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Autore: FiveOneTen    09/11/2013    0 recensioni
"Non ci credo! Non ci voglio credere! Che catapecchia è mai questa?"
Chi se non quello spocchioso di Whittermore poteva esclamare una frase del genere?
In pochi considerano importante Jackson, l'atletica nemesi di Scott, ma ora che si è trasferito a Londra, ora che si è finalmente tramutato in un lupo, cosa potrebbe mai succedere? Un neolupo in una grande e misteriosa metropoli unito ad un nuovo amore e a incessanti misteri e quesiti che vengono a galla portandolo sempre più vicino alla scoperta delle sue oscure origini. L'avventura non vedrà molto presenti Scott, Stiles e Allison, ma si concentrerà su questo personaggio tanto odiato che nasconde nel profondo del suo cuore un briciolo di tenerezza riservato al suo vero amore: Lydia. Nella storia diverse sono le vicende che si intrecciano: dalla nuova vita, alla misteriosa e seducente ragazza conosciuta, alle origini della sua famiglia che vuole scoprire fino in fondo. Tutti si domandando quale sia il grande mistero che si cela dietro a quelle iridi azzurre, per sapere qual'è la vera storia, vi sarà sufficiente iniziare a leggere.
THE BEAST WALK TRHOUGH LONDON'S STREETS!
Genere: Fantasy, Horror, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jackson Whittemore, Lydia Martin, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Il quattro zampe soffre nel silenzio, non nel pianto;
le lacrime le  versa nel profondo dell’animo annerito
tanto che per l’amore  mai resta affranto
piuttosto ne cerca uno nuovo appena il primo è finito ”
     II. Pains of love    
Il mattino seguente il risveglio fu disastroso. Il rubinetto lo infastidiva notevolmente adesso che le gocce cadevano con più frequenza rendendo il rumore simile a quello di un torrente in piena. Jackson si alzò infastidito rilasciando un latrato. Forzò la manopola del lavandino, ma il gocciolio non dava segno di voler cessare allora sfoderò tutta la sua potenza. Risultato? Il lavello gli esplose in mano e in meno di mezz’ora dovette far visita un idraulico. La prima mattina era già riuscito ad inimicarsi il padrone di casa di origini rumene che lo insultava con un pessimo accento “british”. Decisamente era partito col piede sbagliato. La scuola non lo avrebbe ancora assillato per un po’: aveva giusto quel giorno per abituarsi al nuovo mondo. I suoi erano stati gentili e servizievoli come al solito offrendosi di finanziare l’istituto Americano che avrebbe frequentato: non comprendevano l’improvvisa scelta del figlio di abbandonare tutto e tutti, ma perlomeno con la stessa istruzione che avrebbe ricevuto a Beacon probabilmente si sarebbe sentito a casa. Era all’ultimo anno, come i compagni del resto. Aveva deciso di proseguire lì gli studi, di prendersi una laurea in qualcuna delle sue materie preferite (non che avesse una vasta scelta, d’altronde, oltre allo sport, cosa gli piaceva davvero?) e magari instaurarsi lì, ma i suoi erano solo progetti buttati a caso, non aveva nulla di specifico in mente. Dopo un’oretta abbondante di lavoro, il pigro idraulico avvertì di aver riparato il guasto, nonostante avesse dovuto usare dei pezzi molto rari per quel ferrovecchio. Jackson si limitò a pagare l’esagerata somma di Sterline richieste ammiccando una smorfia di disappunto, ma non protestò. Doveva ancora apprendere a pieno la valuta locale e avrebbe avuto bisogno di un po’ di tempo, ma a tutto ci si abitua. Si fece una veloce doccia, l’acqua era fredda perché il boiler non funzionava, ma stranamente le giornate fuori erano ancora piacevolmente calde nonostante fosse settembre e ci si trovasse a Londra. Si strofinò bene il sapone su ogni parte del corpo schifato dal letto su cui aveva dormito e poi si asciugò e si cambiò di vestiti mettendosi una delle solite magliette ed un paio di Jeans strappati sulle ginocchia. Prese alla lettera i consigli dati dalla sua “pseudoragazza”  cambiando le lenzuola, ordinando la stanza e pulendola per bene. Nonostante tutto il tempo sprecato per tutti questi lavori, il luogo continuava ad assomigliare ad un porcile nel vero senso della parola. Nonostante il suo sproporzionato orgoglio si arrese gettandosi nuovamente sul letto che ora profumava di rose fresche. Giacque lì per una mezz’oretta abbondante a far nulla rigirandosi la chiave in mano e controllando di volta in volta il cellulare per guardare i messaggi e le chiamate di Lydia a cui non dava minimamente retta. Perché aveva così tanta paura di risponderle? Era troppo difficile lasciarsi alle spalle il vecchio mondo, un luogo dove si sentiva sicuro, dove si sentiva a casa. Non aveva più una vera casa. A dire il vero, nessuno dei suoi vecchi amici ne aveva più una: Allison aveva visto morire sua madre, Stiles aveva ricevuto il suo ennesimo due di picche e il piano decennale era sfatato mentre Scott aveva sofferto anche troppo per l’allontanamento della Argent. In quel periodo, chi non si sentiva sperso? Perfino Lydia non riusciva a nascondere la tristezza che l’aveva assalita. Nonostante si fosse rimessa in gioco e nonostante le numerose serate in compagnia di aitanti ragazzi non pensava ad altro che Jackson, tutto il santo giorno. Nessuno dei due capiva cosa fosse la loro storia: acqua passata, relazione frivola e senza significato, semplice amicizia o amore incondizionato? Nessuno dei due sapeva bene come descriverlo e avevano ben altro nella testa. Ora doveva preoccuparsi della scuola: l’ultimo anno era il più impegnativo, avrebbe dovuto mettersi d’impegno e studiare con costanza, rimanere lontano dai guai e divenire l’alunno modello che non era mai stato. Aveva le caratteristiche giuste, sapeva di averle. Si rialzò dal letto carico di un energia proveniente da una fonte sconosciuta, forse dalla luna che in una decina di giorni sarebbe arrivata facendogli perdere il controllo. Derek aveva cercato di aiutarlo, lo aveva istruito e gli aveva insegnato dei trucchi anche se era contrario a questa sua partenza improvvisa, forse per il fatto che ancora non sapeva controllare le sue metamorfosi. Jackson uscì di casa senza preoccuparsi dei tanti problemi che lo assillavano. Innanzitutto voleva conoscere la sua nuova città e per farlo non c’era niente di meglio che una bella passeggiata. S’incamminò per la sudicia strada verso la stazione e da lì prese la metro verso Westminster. Il tempo gli era favorevole e così fu ben felice di farsi un giretto per le strade del centro di Londra. Era proprio vero quello che dicevano: le acque del Tamigi erano stupende e il cielo che in esse si rifletteva era tanto limpido quel giorno da sembrare pieno luglio piuttosto che inizio settembre. Le foglie dorate ornavano i marciapiedi formando un soffice manto che attutiva il peso dei suoi passi e rilasciando strani scricchiolii ogni volta che avanzava verso la propria meta sconosciuta. Si fermò ad ammirare il London Eye che girava su se stesso mostrando ai turisti lo stupendo panorama della bella città e fu lì che capì di aver trovato la sua vera casa: era come se Londra la conoscesse da ben più tempo, come se fosse sempre vissuto lì. Arrivato sotto al Big Ben si accorse di come tutto sembrasse familiare: i lampioni scuri e ricurvi che vegliavano sulle strade, lo scorrere del fiume che dettava i tempi degli abitanti, le cabine rosse che offrivano riparo alle genti e i taxi neri che viaggiavano avanti e indietro come dei pazzi portandosi appressi lavoratori scontenti. Quello doveva essere il suo mondo e forse lo avrebbe scoperto bene col tempo. Continuando il suo percorso arrivò a Trafalgar Square che ospitò altri dei suoi strani ricordi emersi dal nulla. Da quel che ne sapeva, lui non era mai stato a Londra, ma era come se la cartina gli fosse entrata nella testa: era divenuto lui stesso il GPS per visitare la città. A Trafalgar gli imponenti leoni non incutevano timore, piuttosto attiravano la sua curiosità con il loro coraggio come se facessero da guardia a chissà cosa. Il tempo scorreva veloce e a stento bastava per girare gli isolati affollati, colmi di turisti e lavoratori indaffarati. Qua e là, dov’era possibile, scorgeva dei ragazzi che giocavano a calcio o che si gustavano la compagnia degli amici: come gli mancava la compagnia di qualcuno! Perché in fondo, oltre quello spesso strato di menzogne e di finzione che lo copriva, non era il duro e insensibile che voleva dare a vedere, ma un povero Omega senza il proprio branco. Nella City si divertì a girovagare tra le alte costruzioni e pranzò in uno dei ristorante meglio votati sulla guida Michelin. Si gustò un bel pranzetto a base di carne, piselli e leccornie varie che gli portarono piatto dopo piatto. Si era seduto su di un balcone al ventesimo piano da cui scorgeva ogni particolare della bella cittadina inglese. Alto nel cielo si trovava il sole che faceva capolino da dietro lievi nuvole mentre in lontananza le ciminiere della vecchia e  industriale capitale londinese si ergevano silenziose. Tutto pareva particolare in quella metropoli, distorto, come se si trovasse sotto ad una luce diversa. Lanciò uno sguardo al cellulare rileggendo velocemente gli amorevoli messaggi di Lydia. Quanto gli mancava quella ragazza. Decise di fare la cosa giusta: affrontare la realtà e chiamarla, fuggire dai problemi non era la soluzione.
– Pronto?
La voce della giovane era diversa dal solito, non era più simile ad una tromba squillante, ma era flebile e interrotta dai numerosi singhiozzi. Stava piangendo. Gli occhi di Jackson cercavano di fissarsi nella mente il suo viso, le sue ciocche color carota, il suo dolce sorriso dalla piccola bocca e quelle guance paffute che la caratterizzavano.
– Ciao.
Fu la sua secca risposta. I singhiozzi si fermarono improvvisamente, il respiro affannato cercò di farsi meno rumoroso come se Lydia stesse cercando di nascondere il pianto.
– Jackson, che... bella sorpresa. Potevi rispondermi qualche volta no?
Lui sapeva cosa stava cercando di fare la ragazza. Fingere di essere coraggiosa, fingersi autosufficiente, fingersi lo stereotipo della donna perfetta, ma così non era. “Guarda che ne soffro anch’io cosa credi?” era la risposta che Jackson voleva dare, ma iniziare un bisticcio non era la soluzione migliore, forse non esisteva una soluzione migliore, forse era meglio lasciare cadere il tutto e dimenticarsi il passato lasciato alle spalle.
– Ero impegnato.
Fu la risposta. I secondi passavano veloci. Nessuno dei due osava aggiungere la fatidica frase, quelle due insignificanti parole che avrebbero assunto un senso solo nell’essere pronunciate in quel momento, quelle che avrebbero segnato la fine ad ogni conflitto e instaurato nuovamente la pace tra essi, ma quel “Ti amo” non venne pronunciato da nessuno dei due. Stettero ancora qualche minuto a fingere di avere una conversazione interessante, a fingere di essere quello che non erano: semplici amici. Lydia gli raccontò dei nuovi ragazzi carini che aveva incontrato a scuola e delle sue ultime vicende amorose con uno di essi, ma in un certo senso lo faceva puramente per ripicca: forse soffriva più lei a parlargliene di lui ad ascoltarla. Non gli chiese nulla, non volle fare quello sforzo, sapeva che tanto lui avrebbe risposto con una frase fredda e distaccata. Si salutarono senza troppi complimenti, senza troppe feste, come avevano fatto all’inizio della chiamata: lei che cercava di trattenere le lacrime e lui che guardava l’orizzonte per non soffrire ancora. Premette il tasto del telefono e la conversazione si concluse così. Non versò lacrime, non rilasciò grida di dolore, ma il suo cuore era stato infranto in migliaia di piccoli frammenti. Quello che da fuori non si poteva vedere lo si poteva sentire dentro: vuoto. Un ululato venne soffocato in gola mentre la rabbia saliva e gli occhi cangiavano di colore. La desolazione tramutava in rabbia, le unghie in artigli e i denti in zanne, ma riuscì a trattenersi  piantando le zampe nella coscia. Un acuto dolore lo pervase mentre la carne perforata dagli artigli annegava nel sangue. Stranamente si trattava di una ferita alquanto profonda per essersela causata da soli, ma non ci fece caso. La sensazione di calore e di dolore che lo invadeva durante la trasformazione si affievolì fino a scomparire del tutto. Jackson sembrava aver allevato bene il suo autocontrollo. Vagò ancora per le strade quel giorno cercando qualcosa che aveva perso, non sapeva bene cosa, ma sapeva che gli mancava e che la rivoleva indietro: quella cosa era rimasta a Beacon Hills assieme alla sua felicità e si chiamava Lydia. Rimase in giro fino a tardi contemplando il mondo che lo avvolgeva, ricevendo spintoni dai passanti e riempiendo i polmoni di aria intossicata dai tubi di scappamento: possibile che in solo un paio di giorni sentisse già la mancanza della sua vecchia vita? Era appena arrivato a Londra e già voleva andarsene, ma per ritrovare cosa poi? Una Lydia che non lo voleva più? Da Gerard non aveva imparato molte cose mentre era un Kanima, ma se aveva affermato qualcosa nella sua testa, quella era la testardaggine e la determinazione in quanto faceva: questo lo avrebbe spinto a non arrendersi. Che poi si trattasse solo della stessa illusione che motivava i senza speranze a lui non importava: doveva dimostrare a se stesso di essere in grado di andare avanti da solo.
Il tempo passava lento e pesante, ad ogni minuto l’agonia cresceva, ma come al solito arrivò anche l’ora di cena e lui non sapeva minimamente di dove si trovasse. Proseguendo all’interno della City si era infilato in vie a lui sconosciute finendo per perdersi. La luce del sole era scomparsa dietro alle cime di alcuni alti palazzi in vetro tanto opaco da non permettere ai raggi di filtrare. Una lieve foschia si abbassava sempre più rendendo scarsa la vista anche di un lupo mannaro. Si infilò nella prima locanda che trovò attratto da un profumino incantevole.
Internamente la sala era buia, tanto buia, la penombra regnava indiscussa attorno a ciò che si trovava dentro al locale. Un bancone si trovava qualche metro più in là, circondato da tavoli rotondi a cui erano seduti pochi loschi figuri. Qualche ubriacone qua, qualche barbone là: la popolazione del locale non era proprio raccomandabile. Il profumino che lo aveva attratto dall’esterno era intenso, dovuto perlopiù ai diversi gusti del tè che si miscelavano nell’aria. Jackson si appoggiò stanco e affaticato al bancone chiedendo al barista una birra. Dietro al bancone il barista ammiccò un sorriso per il buffo accento dello straniero che aveva appena fatto l’ordinazione. Jackson ringhiò irritato e l’uomo turbato si sbrigò ad estrarre la bottiglia di birra amara e prendere le quattro sterline che gli spettavano. Jackson aprì la bottiglia con i denti sotto al viso allibito del proprietario del locale, poi abbassò gli occhi sorseggiando lentamente la birra per affogare in essa i pensieri negativi. Cadde dalle nuvole quando una voce flautata chiese anch’essa una birra. Alzò lo sguardo per vedere chi aveva fatto l’ordinazione: una ragazza dai lunghi capelli dorati si ergeva davanti a lui incantandolo col suo fascino. Poche erano le ragazze tanto belle al mondo: viso magro, zigomi ben definiti, capelli splendenti e occhi di un azzurro vivo e intenso molto simili a quelli della sua forma lupesca.  La ragazza indossava una giacchetta di pelle e dei jeans stracciati e attillati. Ai piedi delle logore scarpe di tela sformata danzavano avanti e indietro ad ogni suo passo: dovevano essere di due o tre taglie più grosse rispetto ai suoi piedi. La giovane si accorse dello sguardo intimidatorio che le veniva lanciato dal ragazzo e gli sorrise. Lui arrossì non sapendo come comportarsi. Si avvicinò e si sedette su uno degli sgabelli posti di fronte al bancone e lui imitò le sue mosse sedendosi di fianco ad ella.
– Anche tu giù di birra eh? Una giornata pesante immagino.
Disse lei seccata, ma con un gran sorriso stampato in volto. La sua calda voce sembrava fin troppo maschile, doveva essere una ragazza dal carattere forte. Il lupo annuì col capo senza ammiccare un sorriso o rispondere, limitandosi giusto a ricambiare lo sguardo. Il barista le portò una bottiglia verde identica a quella che Jackson reggeva e lei la stappò con i denti, proprio come aveva fatto il lupo.
– Ah, voi della nuova generazione avete proprio delle forti gengive! Giuro, io da giovane non aprivo bottiglie coi denti!
Protestò allibito il barista. Ai due ragazzi scappò una veloce risata e così i due si guardarono per una seconda volta con maggiore felicità stavolta. Gli occhi di lei brillavano e scintillavano come non mai, sembravano due petardi incastonati ai lati del naso. I denti sporgevano leggermente dalla bocca e i due canini erano lievemente appuntiti. Il viso dalla pelle olivastra era velato da un sottile strato di lentiggini tanto chiare da essere visibili solo a poca distanza: nel complesso assomigliava abbastanza a Jackson.
– Come ti chiami?
Chiese infine lui cercando di rompere il ghiaccio. La ragazza giocherellava con la bottiglia divertendosi a vedere il liquido turbinare al suo interno ogni volta che la scuoteva. Era completamente assorta nei suoi movimenti, come se non ci fosse nulla di più importante. Il ragazzo la richiamò una seconda volta e lei alzò lo sguardo come se si fosse appena svegliata: non lo aveva sentito la prima volta. Jackson ripeté la semplice domanda sorridendo per quanto fosse svampita la ragazza.
– Lara e tu?
Che bel suono: Lara. Il giovane si sentì pervaso da una certa gioia nel sentir scandire quelle lettere, una dopo l’altra.
– Jackson.
Rispose concisamente. La giovane gli sorrise, ma non come si sorride ad uno sconosciuto, uno di quei sorrisi aperti e gioiosi che solitamente si riserva solo ai migliori degli amici.
– Bene Jackson, felice di fare la tua conoscenza. Sento dal tuo accento che non sei di qua, vero?
– Hai indovinato, sono americano.
Rispose lui. La ragazza rimase un attimo intontita dalla risposta perdendosi nuovamente nel vortice di birra che si formava scuotendo la bottiglia. Proprio mentre Jackson si accingeva a richiamarla per una seconda volta lei rispose, senza staccare gli occhi dal suo “gioco”.
– Ed è bello là? Ho sempre sognato visitare New York.
Jackson sorrise, ma la ragazza non lo guardava e lui ne rimase deluso.
– Ehm, diciamo che io abito un po’ distante da New York, ma son dettagli.
La ragazza rise, spostando ancora una volta il suo sguardo sull’affascinante teenager.
– E dimmi un po’, perché sei tanto triste da entrare in una delle vecchie topaie di Londra che nessuno visita più?
Il barista brontolò qualcosa irritato, ma nessuno dei due badò alla sua espressione.
– Donne.
Si affrettò a dire lui senza dare troppi dettagli.
– Ah beh! Son i problemi della vita. L’amore è una cosa a metà tra l’idiozia e la follia stessa.
A Jackson non piaceva la piega che prendeva il discorso: non voleva far discorsi filosofici, era un momento di quelli dedicati alla birra e allo svago e nulla avrebbe dovuto rovinarlo.
– Sentiamo, tu invece? Cosa ti ha rovinato questa bella giornata?
Continuò lui cambiando discorso. Dal volto di Lara scomparve ogni sorriso come se avesse detto la frase sbagliata nel momento sbagliato.
– Problemi con della gente. Non ti girare.
Ordinò lei velocemente sviando il discorso. Jackson percepì la porta aprirsi e capì che stava entrando qualcuno che Lara non sopportava. Come aveva fatto a capire chi era entrato senza neanche vederlo in volto? Era per caso un licantropo anche lei? Un forte tanfo riempiva la stanza e a giudicare dai passi doveva trattarsi di due o più uomini. Jackson non si girò, ma con la coda dell’occhio riuscì a vedere due grosse ombre avvicinarsi frettolosamente al bancone.
– Ehi! Mi accompagni all’uscita sul retro?
Sussurrò Lara al barista tendendogli una banconota da venti sterline. L’uomo si intascò velocemente i soldi e poi fece strada mentre Lara lo seguiva. Non salutò nemmeno Jackson, corse velocemente verso il retro del bancone senza dar troppo nell’occhio. Intanto i due uomini giravano controllando ogni metro quadrato del locale.
– Sicuro che si trattasse di una di loro? Poteva essere una mutaforma!
Sussurrò il primo al secondo. Jackson riuscì a sentire quelle parole solo grazie al suo udito sopraffino e capì che qualcosa non andava per il verso giusto: quei due tipi loschi cercavano Lara!
Velocemente si spostò verso la porta, ma uno dei due uomini lo bloccò serrando una mano attorno alla sua spalla. Il fiato del giovane si faceva pesante mentre l’uomo stringeva ancora più forte.
 – Dove pensi di andare?
Chiese lui. Jackson non si accorse nemmeno delle sue azioni mentre con la mano destra sferrava un pugno nell’addome dell’uomo che lo tratteneva. Subito corse verso l’uscita mentre il secondo lo rincorreva e il primo si rialzava. Fu un attimo che la situazione lo angosciò a tal punto da mutare: un dolore lancinante lo trafisse dai piedi al capo avvolgendolo completamente. Le zanne crescevano gli artigli si allungavano e i peli foravano la pelle mentre la trasformazione avveniva. Il suo corpo si trasformava inesorabilmente assumendo caratteristiche lupesche. Corse tanto veloce verso il Tamigi che chi lo vide affermò di aver intravisto di sfuggita un’ombra. Gli inseguitori provarono a rincorrerlo, ma non tenettero il passo e finirono per perderlo. Il lupo era in salvo, per ora.
Arrivò veloce al monolocale correndo per le strade e raggiungendo King’s Cross in meno di quanto si fosse immaginato, ma qualcosa non andava in quella città e ora ne era certo.
  
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