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Autore: workinprogress    10/11/2013    6 recensioni
Amo già quella minuscola creatura con un'intensità che mi spaventa, ed il desiderio fiero e selvaggio che per anni avevo rinchiuso con cura in me si è ripresentato prepotente, trovandosi di fronte alla presenza concreta di ciò in cui speravo così tanto.
Katniss è terrorizzata, e ogni giorno cerco di starle vicino ed infonderle il coraggio di cui sembra aver bisogno. Il punto è che a volte io stesso non ne ho per me.

[Post Mockingjay] [Peeta!centric]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Mr. Mellark, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Growing back together'
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Da padre a padre



Cammino, cammino senza sosta attraverso il Distretto 12. Non so dove stia andando, ma nel momento esatto in cui ho sentito la necessità di uscire di casa mi sono diretto verso la porta.

Katniss mi ha guardato preoccupata, e so che teme che abbia un flashback. Proprio per questo non ha tentato di seguirmi o di farmi restare in casa, anche se ho visto nei suoi occhi quanto le sia pesato lasciarmi andare. Ma nessuno di noi metterebbe in pericolo in modo così stupido nostro figlio, né ora né mai.
È una delle mie più grandi paure da quando Katniss mi ha detto che saremmo diventati genitori. Amo già quella minuscola creatura con un'intensità che mi spaventa, ed il desiderio fiero e selvaggio che per anni avevo rinchiuso con cura in me si è ripresentato prepotente, trovandosi di fronte alla presenza concreta di ciò in cui speravo così tanto. Katniss è terrorizzata, e ogni giorno cerco di starle vicino ed infonderle il coraggio di cui sembra aver bisogno. Il punto è che a volte io stesso non ne ho per me.
Chi mi dirà che sarò un buon padre per lui? So che lo amerò, ma cosa penserà di lui l'altra parte di me? Ho il terrore che gli farò del male, che un giorno non saprò controllarmi e quando mi risveglierò da un flashback lo troverò morto tra le mie braccia. Ogni volta che mi sento più nervoso o più stanco del solito cerco di stare particolarmente lontano da Katniss, per paura di farle del male. Il bambino non è nemmeno visibile, ma è un rischio che non posso correre.
Katniss dice che non posso continuare a tormentarmi così, che andrà tutto bene. Mi riesce difficile crederle quando lei per prima ha un panico animale ed istintivo dipinto negli occhi, ma mi sforzo comunque di convincermi che ha ragione. Sono passate due settimane da quando l'abbiamo scoperto, e ho già perso il conto delle volte in cui siamo crollati l'uno nelle braccia dell'altra, in cerca di un conforto che non so da dove attingeremo. Io probabilmente dalla gioia che, nonostante tutto, quasi minaccia di trascinarmi via come un fiume in piena. E so che anche Katniss è felice, e che lo è veramente. È questo il motivo per cui ha paura.
Continuo a camminare, le mani ficcate a fondo nelle tasche e gli occhi bassi. Calcio i sassolini che trovo sulla strada polverosa, sperando di schiarirmi la mente. Se solo sapessi come liberarmi di questa sensazione di oppressione che mi preme sul petto, potrei tornare da Katniss e passare un po' di tempo con lei, come una normale coppia di sposi. Perché non possiamo farlo? Che diritto avevano di privarci delle nostre vite, della compagnia dei nostri cari?
I miei passi si fanno più veloci, scandendo il ritmo della rabbia che sento crescermi dentro. È solo quando inizio a notare un manto erboso sotto ai miei piedi che comincio a rallentare fino quasi a fermarmi di colpo. Sono davanti al Prato.
Nessuno lo ha seminato, ma nel corso degli anni è diventato verde e lussureggiante. A poco a poco è diventato il simbolo del Distretto, della vita che rinasce, bella e piena, contro ogni previsione. La terra che nutre il Prato è fertile e scura, e noi tutti sappiamo perché. Questo fazzoletto di terra non è altro che la tomba delle nostre famiglie, la fossa comune delle ceneri e dei resti di ciò che erano, e anche di ciò che eravamo noi.
Avanzo piano sulla terra scura, come se avessi timore di far del male ai morti. Dopo qualche passo mi fermo e resto qui, a fissare il terreno. E non so se sia la paura o la rabbia, o se pensare che qua giace tutta la mia famiglia sia troppo anche per me, ma le gambe mi cedono e mi accartoccio su me stesso, finendo in ginocchio sul prato verde.
Appoggio le mani a terra, accarezzando gentilmente i fili d'erba. Ne stringo un ciuffo nel pugno, stringendo piano. Mi basterebbe serrare un po' di più la presa, muovere la mano con un po' più di decisione, e riuscirei a strapparlo.
Dev'essere così che si è sentito Snow, quando dall'alto della sua sala presidenziale ha dato l'ordine di distruggere un intero Distretto, di dare alle fiamme tutti i suoi abitanti. Pericoloso. Potente. Crudele.
Riconosco gli spasmi all'altezza del petto, il nodo stretto in cui è serrata la mia gola. Appoggio entrambi i palmi sul terreno, sforzandomi di tirare giù il groppo che minaccia di soffocarmi.
Sento le parole spingere contro le pareti della mia gola per uscire. So che tentare di trattenerle sarebbe una battaglia persa in partenza, quindi mi arrendo subito.
«Papà», sussurro con voce spezzata, piegata dall'emozione. «Papà, sono io. Peeta».
So che è una cosa stupida, che mio padre è morto e non può sentirmi, che non ho nemmeno una lapide alla quale rivolgere le mie parole, ma non riesco ad impormi di tacere. Delle frasi che non sapevo di avere dentro lottano per uscire e sgorgare dalle mie labbra con la forza di un torrente, e proprio non posso fermarle.
«Probabilmente non mi senti, e io sono solo un povero idiota che sta parlando ad un prato. Ma anche se non mi senti io devo parlarti, capisci? Devo parlarti perché sento che potrei impazzire se mi tengo tutto dentro».
Faccio una pausa e prendo un respiro profondo. Mi chino ancora di più sul manto erboso che ricopre la mia famiglia, con le mani affondate nella terra.
«Katniss aspetta un bambino», mormoro, e la mia voce s'incrina per la gioia e il terrore. «Diventerò papà». Stringo forte l'erba tra le dita, come per cercare la forza di andare avanti. «Non credevo che sarebbe mai successo, papà. E invece una sera lei è venuta da me, e... e era bellissima e terrorizzata e io pensavo che sarei potuto morire di gioia lì sul posto, papà, pensavo di morire... Ricordo di averla stretta forte e ho iniziato a ridere finchè non sono cominciate le lacrime, e allora abbiamo riso e pianto insieme e sembravamo dei pazzi. Forse lo siamo...».
La voce mi muore in gola, soffocata da un peso che non riesco a scrollarmi di dosso.
«Ho bisogno di te... dove sei finito, papà?». Le lacrime vincono la mia resistenza e mi bagnano i pugni sui quali ho appoggiato il viso. I singhiozzi mi scuotono il petto, mentre mi chino sul prato come se volessi arrivare a lui, a mio padre, anche se non è nient'altro che cenere.
Sollevo di scatto il busto, ancora inginocchiato a terra, e tiro un pugno al suolo. «Avevo diciassette anni, papà, diciassette! Avevo bisogno di te, e tu te ne sei andato! Come hai potuto lasciarmi da solo?». La rabbia ha preso il sopravvento, mi accanisco sul terreno come se potesse restituirmi la mia famiglia. «Ti sei portato via tutti! Rye, Chris... anche la mamma, anche lei! Tutti!».
Se prima era difficile, ora non ho più davvero modo di trattenermi.
«Mi avete lasciato solo!», urlo, e poi seppellisco di nuovo il volto contro il mio braccio, posato sull'erba. Soffoco le lacrime e le grida nella terra, mentre infiniti ricordi di mio padre mi scorrono nella mente. Mio padre che mi insegna a fare i biscotti, che di notte viene a controllare se sto dormendo, mio padre che mi abbraccia e che mi fa capire che sono amato, che lui mi ama, che lo farà sempre.
Tra tutte le menzogne che mi hanno rifilato nella vita, so che una cosa è sempre stata vera, ed è l'amore che mio padre mi ha donato. Tra le lacrime, giuro a me stesso che il suo esempio non andrà perduto. Cercherò di essere tutto ciò di cui mio figlio avrà bisogno, sarò una persona migliore per lui. Lo amerò con tutto il cuore, e lo proteggerò anche da me stesso, fosse l'ultima cosa che faccio.
Una mano si posa gentile ed esitante sulla mia schiena. Katniss.
Cerco di ricompormi, mentre mia moglie si inginocchia sul Prato e si china accanto a me. Comincia ad accarezzarmi piano i capelli, appoggiando la guancia sulla mia scapola. Lentamente, l'ultimo dei pesi che mi rendevano così difficile respirare si scioglie, e so che venire qua è stato ciò di cui avevo bisogno. C'erano troppe cose che io stesso dovevo accettare, troppe parole rimaste in sospeso che dovevano essere pronunciate. Così come è stato, da padre a padre.
Katniss aspetta che mi volti verso di lei e mi guarda con i suoi occhi grigi pieni di lacrime. Lascio che mi baci e mi sposti i capelli dagli occhi, asciugandomi le lacrime con un gesto terribilmente materno.
Quando la abbraccio mi sussurra all'orecchio: «Andrà tutto bene», ed io, in silenzio, la stringo più forte.
Andrà tutto bene.


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Salve a tutti! ^^
Questa storia è nata quando ho letto la shot A cuor leggero di gabryweasley (tutti di corsa a scoprirla, è stupenda!). La lettura mi ha lasciata con tantissimi Mr. Mellark!feels, e visto che i Peeta!feels di solito ce li ho già di mio fare due più due è stato piuttosto immediato. L'idea di base è nata da un post che ho visto su tumblr una vita fa, e finalmente sono riuscita a svilupparla. Anche il dettaglio del padre di Peeta che va a controllare se sta dormendo è un riferimento ad una storia di Gabry ^^
Che dire, di solito scrivo le storie e le lascio a stagionare almeno una giornata, ma oggi la posto subito, e chi se ne frega se è mezzanotte.
Non credo ci sia molto da dire, i nomi dei fratelli di Peeta li ho presi da una storia che ho letto su ff.net, e a quanto pare Rye è un nome che quasi tutti gli autori anglofoni danno al Mellark di mezzo, quindi tanto vale seguire la corrente, no?
Un abbraccio forte a tutti, e spero che vi sia piaciuta!
wip

  
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