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Autore: RainbowCar    05/11/2013    1 recensioni
FF iniziata quando DAI non era ancora stato rilasciato. In questa storia gli eventi di Inquisition non sono mai accaduti: ho scelto di immaginare i miei eroi e le loro storie; personaggi nuovi che inevitabilmente incontrano quelli di DA:O e DA2.
"Era tutto perfetto. Mio padre e mia madre si abbracciavano sorridenti mentre mi guardavano giocare col mio fratellino. Il sole splendeva alto nel cielo e il lago Celestine luccicava come uno zaffiro. C’erano uccelli e cerbiatti, e nug. E c‘era un drago. Un drago enorme, mostruoso. Era venuto per uccidere."
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Custode, Hawke, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Com’era possibile? Feron… era ancora vivo?
“Sei stata tu a riportarlo indietro?” chiesi alla maga sconosciuta, “come hai fatto? Che incantesimo hai usato? Lui… non respirava! Lui… se n’era andato!”
Ero agitata, esterrefatta, sconvolta.
Il ventre di Feron si alzava e si abbassava ad  ogni suo respiro, il viso aveva ripreso colore e la sua espressione sembrava serena…
“Io non ho fatto proprio niente”  mi rispose l’eretica. “Nemmeno io ho il potere di riportare indietro dalla morte, sebbene sia molto potente, come hai potuto constatare”
La guardai meglio. Era molto bella anche se non più giovanissima. Sulla trentina, avrei detto.
Di sicuro era anche molto schietta e cosciente delle sue capacità. Probabilmente sarebbe andata d’accordo con mia madre, o molto più probabilmente avrebbero incendiato l’intera foresta di Brecilian nel tentativo di  stabilire chi di loro due fosse più forte.
“Devi essere stata tu a guarirlo” continuò, “evidentemente hai soltanto creduto che fosse morto”
“Ho sentito che può succedere” mi spiegò Gulliack, “il cuore può fermarsi per qualche istante e poi ripartire…”
Possibile che mi fossi sbagliata? Sembrava incredibile eppure non ero mai stata così felice di aver commesso un errore. Non mi interrogai ancora molto sulla faccenda, non mi importava. Quello che contava era che Feron fosse ancora vivo.
“Che cosa è successo?” mi chiese non appena aprì gli occhi.
“Sei solo morto per un po’” riuscii a dirgli con un filo di voce. “Ma adesso sei qui”
Sorrisi.
D’istinto si portò una mano al viso e con l’altra toccò il fianco, laddove prima c’era la ferita.
“Tu… mi hai guarito”
Si alzò lentamente, con l’aiuto di Gulliack.
Scossi la testa.
“Non so nemmeno come abbia fatto. Credevo di non esserci riuscita”
“Dovresti avere più fiducia nelle tua capacità” intervenne Deleric, avvicinandosi a noi.
“Fermo dove sei orlesiano!” gli intimò Feron. “Ci hai traditi!”
Sembrava completamente ristabilito, ma adesso stava già tentando di attaccar briga di nuovo.
Deleric si immobilizzò, più che altro stupito per quella accusa.
Altelha spiegò che invece era stato dalla nostra parte.
“Abbiamo battuto i templari grazie al suo aiuto e a quello di questa signora”
Solo in quel momento Feron si accorse della nuova arrivata.
“Mi chiamo Sadine” si presentò lei. “Sono una veggente e ho ‘visto’ l’arrivo dei templari. Ho promesso il mio aiuto al ragazzo e ho mantenuto la parola. Adesso tocca a voi”
Guardammo tutti Deleric con aria interrogativa.
Intanto il sole stava sorgendo all’orizzonte.
“Ieri notte” cominciò a raccontare l’orlesiano, “non riuscivo a dormire. Avevo troppi pensieri per la testa, l’incontro con Leliana mi aveva scosso e poi…” si interruppe per un attimo, guardandomi con aria triste,  “e poi ho deciso di fare una passeggiata per schiarirmi le idee. Ho camminato per un bel po’. Ho visto una luce, un fuoco, e mi sono avvicinato, per capire chi fosse: nemico o amico. Ho incontrato Sadine che mi ha detto che eravamo in pericolo. A quanto pare ha delle visioni. Mi ha proposto di aiutarci, in cambio vuole venire con noi a Denerim. Mi è sembrato uno scambio equo”
“E tu ti sei fidato?” chiese Feron, sbalordito.
“Sono solo una donna, che avrei potuto fare? Mangiarvi?” si difese la maga con un sorriso. “E’ pur vero che destreggio la magia ad alti livelli, ma anche voi avete una maga potente, vi sareste saputi difendere benissimo”
“Non con uno stuolo di templari armati fino ai denti che ci stava massacrando!”rispose il ladro, palesemente infastidito.
“Non hai visto di cosa è capace. I suoi poteri ci saranno molto utili!” controbatté Deleric, sfidando ancora Feron.
“Resta il fatto che ci hai messi in pericolo!”
“Ingrato!”
“Incosciente!”
 Eravamo alle solite. Feron e Deleric stavano litigando. In un certo senso la cosa mi rassicurava, eravamo di nuovo un gruppo, avevo temuto che in un istante fosse cambiato tutto e invece eravamo di nuovo tutti assieme.
La discussione andò avanti per qualche minuto. Chissà per quanto avrebbero continuato ancora se Sadine non fosse intervenuta.
“Adesso basta!” li sgridò, quasi come fossero due bambini. “Non ha importanza chi abbia ragione o chi abbia torto. L’importante è aver vinto, in un modo o nell’altro. Dovremmo riposarci per qualche ora e poi riprendere a viaggiare”
“E se i templari tornassero?” chiese Altelha, ancora spaventata da quello che era accaduto.
“Non torneranno” rispose sicura la donna. “Te lo assicuro”
“Ma…”
“L’ho visto nella mia visione”
La sua visione era senz’altro un argomento interessante.
Gulliack e Altelha rimasero ad ascoltarne la descrizione quasi incantati.
Feron le stava prestando più attenzione di quello che volesse mostrare mentre io voltavo le spalle e mi incamminavo verso la parte opposta dell’accampamento. Non potevo starmene lì circondata da quei corpi straziati, straziati da me.
Non ero impressionata, conoscevo la morte. Fin da piccola mia madre me l’aveva presentata come parte della vita stessa. Ero stata a caccia, avevo ucciso degli animali, ne avevo visto i cadaveri decomposti in giro per la foresta. Ma non avevo mai ucciso in modo così cruento.
Non avevo mai ucciso un uomo.
Mi ero difesa, certo, mi avrebbero fatto forse di peggio. Ma avevo bisogno di lavare via quel sangue. Quel sangue che mi ricordava cosa stavo per perdere e in che modo avevo reagito. Avrei avuto tempo per conoscere Sadine più avanti, decidere se fidarmi o meno, ma in quel momento volevo svuotare completamente la mia mente.
 
Eravamo accampati vicino a un piccolo ruscello. Continuai a camminare fino a raggiungerlo. Mi inginocchiai sulla sua riva e mi specchiai. Era limpido come il cielo. Io invece non avevo un bell’aspetto, quello che vidi quasi mi spaventò. E l’odore…
Immersi le mani nell’acqua ghiacciata e strofinai con forza. Lavai via il sangue di Feron e i brandelli di carne del suo assalitore. Poi mi portai l’acqua al viso. Tentai di togliere quell’orrore dalla fronte, dai capelli, mentre chiudevo gli occhi e pensavo a Feron, a quante cose avrei voluto dirgli mentre lo stringevo tra le braccia e al perché non riuscissi a dirgliele ora che si era risvegliato…
Sfregai, continuai a sfregare, incurante del bruciore che sentivo sul viso. L’importante era togliere, togliere, togliere… sentii dei passi dietro di me. Mi voltai di scatto, col viso arrossato e gli occhi gonfi.
Deleric si sedette accanto a me. Avrei preferito stare da sola, ma la sua presenza non mi disturbava. Tra le mani aveva un telo di stoffa pulito. Me lo porse.
“Grazie” sussurrai.
Tamponai il viso e i capelli, poi mi sorpresi a inspirare il profumo della stoffa, pulito e confortante.
“Non l’avevi mai fatto, vero?” mi chiese.
Non capii.
“ E’La prima volta che uccidi qualcuno” precisò.
Abbassai lo sguardo, intravedendo ancora una volta la mia immagine riflessa. Andava molto meglio, almeno all’esterno. Dentro mi sentivo un disastro.
“Sì” riuscii a dire soltanto. Era così evidente?
“So quello che stai provando. Non ti consolerà sapere che ti stavi solo difendendo. E non lo dimenticherai mai”
Quello era poco ma sicuro. Non avrei mai dimenticato gli eventi di quel giorno. Non avrei potuto neanche volendo.
Lo guardai, in attesa. Sembrava stesse ricordando qualcosa in particolare, forse la prima volta che era successo a lui. Sapevo che me l’avrebbe raccontato.
“Mi ero arruolato da poco, io e alcuni miei compagni eravamo in una taverna, ci avevano concesso una licenza. Un balordo che aveva bevuto troppo incominciò ad inveire ad alta voce contro la chiesa, contro l’imperatrice. Erano solo le farneticazioni di un ubriaco, io avrei fatto finta di non sentire, ma i miei compagni, fin troppo ligi al dovere, decisero che quel fatto non poteva restare impunito. Presero di peso quel poveraccio e incominciarono a pestarlo davanti a tutti, come niente fosse. Non eravamo in uniforme, ma la gente sapeva chi fossimo, tranne forse quel povero ubriacone. Nessuno osava fermarli, erano cadetti e i cadetti avevano il privilegio di poter massacrare chiunque non fosse di sangue nobile”
Fece un bel respiro, lo sguardo perso all’orizzonte, poi continuò.
“ Ma io non potevo assistere senza fare niente. Cercai, pacificamente, di dirgli che non c’era bisogno di continuare, che quell’uomo aveva imparato la lezione, ma uno di loro, quello più sadico, temuto anche dagli altri, mi intimò di tacere, insultando me e la mia famiglia, dicendo che mia madre era una donna di malaffare e che ci eravamo meritati la disgrazia capitata a mio fratello, mentre continuava a picchiare quel malcapitato. Io stupidamente reagii dandogli una spinta che lo fece cadere a terra. Gli altri si fermarono per assistere alla scena. Gli tesi la mano, in segno di scuse, ma lui sfoderò un pugnale. Schivai qualche affondo, ma ero disarmato. Tentai di difendermi, ricavandone qualche taglio superficiale. Non so come a un certo punto mi ritrovai supino, con lui che stava per avventarsi su di me. Accanto avevo una bottiglia rotta, caduta probabilmente da uno dei tavoli che avevamo rovesciato lottando. L’afferrai e d’istinto colpii il mio aggressore. Il colpo gli fu fatale. Recisi la sua gola con un taglio profondo. Lo guardai morire tra rantoli e convulsioni per interminabili istanti di agonia. Se non l’avessi fatto sarei morto, ma non dimenticherò mai quell’ espressione contorta, l’istante in cui la vita abbandonò quel corpo. Ero stato io a farlo accadere”
Quel racconto mi fece capire quanto peso si portasse sulle spalle, oltre alla situazione difficile con la sua famiglia, aveva vissuto più di quanto avrei mai immaginato. Non era il solito orlesiano viziato, ma questo mi era chiaro già da tempo.
“E gli altri cadetti? Non ti fecero arrestare? Non testimoniarono contro di te?” chiesi, stupita.
“No. Credo che in fondo gli avessi fatto un favore. Lo seguivano perché lo temevano. Nessuno di loro si precipitò ad aiutarlo vedendolo moribondo e tirarono un sospiro di sollievo quando lui esalò l’ultimo. Testimoniarono che mi ero difeso, che avevo agito in modo legittimo. Gli avventori fecero altrettanto. In fondo era la verità, ma il senso di colpa non mi ha mai abbandonato”
Mi sentivo esattamente così, in colpa. Mia madre mi avrebbe deriso. Forse anche io l’avrei fatto un giorno. Ma in quel momento ero convinta che quello che mi aveva detto Deleric era vero, che mi sarei sempre sentita in quel modo.
“Allora come si fa a superarlo?” gli domandai.
“Non si può. Si può solo imparare a conviverci”
Non dissi niente. Il silenzio era molto più esplicativo di qualunque frase potessi pronunciare. Restammo seduti a lungo senza dire una parola, guardando il sole farsi alto nel cielo e alcune nuvole scure fare capolino.
Deleric però all’improvviso interruppe quel silenzio rassicurante.
“Andraste io… quando ci siamo incontrati per la prima volta, ti ho detto che mi rammentavi qualcuno, ricordi?”
“Sì, lo ricordo” risposi evitando di richiedergli chi fosse, visto che non me l’aveva voluto dire la prima volta. Ma volevo saperlo.
“Ti va di ascoltare un’altra storia del mio passato?”
Annuii, sperando che la mia curiosità fosse soddisfatta.
“Cinque anni fa mi trovavo assieme a mia madre e a mio fratello al mercato di Val Royeaux, era un giorno come tanti, eravamo ragazzini. Accompagnavamo mia madre a fare compere. Mio fratello aveva ricevuto in dono un cavallo per il suo compleanno. Era la prima volta che lo cavalcava, ma diceva di volergli molto bene. All’epoca era poco più che un bambino, aveva solo undici anni e io ne avevo quindici. Stavamo ridendo, non ricordo per cosa, eravamo sereni e non ci aspettavamo di certo quello che sarebbe accaduto. Improvvisamente il cavallo si imbizzarrì e scaraventò mio fratello a terra. Purtroppo cadde molto male, battendo la schiena su dei sassi”
Era una scena che stranamente mi sembrava di aver già visto. Nella mia mente si affacciò una sorta di reminiscenza…
“Inizialmente nessuno lo soccorse, la gente di Orlais è famosa per farsi gli affari propri quando c’è da dare una mano e per essere sempre in prima linea quando c’è da spettegolare sugli affari altrui”
Accennò un sorriso sprezzante, scuotendo la testa, ancora disgustato da quell’indifferenza.
“ Mi guardai intorno mentre mia madre implorava aiuto e notai l’unica persona che sembrava preoccupata per quello che era successo. Era una fanciulla, forse della mia età o appena più giovane. Era con una donna, probabilmente sua madre. Aveva mosso qualche passo verso di noi, ma sua madre l’aveva tirata a sé impedendogli di avvicinarsi. Era solo una ragazzina, non avrebbe di certo potuto fare nulla per mio fratello, eppure il suo interessamento fu molto di più di quello che fecero gli altri. La guardai per un lungo istante, finche sua madre non la portò via”
Non potevo credere alle mie orecchie.
Possibile che stesse parlando di me? Quella ragazzina ero io? Suo fratello era quel ragazzo il cui pensiero mi tormentava ancora?
“Dopo un tempo che mi sembrò infinito  si fece avanti un guaritore che sentenziò che non c’era niente da fare, le ferite erano troppo gravi, non erano state prese in tempo. Oltre al danno, la beffa. Sarebbe stato un miracolo se fosse anche solo sopravvissuto. Da quel giorno mio fratello è rimasto paralizzato. Non potevo darmi pace. Non riuscivo a capire perché il cavallo si fosse imbizzarrito. Mia madre lo fece abbattere, ma non era colpa sua, povera bestia, probabilmente qualcosa lo aveva spaventato. Ma c’era anche un altro pensiero che mi ossessionava. Chi era quella fanciulla? Tempo dopo mi recai di nuovo al mercato per cercarla. Domandai a tutti i venditori, ma nessuno sembrava ricordarla. Alla fine un uomo mi disse di ricordarsi di una donna e di una giovinetta che corrispondevano alla descrizione, frequentavano il mercato molto raramente, a suo dire probabilmente perché erano straniere. Diceva di aver sentito parlare la donna con accento fereldiano”
Non potevano essere tutte coincidenze, era incredibile, ma stava proprio parlando di me. Ecco perché avevo avuto la sensazione di averlo già visto da qualche parte quando ci eravamo incontrati.
 “Dunque questo è tutto ciò che so di lei. Della ragazzina sconosciuta che oggi sarà diventata una donna. E così sono partito. So che è sciocco da parte mia credere di poterla ritrovare, non so dove si trovi e probabilmente non vive nemmeno qui, potrebbe trovarsi in Orlais o ancor più probabilmente quell’uomo al mercato si è sbagliato. Eppure essere nel Ferelden mi fa sentire più vicino a lei, al pensiero che forse un giorno la rincontrerò. Io… vorrei dirle grazie per aver mostrato pietà nei confronti di mio fratello… grazie perché nei suoi occhi ho visto il suo animo gentile e questo è stato un pensiero che mi ha dato molta forza, sapere che esistono ancora persone capaci dei sentimenti più puri mi ha aiutato più di quanto si possa credere”
Quanto si sbagliava.
Non ero gentile, non ero pura, ero solo un’egoista come tanti. Avrei potuto aiutare davvero suo fratello, avrei potuto guarirlo se solo mi fossi avvicinata in tempo, ma non l’avevo fatto. E sapevo che era stato meglio per me non averlo fatto, ma quanta sofferenza avevo causato?
Non potevo restare ancora lì ad ascoltare, a sostenere il suo sguardo, mi vergognavo. Poco prima aveva visto il mio lato peggiore, un lato che nemmeno sapevo di avere, mi aveva vista in preda a una spietata furia omicida e non aveva battuto ciglio, mi era stato accanto e mi aveva aiutata a calmarmi. Anche adesso mi aveva consolata, leggendomi dentro, capendo perfettamente il mio stato d’animo.
Non potevo dirgli la verità. Non potevo confessargli che quella ragazzina ero io, che avevo abbandonato suo fratello al suo destino e che adesso mi sentivo meschina e traditrice.
Gi restituii il telo umido.
“Adesso è meglio che vada a stendermi un po’, sono stanca” dissi tutto d’un fiato, mentre mi alzavo.
Mi sentii afferrare il polso.
“Aspetta!”
Deleric aveva un’espressione affranta, come se fosse lui a sentirsi in colpa per qualcosa.
“Andraste, non credevo che avrei mai più visto occhi meravigliosi come quelli della ragazzina di cui ti ho parlato. Ma poi ho visto i tuoi. Sono così simili! Dentro leggo lo stesso… amore”
Mi tirò a sé. Prese il mio viso tra le mani. Poi mi baciò.
 
 
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“Ha la febbre alta, ma si riprenderà”
La guardiana Dalish rassicurò l’elfo sulle condizioni della sua regina. Zevran non si era staccato nemmeno per un momento dal suo capezzale, in quella tenda buia. Non si erano mai mossi di lì, l’umana era caduta quasi subito in un sonno profondo, dettato dalla malattia. Il suo accompagnatore vegliava su di lei da ore, senza osare allontanarsi, quindi Lanaya pensò di portargli un pasto caldo.
Lanaya era un’amica, conosceva bene Zevran e conosceva Lavriella. Gli elfi li avevano aiutati a fermare il flagello, ma in cambio loro avevano liberato per sempre la foresta dalla maledizione di Zanne Lucenti.
Da allora i rapporti con i sovrani del Ferelden non si erano mai interrotti e i Dalish, sebbene sempre isolati nella foresta e lontani dall’artificio dell’uomo, erano meno diffidenti verso gli shem-len e in generale verso gli estranei al clan. Lanaya era saggia, aperta, e non fomentava odio e vecchi rancori, piuttosto aiutava a superarli.
Era strano comunque avere degli ospiti, soprattutto umani, ancora più strano era stato ricevere contemporaneamente altre visite inaspettate.
Non era la prima volta che i Dalish avevano a che fare con Isabela, stavolta però si era portata dietro un’altra donna. Garantiva per lei e gli elfi si fidavano della piratessa, la conoscevano e sapevano che era un’amica del mago che si nascondeva nelle rovine, inoltre non aveva mai portato guai nonostante fosse il tipo da attirarne parecchi. Lanaya si augurava che non fosse quella la prima volta, ma guardando negli occhi azzurri della nuova arrivata, potè leggere tutta la sofferenza che vi si nascondeva. Era una donna che aveva bisogno di pace, sollievo dal suo tormento.
Le avrebbe fatto bene stare un po’ di tempo all’accampamento. La foresta sapeva, la foresta sentiva. C’era uno spirito in pena, avrebbe trovato conforto nel rumore del vento tra le foglie, nell’odore della pioggia.
Si preparava un altro temporale.
“Resto con te ancora un po’, dopotutto mi fa bene riposarmi, stanotte l’abbiamo passata in bianco” annunciò Isabela, quando Hawke si sistemò nella sua piccola tenda.
“Ma non avevi fretta di andare via?” le chiese l’amica.
“Vero, ma posso permettermi di tardare un poco”
Hawke sorrise. Era la solita incostante Isabela.
Le due donne non avevano parlato con nessuno tranne che con la guardiana. La piratessa si era limitata a salutare con un sorrisetto malizioso e un cenno della mano un giovane elfo che sembrava avere un debole per lei (almeno a giudicare da come la guardava quelle rare volte che passava di lì), ma che era troppo timido per farsi avanti. Era meglio così, in fondo Isabela non voleva approfittare troppo dell’ospitalità dei Dalish, non fino a quel punto. Aveva promesso ad Anders di comportarsi bene.
Sì addormentò quasi subito accanto a Liraya, che non riuscì comunque a chiudere occhio. Quando il sonno la sopraffece il sole era ormai alto nel cielo e le nuvole si apprestavano a scaricare il loro ingombrante fardello.
  
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