VIII.
Dai, Giulia, non fare così. Non è poi così grave…
Non sopporto di vederla soffrire! Ogni volta che si lamenta sento una fitta al cuore!
Calmati. Anna non è in pericolo, ce la farà benissimo.
Allora perché non te ne sei andata? Ero sicura che stesse per…
No, scema, cos’hai capito... Sono io che ho bisogno di stare con qualcuno. Ti dispiace?
No! – gli occhi di Giulia s’illuminano, anche se il viso rimane serio. – sono felice se resti… lo sai che mi piace stare con te.
Lo… so, siamo amiche, no?
Certo. Molto amiche. – Giulia si avvicina un po’, fino ad avvertire il calore di Paula, le piace così tanto…
Però… – Paula si scosta dal fianco di Giulia, non capisce perché ma si sente infastidita. Si alza dal divanetto e fa qualche passo per la stanza. – volevo dirti che poi ho trovato la password. Era un codice semplicissimo, e noi che ci siamo accanite con la matematica superiore…
Ah sì? – Giulia si tira su vivacemente – e cosa c’era nella scheda? Vuoi dirmelo, vero?
Niente, c’era. Dopo un sacco di giri e rigiri, è tornata la maledetta donna nuda. Era uno scherzo, uno scherzo di cattivo gusto. Che rabbia.
Dici la verità? – Giulia la guarda attentamente, una cosa che Paula non sa fare è dire le bugie, è frustrata e scontenta, ma non ha detto tutto quello che sa.
Certo… certo che sì. – ecco, è sicuro che nasconde qualcosa. – mi ha fatto… rabbia. Maledetto Hanssen.
Ce l’hai davvero con uno che è morto settecento anni fa… com’è possibile? Il tuo dottore non c’è più, resta solo la sua interessantissima scheda. Qualche volta me la presti? Solo per… darci un’altra occhiata.
Qualche volta. Ma non oggi. Scusa, io vado. Se succede qualcosa chiamami, però credo che Anna dormirà e domani starà meglio.
Grazie, Paula. Non mi dai un bacio prima di andare?
Tieni. – la bacia rapidamente sulla guancia e si avvolge nel mantello. – buona notte.
Buona sera, come stai?
Molto bene, e tu?
Anch’io…
Bene, i tuoi… tentacoli hanno sempre la temperatura normale? Duecento gradi?
Sì… perché me lo chiedi tutte le volte?
Beh, volevo essere cortese. E il cianuro che respiri è di tuo gusto? Sa di mandorle come piace a te? Ah, scusa, dimenticavo che le mandorle per voi sono peggio dell’arsenico.
Mandorle? Come… come sai delle mandorle? Si tratta di un albero estinto, cresceva sulla Terra molti secoli fa.
Ne sei sicura?
Perché mi parli… al femminile?
Sono sicuro che sei una femmina. O mi sbaglio? Anzi, ora che ci siamo, dimmi le differenze che ci sono fra i vostri sessi. Avete… i tentacoli di un altro colore? O forse le femmine sono come i ragni terrestri, e si mangiano il maschio dopo l’accoppiamento?
Dici cose incomprensibili e sei poco educato. Queste… sono informazioni riservate.
Ah. Scusa, sono stato indiscreto. Però sei una femmina, vero? L’ho capito perché sei gentile, anche l’altra doveva essere femmina.
E va bene, te lo dico. Sono… femmina. Noi siamo uguali ai maschi, la differenza è solo… – Paula sente di arrossire ed è contenta di non essere vista. – … nel fatto che noi deponiamo ovoidi, e i maschi li fecondano penetrandoli con i loro…
Basta, non dire altro, è troppo intimo! Me lo immagino con che cosa li penetrano! E gli ovoidi diventano di colpo sodi, no?
Che… che vuoi dire… – Paula ride silenziosamente cercando di non farlo capire. Oggi il colloquio con il prigioniero ha preso una piega completamente diversa dal solito, però le piace, la stuzzica. E poi, cos’ha da temere?
Niente, solo una battuta da essere a bassa temperatura. Da noi se tocchi un uovo con un… coso rovente si cuoce di colpo.
Le tue battute non sono divertenti.
Devi compatirmi, io non vedo mai nessuno e parlo solo con te. Non c’è molta varietà.
Che vuoi dire! Che non ti basto io, che vorresti parlare con qualcun altro?
No. Con nessun’altra. Mi piace davvero parlare con te. – sorride e lei lo imita. – hai un bel sorriso.
Cos’hai detto? Come fai a…
A vederti? Sullo schermo. Esattamente come tu vedi me. – Paula balza in piedi e fa un paio di passi indietro, cercando di mettersi fuori dalla portata della telecamera. – no, non fare così. Potevo non dirtelo, invece mi è sembrato giusto avvertirti.
Di cosa… di…
Che ti vedo, che so che sei umana.
Da… quanto lo sai?
Eh, da un bel po’ di tempo. Sei buona e gentile con me. Ti sono molto grato.
Davvero… credevo che mi avresti odiata, se l’avessi saputo.
E perché? Perché mi tieni qui dentro? Perché non mi dici chi sei per davvero? Perché non mi dici lo scopo della mia esistenza? Non ti odio per questo. Tu non lo sai, lo scopo della mia esistenza.
E tu… tu invece lo sai?
Sì. Ora lo so.
Allora, andiamo e lasciamo le nostre cellule, gli schemi genetici e le registrazioni di addestramento. Le hai, Steve?
Sì, stai tranquillo. – batte una mano guantata sulla grossa bisaccia che porta a tracolla. Sono al sicuro, cinquantuno fottuti dischi. Pesano come il piombo.
Sei sempre il solito scansafatiche. Allora i contenitori delle cellule che porteremo noi?
Non peseranno niente, la sezione delle cellule staminali è a gravità zero.
Questo stronzo ha sempre la risposta pronta. Che ne dici, Antonio?
Che so poche parolacce in navajo, questa sarebbe l’occasione buona per dirle tutte.
Perché, qualcosa ti puzza?
A parte i piedi…
Vaffanculo, Steve, di tutto puoi parlare tranne che di piedi che puzzano, cazzo! Allora, Antonio, qualcosa non va?
Te lo dico fra sei ore quando saremo di ritorno. Sai che ti dico? Ne ho le palle piene, di tornare e farmi ammazzare come un coniglio da quello stronzo.
È inevitabile, capisci? Se si accorge che abbiamo portato via le cellule, fa finta di niente e prende di mira le donne alla prossima occasione propizia. Lui o il suo doppio, fa lo stesso, basta che ci riesca prima che inizi la colonizzazione. Dobbiamo tornare e rappresentare la nostra parte. Il tuo doppio saprà quello che hai fatto, glielo hai detto, no?
Sì, gliel’ho detto. Spero che capisca.
Capirà, non temere. E niente di te andrà perduto.
Non sarà la stessa cosa che trasmettergli la mia esperienza personalmente.
Sarà meglio di niente. Fidati. E poi chissà, riusciremo a bloccare quello stronzo in tempo, allora potremo tornare alla procedura originaria. Forse avrai il tuo marmocchio da allevare.
Forse. Cazzo, quant’è lungo questo corridoio!
Tremiladuecento metri, non uno di più. Ti sembra molto perché sei appesantito dalla tuta. Però man mano che saliamo diventiamo più leggeri.
Già. A proposito, ragazzi, quando avete fatto sesso l’ultima volta?
Che razza di domande…
E dai, tu grosso indiano devi avere grosso pisello. A cosa pensi quando…
Stai zitto o ti sfondo il casco con un pugno!
Scusa… volevo solo fare conversazione, mi sento nervoso.
E sfido io, ne hai tutti i motivi. Però smettila di stuzzicare Antonio. Sfogati con me.
Con te non c’è sugo… Ci pensate, stiamo per vedere una donna vera dopo… trentatré anni. Chissà che impressione faremo, su di loro…
Credo che non ci troveranno molto valenti. Ti sei guardato ultimamente allo specchio?
Che c’entra, un uomo è sempre un uomo. Loro sì che saranno delle vecchie in menopausa da anni con la topa rinsecchita…Pazienza, mi starebbe bene anche una vecchia topa, piuttosto della vecchia mano rugosa.
Steve, fai schifo. La tua è un’idea fissa.
Già, fissa. – Steve tace e camminano ansimando per altri venti minuti. È sempre lui a parlare per primo. – Mi sento più leggero. Stiamo arrivando?
Quasi, un altro paio di giri. Fra poco dovremo attivare gli elettromagneti sugli stivali.
Ricevuto, capo.
Allora, siamo intesi. Cerchiamo di perdere meno tempo possibile, la nostra autonomia con le cellule staccate dal supporto è di un paio d’ore al massimo. Ce ne vorrà una buona per fare il tragitto.
Va bene. Quando arriviamo, chi parla?
Se non ci cacciano prima a calci, parlo io.
Non credi che tocchi al capitano?
No, Seb, lascia parlare lui. Ci tiene tanto, e poi ha una chiacchiera che convincerebbe anche il Grande spirito.
Bene. Io ho qualcosa da dire alla mia collega, andrò subito a cercare il medico di bordo.
Segreti professionali, eh?
Già, segreti professionali. – gli stivali non fanno più presa, la gravità è vicina allo zero. Azionano gli elettromagneti e cominciano ad arrancare faticosamente.
Cazzo, camminare così è molto peggio, sembra di essere invischiati nella carta moschicida!
Coraggio, non siamo qui per divertirci. Toglietevi il guanto destro. – Sebastian dà l’esempio imitato dagli altri. – Ora entriamo nel locale. – Uno dopo l’altro appoggiano la mano nuda sulla piastra di identificazione e digitano il proprio codice personale. Al terzo accesso una pesante porta blindata scorre nella paratia.
Buono questo sistema, non si può entrare se non si è in tre. E se uno di noi fosse il cattivo kamikaze e si facesse esplodere adesso?
Non combinerebbe niente, i contenitori sono corazzati e protetti dal mio codice d’accesso. Solo io posso aprirli, o in caso d’incidente chi succede a me.
Che fortuna. Così saranno sempre al sicuro.
Eh già. Tieni, Antonio – gli passa il grande contenitore, e si accorge che Antonio fatica a fermarlo.
Attento, Sebastian. Ricordati che il contenitore non ha peso, ma conserva l’inerzia. Non fare movimenti bruschi.
Grazie, Antonio. Me ne ricorderò. – afferra il grosso contenitore e lo estrae dall’alloggiamento, attento a non tirare troppo. I duecento chili di metallo lo sbilanciano ugualmente, per poco non perde l’equilibrio.
Te lo dicevo io. Ora trasportiamoli lentamente, il portello è a cento metri.
Brava. Hai fatto molti progressi.
Sì… – Flavia solleva le mani dalla tastiera e si stira. Le piace la mano bruna di Emily sulla sua spalla. – mi sembra ancora così strano.
Cosa, suonare le Variazioni come Glenn Gould?
Chi… era Glenn Gould? Non me ne hai parlato mai.
Non ti ho ancora insegnato tutto. Ci sono certe… cose che non hai visto o ascoltato. – inserisce nel computer un disco ottico e compare l’immagine in bianco e nero di un’antica sala d’incisione, con grossi microfoni e un pianoforte a coda senza coperchio. Flavia guarda avidamente, non ha mai visto niente di simile. Arriva un… essere con i capelli corti e ricci, il viso scavato e sofferente, il petto piatto peloso coperto in parte da una camicia bianca con le maniche rimboccate che esce un po’ dai pantaloni. Si avvicina con passo dinoccolato, si siede al pianoforte e attacca le Variazioni. La qualità della registrazione è cattiva, piena di fruscii, ma Flavia si accorge che è la versione migliore che conosce, la più dolce precisa appassionata rigorosa, e poi scopre che l’artista mentre suona canta a voce spiegata senza accorgersene. La sua voce ha un timbro basso e dolce, canta solo per sé, suona solo per sé.
È… fantastica. È lei Glenn Gould? Quant’è brutta e pelosa…
Non è una lei, è un uomo.
Come, uno di quei… mostri con cui abbiamo fatto la guerra?
Sì, uno di loro. Devo dirti una cosa: gli uomini non erano mostri. Flavia ed Emily prima di lei, e tutte le altre hanno conservato questo disco. Lo avevamo alla partenza, è un documento storico vecchio più di mille anni. Le nuove direttive hanno imposto di cancellare ogni loro traccia, ma…
Le nuove direttive? Non mi avevi parlato nemmeno di questo.
C’è stata dopo la guerra. Ci aspettava un periodo molto duro e molto lungo, dovevamo contare solo sulle nostre forze perché loro… erano tutti morti.
Chi, loro?
Loro, gli uomini! Però Emily non ha voluto dimenticarli, lo sai che anche Bach, Mozart, Scarlatti e Chopin erano uomini?
No… non me l’avevi mai detto.
Non volevo che ne parlassi con le altre. I primi tempi le misure di sicurezza erano rigide, Miko, quella di allora, teneva il fucile carico e molte di noi sono state punite per aver contravvenuto alle direttive. Però alla fine, al momento del primo impianto dopo la guerra, anche le più ribelli erano state domate. Domate è la parola giusta, c’era una camera blindata completamente buia, e l’Emily di allora c’è rimasta per sei giorni interi, prima di convincersi che doveva ubbidire. Hanno giurato tutte, però io so che un piccolo gruppo non ha rispettato il giuramento. Emily era fra queste, anche se non sapeva com’era stata la guerra. Lei non c’era…
Cosa vuol dire che non c’era…
La guerra è durata pochissimo, poche ore.
Com’è possibile… mi sembra una cosa assurda. Io invece penso che con il tempo le informazioni si sono confuse.
No, te lo assicuro. Tutte le altre informazioni non sono confuse, il nostro sistema di trasmissione della conoscenza funziona benissimo. La guerra di cui tutte parlano sottovoce è durata pochissimo, e molte di noi non erano presenti. Poi sono arrivate le direttive.
Che altro sai degli… uomini?
Sono i maschi della nostra specie. Sono… indispensabili per la varietà genetica. La clonazione con le cellule staminali che noi utilizziamo da settecento anni è una soluzione temporanea, sarebbe dovuta servire solo durante il viaggio. La clonazione esclude la variabilità. Io queste cose le ho studiate, un po’ per curiosità, un po’ perché ci vuole molta matematica per capirle bene, e a noi la matematica piace.
Che vuol dire variabilità? A che serve?
Serve ad adattarsi all’ambiente. Vale per tutti gli esseri viventi. Pensa ad una pianta, che mentre si riproduce cambia un po’ le sue caratteristiche, e produce tanti semi tutti diversi. Le piante figlie saranno più o meno capaci di sopravvivere, e saranno favorite quelle che meglio si adattano all’ambiente. Faranno altri semi e piante figlie, le altre saranno più deboli e moriranno.
È… complicato.
Già, e lo sto esprimendo con le parole più semplici che posso. Vedrai quando lo studierai più seriamente, l’idea di farlo ti verrà fra una... decina d’anni.
Ma… che c’entrano gli uomini con le piante?
Quando si riproducono, uomini e donne mischiano i loro geni, producendo combinazioni che non c’erano nei genitori. Perché tutte noi siamo state scelte? Perché eravamo il massimo della mescolanza, figlie di unioni interrazziali. È una garanzia in più per sopravvivere in un nuovo ambiente.
Ancora non capisco.
Pensaci. Le nostre linee possono vivere all’infinito, ma non ci sarà mai varietà. Saremo sempre uguali. Ci ammaleremo sempre delle stesse malattie, dopo lo stesso numero di anni, che dico, di giorni. Penseremo sempre nello stesso modo. Saremo poche. Capisci perché servivano gli uomini?
Un… po’. Mi sembra tutto confuso e difficile.
Stai tranquilla. Avrai tempo per pensarci, ma purtroppo non serve a niente, gli uomini non ci sono più. E anche la nostra specie è destinata ad estinguersi.
Hai detto che vivremo per sempre.
Sì, migliaia di cicli, ma alla fine, che succederà quando le cellule staminali finiranno? O se si perderà una linea? E poi un’altra? Capisci, sarà un declino lento, durerà molto tempo, ma alla fine io vedo il niente. Non ci credo più nelle favole. Però ho un compito, devo raccontartene una, esattamente come ha fatto Flavia con me.
Allora racconta.
_______________________________________________________________________________________________________________________________A causa di un errore materiale non era stato inserito il cap. 5. Mi scuso con chi è arrivato fino a questo punto e probabilmente è rimasto deluso dalla discontinuità del testo. Buona lettura!