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Autore: Neal C_    09/11/2013    3 recensioni
“Chi è Rebecca?”
Brian per poco non sgranò gli occhi ma mi riservò solo un piccolo guizzo di sorpresa prima di lasciarsi andare in una risata ironica che mi punse sul vivo.
Era ragionevole che io non sapessi niente di questa Rebecca, sarebbe stato ragionevole che Brian, con la pazienza e l’amabilità che lo contraddistingueva nei momenti in cui era di buon umore, mi spiegasse tranquillamente di chi stavamo parlando. Non potevo certo conoscere tutte le frequentazioni di Brian, una rockstar che vedeva più facce in un’ora di quante ne vedessi io in una giornata. Ma allora, se avevo ragione, perché ero arrossito come un peperone e mi vergognavo come un ladro?

[Questa storia è correlata a "Just a perfect man", one-shot prequel, ma è autonoma in quanto può essere letta come una storia a sé stante]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Brian Molko, Nuovo personaggio, Stefan Osdal
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo
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Ebbi prova del caratterino di Brian fin dal primo giorno.
Noi lo attendevamo con la macchina caricata,  Cody raggiante che si intratteneva con Will e Gill e la vicina che cercava in tutti i modi di attaccare bottone con Helena, che le lanciava occhiate cortesi e diplomatiche e cercava di scoraggiarla rispondendo a monosillabi.
Dopo un’ora e mezza di ritardo dall’orario dell’appuntamento concordato, dopo aver tentato inutilmente di raggiungere il cellulare di Brian scontrandosi contro la sua irritante segreteria telefonica, ci arrivò la chiamata di Alex che annunciava in maniera formale che i Placebo quel giorno avevano prenotato lo studio per tutto il giorno e certo non potevano buttare 1700 euro di affitto, considerando poi che, per una volta, stranamente, non mancavano né musicisti, né tecnici, né altro personale di supporto.
Insomma ci fece (e neppure troppo) gentilmente capire che se pensavamo di sequestrare cantante/ chitarrista e bassista in un colpo solo era meglio per noi cambiare programma e girare al largo.
Naturalmente Helena era furente, Cody era deluso, i suoi amici annoiati e io non sapevo cosa pensare poiché di Brian non avevamo sentito neanche la voce.
Partimmo con due ore di ritardo e Helena insistette per guidare lei;  nel tentativo di recuperare parte del tempo perduto la mia donna incollò la suola dello stivaletto all’acceleratore e non scese mai sotto gli 80 all’ora, slittando e superando in autostrada prima e sui tornanti poi.
Ogni qualvolta che i ragazzi sembravano sentirsi poco bene gli davamo un chewin- gum  e li tenevamo buoni con della musica. Non era il mio  primo viaggio in auto con Helena, l’anno scorso ci eravamo fatti mezza Scozia in auto ma era sempre stato un viaggio tranquillo, piacevole, pieno di pause laddove era stato possibile, visto che l’entroterra era abbastanza deserto.
Ma qui non facemmo neppure una fermata e dopo quattro ore di auto finalmente arrivammo a destinazione.
I ragazzi tirarono un sospiro di sollievo, scendendo dalla macchina barcollando e io mi offrii di accompagnarli al negozio più vicino per rimpinguare la nostra scorta di chewin-gum ormai agli sgoccioli e procurare qualcosa da mangiare.
Fortunatamente dopo un po’, in giro per il reparto fumetti di una simpatica libreria, i ragazzi annunciarono di avere voglia di un hamburger.
Io e Helena abbiamo sempre avuto da ridire sul junk food, abbiamo cercato di evitare il più possibile coca cola, bibite gasate e schifezze piene di grassi idrogenati.
Ma in quel momento però avrei fatto qualsiasi cosa pur di tirare su il morale alla truppa.  Per un attimo li osservai mentre addentavano  avidamente i panini ad olio, ben cosparsi di ketchup e maionese ma, svanito l’entusiasmo iniziale, il silenzio si fece pesante.
E poi c’erano gli occhi di Cody, scuri,  due pozzi neri, accigliati, gli occhi di Helena eppure riflettevano un’apatia sconosciuta della quale lei non sarebbe mai stata capace.
Tutto si potrebbe dire di Helena tranne che sia apatica; era indubbiamente brava a mascherarsi con i suoi toni dolci ma fermi, parole rassicuranti e diplomatiche, a sorvolare su qualunque argomento scomodo con nonchalance oppure uscire di scena con uno charme seducente.
Ma il vuoto non era contemplato,  neppure nei momenti difficili, anzi, era in quelle situazioni che veniva fuori la sua indole, combattiva, schietta e decisa, una vera leader. Vederlo negli occhi di un ragazzino mi fece una certa impressione.
“Andiamo ad affittare gli sci?”
Le risposte furono poco entusiaste ma almeno riuscii a smuoverli dal tavolo e ad arginare la deriva che stavano prendendo i dispettucci di Will: il ragazzino infatti si ostinava a rubare patatine dal piatto della sorella e quella non la smetteva di lamentarsi, di allontanare il piatto, di affibbiargli piccoli schiaffi sulle mani senza grandi risultati.
Mentre ritornavano alla macchina li sentii litigare su chi fosse più bravo a scendere a scodinzolo e rallentai il passo, affiancandomi a Cody.
“Non ha neanche chiamato”  esordì lui, masticando quelle parole con amaro risentimento.
“Cody, tuo padre è famoso, è una star. Deve avere un’agenda fittissima. ”
“Me lo aveva promesso. Una settimana di vacanza e niente lavoro.” Ribadì il ragazzino, seccamente, accelerando ancora di più il passo e stavolta lasciai che mi superasse per infilarsi in macchina, lasciando la portiera aperta.
Dal lato del guidatore, Helena parlava concitatamente a telefono con il proprietario dell’appartamento che avevamo affittato.
“Questo stronzo ha detto che prima di mezz’ora non ci raggiunge. ”
“Perché?”
“Perché siamo in ritardo di almeno un’ora all’appuntamento e nel frattempo è andato in banca a sistemare dei conti.”
“Beh, non ha tutti i torti no?”
Helena spostò le gambe da sotto il volante, appoggiando il tacco semi alto e quadrato sul cemento del parcheggio ricoperto di neve schiacciata e fangosa.
“Hel, devi cambiare le scarpe.”
La vidi scuotere stancamente la testa in un accenno di assenso e poi allungare la mano verso la borsa. Qualche secondo dopo aveva una sigaretta fra le labbra e le mani a coppa con l’accendino che sembrava non voler collaborare.
 Mi bastò quel gesto per sentirmi respinto e annunciai che andavo a noleggiare gli sci con i ragazzi.
Fortunatamente la tensione si allentò;  il proprietario del noleggio sci era un simpaticone e per di più aveva un figlio quindicenne con cui i due maschi si intesero subito a perfezione.  Gill invece provò più volte tre paia di scarponi con tre numeri diversi, cercando di prevedere quali sarebbero stati più comodi con calzamaglia e calzettone di lana.  Assistetti esasperato alla sua indecisione e ai suoi lamenti poiché lo scarpone era troppo stretto, le faceva male lo stinco destro, le dava fastidio il polpaccio sinistro, gli attacchi di chiusura erano troppo duri e quelli sugli sci troppo larghi.
Poco prima di pagare mi arrivò la chiamata di Helena  che mi avvertiva di raggiungerla  immediatamente e darle una mano con i bagagli.
Lasciai che ciascuno dei ragazzi si portasse i proprio sci, le scarpe in borsa e gli scarponi slacciati ai piedi.
Il nostro appartamento non era troppo lontano né dal parcheggio né dalla seggiovia che portava al primo complesso di impianti a 1200 metri di altitudine.
Gli interni erano accoglienti, con un parquet di legno chiaro,  un divano bianco ad elle in soggiorno e una vetrata che dava sulla neve, una piccola cucina e due camere da letto, una matrimoniale e una con un letto a castello e un lettino più piccolo, accanto al balcone. Inoltre era piena di armadi e librerie a parete, un tocco di classe.
Cercai di far sparire ogni cosa negli armadi per non turbare la pace di quella casa intonsa, evidentemente molto curata dai suo proprietari.
Fu allora che accadde il miracolo:  i ragazzi annunciarono che il loro nuovo amico Sam “quello degli sci”  si era offerto di fare una sciata con loro e fargli da guida fra gli stabilimenti.
Nessuno di noi si azzardò a rifiutare e, per una volta, vidi Helena più accondiscendente del solito e meno propensa a indagare più a fondo sull’attività del figlio.  Promisero che avrebbero tenuto i cellulari accesi e che avrebbero avvertito quando stavano per scendere.
Inoltre ormai si erano fatte le due e mancava giusto un paio d’ore alla chiusura degli impianti. Di certo non avrebbero avuto abbastanza tempo per fare danni.
Quando la casa fu nuovamente silenziosa, vidi Helena abbattersi a braccia spalancate sul matrimoniale esausta.
Nel frattempo io avevo riposto le nostre valige aperte negli armadi, aperte e stavo appendendo le giacche e le camicie perché non si stropicciassero troppo.
“La vacanza non è neppure iniziata e già sono distrutta”  mormorò lei, in un raro momento di sincerità e fragilità.
Appesi la sua giacca della Moncler color ghiaccio e mi accostai al letto, sedendomi in punta per non risultare troppo ingombrante.
Lei si spostò lentamente per farmi posto e mi stesi accanto, di fianco, e con la destra cominciai a carezzarle  il braccio destro.
Mi feci più vicino fino a stringerla fra le braccia e carezzarle il fianchi sottili eppure piacevolmente curvi. Adoravo le sue curve, quelle dei fianchi e dei seni, così sottili senza mai essere legnosi o spigolosi, sempre morbidi e caldi sotto i miei polpastrelli ruvidi. Ho sempre avuto delle mani piuttosto sgraziate, callose quando lavoravo nella campagna di mio padre, dure e spellate tutt’ora poiché dimentico sempre di idratarle e la mia pelle secca ne soffre.
 Dunque la mia donna avrebbe tutto il diritto di lamentarsene eppure non ha mai accennato niente in proposito.
Lei collaborava poco, era evidentemente provata dal viaggio, dallo stress per quella mattinata infernale e rimase ancora ferma, a farsi carezzare, benché riuscissi ad intuire, almeno dagli occhi leggermente lucidi e appannati, che non mi fosse affatto indifferente.
Quando tentai di spogliarla della maglia e del maglione di cashmir in una sola mossa mi fermò invitandomi ad alzare immediatamente il riscaldamento.
Ma proprio mentre trascinavo in basso lo slip e i pantaloni e mettevo a cavalcioni su di lei, sentii il cellulare vibrare forsennatamente e poi esplose l’irritante trillo della suoneria di Helena.
“Questo è Brian”  sussurrò con voce roca e un sospiro mentre si tirava a sedere con grande sforzo e allungava il telefono verso il comodino.
Fui costretto a mia volta ad interrompere la mia azione, slanciando in avanti il braccio per intercettare il cellulare prima di lei.
“Hel” la implorai con lo sguardo mentre mi sporgevo su di lei per costringerla a distendersi di nuovo. Arrivai a sussurrarle all’orecchio, indugiandovi con piccoli baci “lo richiamiamo dopo. ” e infine ribadii “Adesso non ci sei per nessuno. E neppure io.” . Ma quando cercai di baciarla quella si sottrasse, allungandosi ancora di più verso il cellulare.
“Hel, ti prego.”
La mi preghiera suonò a vuoto quando lei premette il tasto verde, portandosi poi il telefono all’orecchio.
“Brian?”  rispose con voce incerta, ancora roca per l’emozione ma quello ruppe per un momento quell’atmosfera intima che avevo faticosamente creato.
Mi alzai delicatamente, cercando di non scivolarle addosso e schiacciarla e mi allontanai verso il bagno furtivamente,  i pantaloni ancora dolorosamente stretti e il viso in fiamme.

“Lena, tutto bene? Ho interrotto qualcosa? ”
“Figurati. Dove siete? Avete finito le prove?”
“Ne abbiamo almeno fino alle sei. Penso che arriviamo verso le dieci di stasera.”
“Ho prenotato un albergo a pochi passi da noi.”
“Ha la sauna e la piscina?”
“Ovviamente.”
“Ok allora va bene. A stasera.”
“Non fate tardi, Brian, ne ho avuto abbastanza per oggi.”
“Promesso”

Mentre chiudeva la chiamata, ancora una volta Helena si ritrovò a pensare,  “non fare promesse che non puoi mantenere Brian.”

*******************

Ma Brian non arrivò affatto quella sera e la mattina dopo Helena salì anche lei con i ragazzi e insistette che venissi anche io.
Non volli contraddirla, era profondamente irritata: la sera prima era rimasta in attesa di un segno di vita dell’ex compagno, stesa sul letto con un thriller in mano.
Così l’avevo lasciata e così l'avevo ritrovata, di ritorno dal cinema, dopo aver accompagnato i ragazzi a vedere l’ultimo episodio di una sterminata saga fantasy, atteso spasmodicamente dalle nuove generazioni.
Purtroppo in paese non c’era niente del genere e quindi avevamo dovuto fare cinque o sei km in macchina per raggiungere una cittadina che contasse più di un centinaio di abitanti.
Già prevedevo che sarei andato a recuperarli dopo un paio d’ore e poi avrei dovuto accompagnare anche Sean, Sten o come diavolo si chiamasse il nuovo amichetto dei ragazzi.
Per lasciare loro un po’  di libertà avevo detto che avrei lasciato loro il tempo di farsi un giro nel centro commerciale, lo stesso provvisto di un grosso multisala che proiettava proprio il loro film. Avrebbero potuto prendersi un gelato o divorare marshmallow comprati al candyshop del terzo piano.
In realtà non mi interessava più di tanto quello che avrebbero fatto, purché potessi spendere qualche altro minuto accanto a Helena.
La vedevo stanca, i nervi a fior di pelle, come se dallo squillo del telefono dipendesse la sua pace, la sua tranquillità.
Ormai sembrava quasi che la nostra vacanza dipendesse da Brian.
Non so come riuscissi ad accettare questo pensiero con calma, non so perché non mi girassero i coglioni, e per l’ultima volta, non so come riuscii a mantenermi assolutamente calmo, comprensivo, un compagno modello.
La guardavo mentre faceva finta di leggere, davanti a noi la tv mandava in onda un vecchio film in bianco e nero, il volume era talmente basso che a stento riuscivo a seguirne le battute, tanto più che non ne avevo voglia.
“Ho parlato con Cody”
Non dette subito segni di vita come se ogni voce le arrivasse attutita, ovattata.
“Di cosa?”
“Di Brian”
Questo bastò a catalizzare la sua attenzione su di me.
Ovviamente questo mi irritò terribilmente e aggiunsi, per precisare, aspro:
“O meglio, di che razza di esibizionista è suo padre.”
“Cosa intendi dire?”
“Helena, come spieghi ad un ragazzino che i primi risultati su google , se si digita il nome di suo padre, sono una serie di foto provocatorie a metà fra il porno e una prova di trucco emo-dark?”
Mi sentii ancora più disgustato quando intravidi un mezzo sorriso sulle labbra della mia donna che trovai assolutamente fuori luogo, profondamente disturbante, totalmente ingiustificato.
“Ma si conciava veramente in quel modo? Come hai fatto ad uscire per anni con un tipo così?”
“Non lo conosci. E purtroppo neppure Cody.”
“Vuoi dire che saresti in grado di giustificarlo davanti a Cody?
Io non ne sono stato capace e il ragazzo se ne è accorto benissimo.”
“E cosa gli hai detto?”
“Tu cosa gli avresti detto?!” per un attimo trovai la domanda incredibilmente stupida e nella stanza risuonò un tono alterato, più forte di quanto volessi veramente.  
“Gli ho detto che tutti facciamo degli errori. Quello che forse avrei dovuto dirgli è che suo padre è recidivo! ”
“Penso se ne sia accorto da solo.” Ammise poi infine la donna con un sospiro posando il libro sul comodino, lasciandolo a languire piegato a metà.
Trovo quanto mai angosciante che, invece di usare un segnalibro, si metta a dura prova la rilegatura di un libro, specie di quelli le cui pagine sono semplicemente incollate insieme e non ricucite come in passato.
Mi da l’idea di una posizione precaria, una mancanza di rispetto nei confronti del libro. Ma dovetti rassegnarmi a non intervenire tanto più che finalmente avevo l’attenzione totale di Helena, conquistata faticosamente.
“Che razza di padre è uno che non sa niente di suo figlio? Uno che vive una vita separata? Non se ne interessa nemmeno! Sicuramente non si degna di presentarsi al viaggio che ha lui stesso organizzato perché fosse uno splendido quadretto familiare!”
Ancora una volta la vidi compiere quel gesto familiare, insopportabile per me che ogni volta metteva una distanza abissale fra noi.
E quando il primo fil di fumo fluì serpentino dalle sue narici mi alzai, scostando il plaid in maniera teatrale, con un gesto di grande insofferenza, e mi appoggiai di schiena alla vetrata, dall’altro lato della stanza, aprendo appena l’anta della finestra perché aria pulita mitigasse l’effetto di quella venefica.
“Quello che devi capire, Andrew, è che Brian non è una persona semplice.
Non è una persona coerente se non suo modo assurdo di comportarsi.
Ormai è lui stesso un clichès vivente. ”
“E allora perché stressarsi troppo per uno così? Perché non togli gli occhi da quel dannato cellulare e lasci perdere tutto? Perché non ce ne andiamo in sauna, io e te, o magari all’idromassaggio, al centro benessere più vicino?  Chiamiamo i ragazzi e diciamo loro di prendere un taxi. Che tornassero quando vogliono.”
La vidi farsi immediatamente altera, raddrizzò la schiena, e poi accavallò le gambe sotto il plaid, appoggiando poi il braccio filiforme sul ginocchio che sorreggeva la sigaretta, lo sguardo obliquo e severo:
“Questa non è la nostra vacanza Andrew. Non siamo qui per farci i massaggi nelle Spa e fare del romantico sesso nella vasca da bagno tutto il giorno.
Questa è una vacanza di famiglia.”
Dette un ultima tirata alla sigaretta ormai prossima alla morte, e si alzò dal letto per andarla a gettare nel cestino dell’immondizia, sotto la cucina.
Quanto a me, non potetti fare a meno di pensare che ero io l’intruso,  ancora una volta, un pesce fuor d’acqua, una presenza gradita ma non giustificata, un elemento contingente, sicuramente non necessario, ma neppure sufficiente.

*******************


COLONNA SONORA:  mentre ultimamente sua maestosità canta di computer che lo sospettano gay (poteva chiederlo a chiunque, nessuno avrebbe mai pensato il contrario, neanche per un attimo) io mi riscopro nostalgica e rimango attaccata sempre alle solite vecchie cose.
Chiamatemi retrograda ma almeno quelle hanno un valore affettivo.


Angolo dell’autrice

Ok, lo ammetto, sono incazzata con Brian Molko.
Questa volta i testi sono penosi, le canzoni scontate, le ballate lamentose, i ritmi delle canzoni più serrate già sentiti, la “too many friends” che invade le radio  poi induce dipendenza in maniera agghiacciante eppure, se la si guarda a mente fredda, ci si chiede “perché cazzo dovrei ascoltare questa roba?”.
Insomma sono tremendamente combattuta perché sono certa che fra un po’ mi ci abituerò ed entreranno, una per una, a far parte della mia playlist preferita.
Ancora peggio. Rimpiango Battle for the Sun, ed è tutto dire.

Indi Helena soffrirà del mio essere scazzata, Andrew vivrà la sindrome dell’abbandono e si rafforzerà il mito misterioso di Brian Molko, troppo impegnato per fare il padre (anche se dai risultati recenti avrei preferito si fosse impegnato un po’ di più nella musica,  magari usciva qualcosa di un po’ più decente… ok , la smetto).
Con il dente avvelenato, più che mai,

Neal C.

p.s  si lo so, è un noioso capitolo di transizione e non meritate una schifezza del genere dopo un anno di attesa. Ammesso che qualcuno legga ancora questa storia…
  
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