dato lo stesso consiglio. Una perdita del genere lei poteva solo immaginarla; certo, c'era stata Amélie, ma non era proprio la stessa cosa.
“Ma parlando di cose belle”, il signor Coppard interruppe i suoi pensieri, “abbiamo già avuto a cena il tuo fidanzato diverse volte”, Mel si mosse inquieta sulla sedia alla parola fidanzato, “si può sapere perché non ce l'hai mai menzionato?”
La ragazza divenne rossa come il sole al tramonto.
“È una cosa... recente...” balbettò, “anzi... mi stupisco che si sia già voluto presentare”.
“È davvero un bravo ragazzo”, dichiarò lui con convinzione, “serio, responsabile...”
Mel si mosse inquieta sulla sedia.
Sicuri che parliamo della stessa persona?
“Giovanissimo e già imprenditore di se stesso...”
Questo è vero.
“Con quel suo divertente gemello... siamo davvero contenti”.
La ragazza lo fissò stralunata.
“Non stiamo per sposarci, papà”.
Il signor Coppard si aprì in un sorriso.
“Ovvio che no. Ma non mi dispiacerebbe un nipotino coi capelli rossi, un giorno”.
Mel quasi si strozzò col tiramisù, ma suo padre non ci fece caso, le posò un bacio sulla testa e uscì dalla cucina canticchiando.

La sera dopo la ragazza si vestì con cura, applicando perfino un leggerissimo velo di trucco. Indossava un vestito corto color panna che la fasciava dolcemente e dava l'impressione di ammorbidire la sua silhouette così rigida.
George doveva passarla a prendere per le otto ma già alle sette e mezza Mel sentì bussare alla porta, e un secondo più tardi le voci deliziate dei suoi genitori che lo salutavano le giunsero alle orecchie.
Corse allo specchio per sistemarsi il trucco, quand'ecco la testa del suo ragazzo affacciarsi dalla porta della sua camera.
“Non sono ancora pronta”, esclamò guardandolo dal riflesso dello specchio con la cipria in mano.
“Tranquilla, sono qui per parlare con tuo padre. Abbiamo quel discorso sul Quidditch in sospeso”.
Però entrò e si mise a vagare per la stanza osservando ogni cosa.
“Carina la tua camera”, commentò allegramente.
Mel stava giusto sistemandosi i capelli in una treccina quando sentì le mani di lui avvolgerla da dietro e le sue labbra sfiorare il contorno delle sue spalle ossute. Si irrigidì per la sorpresa ma in un attimo cominciò a fremere sotto quei baci così tenui.
“Ti aspetto di là”, le bisbigliò in un orecchio. E prima che Mel se ne rendesse conto era uscito dalla sua stanza lasciandola sola, accaldata e confusa.

La cena fu piacevole. Si trovavano in un locale piccolo ma accogliente nelle vicinanze di Diagon Alley, coi tavoli quadrati e le vetrate incantate in modo che chi vi guardava potesse ammirare ora paesaggi tropicali, ora panorami innevati, ora deserti aridi.
Bill, il fratello di George, si dimostrò un tipo davvero socievole e divertente e con Fleur formava la coppia più stramba che Mel potesse immaginare. Fleur era sdolcinata e zuccherosa, imboccava Bill, gli lisciava la giacca e lo guardava in adorazione qualsiasi movimento facesse. Bill accettava tutto pazientemente e chiacchierava con George con entusiasmo di lavoro, di Quidditch e di persone che Mel non conosceva.
Anche Mel e Fleur chiacchierarono molto tra di loro, soprattutto in francese. Sentiva George fremere ogni volta che parlava nella sua lingua madre e segretamente ne era contenta: sapeva che adorava ascoltarla parlare in francese, per chissà quale motivo, dato che non capiva una parola.
“Nostra madre ovviamente non vede l'ora di conoscervi”, stava dicendo Bill. “Sarebbe carino presentarvi tutte e due insieme, che ne dite?”
Fleur annuì estatica, ma a Mel andò di traverso il coniglio in salmì.
“Hai già pensato a come dirlo a mamma e papà?”, fece George con la bocca piena di pane alle noci.
“Credo che qualunque discorso ben congegnato non le impedirà di urlarmi addosso”, borbottò Bill con uno sbuffo.
Mel li guardava a turno, confusa.
“On va se marier”, spiegò Fleur estatica sventolandole sotto il naso un anello formidabile.
Stiamo per sposarci.
“Congratulazioni!”, esclamò la ragazza ammirando l'anello di Fleur, sormontato da una spettacolare pietra di luna di forma romboidale che brillava in modo accecante. Si chiese come avesse potuto non notarlo prima e dove mai Bill avesse trovato un gioiello così raffinato. Poi le venne in mente che chi fa lo Spezzaincantesimi per professione deve per forza imbattersi in tesori del genere.
“Sarà un bel colpo per la famiglia”, disse Bill in tono rassegnato, “ma la mamma se ne farà una ragione”.
Passarono ancora un paio d'ore a mangiare e chiacchierare e poi le due coppie si salutarono.
Non era ancora mezzanotte ma Diagon Alley era già deserta, per via del clima di tensione che imperversava in tutta la Gran Bretagna in quel periodo. Nessuno aveva voglia di andarsene in giro a notte fonda ma a Mel faceva piacere passeggiare da sola con George senza avere nessuno intorno.
“Hai programmi per il 24?”, gli chiese a un tratto.
George ci pensò un attimo.
“Mancano ancora due settimane... non mi pare di avere nulla in programma. Perché? Dove vuoi portarmi?”, chiese.
“Non lo so ancora”, rise Mel. “Sarà il mio compleanno”.
George si fermò.
“Davvero?”, chiese sbalordito.
“Davvero”, confermò lei con un sorriso. “Passerò la mattina con Calì e Lavanda ma mi piacerebbe se facessimo qualcosa insieme, la sera”.
“Mi pare il minimo!”, esclamò George gioiosamente. “Dove vuoi che andiamo? Al ristorante come oggi? Vuoi venire da me e cucino io?”
“Tu cucini?”, chiese divertita e leggermente incredula.
“I miei sandwich al salmone sono fenomenali”, dichiarò strizzandole l'occhio. “Preferisci organizzare una festa tutti insieme con la mia famiglia e la tua?”
“Assolutamente no!”, disse in fretta.
“Altrimenti hai mai provato il cinema dei Babbani? Sono piatti e mancano totalmente di realismo, ma c'è qualche film divertente, ogni tanto ci vado con Fred”.
Mel gli afferrò la giacca e gli stampò un bacio.
“La più tranquilla serata del mondo andrà benissimo. Niente cinema e niente famiglie. Manca ancora un po' di tempo, appena deciderò ti farò sapere”.
Passeggiarono ancora qualche minuto, poi George li smaterializzò entrambi a casa di Mel.
La notte era tiepida e piena di stelle e non si sentiva un solo rumore.
Mentre infilava la chiave nella serratura, Mel realizzò che entrambi i suoi genitori erano di turno al San Mungo.
Invitò George ad entrare con appena una fitta di nervosismo e lo fece accomodare in cucina mente lei cominciò a preparare il thè.
George sembrava assolutamente a suo agio ed era di certo ignaro dei pensieri che si rincorrevano nella testa di Mel. Quella era la prima volta che si ritrovavano da soli senza nessuno nel raggio di dieci metri da quando erano stati a Mielandia.
“Sembri nervosa”, disse George, mandano in fumo le speranze di Mel sul suo cercare di risultare tranquilla.
“Non sono nervosa”, pigolò lasciandosi sfuggire dalle dita un cucchiaino, che cadde a terra emettendo uno spropositato (o almeno così sembrò a Mel) rumore metallico. Lo raccolse in fretta e continuò ad armeggiare nella dispensa, restando di spalle a George e sentendosi le guance andare in fuoco.
Che problema hai, stupida?
Versò il thè in due grosse tazze e ne porse una a George, sedendosi accanto a lui. Appena lui le circondò le spalle con un braccio sentì il nervosismo svanire per lasciare il posto a una grande tranquillità. Chiuse gli occhi, gli appoggiò la testa alla spalla e si rilassò.
Passarono almeno un'ora e mezza a parlare. Come alla loro prima uscita.
Mel gli raccontò piena di vergogna della sua esperienza con la pozione Placa Nervi. Lui la ascoltò senza interromperla e Mel sapeva che non l'avrebbe giudicata.
George parlò del negozio che gestiva con Fred e che ormai andava a gonfie vele, insistendo perché lei andasse a trovarli uno di quei giorni. Le chiese degli esami, della Umbridge, degli altri professori. Lei confessò di non essere andata troppo bene allo scritto di Aritmanzia, e si lasciò sfuggire che tanto non avrebbe inciso sui suoi progetti futuri. A George venne spontaneo chiedere cosa progettava e Mel si morse la lingua. Non aveva rivelato nemmeno a Calì e Lavanda del suo sogno di diventare Guaritrice, non sapeva bene per quale motivo. L'unica in tutta Hogwarts a saperlo era la McGranitt, a cui l'aveva rivelato durante il colloquio per la scelta delle materie per il sesto e il settimo anno.
George le risparmiò l'indecisione di rispondere: “Dovresti venire a lavorare con me e Fred. Con le nostre idee e la tua abilità nel metterle in pratica faremmo un mucchio di soldi”, disse con un ghigno. “Altrimenti segui le orme dei tuoi e studia Medimagia”.
Mel non rispose e si limitò ad alzare lo sguardo rivolgendogli un'occhiata mesta.
“È questo che vuoi, vero?”, mormorò avvicinandosi al suo viso. Mel annuì, e George la baciò sulla fronte. “Lo sospettavo”, disse enigmaticamente.
Mel avrebbe voluto chiedere perché, ma quel lieve contatto con le labbra di lui le fecero pensare che era ora di finirla con le chiacchiere. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò con forza. George non chiese nulla e si lasciò baciare, e stettero lì per quelli che a Mel parvero una manciata di minuti, ma che avrebbero benissimo potuto essere ore o giorni. Perse totalmente il senso del tempo e a un tratto si staccò credendo di aver sentito un rumore.
“Non c'è nessuno oltre a noi”, bisbigliò George leggendole nel pensiero. Lei lo guardò. Alla luce delle stelle lo vedeva ghignare ma c'era un luccichio dolce nei suoi occhi.
“Dev'essere tardi... domattina lavori, vero? Magari dovresti andare”.
Non avrebbe voluto dirlo, ma in effetti si stava facendo davvero tardi.
“Ho un'idea migliore”.
Con un unico movimento se la mise a cavalcioni e la trasportò fino alla sua camera. Mel rise, rimase aggrappata a lui e si fece adagiare nel suo letto. Si lasciò sovrastare e si sentì il volto andare in fiamme mentre lui prese a mordicchiarle l'incavo del collo. Era una sensazione così meravigliosamente intima che sentì il calore ribollire dentro di lei. La lingua di George le pizzicò la spalla, la clavicola, l'orecchio, per poi tornare sulle sue labbra.
Lei gli accarezzava la nuca, le spalle, il petto. George profumava di buono e di fresco e di qualcos'altro che le dava le vertigini. Con un gomito si sorreggeva accanto a lei e col braccio libero, comprese Mel fremendo, aveva risalito la sua gamba fino a insinuarsi sotto il vestito, sollevandolo fino al fianco, ed era lì che la stava accarezzando in quel momento.
In un lampo di lucidità del tutto inaspettato, Mel realizzò che tutti quei vestiti addosso a George le davano fastidio. Semplicemente fastidio. Con un movimento deciso gli sollevò la maglietta fino alle spalle, finché lui non capì le sue intenzioni e se la lasciò sfilare, vagamente sorpreso ma decisamente felice, a giudicare dai suoi baci che aumentarono di intensità.
Mel rimase per un istante senza fiato alla vista vaga del suo torace nudo. La luce del cielo notturno era flebile in quella stanza, ma gli occhi di Mel si erano ormai abituati al buio e le permisero di distinguere quel tanto che bastava per mandarle in pappa il cervello.
Gli passò i palmi sulla schiena e la trovò bollente, e questo la infiammò ulteriormente.
Non si era mai sentita così, nemmeno a Mielandia, e le sembrava che il cuore le esplodesse nel petto. Le spalle di lui erano larghe, le scapole ben definite, la vita magra. Sentiva di agire per conto di istinti che non aveva mai conosciuto e che in qualche modo George riusciva a svegliare al minimo tocco, e quando le posò una mano su un seno, l'unico frustrante pensiero che le passò in testa era che c'era quel fastidiosissimo vestito tra il suo corpo e il suo ragazzo.
Doveva sbarazzarsene.
Un sonoro e improvviso crac le fece però comprendere che, stavolta senza alcun dubbio, qualcuno si era appena materializzato nel vialetto di casa.
Anche George l'aveva sentito.
Si sollevò di scatto e rimase confuso soltanto un attimo. Si infilò la t-shirt scivolata a terra, mentre Mel scendeva dal letto e si sistemava il vestito.
Intravide il rossore sulle guance di George, rossore che nulla aveva a che fare con la vergogna, e le spuntò un mezzo sorriso.
Avevano entrambi il fiato corto.
I due si guardarono e, senza dirsi una parola, si scambiarono un ultimo frettoloso bacio, prima che George fece due passi indietro senza staccare gli occhi da quelli di lei, e svanì nel nulla.

 

 

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N.d.A.
Vi annuncio che ho scritto un capitolo rosso. Ma proprio rosso rosso. Di quindici pagine.
Devo ancora capire dove e come inserirlo, o se pubblicarlo come one shot a parte, ma il capitolo rosso c'è, signore e signori! :D
Consigliatemi come inserirlo ;)
a presto!
M.

  
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