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Autore: floflo    11/11/2013    2 recensioni
C’è ancora vita in questo fandom?
Ho deciso, dopo un lungo travaglio, di pubblicare questa fic a cui sto lavorando da più di un anno.
Una storia tutt’altro che semplice - che mi ha fatto penare parecchio fin dal primo istante in cui ho deciso di raccontarla -, costruita su diversi livelli temporali: un po’ prequel del prequel, e spin-off del sequel (tanto per confondere ulteriormente le idee a chi avrà la pazienza di seguirmi...) “^^
Cosa conosciamo in realtà di Renèe e del suo passato? E di quello che è stato il suo immediato futuro dopo il matrimonio con Athos?
Sequel di Feuilleton2- Reloaded, questo racconto inizia esattamente dopo la fine del capitolo quarto della mia precedente storia Feuilleton.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Athos
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il feuilleton del feuilleton'
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2.Cèline



L’inferno e il paradiso sono stanze in cui si va a finire senza sapere di averne aperto la porta…

Due braccia che la serravano forte, schiacciandole il faccino contro quel ventre grasso e sfatto… Ancora se lo ricordava Renèe l’odore del suo grembiule a righe: pesce e grasso.
Quante volte quelle braccia forti l’avevano sollevata e stretta? Quante volte quelle mani piene di tagli e annerite dalle lordure della cucina, eppure odorose di cose buone da mangiare, l’avevano carezzata, asciugato le lacrime, imboccata, consolata?
Quante volte lei aveva cercato riparo e affetto tra quelle braccia fasciate da maniche perennemente umide d’acqua?
Il primo ricordo della sua vita forse era proprio di lei stretta in quell’abbraccio…
Era buio, l’avevano messa già a dormire nel suo lettino, poi di colpo si era svegliata mezza schiacciata tra i seni di Cèline, la cuoca, che la cullava e intanto piangeva recitando strane litanie e preghiere.
Cosa era successo? La verità l’avrebbe conosciuta soltanto qualche anno più tardi dagli stessi racconti della cuoca; ma quella notte, la piccola Renèe, non sapeva ancora niente. Quel giorno, così lontano nei ricordi, avrebbe segnato la sua vita per sempre.
I suoi genitori erano stati colpiti dal “morbo” come lo chiamava Cèline facendosi il segno della croce e volgendo gli occhi al cielo con una smorfia da miracolata, e in capo a pochi giorni sarebbero volati in paradiso, come le aveva raccontato poi per non spaventarla troppo…
Dovevano essere stati giorni terribili: secondo la narrazione macabra della cuoca, il “morbo” infuriava già da parecchie settimane nella zona; una febbre violentissima divorava letteralmente le persone, mietendo vittime ovunque, senza guardare l’insegna del casato o il portone d’ingresso, erano colpiti tutti indistintamente, i ricchi e i poveri, i signori e i servi, in ogni casa, in ogni strada, ovunque si contavano ammalati e soprattutto cataste di morti ammucchiati agli angoli delle strade.
Di lì a pochi giorni sarebbero fuggiti tutti per il terrore del contagio, anche i domestici, abbandonando la bambina e Cèline al loro destino.
Perché la cuoca non era scappata insieme a tutti gli altri? Renèe se lo sarebbe chiesto molte volte nel corso degli anni, quando il nume della ragione aveva cominciato a guidare le sue azioni e i suoi pensieri, senza trovare una risposta che non fosse illuminata dalla più semplice delle ragioni. Denaro? Riconoscenza? Pietà? Affetto?
Forse Cèline si era occupata dei suoi genitori moribondi: nella memoria le pareva di vederla mentre si aggirava per le stanze abbandonate con un fazzoletto legato sopra il naso come un bandito, per poi correre a lavarsi le mani con l’aceto e ritornare, infine, da lei.
Ricordava lunghe giornate trascorse in compagnia della sola cuoca, a giocare sotto i portici nel cortile assolato del palazzo deserto.
Nonostante tutto, non furono giorni troppo angosciosi per lei, la cuoca le teneva buona compagnia, il suo faccione da luna piena sempre colorito, lucido di sudore e il suo modo di fare pacioso e, allo stesso tempo leggero, le trasmetteva serenità e la rassicurava.
Poi un giorno, forse al termine della quarantena, erano comparsi alcuni suoi parenti, un uomo e una donna vestiti di nero: i fratelli padre.
Il morbo si era portato via più di un membro della famiglia D’Herblay, tra i quali anche il marito di zia Bènèdicte, un anziano barone.
Dall’alto della sua postazione aggrappata ai fianchi di Cèline, la piccola Renèe osservava con una certa preoccupazione quei due misconosciuti parenti, piombati improvvisamente a casa sua. L’immagine di quella donna né giovane né vecchia, dall’espressione severa e vestita da capo a piedi di nero nel fulgore della luce di un pomeriggio d’estate, le fece capire inesorabilmente che qualcosa nella sua vita sarebbe di nuovo mutato.
La zia aveva infatti accettato di occuparsi della nipotina rimasta orfana.
Renèe ricordava ancora i pianti e gli strepiti di quando avevano cercato di separarla da Cèline: le si era aggrappata al collo come una scimmietta, e a poco o nulla era valso l’intervento dello zio che aveva cercato di staccarla a forza. Tanto aveva scalciato, dimenandosi come un’ossessa, che non erano riusciti a trattenerla per farla entrare nella carrozza, ed era finita tra le ruote della carrozza a rotolarsi per terra, con il volto impiastricciato di polvere e lacrime di disperazione.
Soltanto l’intervento di Cèline era riuscito a calmarla.
Fu così deciso che la cuoca avrebbe seguito la bambina a Noyse le Sec.
Che cosa aveva convinto zia Bènèdicte ad accogliere assieme alla nipote anche la cuoca? Riconoscenza per essersi occupata della bambina durante quei giorni angosciosi? Pietà per una piccola rimasta orfana e per una cuoca non più giovane rimasta senza lavoro, che sembrava inestricabilmente legata alla sventura di sua nipote? Non aveva certo bisogno di ulteriori domestici a palazzo d’Herblay la zia…
Nella sua nuova casa, Renèe non mangiava se non era Cèline a imboccarla, non dormiva se Cèline non le dava la buona notte, si rifiutava di vestirsi se non era Cèline a svegliarla la mattina, nonostante l’infinità di bonnes e tate che la zia aveva preso per occuparsi della nipote infante.
Zia Bènèdicte le sembrava sempre così distante, algida, a volte anche irrimediabilmente goffa nei suoi confronti. Il suo atteggiamento poco si confaceva con la compassione e la tenerezza, eppure tollerava la presenza della vecchia cuoca e l’attaccamento quasi morboso che la nipote aveva nei suoi confronti, facendo buon viso anche agli atteggiamenti stravaganti per non dire inopportuni che la bambina andava manifestando.
Non vi erano mai stati bambini a casa della zia, ella non aveva avuto figli, non vi erano giocattoli, non vi erano passatempi adatti a Renèe, così la bimba se ne stava tutto il giorno in compagnia della cuoca, guardandola mentre immergeva le mani nel sacco del carbone, mentre soffiava sul fuoco sotto la marmitta, spennava galline, preparava intingoli vari.
Speso la notte si alzava e raggiungeva Cèline nella sua stanza, entrava nel suo letto e si stringeva al quel corpo, morbido e caldo, che manteneva addosso l’odore della cucina e del sapone delle stoviglie. La mattina, al sorgere del sole, la cuoca la avvolgeva in una coperta e la riportava nel suo letto.
Secondo un misterioso e tacito accordo Cèline le aveva fatto da balia.


 
***

- Cèline?-
Diane la osservò stupita. Cosa stava passando nella testa di Renèe? Era venuta fin lì per parlare della vecchia cuoca di palazzo D’Herblay?
- Ti ricordi di lei, non è vero?- insistette Renèe.
- Certo che mi ricordo… Ma perché vuoi incontrare proprio lei?-
Renèe rimase in silenzio, aumentando, per certi versi, lo sgomento della sua amica.
- Vorrei salutarla…- bofonchiò con un fil di voce.
- La cuoca???-
In realtà Diane sapeva quanto Renèe fosse affezionata a quella donna; ricordava quando da bambine le portava a vedere la gabbia dei conigli e ne tirava fuori uno mettendoselo in grembo perché loro potessero carezzarlo. Ricordava anche quella volta che, disgraziatamente, avevano visto una di quelle povere bestiole ciondolare a testa in giù, pronta per essere spellata e poi buttata in pentola, e di come la cuoca si era prodigata a consolare il loro pianto disperato con biscotti e miele.
Cèline era come una seconda madre per Renèe.
- Beh, non so che fine abbia fatto…, se lavora ancora a Palazzo D’Herblay. Di sicuro sarà piuttosto anziana…- balbettò Diane colta completamente alla sprovvista – Trovo decisamente curioso che tu voglia incontrare proprio lei e non tua zia…-
- Potremmo andare a trovarla uno di questi giorni…- continuò Renèe, lasciando madame de la Croix ancora più interdetta.
- Forse sarebbe meglio prima passare a salutare madame D’Herblay… Anche lei è molto invecchiata, ed è sempre sola, poverina … -
Renèe si chiuse di nuovo nel suo ostico silenzio rabbuiandosi e lasciando sgomenta Diane.
Trascorsero attimi che parvero durare un’eternità, scanditi soltanto dal ticchettare di un orologio a pendolo. Poi Diane abbracciò Renèe come se volesse confortarla per qualcosa di smarrito:
- Beh, spero che tu non abbia troppa fretta… Magari uno di questi giorni passiamo davvero a salutarle, tua zia e Cèline, eh? Puoi rimanere qui quanto vuoi, mio marito è a caccia, e non tornerà prima di due settimane! -.
Improvvisamente Renèe si sentì sola, tremendamente sola, sopraffatta dalla vertigine dell’abisso che le si apriva dinnanzi, si appoggiò con la fronte al braccio di Diane che la sorreggeva e al contempo l’abbracciava.
Con Diane, un tempo si capivano anche senza parlare, ma ora Renèe la sentiva terribilmente distante, così diversa da lei, come appartenessero ormai a due mondi irrimediabilmente differenti.
Diane era la regina del suo piccolo universo domestico, perennemente indaffarata a vegliare sulla sua casa, il marito e i figli, i servi, gli amici, a correre perennemente dietro i guai che si questi portano dietro, inventando, di volta in volta, nuove astuzie per non rimanerne schiacciata a sua volta.
Non era esattamente questo, quello che Diane stava facendo anche in quel preciso istante?
Consolare, preoccuparsi ed occuparsi degli altri, proprio come aveva sempre fatto Cèline.
Come era stata brava Diane ad organizzare la servitù dopo il suo arrivo, si vedeva che era avvezza già da parecchio tempo a mandare avanti la casa con quel piglio deciso e autorevole… Eppure avevano la stessa età ed era trascorsa appena una manciata di anni da quando giocavano a rincorrersi.
Se si fosse sposata anche lei a diciassette anni come la sua amica, sarebbe diventata anche lei così?
In realtà Renèe si era sempre sentita diversa, inadatta a qualsiasi ruolo dovesse interpretare: probabilmente non era stata la nipote che zia Bènèdicte avrebbe voluto, si era ritrovata suo malgrado nelle vesti di un soldato e chissà se sarebbe mai riuscita a diventare una buona moglie…
Da quando aveva messo piede a Bragelonne, non aveva fatto altro che sentirsi inadeguata. Pensava a madame Bonnet e Grimaud che aveva lasciato nella dimora di suo marito: come poteva riuscire ad impartire ordini a loro con il piglio deciso che usava Diane con i suoi sottoposti, senza sentirsi tremendamente ridicola?
In fondo lei conosceva Grimaud e madame Bonnet da molto tempo prima, per un breve lasso di tempo era stata essa stesso una domestica sottoposta ai loro stessi ordini ed ora, entrare di nuovo in quella casa nelle vesti di padrona, le sembrava tremendamente fuori luogo…
Diane con un semplice cenno del capo, riusciva a far muovere una mezza dozzina di domestiche senza perdere nulla della dolcezza e grazia che la contraddistinguevano fin dall’adolescenza.
Perché non riusciva proprio a immedesimarsi in quella parte che ora il suo nuovo ruolo di padrona di casa richiedeva?


 
***
 

Un visitatore misterioso: Renèe non poteva fare altro che immaginare cosa si celasse dietro il chiacchiericcio incessante delle domestiche di madame de la Croix al suo passaggio nei corridoi del palazzo, mentre si dirigevano verso la stanza degli ospiti.
“Madame che decide di dare ospitalità ad uno sconosciuto mentre suo marito il barone de la Croix è fuori?”
Captava brandelli di frasi maliziose appena mormorate che, con ogni probabilità, anche Diane riusciva ad udire, eppure la sua amica non pareva affatto turbata, si limitava a redarguire la servitù con uno sguardo severo, talvolta muoveva la mano come infastidita da un insetto molesto. Al passaggio di madame, i domestici si spostavano con riverenza e timore, i sussurri e i pensieri sconvenienti si affievolivano, e tutti riprendevano a muoversi seguendo una coreografia preparata in anticipo, secondo un ritmo conosciuto soltanto da chi l’aveva predisposto.
Era stata così gentile la sua amica ad accoglierla anche quella volta senza farle troppe domande, disposta a stare dalla sua parte sempre e comunque. L’avrebbe difesa anche in quell’occasione Diane, l’avrebbe protetta, e Renèe in quel momento aveva un disperato bisogno di sentirsi protetta.
Lontano da Bragelonne, ma anche lontano da Athos, sospesa in un limbo che nemmeno lei aveva mai conosciuto.
Improvvisamente aveva l’impressione di essersi trovata in un mondo a lei estremamente ostile, un mondo di nemici misteriosi e sconosciuti.
Avrebbe preferito mille e mille volte potere affrontare quegli sconosciuti con la lama della sua spada, la stessa che continuava a tenere appesa nel fodero al suo fianco. Ma come sarebbe riuscita a sferrare uno dei suoi veloci fendenti se il suo nemico la spiava dagli angoli oscuri della sua mente?
Il suo non era un nemico reale, una persona in carne ed ossa come lo erano stati Manson, Milady; il suo era un nemico subdolo, che la spiava di nascosto, soprattutto la notte quando era sola avvolta dal silenzio e la rendeva insicura e spaventata come mai prima in vita sua le era capitato.
Puntava gli occhi nell’oscurità Renèe, ma l’unica immagine che riusciva a scorgere era il suo volto terreo e sconvolto. Perché l’inferno e il paradiso sono stanze in cui si va a finire senza sapere di averne aperto la porta…
Era convinta che sposando Athos, avrebbe ritrovato la sua strada, sarebbe tornata ad essere quella che era prima, quella che era sempre stata.
Ma chi era stata Renèe prima?
Era possibile cancellare con un semplice colpo di spugna, con una promessa, con un voto, tutto il suo passato?
Forse soltanto Athos sapeva chi era veramente Renèe ora, mentre Diane conosceva chi era stata Renèe prima.
Era tornata a Noisy sperando di riallacciare i fili del suo passato e del suo futuro.
Era corsa a rifugiarsi dalla sua amica Diane, ma sapeva che avrebbe anche dovuto affrontare i suoi fantasmi, e soprattutto la sua famiglia.
Si ritrovava costantemente davanti agli occhi l’espressione severa di sua zia Bènèdicte vestita di nero impartire ordine a Cèline, mentre la cuoca annuiva compostamente asciugandosi le mani nel grembiule di tela.
Da bambina Renèe era quasi terrorizzata dai lineamenti rigidi e senza tenerezza della zia, quella fronte severa con una ruga centrale che divideva in due lo spazio tra le sopraciglia come una sciabolata, infatti non appena questa se ne andava, correva ad aggrapparsi alla sottana della cuoca.
Affondava il viso nel suo grembiule di tela a righe, cercava con le manine di incontrare il corpo e la carne della cuoca, per sentire che era viva, che era umana, che non era solo una presenza scura e severa.
Di nuovo venne sopraffatta da quella strana sensazione alla bocca dello stomaco: angoscia.
Quanto avrebbe voluto Renèe affondare di nuovo il naso in quella sottana, aspirarne il profumo, riuscire a sprofondare in quella morbidezza calda che aveva tanto il sapore dell’affetto e dell’infanzia perduta…
- …Celine…- mormorò.


 
***

- Monsieur? -
Oh, mio dio! Si era di nuovo addormentata! Il calore dell’acqua e il profumo delle essenze che Diane aveva versato nella vasca smaltata, erano troppo invitanti per non abbandonarsi piacevolmente in quella nuvola di voluttà senza dimenticare di tutto il resto.
La cameriera era entrata nella stanza reggendo degli asciugamani puliti, ma fortunatamente Renèe aveva avuto l’accortezza di ripararsi dietro l’ampio paravento, occultandosi, e la domestica imbarazzata non aveva avuto l’ardire di oltrepassarlo.
Istintivamente Renèe si immerse nell’acqua fino al mento, prima di riuscire a gorgogliare con la voce più profonda che potesse uscire dalla sua gola:
- Andate pure, mademoiselle!-
La giovane domestica fece capolino da dietro il separè, arrossendo lievemente.
- Ho portato la biancheria pulita. Desiderate qualcos’altro moniseur?-
Renèe scosse la testa avvampando, almeno quanto la cameriera, immergendosi ulteriormente nell’acqua.
Perdinci! Lo aveva fatto di nuovo! Si era scordata di comportarsi come avrebbe fatto un vero uomo. Se fosse stata ancora un moschettiere, Athos l’avrebbe ripresa sicuramente.
La cameriera abbandonò la stanza, un poco mortificata, dopo avere ravvivato il fuoco nel camino.
Renèe si raggomitolò dentro l’acqua per cercare ancora quel piacevole profumato tepore che la aveva cullata prima, ma orami anche questo era sfumato, per lasciare posto ad una sensazione fastidiosa che la fece rabbrividire.
Ripensò alla domestica che era uscita pochi istanti prima, l’aveva palesemente scambiata per un uomo, mentre lei avrebbe dovuto presentarsi fin da subito come la contessa de la Fère.
Che strana situazione la sua…, sempre a interpretare il ruolo sbagliato.
Uscì dall’acqua, mentre uno specchio posizionato poco più in là rifletteva l’immagine del suo corpo nudo di donna. Rimase qualche istante perplessa davanti a quella visione, poi si avvolse in un asciugamano, domandandosi se fosse veramente pronta per raccontare la verità.






 
   
 
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