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Autore: Angeline Farewell    11/11/2013    5 recensioni
Cross-over Thunderfrost-Hiddlesworth
[...]Con Chris dimenticava persino quella parte fosse mai esistita, non aveva mai sentito come un’urgenza imprescindibile quella di mostrare il suo profilo migliore, mai.
Poi si erano baciati sotto un cielo troppo grande ed un sole troppo caldo, e non una volta aveva pensato fosse stato inopportuno, non una aveva pensato avessero qualche rotella fuori posto entrambi, o lui soltanto, perché baciare Chris era stato come ritrovare la coperta azzurra che non sapeva di aver perduto.[...]
[Questa storia va letta come naturale seguito di Såsom i en spegel, rimando quindi alla lettura della storia per la comprensione degli eventi.
La storia tenta di seguire il filo degli avvenimenti realmente accaduti fino al 17 Aprile 2011, data della Premiere australiana di Thor, da quel momento in poi, è tutto da considerare una mia totale invenzione. Nel primo capitolo, ulteriori ragguagli e warning.
]
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Samskeyti '
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Sju

 

Preludio.

Abiti dietro un vetro e gente che continuava a fissarlo.

Non se ne preoccupava più di tanto, se il vecchio aveva perso – seppur per poco – il controllo e la presa sulla catena che lo teneva prigioniero, voleva dire non fosse nelle condizioni di nuocergli e allora che lo spiasse pure mentre percorreva le strade sconosciute di una città sconosciuta su un pianeta alieno.

Le vetrine gli mostravano mercanzia e la sua immagine riflessa che si sforzava di non guardare per non dover immaginare altro.
Aveva ancora indosso la ridicola camiciola nel quale avevano messo a dormire il mortale, era riuscito a piegare il suo aspetto fisico, ma non era ancora abbastanza in forze da riuscire a piegare ulteriormente la materia a suo piacimento, dunque camminava ancora a piedi nudi su strade roventi che graffiavano e ulceravano piedi troppo sensibili, ma ci avrebbe pensato poi al dettaglio, doveva prima riprendere il totale controllo della sua magia e della situazione: l’organismo del mortale era stato fortemente danneggiato dalla forzata inattività, era costretto a sprecare buona parte del suo seiðr per ricomporsi e ricomporlo. Del suo spirito non si preoccupava, era da qualche parte a piagnucolare sul suo cuore spezzato e la sua vergogna e, anche se avrebbe potuto, non gl’interessava capirlo né compatirlo.

In lontananza si udivano sirene dirigersi verso il cubo triste di cemento ch’era stato la sua prigione; erano allarmi e ne riconosceva la natura: non si stupiva stessero convergendo sul luogo così presto, l’illusione che aveva creato doveva essersi disfatta quando si era allontanato troppo. Sì, doveva davvero trovare il modo di passare inosservato per poter sperare di riacquistare forza e controllo.

“Buongiono…”

La giovane donna aveva sollevato gli occhi dalle sue letture per dargli il benvenuto quando Loki era entrato nella sua bottega. Ma il sorriso le era morto sulle labbra insieme alle parole quando aveva posato gli occhi su di lui e Loki avrebbe riso di quello sguardo stupido e stupito per poi spezzarle il collo se non avesse avuto bisogno di lei e dei suoi abiti. Non poteva sprecare troppe energie, ma gli serviva potersi mischiare alla folla se voleva sperare di raggiungere un luogo adatto per tornare su Asgard.

Perché era lì che doveva tornare al più presto.

La mortale era stata semplice da manipolare, gli aveva docilmente procurato degli abiti e delle scarpe arrivando persino a complimentarsi per quanto gli stavano bene. Loki si era limitato a lasciarla sospesa in quello stato di trance piuttosto che assecondare la voglia di ucciderla e poi ficcarle in gola la stupida carta che stava leggendo: immagini sorridenti di un altro tempo ed un’altra vita lo deridevano da quelle pagine, non erano come i libri della madre dell’altro. Si rivedeva ammantato di colori e di un sorriso che non ricordava di aver mai vestito, accanto a qualcuno che non era Thor, eppure era sempre stato lui.

E il suo cuore aveva tremato davvero.

Aveva gettato via l’inutile pezzo di carta fingendo di non aver intravisto le parole che corredavano le immagini, parole beffarde, fintamente compassionevoli, per una storia spogliata dell’intimità della tragedia per essere ricoperta da una patina di morbosa curiosità.

La luce del sole non gli era mai sembrata più disturbante. Era tornato a percorrere quelle strade ignote maledendosi ad ogni passo per il terrore e lo sforzo cui si costringeva per tenere alta la testa e non abbassare lo sguardo davanti ai mortali. Era vestito come loro e non erano più molti quelli che gli rivolgevano una seconda occhiata distratta, eppure si sentiva nudo, perché quelli non erano abiti cui era abituato, ma non era sua nemmeno la pelle che indossava.

Com’era davvero la sua pelle?
Soprattutto, Thor sapeva davvero?

Evitava di porsi altre domande, non poteva permettersi quesiti cui non poteva – né forse voleva – rispondere. Cui non aveva senso rispondere, in fondo: il vecchio aveva parlato, e il mostro era nato dalla pelle del fratello.

Doveva tornare su Asgard e mostrargli una volta per tutte cosa si era stupidamente portato in casa, perché ormai non aveva più nulla da perdere e, se Asgard voleva un mostro, non avrebbe deluso. Nessuna delle leggende nere con cui si era spaventato da bambino avrebbe retto il paragone con quello che avrebbe creato per le future generazioni del Reame Eterno.

Si era stretto a quel pensiero scacciando tutti gli altri e forse qualcosa del suo vecchio, vero Io, stava emergendo da quella pelle in prestito, perché sentiva le guance distese in un sorriso, ma la gente dinanzi a lui, si allontanava per lasciarlo passare.

 

Atto VII, Scena I.

Qualcosa aleggiava nell’aria, Thor riusciva a sentirlo insinuarsi sotto la pelle, che vibrava di un’energia nuova eppure già sperimentata: era in attesa, era in ansia, era euforico, non sapeva cosa stesse attendendo eppure non vedeva l’ora di ritrovarlo.

Annusava il cielo come se si aspettasse di veder cadere giù l’oggetto dei suoi desideri come la pioggia che lasciava sospesa tra le nuvole e i lampi che ora si rifiutava di far cadere.

Eppure Asgard era in subbuglio, Heimdallr aveva dato un allarme di cui non si capiva il motivo, ma la sua vista non sbagliava mai, qualcosa stava sicuramente arrivando. Di che natura, però, nemmeno Colui che Vedeva Tutto, poteva essere sicuro.

Suo padre era apparso trafelato sulla balconata che dava sulla corte centrale, ma non aveva degnato di uno sguardo il cortile che occupavano lui e Sif: come loro, Odino fissava il cielo plumbeo che assumeva sfumature sempre più ceree.

“Questa storia non mi piace. Anche Sua Maestà sembra inquieto, e non è da lui mostrarsi tanto scoperto in situazioni come questa.”

Sif aveva attirato la sua attenzione, era preoccupata e, per un istante, Thor aveva persino sentito una punta di sollievo, perché non avrebbe saputo dire da quanto tempo la guerriera non gli tributasse più l’onore di una familiarità buona a dividere anche le angosce. Ma era durata un attimo, perché non c’era tempo.

“Sta tornando.”

Quello di Odino era stato appena un sussurro, ma era risuonato nell’aria immobile come un colpo di frusta. Thor aveva sentito un brivido percorrergli le vertebre, ma non era l’eccitazione che anticipava lo scontro, era qualcosa di diverso ma non meno atteso.

Non era ancora guarito dalle sue ferite, non del tutto almeno, ma non sarebbe rimasto nelle retrovie, né qualcuno avrebbe mai osato imporglielo.

Sulla balconata accanto ad Odino era apparsa anche sua madre, ma il suo viso non mostrava orrore, quanto stupore. Fissava anche lei quel cielo cianotico che gravava sul petto come un macigno, ma la sua non era un’attesa di dolore: sembrava sospesa tra l’incredulità e la gioia, l’attesa e il senso di colpa.
E Thor non capiva. Sapeva solo di doversi muovere.

Quando il primo lampo era esploso, inatteso, in lontananza, non era stato il solo a sussultare, ma il primo a riaversi e correre in direzione di un evento che non aveva procurato lui.

Il cielo era sempre più lugubre e pesante e sapeva non fosse a causa della sua inquietudine o delle pene del corpo, non aveva abbastanza energie rimaste per comandare al cielo come presentarsi.

E dunque aveva richiamato Mjölnir e si era preparato a volar via verso quell’orizzonte sempre più rumoroso prima che Sif o chiunque altro potesse fermarlo.

Inseguiva l’Ombra come un cieco il ricordo della luce: senza speranza.

Sigurð era stata rasa al suolo prima ancora potesse giungervi, l’antica foresta era stata ridotta ad un’unica brace fumante.

Ma la selva sacra era stata solo la prima ad essere attaccata e distrutta senza apparente ragione, con assalti misurati e metodici che si avvicinavano sempre più pericolosamente alle mura di cinta della cittadella.

La popolazione non aveva subito attacchi, nessuno si era trovato in pericolo, ma non si poteva dire altrettanto per l’esercito: Odino sembrava come impazzito, berciava ordini che non avevano senso a soldati sempre più confusi e disorganizzati, Heimdallr era stato convocato nella sala del trono e da lì scrutava nel buio inseguendo la presenza ch’era riuscita a penetrare le sue difese.

Ma l’Ombra non si mostrava, creava solo confusione e smarrimento.

Thor aveva vagato per ore tra le braci fumanti di quelle che una volta erano state il vanto e la bellezza di una terra sempre fertile e generosa prima di essere richiamato da Huginn a palazzo.
Suo padre incalzava Heimdallr che non mostrava sentimenti oltre lo sguardo fuori fuoco perso in chissà quali pieghe della realtà in cerca del pericolo che incombeva su di loro. Ma la rabbia di Alföðer non poteva sola costringere il Guardiano a vedere qualcosa che sembrava esistere come entità fisica solo nella mente di Odino e nei fuochi che distruggevano la bellezza di Asgard.

“Padre, perché mi avete richiamato, i nostri soldati bruciano insieme alle foglie e-”

Ma se Odino aveva prestato attenzione a quel che aveva detto o se l’avesse anche solo udito, non lo diede a vedere. Abbandonato il fianco di Heimdallr l’aveva raggiunto e tirato via per un braccio verso un angolo remoto della sala del trono. Il suo viso sembrava imperturbabile come al solito, ma il suo unico occhio brillava di malcelata follia.

“Devi ucciderlo. Non c’è altra possibilità. Questa volta devi ucciderlo e non devi avere ripensamenti. Tu non puoi avere ripensamenti, Asgard non può più permettersi pietà.”

“Sapete che non ho mai lasciato un nemico di Asgard impunito.”

“No! Devi ucciderlo! Ti si presenterà davanti e non dovrai vacillare, non lasciarlo parlare, non guardarlo mai negli occhi! Alza il braccio e uccidilo!”

L’unico occhio di Odino aveva preso una tonalità cerea, sinistra: Thor non aveva mai visto suo padre davvero disperato, senza prospettive, il protettore dei Mondi aveva sempre saputo cosa era meglio fare per il bene comune. O il bene maggiore. Eppure, alla calma piatta di un lago di montagna si era ora sostituito il grigio del mare d’inverno, delle tempeste marine che portavano a riva solo relitti e morte.
Frigga aveva smesso di scrutare l’orizzonte per soffermarsi su di loro, aveva le dita strette in grembo e gli occhi asciutti, ma il tremore flebile delle labbra tradiva la sua voglia di urlare, per ragioni opposte a quelle di Odino, probabilmente: la sua attesa non prevedeva giungesse la Morte, Thor poteva leggerglielo negli occhi.

“Non devi avere ripensamenti, sei l’unico erede di Asgard, sei il mio unico figlio, devi ucciderlo e proteggere i Regni. Mostrati finalmente degno.”

E si era allontanato senza aggiungere altro, senza specificare un nome per il nemico che sembrava temere tanto, senza nemmeno provare ad armarsi lui stesso per scovarlo. Aveva oltrepassato persino il guardiano e si era seduto su Hliðskjálf per osservare la devastazione dei dintorni di Asgard. Sua madre non aveva cambiato posizione, continuava a fissarlo imperturbabile, ma Thor era sicuro stesse scuotendo la testa. E non riusciva a capire: la guerra era semplice, ma quella che si stava consumando nel regno d’oro sembrava non contrapporre contendenti e nemici, ma i membri stessi della sua famiglia.

“Non lasciare sia lui a trovarti per primo. Sarai in svantaggio. E non guardarlo: mentirà.”

Thor aveva lasciato Valaskjálf troppo confuso per poter fare ulteriori domande a suo padre. Domande cui Odino probabilmente non avrebbe risposto.

 

Atto VII, Scena II.

Non era stato premeditato, non aveva previsto sarebbero stati i sempreverdi millenari di Sigurð a dargli il bentornato su Asgard. Odiava quella maledetta foresta.

Portare quel corpo su Asgard era stato estremamente faticoso, troppo per le condizioni precarie del suo seiðr, ma l’aria di casa sembrava salutare persino se a tornare era solo un’anima in un contenitore di fortuna. Che si piegava sempre meglio alle sue esigenze, però.

Casa.

Aveva fatto una smorfia a quel pensiero ridicolo. Asgard non era più casa, non lo era mai stata persino quando vestiva le insegne della casata reale e Odinson era il suo nome.

Loki non aveva più casa né casata né nome, odiava quello che Odino gli aveva sbattuto in faccia, rifiutava quello che aveva portato per una vita intera di menzogne.

Era Loki e basta.
Ed era solo.

Aveva scelto il fuoco per caso e per capriccio, perché se doveva essere ricordato come mostro, che non fosse accomunato a quelli che l’avevano generato, mai.
Il legno aveva cominciato ad ardere lentamente, troppo giovane e ricco di linfa per alimentare subito il falò di cui aveva bisogno, ma Loki era paziente ed aveva atteso. E Sigurð alla fine era bruciata tutta fino alle radici. Poi era toccato ai boschi sacri dell’est, alle pianure dell’ovest, era arrivato a lambire i meleti di Iðunn con un brivido d’orrore e piacere, ma non sarebbe stata una vendetta perfetta? Vederli sfiorire e poi morire tutti uno dopo l’altro, veder l’oro diventare prima argento poi sbiadire fino a non aver più colore né valore. Ma aveva pensato ai morbidi riccioli di Frigga, alle sue mani morbide, al profumo di miele e primavera che portava sempre con lei, e non aveva potuto.

Si era costretto a pensare solo a lei, non ad un’altra chioma d’oro, non all’odore che ancora si sentiva addosso ogni volta che abbassava la guardia.

Un altro drappello di guardie aveva provato ad avvicinarsi, ma lo aveva spinto via come gli altri ch’erano arrivati prima di loro, inutili pupazzi tra le mani di un burattinaio ch’evidentemente aveva mescolato troppi i fili e li gettava sul palco senza reale guida né intenzione.

Pupazzi com’era stato lui, com’era il mortale che a tratti sentiva sussurrare ancora nella testa un lutto che non voleva metabolizzare. Ma aveva tagliato i fili che lo trattenevano in un teatrino che non gli piaceva, aveva preso a tirarli lui stesso e a muoversi come desiderava, verso altri fondali ed altre ambientazioni: se il destino lo tessono le Norne e comincia nel nome, avrebbe trovato il telaio che intrecciava la sua storia e rovesciato trama e ordito fino a raggiungere il giorno maledetto in cui era stato trovato senza protezione e spogliato di ogni diritto.

Di avere un nome, di avere un cuore.

“Finalmente sei arrivato, cominciavo a temere i miei inviti fossero troppo discreti.”

Thor era giunto alle sue spalle, ma non inatteso. Si era fermato  a riposare per raccogliere le forze per quell’incontro. L’aria era carica di ozono ed aveva inspirato in profondità fino a che i polmoni del mortale non avevano cominciato a dolere, ma che importanza poteva avere? Aveva quasi dimenticato quanto profumasse l’elettricità statica quando si è tanto vicini alla sua fonte primaria, aveva quasi dimenticato quanto gli mancasse l’odore del tuono.

Non si era voltato, né Thor si era mosso dalla sua posizione. E Loki sapeva non fosse un buon segno. Non si era aspettato abbracci e parole d’affetto – no, quelle non sarebbero mai più giunte, per lui – ma quell’immobilità lo snervava più di quanto potesse ammettere persino con se stesso.

Quando si era deciso a voltarsi a guardarlo, non gli era piaciuto quel che si era trovato di fronte: Thor non aveva espressione né mostrava alcun tipo di sentimento al di fuori del senso del dovere. Era lì per abbattere un nemico, non per accogliere un… cosa? Amico? Fratello? Avevano strappato quella parola ben prima di scoprire fosse comunque una menzogna.
Thor non si sbagliava, in fondo era rimasto solo il mostro da affrontare.

“Quindi è così che devono andare le cose?”

Era stato solo un fulmine caduto pericolosamente vicino a rispondergli. E Loki aveva sorriso allargando le braccia.

“Bene, Odinson. Vieni, e rendi orgoglioso tuo padre.”

 

 

 

 

Nda:

Scusate per il ritardo. ;_;

   
 
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