Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: esse198    07/11/2013    1 recensioni
"Era la persona più normale che potesse esistere al mondo, quelle poche passioni che aveva, le coltivava in modo molto discreto trattandosi di musica e della lettura di qualche romanzo e di qualche fumetto. Difficile suscitare l’irritazione della gente."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Epilogo
 
Una volta partita Elena, Selene decise, con un po’ di rammarico, di lasciare il lavoro in negozio. Aveva ripreso a dedicarsi con maggiore impegno all’università. Aveva ripreso gli studi con più costanza. Aveva cercato casa ed era tornata a trasferirsi presso la facoltà. Sarebbe tornata a frequentare le lezioni. Fu in una di quelle giornate piene di ore di spiegazioni che incontrò una vecchia conoscenza. L’aveva colta di sorpresa alle spalle, esordendo con una battuta ironica:
- Se vai in giro con quelle codine, dovrai faticare per farti passare per ventenne…
La ragazza, dopo un balzo di sorpresa, assorta com’era a scrivere sul suo fedele block notes, seduta su una panchina, si voltò verso quella voce e si ritrovò di fronte un ragazzo, alto, elegante e soprattutto dal volto familiare. Ma non riusciva ad identificarlo.
- Non mi riconosci? Certo, è passato un po’ di tempo…
Ma sì! Era lui! Era il Soccorritore. Quella specie di redattore, o semplicemente giornalista che le aveva dato una mano la sera della festa di compleanno del suo amico. Dopo averlo finalmente riconosciuto lo salutò ancora molto sorpresa, ma con piacere. Si instaurò un’atmosfera così familiare, come se si conoscessero da una vita, che la decisione di andare a pranzare insieme sembrò la cosa più naturale di questo mondo.
Il ragazzo spiegò la sua presenza all’università, visto che l’anno prima, quando si erano conosciuti, lui non aveva accennato nulla riguardo l’università. Disse che anche lui frequentava l’università e che gli mancavano pochi esami.
- Sono qui per noiose faccende burocratiche…
- Non frequenti le lezioni?
- No, sono fuori corso, e comunque non mi serve più.
Parlarono del più e del meno durante quel pranzo veloce. Poi uscendo dalla mensa lui osservò:
- Quando ti ho sorpreso ho notato che stavi scrivendo. Continui a farlo?
La ragazza annuì. Poi guardò il suo blocco e, come un flash, le venne in mente l’antica proposta del ragazzo di provare a scrivere per il suo giornale.
- Senti, ti va di dargli un’occhiata? È una riflessione. – lo invitò timidamente.
- Ok.
Si sedettero su una panchina all’ombra di un alto e maestoso albero.
 
“Non si muore più per un ideale.
Oggi si muore per errore.
Muori perché ti trovi nel posto sbagliato al momento sbagliato, quasi come fosse una sorta di punizione divina.
E se penso alla morte di Carlo Giuliani penso che davvero sono le istituzioni che ti ammazzano. Le istituzioni che devono imporre un ordine suscitano anarchia. Ammazzano i valori, gli ideali e i giovani fanno un sacco di cose assurde perché devono ribellarsi, ma a cosa? Sentono che qualcosa davvero non va, ma è diventato difficile individuare il nemico, il bersaglio. Contro cosa bisogna mirare? Cosa si deve contrastare? È questo sistema sbagliato, questo sistema dove ognuno pensa per sé e se qualcuno ha la capacità e il colpo di genio a trovare la strada per aiutare gli altri viene ad imporlo anche a te. Ti da i numerini magici e pronuncia la parolina maledetta: “SOLDI”.
E i soldi diventano doni, ma sono strumenti, o forse sarebbe meglio dire delle trappole.
Ho provato a immaginare un mondo senza denaro. Non ci sono riuscita. Bisognerebbe pensare che tutto ti appartiene, tutto ti è dovuto, ma nulla è per te per sempre. Dovrebbe essere un circolare continuo di beni. E come fai? Le cose che mangi sono tue, non puoi restituirle.
Bisognerebbe tornare agli inizi, all’era primitiva. Ma anche allora si lottava per avere qualcosa.
La lotta ci sarà sempre e comunque.
Ma per cosa lottare? È questo che non si capisce. C’è una tale confusione nel mondo, nelle persone. E si muore. Si muore dentro. E a volte anche fuori. In questi ultimi anni arrivano sempre più spesso notizie di suicidi avvenuti in questa piccola città. Una volta li biasimavo perché erano la manifestazione della vigliaccheria degli uomini, l’incapacità a reagire e provare a cambiare le cose. Adesso mi rendo conto che è veramente difficile vivere.
Dev’esserci un profondo, maledetto malessere in queste persone che desiderano ammazzarsi. Davvero qualcosa non va qui.
Oggi si muore per aver desiderato di esistere. Si muore perché questo mondo esige da te di emergere, te lo impone e se tu non ci riesci, se non fai qualcosa che fa parlare di te sei nessuno e se sei nessuno non vali niente e in quanto tale sei un fallimento e allora puoi morire.
I barboni, ad esempio, sono abbandonati per questo motivo: sono dei fallimenti, possono morire.
Ma la verità è che per quanto ci si sforzi il mondo giusto, il mondo perfetto non esisterà mai. In fondo lo sappiamo tutti molto bene che se c’è il bianco, dev’esserci il nero, se c’è il brutto dev’esserci il bello, per esserci la felicità deve esistere il dolore e per esistere il bene deve necessariamente esistere il male. Altrimenti non sapresti cosa combattere, da che parte schierarti.
Forse è da qui che bisogna partire. Bisogna decidere da che parte stare e combattere. LEALMENTE.
Ecco, sì, la lealtà.
Forse sta lì il segreto di un mondo migliore. Bisognerebbe essere leali, anche nella disonestà, nella criminalità, come un codice d’onore. Si pensi alla mafia, quella di tanto tempo fa, quando non minacciava ancora le famiglie, i bambini. Allora la mafia era una signora perché se la prendeva con il nemico vero, quello che le pestava i piedi. Adesso non esiste più il rispetto per le donne, per i bambini.
I BAMBINI. Si dice che sono il nostro futuro e noi lo ammazziamo il nostro futuro. Li abbandoniamo, li uccidiamo, abusiamo di loro.
Non esiste più il bene e il male. Esiste il caos.”
 
Quando finì di leggerlo la guardò e le chiese:
- Perché?
- “Perché” cosa?
- Perché hai scritto questo? Perché pensi questo?
- In questi giorni hanno parlato molto del generale Dalla Chiesa. Ho pensato alla sua morte, a quella di Falcone, di Borsellino, a tutte quelle persone che sono morte per ideali veri, per un desiderio di libertà, di giustizia. Ho pensato alla morte di tutte quelle persone coinvolte nell’attentato dell’11 settembre. Noti la differenza? Sono morti diverse. Adesso si muore senza senso. Ho pensato alle manifestazioni del ’68 quando i giovani lottavano per avere la possibilità di studiare, per un lavoro più sicuro. Io non saprei per cosa lottare. Se guardo avanti non lo vedo un futuro. Non ho un obiettivo, uno scopo. Nulla per cui muovere le mie gambe.
- Ne sei sicura? A volte sappiamo cosa vogliamo, ma ci sembra assurdo e diciamo di non saperlo.
Lo guardò. Lo scrutava. E lui reggeva il suo sguardo con fierezza. Allora abbassò gli occhi. Sorrise e fece un mezzo sospiro.
- Sai una cosa? In verità nel mio futuro la vedo una cosa: vedo una famiglia. Mi piacerebbe sposarmi, avere una famiglia, magari tre figli con cui costruire un rapporto discreto, equilibrato. – a quella parola lui sorrise, anche con i sogni Selene ci andava con i piedi di piombo. - una casa da accudire, un marito a cui preparare pranzetti, cenette. Anche un lavoro part-time, perché no? Giusto per fare qualcosa e contribuire alle spese familiari. Trovare il tempo per un cinema, un libro, un po’ di musica. Poi andare a trovare la mia famiglia, i miei fratelli, le mie cognate, spettegolare con loro dei nostri mariti. È un quadro così retrò che me ne vergogno al solo pensarlo. Ma mi piacerebbe.
- Te ne vergogni perché al giorno d’oggi professare il femminismo è diventata una moda per certi versi. Ma non penso che tu voglia diventare la schiava del tuo bel maritino.
- No. – rise. – e poi ad alcuni può sembrare una via più facile questa qui…
- Ma che dici? Costruire una famiglia oggi è un’impresa!- fece una pausa e continuò: - Scusa, ma allora perché stai frequentando l’università?
- Bella domanda. Non so. Volevo cambiare ambiente di vita, conoscere nuova gente, vivere in modo diverso, fare nuove esperienze. Ampliare i miei orizzonti. Cercare nuovi stimoli. Forse è stato un errore.
- No, non lo è stato. È un’esperienza grazie alla quale stai crescendo. È questo quello che conta. Senti, nel tuo tempo libero ti piacerebbe anche scrivere qualche articolo per una rivista?
- Pensi che possa farlo?
-Mi piace molto come scrivi. Quello che scrivi è interessante, anche se ho qualcosa su cui ribattere, ma ne parleremo. Avresti dovuto farti sentire prima. Fifona! – le scompigliò i capelli, come si fa con i marmocchi. Allora si alzarono e presero a camminare. Lei rise, poi chiese:
- Cos’è che non approvi?
- Allora, innanzitutto a volte generalizzi troppo, e poi sei troppo pessimista!
- Ma è la verità!
- Sì, lo so che sei veramente pessimista! Un po’ di allegria!

Camminavano, parlavano e ridevano. Selene aveva un sorriso… uno di quelli che parlavano di felicità, di benessere.

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: esse198