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Autore: Urheber des Bosen    07/11/2013    1 recensioni
Uno può finire poeta o pazzo, profeta o delinquente, solo o innamorato, non è affar suo, e in fin dei conti è indifferente.
Il problema è realizzare il proprio destino, non un destino qualunque, e viverlo tutto, fino in fondo dentro di sé.
Il problema è quando quello stesso fato t'impedisce di compiere il tuo destino.
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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Naruto dall'alto del suo grigio palazzo, nella povertà del suo quartiere a volte dimenticava il luogo dove si trovava e aveva la presunzione di guardare le stelle.
Ma in quella città non si vedevano i piccoli squarci di paradiso, forse erano scomparsi, in mancanza di qualcuno che l'ammirasse.
Sua madre glielo ripeteva spesso:" indiferent de ceea ce ar putea apărea ochii tăi, pentru că imensitatea ochii tăi albaștri nu vor fi întotdeauna la mare, închideți ochii și visez îngerul meu". Era l'unico dei figli che aveva ancora voglia di sentire la madre parlare nella loro lingua madre, quel suono, troppo forte per qualcuno gli riscaldava il cuore, riportandolo in una terra selvaggia.
Gli altri lo consideravano una perdita di tempo, come tutte le cose che faceva quel ragazzo troppo biondo e spesso lo rimproveravano, criticandogli il fatto di far soffrire la madre di nostalgia, ma Naruto sapeva che non era così , lui, come la sua mamă non avevano dimenticato quel lontano posto chiamato casa.
Almeno nella povertà della loro vecchia dimora si vedevano le stelle. Forse era vero, erano nel luogo sbagliato al momento sbagliato e per questo si sentivano infelici in quell'evoluta città.
Vedeva la sofferenza negli occhi dell'amica ,quando usciva di casa per recarsi nelle case delle ricche signore che consideravano la sua umiliazione motivo di vanto.
Avevano gli stessi occhi, lo dicevano tutti, spesso con tono disgustato;ricordava che quand'era piccolo era una tortura andare a scuola, in quell'ambiente tutti lo deridevano perchè non conosceva la lingua, le abitudini, si sentiva diverso, un alieno catapultato in un brutto mondo.
In quel periodo l'unica gioia era tornare a casa ed avere la possibilità di ascoltare una storia, in quei momenti quel monotono quartiere diveniva una foresta, i randagi meravigliose creature e suoi fratelli le orribili creature oscure.
Poi la storia finiva, ma Naruto non tornava.
Era andato in un posto migliore e sopratutto lontano, ma poi si è costretti a ritornare.
Un giorno la sua racconta storie si era ammalata, ma fino all'ultimo, guardando il disgusto negli occhi dei suoi stessi figli non cambiò sguardo e cercò le stelle; in quel momento le trovò, erano comparse solo per lei, Naruto lo sapeva perchè aveva riso.
Ed ecco che nella solitudine di quei momenti avrebbe voluto trovarsi altrove, ma senza di lei era quasi sempre impossibile.
Le creature oscure erano più forti, riuscivano ogni volta a distruggerlo con frasi amare.
Perchè amici, la nostra lingua è un miracolo, Naruto si chiedeva come potevano le stesse lettere creare bellezze infinite ed atrocità.
Aveva paura, aveva il terrore ma stava crescendo e aveva dovuto imparare ad andare avanti, tanto alla fine nessuno si sarebbe accorto di lui nella tristezza. Ed allora accantonava la voglia di sparire, a volte metteva da parte la rabbia e cercava la felicità, tuttavia la logica non basta, era un ragazzo, un uomo e quando lo ricordava l'angoscia lo strangolava, come se volesse far uscire da quell'esser ogni frammento di vita, ma Naruto non piangeva.
Quel giovane troppo chiaro, si rendeva conto che nessuno in quella casa si sarebbe accorto delle sue lacrime e quindi aspettava.
Ad un tratto, nell'immensità di quel buio si sentì stupido, quella sera non avrebbe di certo visto le stelle e visto che l'indomani sarebbe dovuto andare a scuola, sarebbe stato meglio andare a far finta di dormire. Perchè il giovane non dormiva e splendide occhiaie rigavano il suo viso, tanto per farlo sembrare ancora più sbandato e misero, questo lo sapeva bene, aveva il privilegio di ascoltare la stessa frase ogni giorno al levar del sole.
"Ne vedem mâine, mama"

... Sasuke era annoiato, aveva da poco finito il suo ultimo libro e immerso nei suoi pensieri, quel giorno si era dimenticato di comprarne un altro. Il giovane non andava mai in biblioteca, a suo parere un libro per essere goduto dev'essere del lettore, questo deve diventare quotidianità e una volta finito dev'essere in alto nel suo scaffale a ricordare i suoi insegnamenti.
Questa volta tra le sue delicate mani erano capitate le vecchie lettere di Leopardi.
Nell'ultima lettera il letterato descriveva la madre, quest'ultima era una donna plagiata dalla religione, un essere che aveva dimenticato persino di piangere alla morte dei figli, credeva in una ragione divina ma, nel farlo aveva scordato la sua umanità. Era un essere drogato di danaro, così impegnato nella ricerca disperata del risparmio che aveva perso la vera Ragione. A pensarci bene Sasuke in questa descrizione aveva visto più volte gli occhi della madre.
A volte, si ritrovava a pensare che forse era meno peggio quell'ingombrante figura che gli faceva da padre, nella sua semplicità ed ignoranza almeno fingeva d'interessarsi a lui.
In fin dei conti aveva anche un lato positivo, infatti quando era piccolo l'inetto aveva fatto costruire una biblioteca sul secondo piano dell'enorme casa, era grande e conteneva una quantità spropositata di volumi, tuttavia la maggioranza erano già stati letti dall'annoiato ragazzo e i restanti erano stati scritti dal padre o dai suoi stupidi studenti.
Quindi, con questa consapevolezza sulle spalle si ritrovava su un balcone troppo grande, in una villa vuota con lo sguardo perso nel vuoto, forse in cerca di qualcosa.
Tuttavia anche se la notte era scesa da molto, Sasuke non sarebbe andato a letto, odiava sprecare la serenità della sera, anche se il giorno dopo sarebbe dovuto andare in quell'odioso e puzzolente luogo che si ostinavano a chiamare scuola; il giovane aveva più volte cercato di spiegare che le vere scuole non esistevano più, si erano estinte nel medioevo, quando era stato impedito agli studenti di scegliere il proprio insegnante, ma come al solito nessuno aveva capito e si erano limitati a guardarlo con fare stupido.
Quindi, quella sera sarebbe rimasto sveglio a fare il niente,tanto sul suo viso perfetto non si riusciva a leggere nulla, neanche la stanchezza dei suoi occhi.
  
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