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Autore: PoisonQueen    09/11/2013    0 recensioni
''«Un messaggio. Un messaggio inviato a mezzanotte e letto solo la mattina seguente. Un messaggio che quella mattina le era pesato, come un muro che le si sgretolava addosso. »
Irene, adolescente simile a tutte le altre, introspettiva pił delle altre.''
E' una storia che ho cominciato nel lontano 2011, ma che mai ho avuto il coraggio di pubblicare.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
«Scusami ma non posso amarti come mi ami tu. Non c’è un’altra, non pensarlo mai, per me ci sei solo tu, però ho capito di stare sbagliando tutto. Mi dispiace, spero che noi possiamo essere amici, prima o poi.»

Un messaggio. Un messaggio inviato a mezzanotte e letto solo la mattina seguente. Un messaggio che quella mattina le era pesato, come un muro che le si sgretolava addosso. Aveva sentito un grande vuoto in fondo al petto e non aveva proferito parola con nessuno a casa. Aveva indossato la stessa felpa e i pantaloni del giorno precedente e s’era incamminata verso scuola. Nemmeno voleva prendere l’autobus.
A scuola era stato un disastro, aveva fatto scena muta nell’interrogazione programmata di letteratura e aveva lasciato foglio bianco nel compito a sorpresa d’inglese. Aveva lo sguardo vuoto. Passavano le ore e lei continuava a guardare fisso davanti a sé, senza guardare niente di preciso, senza pensieri. Nessuna delle sue amiche in quella giornata le rivolse la parola, pensavano avesse solo avuto qualche problema con la madre, pensavano fosse giusto lasciarla sfogare con se stessa. Proprio quel giorno però lei aveva bisogno di loro. Aveva bisogno di qualcuno che davvero le volesse bene per far uscire tutto quello che serbava dentro da quando s’era svegliata. Nessuna le disse niente. Che grandi amiche…
Tornò a casa. Non una lacrima nemmeno allora. Si distese sul letto e rilesse il messaggio. Impassibile. Non si capiva. Cosa le succedeva? Come mai non piangeva a dirotto come aveva fatto per stupidi litigi? Davvero non le importava?
Scrisse rapidamente un biglietto alla madre dove le diceva che andava a studiare da una compagna, bugia. Usciva. Usciva per non trovarsi ingabbiata fra le quattro mura di casa sua, le bastavano già le costole che impedivano al suo cuore di dare segni di vita.
E adesso era lì che camminava lenta per il corso. Senza voler incontrare nessuno, volendo starsene sola. Per capire.
***
Come possono svanire i sentimenti dall’oggi al domani, anzi dalla mattina alla sera? Non aveva notato ci fosse acqua di tempesta fra loro. Non aveva notato niente di diverso dal normale. Avevano parlato un po’al telefono il pomeriggio prima perché lei voleva ripetergli rapidamente lo schema di letteratura che s’era preparata, lui non sembrava infastidito. Avevano pure parlato un pochino della festa di compleanno di Stefania, una compagna di lui. Lei non sapeva cosa mettere, lui le aveva pure detto che stava bene con tutto, l’aveva ripetuto più e più volte. Irene continuava a non capire.
Cos’era successo dopo quella telefonata che gli aveva fatto capire d’aver sbagliato tutto. Poi tutto cosa?! Aveva sbagliato nel conoscerla e nel renderla felice chiedendogli di essere una cosa sola? Aveva sbagliato a farla innamorare? O ad innamorarsene?
Mai se l’erano detti esplicitamente ma lei era sicura che Marco l’avesse capito e pensava che anche lui provasse lo stesso. Pensava. Non riusciva a credere di aver sbagliato qualcosa lei. Più ci rimuginava, meno idee le venivano in testa. Era tutto così assurdo…
Prese una stradina laterale, era buia, ma non importava. Solo dopo pochi metri si accorse che era arrivata nella stradina di casa di Marco. Pensò di girarsi ed andare via. Non lo fece. Si sedette sulle scale di un portone, il suo portone, e nell’istante in cui si sedette finalmente iniziò a piangere. Quel posto le portava alla memoria troppi ricordi, ma adesso rimanevano muti, zittiti dai singhiozzi.
Uscì il portiere che la riconobbe, -Ciao Irene! Oh, ma che sono queste lacrime?! Cos’è successo?- disse preoccupato.
-Salve, nulla nulla.- Rispose lei con la voce rotta dal pianto.
-Vuoi che chiami Marco?- Chiese il portiere alquanto preoccupato appoggiando la mano sulla spalla di Irene.
-NO! Anzi, non gli dica che sono stata qua. Arrivederci.- E si alzò di scatto andandosene lasciando l’uomo piuttosto sbigottito, ma con la sicurezza che avrebbe fatto ciò che gli era stato ordinato.
Rifece la strada all’indietro. Erano le 17.00, aveva camminato apparentemente senza meta per due ore. Il cuore l’aveva spinta lì. Voleva vederlo, chiedergli spiegazioni…
Poi però ci ripensò: no, lui non la doveva vedere in quello stato. Che figura avrebbe fatto? Lui probabilmente adesso se la stava spassando con gli amici. Forse aveva già incontrato un’altra per quanto lui l’avesse rassicurata che non fosse così.
Forse aveva mentito su questa cosa. Tutti siamo bravi a mentire con uno schermo davanti. Niente ci può tradire, non uno sguardo, non un sospiro al momento sbagliato. Non è difficile mentire se si può pensare anche per ore a cosa rispondere a una domanda, si possono chiedere consigli e si può non rispondere completamente e sparire nel nulla.
***
Arrivata a casa erano le 18, aveva perso tempo senza sapere come, la strada era sempre quella. Solo 10 minuti di strada li dividevano. Lo sconforto aveva fatto correre l’orologio più velocemente del normale ed il cielo aveva appena cominciato a macchiarsi di nero.
Salì a casa e, entrata, si distese sul divano. Era sabato e ancora nessuna delle sue amiche le aveva chiesto cosa facesse di sera. Irene era fortemente delusa da loro, ma era pure orgogliosa. Avrebbe potuto chiamare lei qualcuna e raccontarle l’accaduto, ma non lo fece. Era fermamente convinta che non si fossero curate della condizione in cui era la mattina. Era offesa e per questo decise di sedersi davanti la tv sul divano per rilassarsi un po’ e per pensare ad altro.
Si addormentò durante un programma stupido. Non dormì bene. Il tormento che lui avesse già un’altra le si era insinuato nel petto e nella mente che l’aveva sognato. Aveva sognato lui abbracciato a Carla e che le diceva d’aver trovato finalmente la ragazza giusta, che Irene era solo stato un lungo errore. Carla, la sua migliore amica! Una delle tante che l’aveva guardata perplessa ma poi si era girata dall’altro lato senza capire. Che quello fosse un sogno premonitore?
- Irene! Ma che fai, dormi?- Era arrivata la madre dopo la giornata di lavoro.
Lei era una giornalista. Non aveva ancora scritto una prima pagina, ma andava fiera del suo lavoro. Le dava soddisfazioni, diceva. Irene era convinta che da quando la madre era stata lasciata dal padre aveva dedicato più tempo al lavoro che a lei; questo però non l’aveva fatta crescere male come spesso accade ai figli di genitori separati, Irene era una ragazza equilibrata, magari un po’ testarda.
- Irene, ma come mai sei distesa lì? Ti senti male?-
-No… cioè… sì- Terminata la frase le lacrime non riuscirono più a trattenersi. Lei era la sua mamma, la persona che più bene la voleva al mondo, l’unica che avrebbe veramente dato la vita per lei e l’unica che mai l’avrebbe abbandonata. Lei era quella che era stata al suo fianco quando le era venuta la febbre alta durante il Natale e anche quella che aveva celato la sua tristezza quando il marito l’aveva lasciata per andarsene sfacciatamente con un’altra per non fare soffrire la figlia. Lei era una donna straordinaria, pensava mentre guardava i suoi profondi occhi verdi che la osservavano attraverso le lenti.
-Nené, cos’è successo?-
-…Mi ha lasciata.- Aveva la voce rotta per le lacrime, di nuovo, la madre le si avvicinò e l’abbracciò. Non disse niente, l’abbracciò soltanto.
Passarono minuti e minuti, potevano essere anche ore. Lei, fra le braccia profumate di rosa, nel caldo abbraccio della sua mamma, piangeva tutte le lacrime che aveva in corpo. Un infinito mare che presto bagnò il cardigan prugna della donna.
-Dai basta lacrime, raccontami cos’è successo.- La donna odiava vedere la figlia in quello stato.
-Mi… mi ha scritto un… un messaggio – rispose ancora singhiozzando -… oggi… a scuola non c’era. Cioè… non l’ho visto…- E un altro fiume di lacrime.
Le fece leggere il messaggio, ma ciò non migliorò le cose perché pianse ancora più a lungo.
Passarono il resto della serata abbracciate e parlando. Irene dopo un paio d’ore si calmò convinta che la soluzione migliore fosse quella di parlare con Marco, di farsi dare delle spiegazioni.
 
La mattina seguente si svegliò presto, indossò una felpa blu scuro che le avevano regalato a Natale i nonni, i jeans  neri e mise tanta matita nera sugli occhi mischiandola all’ombretto blu. Quest’ultimo dettaglio le dava un tocco misterioso che sempre era piaciuto a Marco. Lei aveva intenzione di cercarlo e trovarlo e quale miglior modo era quello di farsi vedere perfetta ai suoi occhi?
Scese da casa e s’incamminò nel corso con la musica sparata nelle orecchie pure stavolta. Oggi però aveva un mix di musica rap sia americana che italiana. L’ascoltava sempre quando aveva bisogno di grinta.
Arrivò presto a casa sua, chiese al portiere se Marco era in casa e lui gli rispose di sì. Salì le scale. Il ragazzo abitava al secondo piano di un palazzo degli anni 70, ancora in ottimo stato, insieme ai genitori e alla sorellina.
Bussò alla porta e subito le aprì la madre ancora in pigiama, Irene si scusò per essersi presentata così presto e chiese se c’era il figlio.
La donna senza batter ciglio l’accompagnò alla porta della sua camera.
Arrivata davanti la porta tutte le sicurezze che aveva la travolsero. Stava sbagliando? Lui l’avrebbe cacciata? Era quasi decisa ad andarsene quando –Avanti bussa,- le disse la madre del ragazzo con un sorriso –gli farà piacere un risveglio diverso.-
Non sapeva nulla ancora. Ascoltò il consiglio della donna e bussò, ma subito entrò visto che non ricevette alcuna risposta.
  
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