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Autore: Helmyra    07/11/2013    1 recensioni
[TES Morrowind] “Sarò chiaro sin da subito, donna. Se preferisci sentirti tale, dato che indossi abiti maschili... ti tocca fare il callo a molte cose, il tuo nome sarà il male minore. Capisci cosa intendo?”
“Sì.” Rispose, con le mani che le prudevano per la rabbia.
“Purtroppo, ti ritrovi a pagare gli errori di un'altra persona. Ed io ho una reputazione da mantenere, giochiamo a carte scoperte, in modo da venirci incontro. Il nome è un male minore: dovrai mentire, rubare, uccidere. Fare il lavoro sporco, ciò che i tuoi superiori definiscono gavetta. Il labirinto in cui ti stai addentrando ti potrebbe portar via il senno. Sei un'elfa spensierata, anche se hai l'età per metter su famiglia: ti fingi adulta, ti fingi uomo. Sai mentire, bene. È un passo avanti.”
Aryon, il più giovane consigliere Telvanni, si ritrova contro l'intero concilio e una nuova, maldestra assistente da addestrare. Ma non tutto il male viene per nuocere...
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Lamenti il fatto che non comprendono, Aryon. E ancora una volta, ti concedo un'unica risposta: parli la loro lingua? Può darsi che tu abbia sfoggiato una forma impeccabile, il tono più consono, i ragionamenti più brillanti ed arzigogolati. Il tuo punto di vista, però, è lontano quanto Masser e Secunda lo sono da Tamriel. Ti scrutano dabbasso, osservando ogni nube che ti solletica il pallido volto, benché poi siano risoluti nel constatare la tua palese irraggiungibilità. Non chieder loro di attraversare gli spazi siderali e venirti incontro attraverso l'Ethereus. Quantomeno, dovresti esser tu ad illuminarli di bianca luce, facendo splender così degli intelletti del tutto smorti. Sono avvezzi alle vecchie vie, non aspettarti che diventino ciò che non sanno essere.”

Aryon ascoltò senza batter ciglio il consiglio del maestro, incerto se stesse ingoiando un'amara verità o se fosse una selce appuntita a trapassargli l'esofago. Per un attimo tornò ad essere l'apprendista impacciato con ancora molto da imparare: in un angolo appartato del piccolo studio, simile ad una nicchia o a un rifugio per volatili delle scarpate, Galos Mathendis assisteva a quella disfatta verbale, pietrificato. Il giovane ministro portò una mano alle tempie, e notò con disappunto che erano appena umide di sudore.

“Quindi... deduco che non appoggerete il progetto di fronte al Concilio. E che, nonostante ciò, non abbiate motivo per astenervi dal...”

“L'unica cosa dalla quale giammai mi asterrei, ragazzo mio, è un bel paio di gambe o dei fianchi prosperosi. È finito il tempo in cui ero il tuo mentore, la cura alle insicurezze, il risolutore di ogni dilemma. Sei talmente convinto di ciò che pensi? Ritieni che sia opportuno portare avanti questa... coesistenza con l'Impero e le altre casate? Bene, datti da fare. Sei stato educato come un Telvanni, e i Telvanni non chiedono gentilmente, agiscono. Non siedono e aspettano, ma lottano per ottenere ciò che desiderano. Non mi aspetto meno da te, hai conseguito un ruolo importante... è ora che cominci a camminare con le tue gambe. Basta con questi giochetti: la farai a qualcun altro, non a me.”

Una pessima figura, proprio davanti al proprio portavoce. Era rimasto l'unico a trattarlo come un moccioso, persino gli altri Consiglieri avevano accettato l'idea di riservagli maggiore deferenza.

Ah, che i Daedra ti portino via; avrebbe risposto... piuttosto che accettare un'amara ramanzina con aria corrucciata.

Si girò di scatto per librarsi giù, verso il corridoio del piano inferiore. Il maestro, alquanto contrariato, alzò una mano per fermarlo... ma non insisté nel trattenerlo più di tanto.

“E... e tu dove vai? Mi lasci così? Come ragazzini boriosi vi offendete se uno stregone più esperto tenta di ammonirvi su ciò che va fatto. Pure tu, fermati, dico!”

“Sono costernato, Maestro,” si scusò Galos, curvandosi in un inchino frettoloso, “se il padrone va, devo seguirlo. Vi auguro di passare una buona giornata, come sempre in buona compagnia.”

“Ah, maledetto, stammi a sentire! Ti ingiungo di restare!” Lampi e fulmini si propagarono per le pareti della stanza, imprigionando i presenti in una gabbia sibilante. Aryon si voltò indietro, a bocca aperta: Divayth gli riservò una risata divertita, sollevandosi da terra come sospinto da un vento di tempesta.

“Le maniere forti, ecco quello che ci vuole. Ti ho viziato, anzi... di svaghi te ne avrei concessi fin troppi; se non fossi così timido, a modo, riservato. Reclami favori e mi offendi nella mia stessa dimora, disdegni i consigli e il calore che le ragazze possono donarti...”

“Oh, ancora.” Aryon era stanco di quella storia. Erano anni che lo spronava a farlo. “Non avrò parte nell'esperimento, se è questo che intendete. So benissimo cosa desiderate, qualcuno che provi ad ingravidare quelle quattro fanciulle che chiamate figlie per comprendere se siano vive... come le altre. Girerebbero cattive voci sul mio conto, già mi è stato riferito che sono uno sbarbatello senza palle...”

“Ah, a quanto pare Neloth non ha perso tempo.” Sorrise Divayth, sedendosi a mezz'aria e ponendo una mano sotto al mento, “Non angustiarti, Aryon... è solo perché non ti divertono i soliti giochetti. C'è chi le figlie se le crea, chi ama rapire belle figliole. Sostiene che quando non sono consenzienti è più divertente. Io lavoro per la scienza, lui pure... solo che predilige anche altri aspetti. L'ossessione di provare un incantesimo su quella giovane Redoran, mi ha scritto, lo ha ispirato all'atto. Presumo che anni or sono Therana avesse pronunciato parole simili, prima che l'ossessione avesse la meglio su di lei.”

“Non fingete innocenza, so che entrambi siete in buoni termini.” Rispose con calma Aryon, lisciando le pieghe sulla veste cangiante. “Ammettete a voi stessi che le persone sono differenti, che i tempi cambiano. Appartenete alla vecchia scuola: siete talmente concentrati sui vostri studi da non comprendere quello che accade al di fuori delle torri. Isolatemi, certo; non piangete però se qualcuno decide di averne avuto abbastanza e si mette in testa di assassinarvi. Hlaalu, Indoril e Redoran sono stanche di tale atteggiamento, avremmo maggior successo con le negoziazioni e meno...”

“Forse sono un fallito come maestro.” Commentò Divayth, in una smorfia rassegnata. “Sei intelligente, Aryon, eppure ti perdi con facilità; quasi quanto un groviglio di alghe che galleggia senza meta verso il mare aperto. Ho investito anni di insegnamento su di te; provaci, allora. Valuterò una possibile presenza nel Concilio, casomai le cose si mettessero male. Non contarci, però. Ho vissuto a lungo e ho servito Telvanni con orgoglio... se l'ho fatto, tuttavia, è solo per preservare una certa indipendenza.”

“È l'essenza della casata... vivere al massimo, incuranti del resto.” Gli rispose, sistemando il pugnale daedrico alla cintura e stringendo bene le fibbie. “Per me siete come un padre: mi duole disturbarvi per queste faccende, ma ho a cuore anche il vostro benessere. Non m'importa molto degli altri, vorrei solo...”

“Ah, il tuo lato sensibile emerge... male.” Sorrise ancora, stavolta con benevolenza. “Ti sono grato per la considerazione, ma non ne ho affatto bisogno. Rifletti sul tuo lavoro, scrivimi una lettera in codice qualora non riuscissi a venirne fuori. Farò in modo... che nessuno ti danneggi.”

“Vi ringrazio.” Volle inchinarsi, poi si rese conto che sarebbe stato inopportuno. Non era più un ragazzino, o lo studentello in perenne debito morale. Ritenersi pari ad uno degli stregoni più anziani, potenti e stimati dell'intera casata lo riempiva d'orgoglio e lo sgomentava. Giorno dopo giorno meditava sulla reale importanza degli obiettivi che aveva conseguito... e quando l'ottimismo era dalla sua parte, si consolava al pensiero di esser destinato a nuovi traguardi.

Stava per riprendere la strada verso il molo, ma fu distratto ancora una volta dalla risata profonda e gutturale del maestro. Si chiese, allora, quale raccomandazione intendeva elargirgli; in modo da mettere a tacere le perplessità che lo tormentavano, i dubbi celati in certe affermazioni.

“Non temere, mai mi hai deluso, ragazzo mio.” Era come se potesse leggergli nel pensiero. “Stento ad immaginare ciò di cui sei capace, quando metti in moto il tuo lato oscuro. Non mi dispiace affatto questa finta modestia, soprattutto se la norma è lanciare aperte provocazioni e vantare conquiste su conquiste. Chissà se sarai tu a mettermi sottoterra! Per fortuna, la tua lealtà mi rincuora: la famiglia innanzitutto, vero? Vediamo che stratagemma escogiterai per liberarti degli ostacoli ed ottenere lo scopo. Sarai anche il più giovane... ma di sicuro sei il più subdolo.”

Aryon sbiancò, colpito da tanto cinismo. Era questo che pensava di lui?

Aveva fatto la figura dello sciocco, come sempre.

Gli rese omaggio, chinando il capo; poi mosse un passo e fluttuò via.

Rimpiangeva di non vivere su un'isola come Tel Fyr. Ricordava con malinconia i lussureggianti tramonti sul mare dell'est, le canne di marshmerrow che catturavano i raggi del sole... un'enorme sfera di fuoco, e gli ultimi giochi della giornata con le figlie di Divayth. Gothren l'aveva relegato di proposito verso il continente, con l'intento di allontanarlo da Sadrith Mora e rendergli difficili gli spostamenti. Non aveva messo in conto, però, che avrebbe sfruttato al massimo la distanza per agire con maggiore autonomia. Teletrasportarsi, o viaggiare via nave, non gli era gravoso. Quanto a diplomazia e buona disposizione nei confronti degli stranieri, invece, era di sicuro in netto vantaggio.

Galos sfilò la corda dall'anello metallico fissato al palo, un appiglio di fortuna per le poche imbarcazioni di ventura nei paraggi. Nel fare ciò appariva distratto, intento a combattere con se stesso una guerra di logoramento. Tenne ferma la barchetta con una mano e invitò il giovane padrone a bordo: una volta su, scostò la prua dalla piattaforma in legno, prendendo il largo.

“Cosa c'è che ti preoccupa?” Provò a domandare Aryon.

“Oh, padrone... niente di particolare.” La sua fronte era solcata da leggere rughe e contratta dallo sforzo. Fugò via ogni apprensione rivolgendogli un sorriso spento.

“Qualcosa ti turba.” Insisté, nella speranza di comprendere il suo stato d'animo.

“Si tratta del mio futuro,” iniziò a raccontare Galos, a voce tremante, “negli ultimi mesi molte cose sono cambiate. Credevo che la vita non mi lasciasse alternative, dopo anni trascorsi nelle stesse attività. Alzi lo sguardo, all'improvviso appare una stella ad illuminare la strada. Ti chiedi se stai seguendo il percorso giusto... per poi scoprire che, invero, non importa molto. La stella brilla imperterrita, diviene un sole splendente, a lei solo sei devoto. Il viaggio non finirà mai, ma essa è sempre lì, ferma in cielo. La ammiri, e ti senti infallibile... pronto al rischio.”

“Da quanto tempo avevi intenzione di mettermene al corrente?” Aryon udì il legno sussultare contro le vivaci onde e ogni certezza sgretolarsi sotto i piedi.

“Mesi, ormai. Da quando sono partito in missione verso Tel Branora, a reclamare per voi i tesori di un folle negromante. Dopo aver portato a termine il compito mi sono avviato verso la città, sfruttando l'ultima scintilla di vigore rimanente. Ero ferito: il duello col mago mi aveva prosciugato le forze e l'intera scorta di pozioni. Quando è accaduto, le lune erano alte in cielo: mi ero rassegnato a vagare per le strade, un aiuto tardava a giungere. Ah, quanto può essere diffidente la gente! Una sbirciata furtiva attraverso la porta socchiusa, e via a dormire, a bere... a fare chissà cosa, per gli dei! Non tolleravo più il dolore e finii a terra, stremato. Fui sollevato da quattro braccia che mi reggevano incerte, non abituate magari al peso di un elfo adulto. Mi adagiarono su un tappeto di canapa, percepii solo le rozze fibre del tessuto che mi tormentavano la schiena escoriata... ma fu il lento fluire di un fragrante unguento a donarmi pace. Aprii gli occhi per un istante, e scorsi il volto di chi mi aveva salvato: lineamenti raffinati ed abiti dall'aspetto comune. La residenza di quelle anime gentili era confortevole ed essenziale: la maggiore delle due elfe, una guaritrice, mi era rimasta accanto durante l'intera convalescenza.”

“Per superare il primo imbarazzo, avete cominciato a parlare...” suppose Aryon, guardando in basso, “e giorno dopo giorno, il legame si è solidificato. Avete scoperto di condividere tante, troppe cose. Presumo che adesso chiederai le dimissioni, affinché tu possa continuare la tua ricerca in modo indipendente.”

Pronunciò quella frase come se fosse la ricetta di un preparato alchemico, senza la minima emozione. Non gli interessava cosa avesse fatto Galos nel frattempo, eppure... bruciava perdere un fidato servitore e un'ottima spia, tutto per una sciocca vicenda personale.

L'altro annuì, continuando a remare.

“Ti dirò, non lo ritengo opportuno, vista la situazione politica attuale.” E si impegnò a mantenere un tono sereno e comprensivo; “Potrei impormi, ma non deciderò per te. Ti fa sentire meglio? Allora vai, non rimpiangere nulla. Ti sono riconoscente per il lavoro svolto finora, buona fortuna.”

Galos ringraziò, abbassando il capo. La chiglia della barchetta fendeva le onde e li conduceva verso il più importante avamposto Telvanni a Vvardenfell: un insieme di case-fungo, alimentate dal potere delle gemme d'anima e plasmate da abili stregoni. In cima ad un basso colle si ergeva Tel Naga, la dimora di Neloth. Il buonsenso gli suggeriva di far visita al rivale, ma l'umore non gli consentiva di salvare le apparenze: un pomeriggio maledetto, che gli avrebbe attirato ulteriori fastidi.

“Ho predisposto la partenza dell'Elf Skerring in modo che solo voi saliate a bordo della nave.” Gli comunicò l'altro, ancora costernato, “A Vos troverete una pattuglia di guardie che vi scorterà alla torre. È il minimo che possa fare, siete stato una guida eccellente. Resterò a Sadrith Mora finché non giungerà un allievo promettente, pronto a sostituirmi. Vi risparmierò tempo prezioso, occupandomi in prima persona della scrematura. Chissà se un candidato con un talento più brillante non sia fondamentale per risolvere i contenziosi con gli altri Ministri.”

“Preferisco un amico di vecchia data ad uno stregone sul piede di guerra. Cerco un confidente, non un cortigiano che assecondi i deliri di onnipotenza del suo signore.” Sbuffò, balzando giù dalla navetta con un'agilità insolita per chi trascorreva la maggior parte del tempo recluso in una torre. “Se ci ripensi, sarà come se questa conversazione non fosse mai avvenuta. Ma se insisti, farò costruire uno studio lungo le montagne centrali delle Grazelands, dove nessuno potrà disturbarti...”

“Padrone, sto invecchiando.” Lo interruppe, con fare benevolo. “Non sono più un ragazzo. Desidero avere un rifugio, una famiglia per gli anni a venire. Ho assistito alla vostra ascesa, ai vostri trionfi... per questo ritengo sia l'ora di farmi da parte. Non è saggio continuare a farvi da consigliere. Anzi, se permettete... l'ultimo suggerimento che vorrei offrirvi, e che non siete affatto obbligato a mettere in pratica, è quello di affidarvi ad una persona altrettanto giovane. Magari, persino più di voi. Entusiasmo... quello che manca a Telvanni, coinvolta solo in inutili faide. Potrebbe essere un punto di svolta, quando la saggezza porta a temporeggiare.”

“Ne terrò conto,” rispose, alquanto perplesso. “Sebbene ora sia difficile fare altrimenti.”

Galos non rispose: si curvò in una profonda riverenza ed imboccò il canaletto verso il centro della città. Quando la sua figura scomparve tra le prime ombre del crepuscolo, Aryon voltò le spalle alle alte corolle, alle torce ardenti lungo la strada che conduceva al forte, dirigendosi subito alla nave. Il mare era uno specchio placido che rifletteva il cielo notturno, rivelando al di sotto un manto blu lapislazzuli in frenetica attività. Alghe danzanti, gusci d'ostrica bianchi come ossa sbiadite, banchi di pesci curiosi che sfioravano con le pinne le fiancate, per poi sgattaiolare via, verso gli abissi più oscuri... Galos lo aveva convinto a viaggiare via nave, senza ricorrere alle formule di teletrasporto.

Anche lui pensa che io abbia bisogno di svagarmi, meditava tra sé, osservando le due lune che si arrampicavano alte in cielo. L'unica comodità di quell'imbarcazione erosa dalla salsedine e battuta dal vento era una piccola cabina, messa a disposizione dei passeggeri durante le traversate. Aryon si affacciò alla balaustra, convenendo con se stesso che non era poi così male sentire il vento che gli scompigliava i capelli; gioire dell'aria fresca, cristallina. Rimpiangeva giorni e giorni passati nella torre, su ribollenti elisir e trattati di magia, mentre la natura aveva ben altro da offrirgli.

Il timoniere gli si avvicinò a capo scoperto, tenendo tra le mani un rozzo cappello di tela.

“Signore, farò salpare la nave quando voi lo desiderate.” Disse l'anziano dunmer, anche lui in un breve inchino: un'ottima cura per la mancanza di autostima, almeno all'inizio. Col passar del tempo, invece, trovava imbarazzante sottoporsi ai rituali dell'etichetta.

Aryon tranquillizzò il vecchio con un fugace sorriso e gli ordinò di partire. Mentre lasciavano il porto fissò gli occhi all'orizzonte, oltre la distesa di isolotti che racchiudevano Sadrith Mora nel loro scrigno. Aveva la possibilità di farlo, se solo avesse voluto... viaggiare, andare lontano; vedere Morrowind ed accantonare i libri in un angolo. Aprire una vera finestra sul mondo, anziché accontentarsi delle testimonianze di chissà quale stregone errante, lette di notte e a lume di candela nel periodo d'apprendistato. Un impeto di libertà che richiamava numerosi doveri: la delega a un funzionario fidato del comando, la gestione di Tel Vos, i rapporti con gli altri Ministri...

Sospirò, frustrato. I veri schiavi del potere non erano i sottoposti, i lavoratori che ogni sera facevano ritorno alle loro case, ma i signori rassegnati a vivere in una prigione dorata; o i maghi soggiogati dal proprio spirito di rivalsa nei confronti degli avversari. Nobili esaltati, quelli che si consideravano inferiori solo agli Dei...

La traversata non fu breve: Aryon abbandonò a malincuore la vista del panorama per concentrarsi sullo studio di un progetto Dwemer che Galos aveva preso in prestito da Neloth. Come al solito, tante chiacchiere e poca sostanza: non differiva in nulla e per nulla dagli esemplari presenti nel suo piccolo museo.

A parte alcune irrilevanti modifiche, beninteso. Aveva corso inutili rischi per recuperare uno dei reperti più comuni. Una trappola del ministro, forse? Continuava a chiederselo, nel frattempo avrebbe riposto l'antica pergamena in un cassetto e dimenticato l'intera faccenda.

Turedus era ad attenderlo al porto, assieme a poche guardie. Approdò a Vos nel bel mezzo della notte, il momento migliore per passare inosservati: ordinò ai militari di accompagnarlo a Tel Vos, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno. Desiderava raggiungere la torre al più presto, indossare la veste da camera e rimanere lì, solo, a meditare sull'immediato futuro.

Si librò in aria, voltando le spalle al compagno che frugava nella bisaccia, alla ricerca di una pergamena di levitazione. Turedus era un'ottima guardia del corpo, ma considerava la sua conoscenza approssimativa della magia abbastanza snervante. In certi casi, però, una buona spada batteva in efficacia un incantesimo sussurrato, soprattutto per dirimere certe contese: ecco perché non riusciva a farne a meno.

Salì le scale a passi veloci, impazienti: non aveva fatto altro durante quella forzata lontananza, se non agognare la scrivania stracolma di appunti e pergamene, i libri sugli sgabelli e nei bauli; ma soprattutto la quiete; la sensazione di sentirsi a suo agio, al sicuro, tra le mura della torre. Una parte di sé desiderava fuggire, l'altra di rimanere dove stava bene... Vvanderfell era vasta, talmente tanto da intimorirlo. La sua stanza, il suo mondo, lo accoglievano come la più chiassosa delle taverne. Gli sovvennero le parole di Galos riguardo ciò che consideravano un “rifugio”... E le insinuazioni non molto velate di Neloth.

Quante contraddizioni... e sentimenti contrastanti. Ambire a ciò che è fuori dalla propria portata, o che appare tale, una cosa talmente naturale... o senza speranza, più che altro.

Si gettò sul letto, rigirandosi una volta, e un'altra ancora. Quando chiudeva gli occhi, parole e immagini risonavano nella mente, come rinchiuse in una caverna senza via d'uscita. Provava a scacciarle, e queste tornavano più vigorose e pervicaci... per portarlo via con loro.

Ne ebbe abbastanza, paure e preoccupazioni gli negavano persino il riposo notturno. Anzi, non attendevano altro che rimanesse in solitudine, pronte per renderlo definitivamente folle.

Si ritrovò seduto sul materasso, con la mano destra in cerca della lampada ad olio, la sinistra artigliata sul lenzuolo stropicciato. Una notte insonne, proprio quello che ci voleva...

Le guardie finsero di non notarlo, mentre spalancava il portone della torre per calarsi lentamente giù, verso il corridoio del vecchio forte imperiale comunicante con il museo. Entrò all'interno della sala con l'incertezza di un ladruncolo alle prime armi, ma il centurione Dwemer lo accolse sulla soglia sprizzando gioia... o meglio, vapore, da ogni singola giuntura.

“Ehilà, chi si vede!” Esclamò allegro Aryon, passeggiando lungo i tavoli espositivi con al seguito una compagnia davvero insolita.

“Ci credi? Ho spedito il mio servitore in una missione che definirei suicida per rimediare uno straccio di pergamena. Niente di esaltante. Quanti ospiti ti hanno fatto visita, invece?”

L'automa Dwemer emise un rumore metallico, continuando a camminargli dietro con diligenza.

“Mm, giusto un paio, vero? I guardiani della sala non sono di molte parole. Credo che ti sorveglino in continuazione, affinché tu non prenda l'iniziativa e faccia mosse strane. Ti trattano come un oggetto troppo prezioso, temono per la tua incolumità. In tutta franchezza, sei capace di difenderti alla grande, però... non comprendono, perché ti reputano importante. Più di quanto tu ti ritenga tale. No, è quel che penso, sul serio. Spesso provo la stessa impressione, sai?”

Era impazzito, se cercava conforto in un oggetto privo d'anima. Non sarebbe stato né il primo né l'ultimo della casata, a scambiare qualche parola con evocazioni, esseri artificiali o... amici immaginari?

“Ti confesso una cosa, mi sento solo. Gli alleati prendono le distanze, uno ad uno, e la lotta contro il Concilio è resa dura da queste defezioni. I miei rivali si rafforzano... ed io sono qui, a rivolgerti la parola come uno stolto. Be', almeno non fai storie quando m'ascolti... secondo te, la sorte mi è favorevole, oppure non ho scelta... sono ormai solo?”

Il centurione scosse la testa, accasciandosi subito dopo sul pavimento, a corto di energie. Aryon scrollò le spalle, indietreggiò di qualche passo per poi tornare a dirigersi verso la porta, rammaricato.

“Un gesto conta più di molte parole, eh? Va bene, i discorsi campati in aria annoiano. Ti farò un favore e tornerò nelle mie stanze... buonanotte.”

Il tenue borbottio del soldato corazzato fu smorzato dalla porta che si chiudeva, e su cui reclinò la schiena, riluttante a far ritorno alla torre.

Sono solo, solo. Il presentimento si era avverato, alla fine. Avrebbe escogitato un modo per cavarsela, nonostante le spiacevoli notizie... e due persone care che lo avevano abbandonato a se stesso.

Cammina con le tue gambe. I Telvanni non chiedono gentilmente, agiscono. Hai conseguito un ruolo importante... Sei il più subdolo...

Anche Divayth Fyr avrebbe smentito certe affermazioni, se l'avesse visto proprio in quell'istante...

Mai mi hai deluso, ragazzo mio.

Gli aveva lanciato una sfida. Forse era giunta l'ora di mettere da parte i giochi, di dimostrare il proprio valore. Pazienza, il fulcro del piano... un nuovo servitore l'avrebbe trovato di sicuro. Bastava solo stare all'erta e saper attendere...

...Qualcuno disposto a dare la vita, pur di salvare la sua. Oh, che cosa nobile...

Rise, per quanto gli sembrò ardito il piano, disperata la situazione ed inarrivabile lo scopo principale.

Già, attendere...
 



 

Ho cominciato a scrivere una nuova storia. Come al solito, non riesco a concentrarmi su un'unica trama. E ho notato che in questa sezione non sono presenti molte storie su Morrowind. :( Sì, ci sono valide motivazioni: il gioco è vecchio, ormai per essere godibile e "moderno" ha bisogno di essere moddato abbestia, ma rimane sempre uno dei miei preferiti. Perché? Morrowind brulica di elfi oscuri... e gli elfi oscuri sono la mia razza preferita.
Be', andiamo al sodo con alcune precisazioni: a volte sostituisco la parola "Bocca" (Mouth) con "portavoce". In una storia in italiano, purtroppo, sembra che suoni meglio... almeno per me.
Il ministro Aryon è uno dei protagonisti principali della storia: sia lo scenario desolato di Vos che le chiacchiere degli altri Telvanni nel videogioco mi hanno spinta a creare un personaggio più riservato. Pensate ad una persona studiosa, introversa, che preferisce la compagnia dei libri per trascorrere qualche ora libera. O magari, il nerd che condivide i suoi interessi con una ristretta cerchia di amici. Ecco, avete capito il tipo. ;)
So che molti non amano le storie di magia, ma continuerò a scrivere comunque per piacere personale.
Alla prossima! :)


 

  
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